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Autore: isachan    02/04/2011    11 recensioni
"Forse era stato in quell'istante... quando, passeggiando per le vie della sua Tokyo, Akito le aveva involontariamente sfiorato una mano.
Un gesto normale, ovvio per due fidanzati.
Forse fu proprio in quel pomeriggio che Sana Kurata pensò per la prima volta che la mano di Akito sarebbe stata quella che avrebbe stretto per tutta la vita."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi qui! Questo capitolo è stato una vera faticaccia! xD

 

 

CAPITOLO TREDICI: PEGNO

 

 

Yuu.

Le poche volte che aveva pensato all’eventualità remota di diventare padre, gli sarebbe tanto piaciuto chiamare suo figlio Yuu.

Un nome breve, facile da pronunciare e senza inutili fronzoli.

Semplice ed essenziale, proprio come lui.

A Sana non l’aveva mai detto, ma ogni tanto aveva passato le notti ad immaginare il volto del loro bambino.

Non sapeva di preciso per quale motivo, ma era sempre stato convinto che Sana gli avrebbe donato un bel maschietto.

Così aveva speso un po’ di fantasia per immaginarlo… E pensare a lui era stato un po’ come aspettarlo davvero.

Avrebbe voluto che somigliasse a Sana. Che prendesse la sua bellezza, la sua forza e, soprattutto, il suo sorriso. Che ridesse sempre, anche per la più piccola scemenza e che avesse tanti amici con i quali passare le giornate.

Che avesse i suoi occhioni cioccolato e che potesse riempirli della stessa, bellissima luce.

A lui sarebbe bastato dargli anche un piccolissimo neo. Giusto per far capire agli altri che quello era anche suo figlio.

Suo e di Sana.

Un pezzo di loro che prendeva vita, il loro amore che assumeva le sembianze di un bellissimo bambino biondo.

Si, perché i capelli rossicci di Sana non sarebbero stati del tutto indicati per un uomo.

Ovviamente, aveva sbagliato ogni previsione.

- Akito, forse… forse dovresti correre da Sana..

In effetti, un bambino c’era.

- Come si chiama?

Forse i suoi capelli biondi li aveva davvero.

- Chi?

Di certo non aveva il sorriso di Sana.

- Mio figlio.

E nemmeno i suoi occhi o il suo chiarissimo colore di pelle.

- Si chiama… Shin..

Si, un bambino c’era.

Ma di certo non era il suo Yuu.

 

 

                                                                       ***

 

Aveva sempre avuto paura del buio. Una paura folle e irrazionale, che le faceva perdere il senso della realtà.

Il buio, per lei, era sempre coinciso con la solitudine. E la solitudine era la cosa peggiore che potesse capitare a chi, come lei, aveva l’incontrollabile terrore di essere abbandonata.

Solo con Akito il buio della sua stanza, un tempo, faceva un po’ meno paura.

Solo con lui, durante le notti passate a dormirgli sul petto, aveva imparato a non far caso alla lampadina che si spegneva sul comodino.

Perché tanto, a quei tempi, la luce ce l’aveva nel cuore.

Perché tanto, a quei tempi, il buio non esisteva.

Ma ora era tornato, le si era scaraventato addosso, nel bel mezzo di una festa straripante di luci e di gente.

Era bastato girarsi un istante, distrarsi ad essere per un attimo di nuovo felice, e tutto si era oscurato.

Ogni cosa si era fossilizzata… era rimasta bloccata a quei pochi e lunghissimi minuti.

Si era incastrata tra le lettere di quelle parole maledette…

“.. Dopo quella notte sono stata costretta a tornare ad Osaka, perché ero incinta… di tuo figlio…”

E il buio le si era infilato dentro e le aveva bloccato il respiro.

Eppure… eppure era stata immersa nella luce fino ad un attimo prima.

E questo rendeva tutto ancora più difficile.

Il buio è più buio se hai visto quanto è capace di brillare la luce.

Ora non riesco a vedere più niente…

Però, dopotutto non era andata poi così male.

Perlomeno, era riuscita a voltare le spalle all’uomo più importante della sua vita e alla sua migliore amica, e a ritrovare la strada di casa.

Nella corsa che l’aveva riportata nel suo rifugio sicuro, tutto intorno era apparso distorto.

Le strade vuote, i viali innevati, persino il profumo nell’aria.

Niente somigliava a quei paesaggi tanto familiari scolpiti nella memoria.

Non riconosceva più nemmeno casa sua. La sua bellissima e amatissima casa d’infanzia.

Non appena spalancò il grande portone e se lo richiuse in fretta dietro le spalle, si lasciò cadere a terra, facendo vagare i suoi occhi arsi dalle lacrime per tutto il salone.

Sul divano poco distante le sembrò di vedere se stessa ancora adolescente, con un libro tra le mani e l’espressione confusa di chi non ha ancora capito a cosa dovrebbe servire la matematica.

Di fronte a lei, seduta sulla poltrona in pelle color crema, immaginò una Fuka divertita, con le lacrime agli occhi e le gote arrossate per le troppo risate.

Si, Fuka rideva sempre nel vedere la smorfia che le nasceva sul viso ogni volta che cercava di decifrare un’espressione di matematica.

La testa prese a girarle vorticosamente. Così forte che dovette portarsi le mani sulla fronte per cercare di lenire quella sensazione di dolore.

Ma il dolore non passava.

Ed erano passati troppo anni dall’ultima volta in cui aveva visto Fuka ridere in quel modo.

Perché mi hai fatto una cosa tanto orribile…?

Possibile che fosse bastato far trascorrere un po’ di tempo per distruggere la loro antica amicizia?

Davvero erano state così deboli?

Non avresti potuto farmi più male…

Si sforzò di sollevarsi sulle gambe e fece di fretta le scale fino a raggiungere la camera da letto.

 Non appena si ritrovò di fronte all’enorme letto nella sua stanza, corse per gettarsi nel caldo tepore delle lenzuola.

Ma sarebbe stato molto meglio non farlo.

Le si affollarono nella mente le immagini della prima volta in cui aveva fatto l’amore con Akito, proprio in quello stesso letto, tra quelle stesse lenzuola.

Era stato indubbiamente il momento più bello di tutta la sua vita.

Come hai potuto farlo anche con lei…?

Come hai potuto donarle un figlio…?

Avrebbe tanto voluto urlargli che lo odiava. Che era stato uno stronzo e che aveva sporcato la cosa più bella che la vita potesse donare ad un uomo, dimostrando che lui, un’anima gemella proprio non se la meritava.

Si, anche lei aveva sbagliato. Era stata con Naozumi fino ad un giorno prima.

Ma quella era un’altra cosa.

Un figlio era un segno indelebile, un marchio stampato a fuoco sulla pelle.

Un mezzo con cui il destino ti dimostra che certi errori non te li puoi dimenticare.

Avrebbe preferito di gran lunga morire piuttosto che vedere un figlio con il sorriso di Fuka e gli occhi di Akito.

Oh, si. Gli occhi di Akito erano talmente belli che suo figlio avrebbe dovuto per forza ereditarli.

Questa, Sana, come la supererai?

Esisteva un modo per superare una cosa del genere?

Esisteva un modo per smettere di soffrire in quella maniera così straziante?

Forse, stavolta, non riuscirò a superarla…

Perdere Akito quattro anni prima era stato atroce.

Prendere l’aereo e andare dall’altra parte del mondo era stato dilaniante.

Ritrovarselo sulla pelle, poche ora prima in quel grande giardino, era stato come rinascere.

Sentire Fuka pronunciare quelle parole, era stato come morire.

Sentir nascere dentro la consapevolezza che, stavolta, non c’era più niente da fare.

Che avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, fare qualsiasi cosa, ma i fatti non sarebbero cambiati.

Akito e Fuka avrebbero continuato ad aver un figlio insieme.

Loro, che in una sola notte avevano costruito molto di più di quanto non avessero fatto lei ed Akito durante tutta una vita passata ad amarsi.

Voleva dimenticarlo.

Dimenticarlo davvero.

Eliminare il suo volto dalla memoria o, tutt’al più, odiarlo così tanto fino a far diventare disgustoso persino il suo odore.

Questa non posso superarla, Akito…

Con questa, lo so, è davvero finita.

 

 

                                                                       ***

 

Non aveva la minima idea di cosa fossa successo in quel brevissimo lasso di tempo.

Ma non poteva essere una cosa tanto importante, no?

In fondo, cosa mai sarebbe potuto succedere in meno di quindici minuti?

Cosa accidenti si erano detti, quei tre?

Però qualcosa, qualcosa di grave, se l’erano detta per forza.

Perché Sana era scappata via con le mani sul volto e lo sguardo fisso sul pavimento.

E Fuka era immobile in un angolo, distrutta da un pianto disperato, mentre, di fronte a lei, Akito la guardava furente e la scuoteva per le spalle con la mani, forse per farla parlare.

- Tesoro, cosa succede? Che hanno Fuka e Akito? E Sana dov’è?

Ecco. Sarebbe stato molto bello e sollevante saperlo.

Ma intromettersi in quel momento non gli sembrava affatto opportuno.

- In realtà, Aya, non ne ho la più pallida idea.

Magari sarebbe passato a trovare Akito l’indomani mattina.

Giusto per chiedergli se andava tutto bene.

- Ok, spero non sia niente di grave..

E per far sparire dal cuore quella bruttissima sensazione.

- Ma no, tranquilla tesoro. Vedrai che non è niente.

Non doveva essere niente.

Akito e Sana non potevano aver rovinato tutto ancora una volta.

Avrebbero dovuto attendere ancora un po’, prima di poter tornare ad impegolarsi nei loro stupidissimi litigi.

Non fatemi brutti scherzi! Tra due giorni si parte per la luna di miele!

 

 

                                                                       ***

 

Non aveva messo in preventivo di sentirsi così male.

Certo, aveva assolutamente messo in conto che perderla, stavolta per davvero, l’avrebbe fatto sentire un uomo finito.

E, nonostante lui si ostinasse a credere che sarebbe andato tutto bene, dentro di sé aveva sempre covato la convinzione che, prima o poi, Sana l’avrebbe lasciato solo.

Ma non aveva mai pensato al fatto che tutto sarebbe finito.. così.

Vederla scappare via dalla festa, con quell’espressione dipinta sul volto e le gambe talmente fragili da non riuscire a sorreggerla, era stata un’esperienza orrenda. E straziante. E indelebile.

Quando aveva praticamente costretto Fuka a rivelare la verità sul bambino concepito con Hayama, non aveva fatto il conto delle vittime che quella rivelazione avrebbe portato con sé.

Non aveva pensato che le ferite procurate da quelle poche parole sarebbero state così gravi e profonde.

Avrebbe solo voluto farli stare male. Vendicarsi per tutto quello che gli avevano fatto.

Fargli sapere cosa si prova ad essere traditi dalla persona che ami.

E invece tutto era degenerato.

E l’espressione smarrita e sconvolta di Sana ne era stata la conferma.

Lui l’aveva uccisa.

L’aveva uccisa dentro.

E da quella morte non sarebbe guarita tanto facilmente.

Forse, non sarebbe guarita affatto.

Non posso pensare di averti ucciso il sorriso.

E il tempo non avrebbe potuto aiutare neanche lui stesso.

Il senso di colpa, quel blocco di cemento sul cuore, non sarebbe mai sparito se Sana non fosse tornata più quella di sempre.

E, anche se faceva male ammetterlo, Sana sarebbe potuta tornare quella di sempre solo con Akito accanto.

Scusami, ma non riuscivo ad accettarlo…

Perché non volevo rassegnarmi all’idea che qualcun altro occupava già il posto che avrei tanto voluto occupare io.

A testa bassa e con le mani scosse da fortissimi tremori, estrasse dalla tasca dei pantaloni la chiave e la infilò nella toppa.

Fare quel piccolo movimento, quel mezzo giro, fu una cosa estremamente difficile.

E pensò che era stato un bene che Sana avesse tanto insistito per fargli prendere i doppioni delle chiavi della sua vecchia casa. Altrimenti avrebbe preferito di gran lunga passare tutta la notte accovacciato dietro il grande portone, piuttosto che suonare il campanello e disturbare la solitudine forzata della sua ex ragazza.

Dio, quanto faceva male pensarla in questi termini.

Fino a poche ore fa, dovevi essere mia moglie…

Con un lievissimo movimento della mano, spinse la porta e si ritrovò immerso nel buio e nel silenzio della grandissima villa lussuosa.

Eppure un tempo quelle stanze erano così piene di luce e di rumori.

Già. Sarebbe stato bello tornare indietro, tornare a quando sia lui che Sana erano poco più che due bambini e lui poteva andare a trovarla ogni volta che il lavoro non lo teneva lontano dalla sua Tokyo.

Sarebbe stato bello vedere la signora Misako girare allegra e chiassosa per tutta la casa, con il povero signor Onda a inseguirla come un forsennato per implorarla di terminare il suo ultimo libro.

Sarebbe stato bello rivedere l’affetto e la devozione con i quali Rey seguiva Sana in ogni sua mossa, quasi come un angelo custode.

Soprattutto, sarebbe stato bello vedere Sana scendere in fretta dalle scale, con i capelli legati ancora in due buffissimi codini e con il suo caratteristico sorriso ad illuminarle il volto ancora bambino.

Tornare indietro a quei tempi in cui ancora lei non sapeva di essere innamorata del suo migliore amico e vedeva tutto con un’estrema facilità e con un contagiosissimo ottimismo.

Anche se all’epoca lui aveva capito che Sana già apparteneva ad Hayama, andava bene lo stesso. Perché lei voleva molto bene anche a lui e quindi il fatto di amarla non era mai stato un peso.

Forse, per assurdo, non lo era stato neppure dopo, neppure quando Sana e Hayama erano diventati una vera coppia.

Perché sapeva che se solo ne avesse avuto bisogno, sarebbe bastato prendere un aereo, un treno o, più semplicemente, un macchina, per andare da lei e per vederla.

A quei tempi, bastava anche un solo sorriso o un’oretta passata a chiacchierare del più e del meno di fronte ad una tazza di the.

Così non era difficile. Amarla senza pretendere nulla in cambio era sopportabile. Addirittura piacevole.

Amarla era diventato più difficile da quando lei, infreddolita e quasi in lacrime, si era presentata senza preavviso davanti alla sua nuova casa newyorchese e, invece di salutarlo, gli aveva detto solo “Fammi capire che posso essere felice anche senza di lui”.

Ecco. Da quel preciso momento era iniziata la parte più problematica.

Sana era lì, finalmente sua, mentre quelle labbra che aveva sempre sognato di sfiorare gli chiedevano solo di renderla felice.

Era il suo sogno che diventava realtà.

E lui si era sentito spiazzato. E spudoratamente entusiasta.

Talmente entusiasta da essere incredulo. Talmente incredulo da essere terrorizzato.

Era rimasto imbambolato per qualche secondo, aspettando che qualcuno saltasse fuori e gli indicasse una telecamera nascosta con la quale riprendere quello che, con molta probabilità, non era altro che un terribile scherzo.

Ma non era saltato fuori proprio nessuno.

Anzi, Sana aveva continuato ad avere quello sguardo implorante

E lui aveva ceduto. L’aveva attirata a sé con un braccio e l’aveva stretta talmente forte da farle mancare il respiro

Da allora era iniziata la sua sfida personale con Hayama. O meglio, con il ricordo che Sana aveva di lui.

E il pensiero costante di comportarsi, di agire e di parlare in modo tale che lei non potesse ripensare a lui.

Era stato quello il momento, l’attimo nel quale nel suo cervello si era materializzato quel “Forse vuole essere davvero mia..”.

Ed era stato proprio da quel momento che amarla era diventato maledettamente difficile.

 

 

                                                                       ***

 

Salì le scale con snervante lentezza. Ogni gradino era un passo in più che lo avvicinava al confronto finale.

Alla linea di confine che avrebbe completamente cambiato la sua vita.

Sarebbe stato costretto ad oltrepassarla, portando con sé alcune cose e lasciandone altre.

Sana, indubbiamente la cosa più importante, sarebbe rimasta dall’altra parte. Nella “vecchia vita”, malamente nascosta tra le esperienze passate.

Ma prima… prima doveva trovare la forza per dirle addio. E anche per chiederle scusa.

Non appena mise piede sull’ultimo gradino, vide che la porta della camera da letto di Sana era chiusa.

Sbarrata e senza lasciar trasparire la minima luce… segno inequivocabile che non voleva essere disturbata.

Però, Sana, non posso andarmene senza averti salutata…

Prendendo un profondo respiro, e cercando di non far caso a quella ritrovata voglia di piangere, alzò un braccio e strinse le dita in un pugno per bussare su quella liscia superficie in legno.

Due colpi leggeri, quasi impercettibili.. uno dopo l’altro, trattenendo uno solo, lunghissimo fiato.

- Sana…Sono io…

Non sentì neppure un misero mugugno. Niente.

Ma era assolutamente preparato al fatto che lei non avrebbe voluto vedere nessuno. Tantomeno lui.

Non è vero.. non ero preparato ad un bel niente!

Non ero preparato a perderti. E non credo che lo sarò mai…

- Sana ascoltami… so che.. che ora non vuoi parlarmi…che ti senti uno schifo e che vorresti solo stare sotto le coperte e piangere tutta la notte…

Lo sapeva, ma avrebbe tanto voluto buttare giù quella maledetta porta, prenderla in braccio e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene. Che non era importante che Akito e Fuka avessero un figlio insieme. Che lei non sarebbe mai rimasta sola, perché lui avrebbe continuato ad amarla comunque. Che forse questa era la volta buona per dimenticare quello stupido di Hayama una volta per tutte. E per iniziare seriamente una nuova vita insieme.

Ma Sana non avrebbe ascoltato nemmeno una parola.

Anzi, magari gli avrebbe anche tirato uno schiaffo in pieno viso. E gli avrebbe urlato contro che era un pazzo. Che avrebbe di gran lunga preferito morire piuttosto che accettare il fatto che Fuka e Akito avessero avuto un figlio.

- … io volevo solo dirti che mi dispiace davvero per quello che è successo. Si, lo so che molto probabilmente non mi crederai, ma è così. Saperti così disperata, immaginarti con il volto rigato dalle lacrime, mi distrugge. Il dolore che provo se penso che stavolta ti ho persa per sempre, non è niente rispetto a quello che mi divora se penso che anche tu hai il cuore spezzato. Tu non lo sai, ma sono stato io a dire a Matsui di confessarti la verità..

La sentì emettere un lamento soffocato.

- Tu…. Tu lo sapevi…?

A mala pena riconobbe la sua voce.

- L’ho scoperto mentre tu e Hayama… eravate in giardino.

Non avrebbe potuto giurarlo con assoluta certezza, ma gli sembrò di sentirla scoppiare a piangere.

E capì che il male che le aveva fatto non se lo sarebbe mai perdonato.

Era il momento di andare via dalla sua vita e di lasciarla sola ad affrontare quella prova difficilissima.

- Sana io.. sono venuto qui solo per dirti addio.. Ho chiamato Maeda… gli ho detto di prenotarmi un posto sul primo aereo disponibile.. e lui mi ha detto che ce n’è uno tra due ore.

Ad ogni parola pronunciata, le lacrime di Sana parevano diventare più copiose. E la vita un po’ più inutile.

- … manderò qualcuno domattina a prendere le mie cose per farmele spedire a New York.

Abbassò il capo e non si vergognò di sentirsi debole e distrutto.

Dietro quella porta c’era tutta la sua vita.

- … Buona fortuna, Sana..

E lui l’aveva stritolata così forte da disintegrarla.

- .. spero che un giorno potrai perdonarmi.

Non aspettò neanche di sentire la sua eventuale risposta e corse giù per le scale, per scappare via il più in fretta possibile.

Arrivò di fronte alla porta d’ingresso e portò una mano sulla maniglia per girarla e uscire a piangere per strada, dentro un taxi, sul sedile dell’aereo che da lì a poco l’avrebbe riportato dall’altra parte del mondo.

Ma fu costretto a bloccarsi perché avvertì un susseguirsi di passi frettolosi e leggeri avvicinarsi a lui.

D’istinto alzò lo sguardo verso la ringhiera che delimitava il piano superiore e la vide.

E gli si bloccò il cuore.

Aveva il viso segnato da lunghe scie salate e gli occhi scavati da due enormi aloni violacei.

Persino i capelli sempre perfetti e luminosi erano disordinati in un’inguardabile e arruffata mezza coda.

Teneva le mani strette forte intorno alle sbarre sottili della ringhiera e forse neppure si accorse che le sue gambe stravano freneticamente tremando.

Eppure, per lui, era sempre vergognosamente bella.

- Mi dispiace Naozumi!

A quelle parole si sciolse del tutto e non gliene importò più nulla di nascondere le lacrime per mantenere un minimo di dignità.

- … mi dispiace di non essere riuscita ad amarti come meritavi.

Dopotutto, che importava della dignità se stava perdendo il suo cuore?

Si sforzò di sorriderle, sperando che lei capisse che l’aveva già perdonata.. perché di certo non sarebbe stato capace di articolare neppure una misera parola.

Gli sembrò di vederle muovere le labbra in una smorfia che, forse per chi non avesse mai visto il vero sorriso di Sana, sarebbe anche potuta sembrare un sorriso.

Le lanciò un ultimo, disperatissimo sguardo e poi le diede le spalle e aprì la porta che l’avrebbe fatto uscire per sempre dalla sua vita.

Uscì richiudendosela in fretta alle spalle e concedendosi qualche secondo per ricominciare a respirare. Lasciò andare il capo all’indietro fino a quando non arrivò a toccare la dura superficie in legno del portone.

Lì dietro, comunque, c’aveva lasciato il suo cuore.

 

 

                                                                       ***

 

Aveva oltrepassato quel cancello così tante volte che ormai era come oltrepassare la soglia di casa sua.

Che poi anche quella, in realtà, era stata un po’ casa sua, un posto dove potersi sempre sentire al sicuro.

Tanto tempo fa, sotto quella stessa luna, in un piccolo gazebo nel parco vicino alla scuola, era iniziato il suo amore per Sana. E con esso anche la sua vita.

E ora lui stava per porre fine a tutto quanto.

Non seppe neppure dove trovò la forza per oltrepassare il giardino che separava il cancello dalla casa, ma quando arrivò di fronte a quel grande portone si concesse qualche secondo per riprendere fiato e poi alzò una mano fino a raggiungere il campanello.

Il suono che riecheggiò nell’aria parve tanto quello che precede la scena madre di un film.

Il boato finale, il colpo di scena che nessuno si aspettava.

E che, inevitabilmente, ti lascia con l’amaro in bocca. Perché il finale non ti soddisfa affatto. E una fine come quella proprio non l’avevi immaginata.

Ma il copione non può essere cambiato, perché troppo è stato fatto. Troppo è stato sbagliato.

E allora non ti resta che rassegnarti e accettare l’idea che non è affatto andata come volevi tu.

Se anche questo fosse solo un brutto film, Sana, basterebbe spegnere il televisore.

Gli sembrava ancora tutto così assurdo… poco più di due ore prima stava facendo l’amore con lei e ora… ora stava per dirle addio.

E ciò che più gli faceva male era l’assoluta certezza di averle davvero spezzato il cuore.

Perché se fosse stato lei a decidere di lasciarlo, se gli avesse sbattuto la porta in faccia dicendogli di essere innamorata di Naozumi, .. Bè, sarebbe stato diverso.

Certo, ugualmente doloroso e lacerante. Ma forse più sopportabile.

Perché lei, almeno lei, sarebbe stata felice.

E magari dopo un po’ lo sarebbe stato anche lui.

Sarebbe stato molto meglio se non ti fossi mai innamorata di uno come me.

Sarebbe stato molto meglio se, fin dall’inizio, avessi preferito Kamura.

Prima di presentarsi di fronte casa sua aveva pensato alle parole da dirle. A come spiegarle quello che Fuka aveva appena rivelato ad entrambi.

Dirle perché, dopo neanche due giorni dalla sua partenza, aveva sentito il disgustoso bisogno di portarsi a letto la sua migliore amica.

E di concepirci persino un figlio.

Ma qualsiasi parola, qualsiasi scusa gli fosse passata per la testa, si sgretolò nell’esatto momento nel quale lei aprì piano la porta e lo guardò con quegli occhi.

- Cosa.. cosa vuoi…?

Dio, come stonavano quelle occhiaie scure e quel tristissimo pallore che le stavano uccidendo i lineamenti del volto.

- Sana…

Ma il suo nome suonava ancora dannatamente bene.

- Lasciami in pace, Akito! Io non… non voglio più vederti.

Lei fece per chiudere la porta, - e probabilmente anche la loro storia-, con un gesto secco e improvviso. Ma lui la anticipò, avanzando di mezzo passo con un piede e bloccando la porta.

- Aspetta…!

- Cosa? Cosa dovrei aspettare? Che tu mi racconti com’è stato scoparti la mia migliore amica? O cos’hai provato quando ti ha confessato che avete concepito un bel figlioletto?

Non sapeva se nei suoi occhi c’era più rabbia o più disperazione.

- No! Io voglio solo…

- Non mi interessa sentire quello che vuoi! Io voglio solo che tu vada via…

Eppure a quelle parole sembrava non crederci neppure lei.

Le si avvicinò, ma ad ogni passo che faceva, lei indietreggiava impaurita.

- Ti ho detto di andare via!

La vide abbassare il capo e iniziare a piangere come una bambina.

In quel momento, avrebbe volentieri barattato anche la sua stessa vita per far sparire tutte quelle lacrime.

- Me ne andrò via, Sana… sono venuto per dirti proprio questo…

Lei alzò il volto di scatto e lo guardò come se volesse implorarlo di ripetere quelle ultime parole.

- Co… cos’hai.. detto?

Stavolta fu lui ad abbassare il capo per non dover essere costretto a sostenere il suo sguardo.

- Ho detto che me ne vado…

Nonostante lei cercasse di nasconderlo, lui riuscì a notare quel leggerissimo tremolio che le scosse il labbro inferiore.

Ti prego… non guardarmi così.

- Senti Sana, io so di averti fatto una cosa orribile… so che avrei dovuto dirti quello che era successo tra me e Matsui quando sei andata via… ma non era stato niente per me. Non aveva significato niente…

- E allora perché l’hai fatto? Perché… mi hai fatto questo? Perché con lei?

Cosa voleva sentirsi dire? Voleva una spiegazione logica per quel gesto folle?

Ma avrebbe dovuto saperlo che non c’è logica nei gesti folli.

- Perché ero disperato. E lei… non lo so. Lei era lì.. e io non sono riuscito a pensare.

Non c’era davvero altro motivo, altra giustificazione, se non la disperazione.

La disperazione, dopotutto, sa essere devastante come il più forte innamoramento. Sa farti perdere il senso delle cose, sa come fare per farti dimenticare che, in certi casi, si dovrebbe prima pensare.

- … Come hai potuto fare l’amore con me, senza dirmi una cosa tanto grave?

Questo, invece, lo sapeva. A questo poteva provare a rispondere.

- Perché ti amo, Sana. Ti amo così tanto che vorrei passare ogni dannatissimo secondo a fare l’amore con te!

Gli occhi di lei si colorarono di rabbia furiosa e di incontenibile disperazione.

Possono esserci sentimenti tanto contrastanti negli occhi di una sola persona?

Possono convivere, apparire nel medesimo istante, due espressioni così assolute?

- Se davvero mi avessi amato almeno un po’, non mi avresti mai fatto una cosa tanto orrenda.

Si, rabbia e disperazione potevano indubbiamente albergare nello stesso cuore, nello stesso, identico istante.

Lo capì, perché stavano albergando nel suo proprio in quel momento. Proprio nel sentire l’assurda e inconcepibile conclusione alla quale lei era arrivata.

Perché un pensiero del genere non avrebbe mai dovuto neppure concepirlo.

Dirgli che non l’aveva mai amata davvero era di gran lunga la peggiore delle menzogne.

- Amarti è l’unica cosa certa che c’è sempre stata nella mia vita piena di casini…

Lasciò che una mano si sollevasse da sola per raggiungere la guancia di lei e sentire sulle dita la fresca consistenza delle sue lacrime.

- … e la certezza che ti amerò ancora domani, e sempre, è più radicata della prova scientifica che il sole sorge ogni mattina. O che la gente invecchia con il passare del tempo...

Le lacrime sulle sue dita iniziarono a diventare inevitabilmente più copiose.

- …tu sei la mia più salda sicurezza. L’amore che provo per te è l’unica cosa che nessuno potrà mai togliermi… nessuno, Sana. Comunque vada, io ti porterò sempre con me, anche se sarai dall’altra parte del mondo.. quindi credimi se ti dico che preferirei essere morto, piuttosto che averti fatto questo…

Era sincero.

Ogni parola, ogni sillaba, ogni lettera, ogni respiro era stato sincero.

E forse, visto che portò le mani sulle sue per stringerle forte, c’aveva creduto anche lei.

-.. Akito tu… vai con lei?

Avrebbe voluto dirle che non se ne sarebbe mai andato e che avrebbe aspettato fuori dal suo cancello tutto il tempo necessario affinché lei potesse perdonarlo.

Ma non c’era stata possibilità di scelta.

Un figlio è un figlio.

È una parte di te che ha un volto diverso, che sorride di un altro sorriso, che parla con una voce mai udita.

Partire con Fuka per andare a vivere a Osaka era stata l’unica scelta possibile sin dal primo momento.

In realtà, non c’era neppure un’alternativa vagliabile.

Non sarebbe stato l’uomo che lei l’aveva fatto diventare, se avesse girato le spalle a suo figlio.

Sarebbe stato un buon padre, o almeno c’avrebbe provato. Anche se ciò voleva dire perdere Sana.

Le conseguenze che certi errori portano con sé ti impongono delle scelte che, anche se non vuoi, ti cambiano la vita. Ti indirizzano verso la direzione opposta, sono la freccia che ti indica la strada più lontana e sconosciuta.

Stanno lì ad attenderti dall’altra parte, sornioni e pieni di soddisfazione.

E tu capisci che, da adulti, gli errori non si dimenticano in fretta come da bambini. Che non basta più stringere il mignolino dell’amico offeso e offrirgli il tuo giocattolo preferito come pegno per essere perdonato.

No, da adulti il pegno è molto più grande.

Il mio pegno, stavolta, sei tu.

- Non posso abbandonare mio figlio. Non me lo perdonerei.

Non me lo perdoneresti neanche tu.

- .. Ma non ci sarà mai più nulla tra me e Fuka. Vado ad Osaka per mio figlio, non per lei.

Non ci sarebbe stata più nessuna dopo di lei, così come non c’era stata nessuna prima.

- Cosa… cosa dovrei dire adesso? Addio?

Mai parola era stata più fastidiosa di quella.

“Addio” voleva dire “Fine”. Fine di tutto, fine di loro due, dei loro progetti, dei loro giorni futuri.

- No, Sana. Io non ti dirò mai addio. Perché se un giorno mi rivorrai, io ci sarò. Ti basterà solo venirmi a cercare.

Lei rimase in silenzio, schiudendo appena le labbra nel tentativo di parlare, ma senza riuscirci.

Magari non sapeva come dirgli che per lei, invece, quello era proprio un addio.

Magari, più semplicemente, non sapeva quali parole si dovessero usare in un momento come quello.

Lui d’istinto la attirò a sé, stringendola talmente forte da sentire le sue lacrime macchiare la stoffa della camicia.

E la sentì singhiozzare ancora di più.

C’erano tante cose in quell’abbraccio… tante parole, tante immagini accavallate.

C’erano tutti i pezzi di loro, di quello che erano stati insieme.. Ed erano stati molto, insieme. 

Fu lei a staccarsi per prima, tirando su con il naso arrossato e passandosi una mano sotto gli occhi per asciugare le lacrime.

- Bè allora…

- Allora vai via? Cosa dovrei dirti quindi? Ciao? Dovrei salutarti come se ti potessi vedere domani mattina per fare un giro in centro? Dovrei davvero…

La vide abbassare gli occhi e lasciare scendere altre, nuove lacrime.

- … dirti solo “ciao”?

- Si, Sana. Dimmi solo “ciao”.

Così sembrava meno difficile. Meno definitivo. Un “ciao” è una parola che lascia aperte infinite possibilità… vedersi, non vedersi, sentirsi per telefono o semplicemente incontrarsi in qualche sogno.

“Ciao” significava avere l’opportunità di scegliere.. di decidere cosa fare.

Un “Addio”, invece, non lasciava spazio a niente’altro. Era la parola da usare per chiudere qualcosa.

Addio era solo addio.

E loro ancora non potevano ancora permetterselo.

- Sai qual è la cosa che mi fa più rabbia, Akito? È la dannatissima consapevolezza che domani mattina, quando mi sveglierò sola nel mio letto, ti avrò già perdonato. E non mi sarà rimasto neppure l’odio per provare a dimenticarti… non mi sarà rimasto niente.. E sarò costretta a continuare ad amarti pur sapendo che non potrò mai superare il fatto che tu e Fuka avete un bambino.

No, non era ancora tempo per un addio.

Per ora, guardarla negli occhi e dirle “Ti amo” non significava affatto che sarebbe stata l’ultima volta che le avrebbe detto quelle due parole.

Per ora, vedere il suo viso rigato dalle lacrime voleva solo dire averla fatta piangere dopo una delle loro solite litigate, prima di farla tornare a sorridere chiedendole scusa.

Per ora, girarsi di spalle e uscire da quella porta voleva solo dire andare via per un po’.

Magari poi, quello, sarebbe diventato davvero un addio.

O, forse, sarebbe tornato ad essere un semplice “ciao”.

 

 

***

 

Le lenzuola odoravano di lavanda e primavera.

Un profumo familiare e caldo, che la avvolse per un istante in un’affettuosa e morbida carezza.

Si, perché per un attimo, non appena aprì gli occhi e si ritrovò nel suo letto d’infanzia, si sentì davvero al sicuro.

Lì, in quel piccolissimo spazio di mondo, inaccessibile per tutti gli altri, nessuno avrebbe mai potuto farle del male.

Poi però, come capita sempre nelle peggiori mattine, i ricordi della nottata precedente iniziarono a martellarle in testa con furiosa violenza.

E capì che non c’era bisogno che qualcuno entrasse nella sua stanza, che violasse il suo sicurissimo nido, per poterle fare del male.

Akito e Fuka avevano la capacità di ferirla a morte senza neppure sfiorarla.

Proprio com’era successo la notte prima.

E proprio come in quel momento, sentì una lama graffiarle forte sul cuore e il respiro bloccarsi e bruciarle la gola…

Sarebbe stato così per tutte le mattine a venire?

Sarebbe davvero stata sempre così male?

Sarebbe stato molto più facile morire…

Nel giro di un’ora era passata dalla prospettiva di una vita felice nuovamente accanto al suo Akito, alla prospettiva di un’esistenza senza le persone che, in quei 24 anni, erano state i suoi compagni di viaggio.

Senza Fuka, la sua divertente e ottimista migliore amica…

Senza Naozumi, il suo uomo ideale e perfetto, lo scoglio al quale aggrapparsi con forza ogni qualvolta si sentiva sperduta… L’angelo bellissimo e paziente, dal sorriso dolcissimo e gli occhi del colore del mare.

E, soprattutto, senza Akito… che era stato… Bè, che era stato semplicemente Akito.

E non c’era certo bisogno che fosse nient’altro.

Adesso cosa mi rimane?

Adesso, senza Fuka, Naozumi ed Akito, non rimaneva nient’altro che una disperata solitudine.

La consapevolezza di non sapere come fare per alzarsi da quel letto.

Per arrivare fino in bagno a fare una doccia e poi scendere per preparare la colazione.

Per risalire in camera e passare del tempo stando in piedi di fronte all’armadio, troppo indecisa se  scegliere la maglia rosa a con il collo soffice ed enorme o la camicia nera comprata in una delle più esclusive boutique d’alta moda.

Come avrebbe fatto ad occupare anche solo un misero istante del suo tempo per rivolgere la mente a pensieri tanto… inutili?

Con le lacrime a rigarle il volto, si rigirò nel letto stringendo forte le lenzuola intorno al torace.

 

Si, le lenzuola odoravano di lavanda e primavera.

Ma il suo inverno era appena cominciato.

 

 

                                                                       ***

 

 

Avrebbe tanto avuto bisogno che qualcuno gli dicesse che stava facendo la cosa giusta.

Che tutti, al suo posto, si sarebbero comportati esattamente come si stava comportando lui in quel momento.

Perché quella scelta, la decisione di accettare che la sua vita non sarebbe più stata quella di prima, gli sembrava davvero l’unica possibile.

Ironia della sorte, certo, che proprio ad uno come lui, con quella storia particolare, con le spalle ancora un po’ indolenzite dal peso di quell’infanzia mai vissuta, fosse capitata proprio una cosa del genere.

Che gli si fosse aperta di fronte agli occhi un’altra strada… la possibilità di essere egoista, di spendere ogni secondo delle sue giornate stando attaccato al citofono della donna che amava per implorarla di perdonarlo ancora una volta.

E al diavolo tutto il resto. Anche se il resto aveva il volto di un bambino con il suo stesso sangue a scorrere nelle vene.

Dopotutto, sarebbe stato molto facile. Facile dire a Fuka di tornare ad Osaka e di continuare a vivere la sua vita come aveva fatto fino a quel momento… se c’era riuscita per più di tre anni, ci sarebbe riuscita per tutto il tempo necessario.

Forse un giorno, forse poi, sarebbe anche potuto andare a trovarli.

Ma lui lo sapeva bene…non sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere.

Per quanto avesse fatto di tutto per dimostrare il contrario, non era un persona così orribile.

Forse un tempo era stato sul punto di diventarlo. Ma poi era arrivata Sana e tutto aveva preso una nuova direzione.

È colpa tua se non posso abbandonare mio figlio, sai…?

Sei stata tu a farmi capire che certi valori non si possono mai dimentucare.

E allora aveva scelto di prendere l’altra via, quella più difficile e più dignitosa.

Una vera ingiustizia che le scelte più giuste fossero anche quelle più insopportabili.

- Sei pronto, Akito?

Dovette sforzarsi per non scoppiare a piangere di fronte al viso nervoso di Fuka.

Non l’aveva mai notato prima, ma quando si incazzava o quando qualcosa la turbava, assumeva un’espressione che quasi somigliava a quella di Sana.

Anche i suoi occhi si oscuravano un poco e le sfaccettature colorate diventavano opache.

- Si, andiamo Matsui.

Per il resto, però, Fuka non aveva proprio niente di lei.

Gli arrivò accanto, porgendogli uno dei due biglietti appena comprati in stazione. Lui lo afferrò senza esitare e se lo infilò nella tasca dei jeans.

Fu un gesto così frettoloso e repentino che Fuka lo guardò un istante si intristì ancora di più.

Come se in quella fretta, in quel voler nascondere subito il biglietto, c’avesse letto l’immenso sforzo, il sacrificio disumano che Akito stava facendo solo per colpa sua.

- Akito… sei davvero sicuro di voler venire con me?

- Ne abbiamo già parlato, Matsui.

“Il treno per Osaka è in arrivo sul terzo binario…”

- Si, lo so… ma lei..

La guardò come solo lui era capace di guardare qualcuno.

- Te lo ripeto per l’ultima volta, Matsui. Tu hai fatto nascere mio figlio. Lei lasciala fuori da questa storia.

La vide acconsentire con il capo e poi dargli le spalle per dirigersi verso il binario sul quale stava arrivando il treno che li avrebbe portati via da Tokyo.

La seguì e le si posizionò accanto, prendendo i suoi bagagli per evitarle di sforzarsi troppo.

Un po’, comunque, era davvero curioso di conoscere suo figlio e di vedere se gli somigliasse in qualcosa.

“Il treno per Osaka è in arrivo sul terzo binario…”

Ma, per attimo, sperò che quel treno non arrivasse mai.

 

 

                                                                       /*/

 

 

Note dell’autrice: Ok, ce l’ho fatta! So di avervi fatto aspettare più del solito, ma alla fine sono riuscita a pubblicare anche questo capitolo! Vi dico subito che per arrivare alla fine ne mancano al massimo altri due. Cavolo, mi commuovo se penso che siamo quasi arrivati all’epilogo.

Ho finito di scrivere questo capitolo praticamente due minuti fa e quindi, vista l’ora, non mi sorprenderei se ci fosse qualche errore (Se così fosse, perdonatemi xD).

Bene, aspetto come sempre le vostre recensioni!

A presto (almeno spero xD)! ^^

 

   
 
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