Dark chocolate and beautiful madness.
Rain.
Tienilo a mente:
siamo sotto lo stesso
cielo
e le notti sono vuote
per me come per te.
Se ti senti di non
riuscire ad aspettare domani
bacia la pioggia
Mi immergevo nella pioggia divenendo anch’io parte della cartolina, rallentata nei movimenti, statica nei pensieri. Sono quei giorni in cui vorresti fermare il tempo, ritagliare il tuo piccolo angolo, quel poco che basta per stare comodi a pensare un po’.
Camminavo sui marciapiedi a passi svelti, con il capo verso l’alto, cantando.
Sentivo bagnato sul viso, freddo sulle guance, umido sulle labbra. Guardavo la mia giacca macchiarsi di scuro e i capelli appiccicarsi fastidiosamente al viso. Non mi schermavo con un ombrello, (non perché non lo avessi, semplicemente mi sembrava superfluo svincolarlo dalla borsa).
Mi bagnavo di rugiada, e sorridevo.
In tutto questo ti pensavo!
[Il mio piccolo angelo incontrato per strada.]
Molti dicono che la tristezza di chi sta lassù si riversa su di noi, forse per questo che il cielo piange. Io sono convinta che siano lacrime di gioia, la voce d’intense emozioni, e per questo mi lasciavo irrorare ancora un po’.
E non capivo perché lo facessi, perché alla solita domanda: “Non hai l’ombrello?” rispondevo che non avevo voglia di “tirarlo fuori”.
Vedevo gente scettica, impaurita, che scappava frettolosa sotto i balconi. (Scappava da cosa poi?).
Li vedevo tutti maledettamente uguali.
Loro non ti vedevano.
A capo chino sviavano frettolosi nelle case, nei negozi, sotto la banchina del bus, inghiottiti dall’ingresso alla metro. Gente che appariva e spariva come ingoiata dall’asfalto. Gente sorda, cieca.
Vagavo tra fantasmi, sacchi vuoti e spaventati trascinanti per strada. Ondeggiavo tra spintoni e occhiatacce, borbottii e pozzanghere.
In tutto questo c’eri te.
C’eri nei sospiri, nei sorrisi, negli sguardi gettati con disinvoltura alle persone; c’eri tra le frange dei capelli, sulle labbra sospese, nel freddo alle dita, nei brividi sulla pelle. C’eri nella ressa del pullman, sulla metro, nella musica di un paio di cuffie cacciate incurantemente nelle orecchie. C’eri nei passi frettolosi, poi lenti, inceppanti, scansanti pozzanghere, sporchi di fango,… e altri passi ancora.
C’eri nell’aria, nei grigi, nelle luci arancioni della sera, nel cielo all’imbrunire, nel rumore soffuso e continuo della pioggia, nel ticchettio che echeggiava tutt’attorno tra lo stridio dei freni di un’auto, il vociare di una coppia all’angolo del bar e altri passi. C’eri in ogni singola goccia; quelle che cadevano dall’alto, che mi bagnavano, infreddolivano, macchiavano gli abiti e lavavano via i timori, mi illuminavano, regalavano gioia. C’eri te in quelle lacrime ed io le lasciavo scorrere sulle guance come carezze, sulle labbra come baci.
Tu c’eri in ogni mio silenzio e lo occupavi di dolci melodie.
C’eri te e io non volevo perdere niente.
Non scappavo, non cercavo riparo. Camminavo con il naso all’insù illudendomi di scorgerti tra le nubi, sorridendo e canticchiando a ritmo della musica delicata che mi irrorava le orecchie. In quel breve tratto da casa-ospedale, università-casa mi ritagliavo il giusto spazio per me; [per noi.]
Sognavo baci, parole, gesti!
Fingevo di averti lì tra le braccia, sotto i polpastrelli mentre la pioggia mi accarezzava e le fievoli note di “Kiss the rain” si mescolavano ai battiti del cuore.