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Autore: Gloom    07/04/2011    2 recensioni
Per tutti, Mem è mitica: sempre presente per tutti, sempre disposta ad ascoltare, ad aiutare, a sorridere.
Eppure non permette mai a nessuno di avvicinarla troppo: l'unico che ci è riuscito è un Old Boy tenero e non troppo alto.
Ma Mem ha anche un padre, dilaniato dalla paura di perdere l'ultima donna della sua vita; qualche sua iniziativa potrebbe compromettere la fama della mitica Mem che tutti conoscono.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Come non aveva permesso a nessuno di aiutarla a salire in macchina, Mem non permise al fratello di sostenerla mentre rientrava in casa. C’è da dire che lui non insistette neanche più di tanto; non si sentiva tranquillo a toccarla, non avrebbe neanche saputo come passare il braccio attorno ai suoi fianchi. Quindi lasciò perdere e si limitò a seguirla da dietro, pronto a raccoglierla se le caviglie avessero ceduto.
 Mentre faceva girare le chiavi nella toppa, Mem appoggiò la fronte al muro, come se si trovasse al cospetto del Muro del Pianto. Il fratello entrò in casa, incitandola a riprendersi con un “oh” basso e roco. Mem mugugnò, poi si chinò per sfilarsi i tacchi, troppo rumorosi ora che non erano più in mezzo a tanti altri simili.
 Si trascinò fino al divano, rannicchiandosi su uno dei cuscini. La gonna del vestito ora le lambiva le cosce in modo fin troppo libertino, ma non era più un problema; era a casa, non doveva più preoccuparsi di darsi un contegno.
 Il fratello accese la lampada sul comodino ( lo stesso che custodiva le foto foriere della strampalata idea che avrebbe portato la nostra eroina a troncare con l’Old Boy) ed osservò Mem.
Dio, com’era ridotta. Era davvero dimagrita, ma non in quella maniera sana che valeva complimenti a chi aveva avuto la costanza di seguire una dieta regolata. Era dimagrita come se si stesse sgonfiando, a poco a poco. . . Non era magra, era sciupata. 
Si stava addormentando, abbracciata a quel cuscino. Si era appallottolata, con i piedi avvolti nelle calze color carne che cercavano di scaldarsi sotto il cuscino e la testa reclinata, in modo da lasciar cadere ciuffi di capelli sulla fronte, sul naso e sulle orecchie. Lui si fece più avanti: ora si accorgeva che Mem aveva provato a fare del proprio meglio con il fondotinta, ma non era riuscita a nascondere del tutto le occhiaie.
Il mascara stava macchiando la fodera del cucino, ma lei non sembrava curarsene; piuttosto, si era addormentata profondamente. Riusciva a vedere la schiena che si abbassava e si abbassava regolarmente, seguendo il ritmo del suo respiro.
 Il fratellone sospirò, notando che almeno sembrava tranquilla. Ma non poteva dire lo stesso per lui. Com’è che dicevano gli antichi? In vino veritas. Ahi ahi. . . ci era voluta una pezza del genere per smascherare Mem.
 Il ragazzo prese una coperta e la buttò addosso alla sorella, badando a rimboccare ogni lembo.
 Mem si agitò, poi aprì improvvisamente gli occhi.
 -Dormi- le disse lui.
Mem lo fissò grave, poi scosse la testa. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
 -Su, dormi. Sei ubriaca-.
 Mem si tirò la coperta fino al mento, continuando a scuotere la testa.
 -Non più come prima. Mi sto riprendendo-.
 -Domani vomiterai l’anima. E comunque, ancora non ti è passata, dato che continui a piagnucolare-. Come prima, la voce gli uscì più dura di quanto non volesse.
 -Chi ti dice che non siano lacrime vere?-
 Il fratello deglutì. Non era abituato ad affrontare un faccia a faccia del genere, con una persona che aveva smesso di conoscere da quando questa aveva dodici anni.
 Non che Mem fosse più tranquilla, badate. Effettivamente stava smaltendo la sbronza, ma ormai il danno era fatto. Non era neanche sicura di tutto quello che aveva detto, ma ricordava perfettamente come l’alcol avesse distrutto la barriera che si era premurata di costruire attorno a tutto quello che in quegli anni l’aveva fatta soffrire.
Maledizione.
Ma, almeno, davanti aveva suo fratello. Un fratello più sulla carta che nel sangue, per quello che sentiva lei, ma pur sempre suo fratello.
 Il ragazzo sospirò di nuovo, poi si abbassò fino a sedersi sul tappeto. Così era alla stessa altezza del viso di Mem.
 -Dimmi un po’ che problema hai-.
 Forse fu quello il momento della svolta: entrambi, non avendo più niente da perdere,  avevano finalmente deciso di confessarsi l’uno con l’altra. Come Mem aveva fatto allusione alle sue lacrime, invece di lasciare che fossero ancora attribuite all’alcol, il fratello aveva deciso di farla sfogare, invece di farla riaddormentare.
 Scelte apparentemente futili. . . Ma quanti anni ci erano volute per compierle.
 E quanti drink.
Mem tirò su col naso, e nel farlo stillò una lacrima.
 -È che. . . Nessuno mi ha mai rimboccato le coperte- piagnucolò. Dentro di sé si trovò immensamente patetica, ma tutto quello che suo fratello vide fu drammaticità.
 -Forse l’avrà fatto papà, o mamma, quando eri piccola, solo che non te lo ricordi- rispose a bassa voce. Meno male che il loro padre ronfava beatamente, ignaro del miracolo che stava succedendo in salotto.
 -Già. . . Ma come posso saperlo? E dopotutto, che me ne importa? Tutto quello che volevo era che qualcuno me le rimboccasse ora le coperte-.
 -Sei grande-.
 -È un motivo valido per smettere ogni segno d’affetto?-
Il ragazzo sospirò un’ennesima volta. Eh sì che lo sapeva anche lui, quanto i loro genitori fossero avari di affetto. Quei pochi che avevano ricevuto da piccoli erano serviti per non farli piangere più del dovuto. . . Per il resto, non appena erano stati in grado di reggersi in piedi da soli, avevano iniziato a lesinare laddove possibile.
 -Ma loro ti. . . ci vogliono bene, a modo loro-.
 Mem emise un risolino acquoso: -parla per te, che te ne stai in Padania per cazzi tuoi. Tu forse non senti. . . Non respiri l’aria di qui. Non. . . È tutto troppo pesante-.
 -Parli di Monica?-
 -Parlo di Monica, e dico che tu non puoi capire perché, non appena se n’è andata lei, ti sei defilato anche tu da questa casa, uscendo dalle nostre vite. Forse con papà ti fai sentire, ma io per te potrei anche non esistere. E, da lassù, non puoi certo avvertire l’abisso. . . L’abisso che c’è tra me e papà. Lui l’affetto che doveva a me l’ha dato a lei. Nel frattempo che lei moriva, io imparavo a cavarmela da sola. E quando lei non c’è stata più, io e papà non ci siamo ritrovati. . .
 -Non glie ne faccio una colpa: se quello si sentiva di fare, ha fatto bene a farlo. La colpa è solo del. . . Del Caso, perché ha voluto che papà trovasse qualcuno da amare nello stesso momento in cui ne avevo bisogno io. Sono stata solo sfigata, non credi? Ed è questo che mi porto dietro. . .- 
 -Tu gli vuoi bene?-
-Sì.
 Il ragazzo arricciò l’angolo della bocca all’insù:
 -Sei mitica.
 Mem sorrise.
 -Basta che io gli voglia bene?-
 -Provaci. Male non fa. . .
 -Tu gli vuoi bene, vero?-
 -Sì.
 -E a mamma? Glie ne vuoi?
Lui restò un po’ in silenzio. Poi assottigliò le labbra.
 -Sì.
 -Bravo. Anche io.
 Il fratello si appoggiò con le mani sul tappeto, alzando lo sguardo come a fissare le stelle - anche se tutto quello che il suo sguardo incontrò fu il lampadario e il soffitto bianco che si era scurito con gli anni.
 Era strano, come funzionava il cuore: può voler bene a chiunque. . . Anche a chi ti ha abbandonato, così, per volare via.
 -Sì insomma, hai ragione, dopotutto. . . Le voglio bene. Voglio bene a lei, a papà. . . A tante persone. Tutti, in qualche modo, si meritano che qualcuno tenga a loro. Non c’è niente che possa valere il rifiuto di affetto da parte degli altri-.
 
Domenica mattina la luce delle dieci entrò gloriosa dalla finestra del salotto; tuttavia, non era riuscita a perforare le palpebre dei due fratelli, che continuarono a dormire, lei sul divano e lui sul tappeto, con la testa poggiata sullo stesso bracciolo.
 Il padre si era alzato dal letto, si era avvolto nella sua vestaglia vecchia di anni ed era uscito dalla camera da letto, con l’intenzione di farsi un caffè e poi di andare a svegliare i figli.
 Non fece nessuna delle due cose: prima di arrivare in cucina, i figli li ritrovò su divano, addormentati vicini.
 Gli salì un groppo alla gola, troppo difficile da ingoiare. La parola giusta era commozione
  
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