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Autore: Gray Winter    14/04/2011    2 recensioni
Sirius, Regulus.
Due stelle destinate a spegnersi prima del tempo.
Due strade dalla medesima meta.
Due fratelli, semplicemente.
Ecco una piccola raccolta di missing moments sui fratelli Black ed il loro controverso rapporto.
Spero vi piaccia :)
Dal primo capitolo:
- Devo proteggerti, Reguls. Se non lo farò io, chi lo farà, mh? Quella piagnucolona di Narcissa o quell’isterica di Bellatrix? Sei il mio fratellino, e non ti abbandonerò. Mai.
Il piccolo ricambiò lo sguardo. In quell'istante, percepì un calore nuovo agitarsi nel petto, mentre lunghe ondate di felicità si infransero sul suo viso.
-Promesso?- chiese, speranzoso.
-Giuro! Su tutta la mia scorta segreta di Cioccorane, Reg.
E con un’ultima risata sprezzante, Sirius scivolò con grazia oltre la porta.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Per la lettura: i caratteri in corsivo sono i pensieri di Regulus durante l’addio.




 Arazzo

 Urla scomposte squarciano d’improvviso la quiete notturna.
 I muri tremano, il pavimento sembra vibrare. Gemiti strozzati si mescolano a grida astiose, macchiate d’odio, di rabbia, di delusione.
 Qualcosa stride in lontananza. Forse una civetta.

 
Regulus non era più un bambino.
 A soli quindici anni, fu colpito da questa disarmante consapevolezza.
 La percepì affondargli nel cervello, radicarsi celermente dietro gli occhi grigi.
 Non era più un bambino, no.
 Non ora, quando le schegge del suo cuore giacevano all’ingresso, sbriciolate sotto un bagaglio ladro di ricordi.
 Non ora, mentre la figura ieratica di sua madre era devastata dall’eco ancora pulsante di singhiozzi traditori. 
Tutto, in quella stanza, celava il gusto amaro del tradimento.

 
Mi desto di scatto nella penombra della camera, la mente ancora ubriaca dal sonno.
 Cosa sta succedendo?
 Il cuore in gola, mi divincolo a fatica dalla stretta soffocante delle coperte, incespicando verso la porta.
 Il pallore opalescente di uno spicchio di luna mi sfiora la mano. Le dita frementi, corro a ghermire la bacchetta. 


“Nono sono più un bambino” pensò, quando lo sguardo indecifrabile di Walburga lo trafisse. 
Una ragnatela color cremisi si era intessuta sulla superficie acquosa degli occhi, solitamente algidi e fieri. 
La bacchetta giaceva inerte a pochi metri da lei, ancora calda.
-Regulus.- Sussurrò, stentorea.
 La sua bellezza austera pareva essersi dissolta, lasciando il posto ad una donna devastata in veste da notte, abbandonata come un relitto sulle sponde di una poltrona. 
L’orgoglio aveva agito come un acido corrosivo sulla pelle diafana, il viso trasfigurato dal rancore bruciante di gocce salate.
 Un respiro profondo.
 Il ragazzo azzardò un passo. Un altro. Un altro ancora.
 Sentiva i muscoli intorpidirsi ad ogni azione, i polmoni stringersi ad ogni falcata incerta.


 Le scale gemono allarmate sotto il peso dei miei passi frenetici.
 Cosa sta succedendo?
 Le grida sono scemate, ora. Ma al loro passaggio hanno lasciato mugugni striduli e sommessi, alternati a una sequenza di respiri sconnessi, furenti.
 Raggiungo ansante la soglia del salotto, la coda dell’occhio che intravede la sagoma di mia madre striata dalle luci delle candele.
 Poco lontano, Kreacher, le orecchie penzolanti, geme incessantemente, prostrato ai suoi piedi. 
Ma non è di loro che mi importa. Non adesso. 


La donna si aggrappò al braccio del figlio, la sua ancora di salvezza.
 Tremante, la furia gelida che ancora turbinava nelle iridi, lo fece chinare verso di se.
 Gli pose una guancia sul petto, respirando con flemmatica tranquillità.
Intanto, Kreacher era troppo occupato ad ostentare il proprio strazio, per accorgersi dello strano dolore che baluginò negli occhi di Regulus. 
Il ragazzo non percepiva il fiato caldo di Walburga gonfiargli le vesti, non avvertiva la soffice morbidezza dei suoi capelli sfiorargli i polpastrelli.
 L’unica cosa capace di catalizzare la sua attenzione, adesso, era un bruciatura rotonda impressa sull’arazzo di famiglia. Proprio accanto al suo nome. 


Un battente si spalanca con vigore.
 E a un tratto, ogni cosa mi è tremendamente chiara.
 Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Ma non posso lasciarlo andare.
 Uno scatto violento, una corsa frenetica, e sono davanti alla porta d’ingresso. 
La luce blanda dei lampioni filtra subdola dall’uscio spalancato, sputando una lama giallastra sul pavimento lustro.
 Una figura scura è stagliata in contro luce. In mano, una valigia carica delle promesse infrante di una vita intera. 


Non seppe quanto tempo trascorse. Attimi infiniti, forse. Oppure ore fugaci.
 Ma la bruciatura sulla stoffa continuava a fumare, un buco nero che inghiottiva il suo sguardo. E dentro di se un vuoto assordante rombava incessantemente. 
Sentì qualcosa posarsi con delicatezza sul fianco, dita lunghe e fredde accarezzarlo dolcemente.
 Un’altra manciata di secondi indefiniti scivolò via, perdendosi nel ticchettio ritmico dell’orologio a pendolo.
 Con infinita riluttanza abbassò lo sguardo, specchiandosi in fessure plumbee tra palpebre arrossate.
 Walburga lo contemplava di rimando, la bocca sottile stirata in un sorriso strano. 
Nei suoi occhi intravide un lampo inquietante, un barlume quasi folle. Lo scrutò agitarsi nelle sfaccettature scure, incendiarsi e perdersi nell’aria tetra della stanza.
 -Regulus…- La voce della donna gli graffiò i timpani, gli penetrò sotto la pelle.
 -Si, madre.


 Sono impalato d’avanti alla sagoma.
 Dovrei dire qualcosa, forse. Ma non ce la faccio.
 D’altronde, è sempre stato lui il più logorroico tra noi due. Noi due.
 Non riesco a distinguerne i lineamenti. Eppure percepisco un rivolo d’aria spostarsi, la borsa cozzare contro qualcosa. 
Siamo faccia a faccia, adesso. Riesco quasi a scorgere lo scintillio dei suoi occhi fieri.
 -Regulus. 
La sua voce è fredda, tagliente. Fa male.
 -Cosa… cosa pensi di fare?- Lascio che il suono della mia voce scivoli lentamente lungo muri delli’ingresso, mentre l’ovvietà della sua risposta scorre nelle loro crepe.

 -
Tu non tradirai mai la tua famiglia.
 Un brivido ghiacciato gli corse lungo la spina dorsale.
 -No, madre. Mai.

 
Ride.
 -Cosa credi che stia facendo? Pensi davvero che sia venuto qui per trascorrere le vacanze estive insieme a voi? Sono arrivato in questa topaia soltanto per trovare un pretesto per andarmene del tutto. 
Lo sapevo già. Lo avevo intuito.
 Eppure le sue parole continuano a sferzarmi la pelle come coltelli affilati.

 
-Sai che sei tutto ciò che ci rimane, Regulus.- Walburga sorrise freddamente- Tu sei il mio unico figlio, ora. L’unico degno di portare il nobile nome dei Black.
 Regulus serrò le dita attorno allo schienale morbido della poltrona.
 -Lo so.- sussurrò, i denti stretti.

 
Si sta voltando. Passi lenti si allontanano da me. Uno. Due. Tre.
 No.
 -Aspetta!
 Lo scricchiolio del pavimento antico cessa di colpo. Un sospiro brusco gli cede subito il posto.
 -Che vuoi ancora? 
-Non andartene.

 
Il vento sibilò furioso al di là delle finestre. Gocce di pioggia presero a picchiettare contro il profilo nebuloso di Londra, la notte che diventava sempre più vuota ad ogni sferzata.
 -Non sarai una delusione. Non sarai come quella feccia. E ricordati, Regulus: Sirius, tuo fratello, non lo è mai stato.
 Navigò con lo sguardo lungo i rami intricati dell’albero genealogico, le mani ancora saldamente aggrappate alla poltrona.
 Qualcosa si spezzò, in quel momento. Proprio dentro di lui.


 Un tuono romba in lontananza, un lampo fugace illumina di bianco il cielo notturno. 
-Perché? Cos’è che mi trattiene qui, Regulus?
 Vorrei dire qualcosa. Dovrei farlo.
 Ma tutte le parole che vorrei gridare, soltanto per serbare l’ultimo pezzo ancora sano di me stesso, mi muoiono in gola.
 Restano impigliate fra i denti, inciampano sulla lingua. Semplicemente, taccio. 
Il suono della sua risata amara avvelena l’aria intorno a noi.
 Poi, gli scricchiolii delle assi riprendono. La sagoma si dilegua contro la luce dei lampioni.
 -La verità è una sola, Regulus. Voi non siete la mia famiglia. Tu non sei più il bambino sorridente di cui andavo fiero, non sei il fratello minore che, dopotutto, amavo. 
Una folata scuote le fronde del parco immerso nella notte.
 -Ma forse, non lo sei mai stato.
 La porta sbatte con violenza, inghiottendo la lama giallastra. 
Sono solo, adesso. Ma le parole di Sirius aleggiano ancora davanti a quell’uscio.


 L’arazzo era ancora lì, intrecciato e imperfetto.
 -Lo so, madre.- Rispose il ragazzo.
 E ora, tutto quel che rimaneva di Sirius Black, era una manciata di polvere grigia sul pavimento freddo.


 Angolo autrice
 Dopo secoli infiniti, eccomi ancora qui. 
Ringrazio ancora chi ha commentato, chi ha inserito questa storia nei preferiti e chi la ricorda.
 E un grazie anche ai lettori silenziosi, ovviamente.
 Cate
   
 
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