C a p i t o l o 4
L'ultima spiaggia
Speravo che quello che
era accaduto il giorno prima fosse stato solo
un brutto incubo, ma, purtroppo per me, dovetti piegarmi, a malincuore,
alla dura
realtà. E da quel giorno la mia vita sarebbe stata
sempre più in discesa, fino ad arrivare al limite e
precipitare
definitivamente in chissà quanto tempo. Avevo perso l'unico
ragazzo
di cui mi ero veramente invaghita.
Avevo sempre pensato
che fingere mi risultava facile, ma come avrei
fatto a continuare a mentire? A far finta di nulla mentre la mia
migliore
amica conquistava il ragazzo dei miei sogni, mentre lui cascava tra
le sue braccia, mentre loro due sarebbero diventati i coniugi Abbate
e a far da madrina ai loro cinque figli?!
Scossi violentemente
la testa per scacciare via quei pensieri che mi
avevano rabbuiato. Percorsi a passi piccoli il corridoio raggiungendo
la macchinetta. Alla seconda ora di lezione non c'era quasi nessuno
fuori dalle aule, tranne alcuni che erano sgattaiolati via con la
scusa del bagno, come avevo fatto io. In realtà volevo solo
bere un
cappuccino da sola. Selezionai la bevanda e attesi che fosse pronta,
accompagnata dal fruscio della macchinetta.
Se qualcosa può andare male, lo farà
Murphy e la sua legge avevano ragione. Non solo avevo perso il ragazzo
che mi piaceva e non avevo la benchè minima idea di come
chiarire
con lui, ma si era aggiunta a questa catastrofe anche la stupida
festa di San Valentino a cui dovevo partecipare anche se non sapevo
con chi. Cosa avrei fatto, mi sarei presentata lì dicendo
che
Edoardo aveva avuto un attacco di dissenteria acuta pochi minuti
prima dell'inizio della festa?
Sorrisi. Inutile piangere e disperarsi, ormai la frittata era stata
fatta, sia con Federico che con Edoardo. Avrei dovuto dare ascolto a
mia madre e al mio parroco, Mai mentire. Primo, le
bugie hanno
le gambe corte e fanno poca strada, e soprattutto si ritorcono contro
di te, come stava accadendo.
Un fischio acuto mi avvisò che il mio cappuccino era pronto.
Alzai
lo sportello per prenderlo ma il bicchiere di plastica trasparente
era colmo, tanto che la schiuma mi ustionò i polpastrelli.
Cercai di
salvare il salvabile, girandomi di scatto per poterlo appoggiare da
qualche parte, ma, ovviamente, ci doveva essere qualcosa che andava
storto.
Se qualcosa può andare male, lo farà.
Il bruciore sulle dita era troppo intenso e ne rovesciai più
della
metà. Per terra?! No, addosso a qualcuno. E quel qualcuno
non era,
sfortunatamente Cristina o Francesca, ma bensì Davide
Saronno.
Giornata spettacolare!
«Oh mio Dio scusa!» trillai subito, portandomi la
mano libera sulla
bocca.
Il mio cuore aveva preso a galoppare e il rossore si era espanso
anche alle orecchie. Pensavo che ora questo effetto collaterale lo
procurasse solo Abbate, che ormai avevo superato la fase Saronno
perchè entrata in quella Federico. Invece, Davide continuava
ad
affascinarmi, forse per il fatto che era il ragazzo irraggiungibile,
il protagonista delle mie favole d'amore che mai si sarebbero
realizzate.
Il mio sogno proibito.
Lui si guardò la felpa verde indignato e mi
fulminò con i suoi
occhi azzurri.
«Scusa, non l'ho fatto a posta, non ti avevo visto e il
cappuccino
bruciava, volevo solo appoggiarlo...» presi a parlare e non
riuscivo
a smettere di dire parole una dopo l'altra che se riascoltate
lentamente, non formavano di certo una frase di senso compiuto.
«Ok, ok, ok!» m'interruppe Davide, socchiudendo gli
occhi quasi per
ricacciare indietro il nervoso. O per non vedermi e farsi prendere
dalla voglia di pestarmi «Taci un attimo» disse
brusco.
Mi ammutolii e mi irrigidii, assumendo un aspetto da spaventapasseri.
«Dimmi la verità» riprese subito dopo,
guardandomi con sguardo
sensuale e un sorriso di sbieco che mi fece perdere il respiro
«Stai
cercando di attirare la mia attenzione?»
Farfugliai qualcosa, qualcosa che avrebbe dovuto descrivere la mia
perplessità.
«Non fare la finta tonta, RovesciaCappuccini»
si avvicinò
di qualche passo a me «Cadi dalle scale mentre ti passo
accanto, mi
vieni addosso sull'autobus, mi macchi. È chiaro che tu stia
cercando
di attirare la mia attenzione»
Abbassai prontamente gli occhi, torturando una ciocca di capelli. In
quel momento decisi che non avrei mai più bevuto un
cappuccino, ma
solo caffè espresso. Un altro passo verso di me. Alzai di
poco lo
sguardo, qual tanto che bastava per vedere che si stava togliendo la
felpa, rimanendo in una succinta e attillata maglietta bianca che
mostrava il suo fisico sportivo e che fece piroettare, oltre alla mia
testa, anche gli ormoni.
«Le ragazze goffe hanno sempre uno strano fascino»
disse «E anche
quelle timide. Sono tutte da scoprire e sono sempre loro ad essere le
più maliziose» si leccò un labbro.
Ok, quello era davvero troppo per le mie coronarie. Scivolai via dal
suo sguardo e a passo svelto mi avviai verso la mia classe.
«Perchè scappi così, guarda che non
mangio!» esclamò,
costringendomi a voltarmi e a tuffarmi nuovamente nelle sue iridi
cristalline.
Tanto ero presa a guardare quel gran bel pezzo di ragazzo che era
Saronno, che non mi accorsi della colonna che si schiantò
contro la
mia guancia. Il sorriso che fino a poco prima mi aveva rivolto Davide
si trasformò in una risata. Quella era sicuramente l'unica
scuola al
mondo dotata di pilastri nel bel mezzo di un corridoio. Distolsi lo
sguardo rapidamente e ripresi a camminare, nell'imbarazzo
più
totale, con la guancia dolorante.
Non sapevo se quello che stavo facendo era la cosa giusta. Rimasi
davanti alla porta qualche minuto, stringendomi le mani e soffiandoci
sopra per riscaldarle. Dovevo fare finta di nulla, giusto? Entrai in
biblioteca e raggiunsi l'ultimo piano, trovandolo lì,
piegato sul
quaderno con la lingua di fuori mentre cercava di disegnare un
grafico. I suoi occhi guizzarono verso di me, poi sul quaderno e
nuovamente su di me accorgendosi solo in quel momento che si trattava
della sottoscritta.
«Ciao» disse flebilmente.
Feci due passi lunghi avvicinandomi alla sedia che stava di fronte a
lui.
«Posso?» domandai indicandomela. Lui
annuì, tornando alle sue
funzioni.
«Come va?» mi chiese scrutando a fondo l'iperbole
appena conclusa,
con tono poco interessato.
«Bene» risposi con la stessa tonalità
«Te?»
La tensione tra noi due era palpabile, eravamo come due semplici
conoscenti che dovevano parlarsi perchè erano le circostanze
ad
obbligarli.
«Bene» disse, prestando più attenzione
all'aritmetica che a me.
Sospirai, affranta e ormai priva di qualsiasi speranza di poter
ricucire un rapporto con lui. Estrassi dallo zaino il libro di
storia, anche se la voglia di studiarla era pari a zero. Sottolineai
praticamente tutto il paragrafo, non leggendo veramente quello che
c'era scritto, più interessata a Federico. Qualche volte
alzavo lo
sguardo per vedere che cosa stesse facendo, ma i suoi occhi erano
sempre puntati sui fogli quadrettati.
Dovevo farmene una ragione e basta e prestare più attenzione
alla
scuola se non volevo essere bocciata. Mi imposi di apprendere qualche
nozione storica e ci stavo mettendo tutto l'impegno possibile, quando
Federico interruppe quel momento di studio.
«Mi spieghi perchè mi hai mentito?»
domandò, guardandomi con
sguardo severo.
«Riguardo a cosa?» feci finta di non capire.
«Mi avevi detto di non avere il ragazzo»
Rotei gli occhi, tamburellando con la matita. Mi sentivo percorsa da
piccole scosse che dalla spina dorsale raggiungevano ogni minima
parte del mio corpo.
«Non ti ho mentito» dissi in un soffio.
Lui si aprì in un sorriso incredulo e mi lanciò
uno sguardo che mi
raggelò.
«A che gioco stai giocando, Alice?»
«Un, due, tre stella?!» sorrisi, sperando che anche
lui facesse lo
stesso.
Già le mie battute erano orribili e nessuno rideva mai, in
più mi
uscivano dalla bocca nei momenti meno opportuni, come quello.
«Non è il momento di scherzare» mi
guardò in un misto tra
irritazione e delusione.
«Non sto giocando a nulla» risposi, stando sulla
difensiva. Mi
sentivo come un piccolo pesce nella vasca di uno squalo pronto a
mangiarselo.
«Perchè allora non mi hai detto la
verità!» piagnucolò
guardandomi con i suoi meravigliosi occhi da cucciolo.
«Non ti ho mentito» risposi, secca, decisa per la
prima volta e
questa mia sicurezza traspariva anche dal mio sguardo.
«E allora chi è Edoardo?»
«Lasciamo stare» lo pregai.
«Perchè non mi vuoi dire chi
è!» mi supplicò con qualsiasi parte
del suo corpo.
«Senti, non ho voglia di parlarne e sarebbe complicato da
spiegare,
quindi che ne diresti di cambiare argomento?» sorrisi
falsamente.
Lui mi guardò per qualche secondo, poi annuì con
rassegnazione,
tornando a fare i compiti di matematica. Rimasi a fissarlo mentre
muoveva la penna su e giù sul foglio, senza però
scrivere nulla.
Una giornata da eliminare dal mio calendario della vita.
«Sai che Benedetta ti viene dietro?» sussurrai.
Federico, piegato sul quaderno, si limitò a scrollare le
spalle.
«Lo immaginavo» rispose monotono.
«È carina» continuai.
Ogni sciocchezza che dicevo mi affondava sempre di più verso
il
baratro dell'idiozia. Ero cotta di lui, eppure cercavo di convincerlo
della bellezza di Germa. Avrei dovuto ricevere il premio Nobel per
la scemenza, nessuno mi batteva in questo campo.
«Abbastanza» piegò gli angoli della
bocca.
«Fareste una bella coppia» azzardai, ma mi morsi la
lingua subito
dopo.
Stupida, stupida, stupida!
In un secondo annegai nello sguardo stizzito di Federico che si era
finalmente alzato da quel quaderno di matematica nei confronti del
quale stava nascendo un'insensata gelosia. Sorrise sghembo, scuotendo
lievemente la testa. Chiuse quaderno e libro con un tonfo infilandoli
nella cartella.
«Non ti capisco Alice. E non credo nemmeno di volermi
impegnarmi
troppo in un'impresa che so già che non porterò a
termine» mi
disse con rammarico, alzandosi e raccattando il suo zaino
«Ciao
Alice» mi salutò di sfuggita, prima di lasciarmi
da sola, seduta a
quel tavolo, incredula e delusa.
Perfetto!
Avevo perso per la seconda volta Federico, che si era incaponito e
non rispondeva ai miei SMS. In più non avevo la minima idea
di come
affrontare il problema Edoardo e festa-di-San-Valentino. Dovevo
trovare qualcuno che si fingesse lui, ma chi? Io non conoscevo
nessuno! Escludendo Federico a priori, avrei potuto puntare su mio
fratello, ma non glielo avrei chiesto nemmeno con una pistola puntata
alla tempia, primo perchè era un cesso assurdo, secondo
perchè
Benedetta lo aveva conosciuto e quindi sapeva che volto –
brutto –
avesse Raffaele. Quindi, sì era prorpio un brutto periodo
per me.
«Alice sei tra noi?!» domandò Claudia,
sventolandomi una mano
davanti agli occhi mentre camminavamo verso l'uscita della scuola.
«Sì, più o meno» mi affrettai
a rispondere.
«Dicevo» riprese l'amica dai capelli rossi
«che tu sei la più
fortunata perchè sei l'unica che ha un ragazzo che
l'accompagna alla
festa!» sbuffò sonoramente stringendo le spalline
dell'Eastpack.
Assottigliai lo sguardo, ammosciando le spalle sconsolata. Avrei
volentieri ceduto il mio fidanzato immaginario a loro due,
così se
la sarebbero sbrigate loro con Edoardo, che con la sua inesistenza
stava creando troppi guai per i miei gusti.
«Molto fortunata» commentai poco convinta.
«E fa anche la scocciata!» si lamentò
Benedetta spingendomi di
lato e facendomi sbattere contro la spalla di Claudia.
«Scusa, ma tu puoi chiedere a Federico» le ricordai
a malincuore.
«Non mi caga! Mi considera solo come un'amica»
ribattè.
«Bè almeno tu hai qualcuno a cui chiedere, io
nemmeno quello!» si
lamentò Claudia.
Sembrava una gara a chi fosse più sfigata de entrambe
continuavano ad
aggiungere motivi per risultare la vincitrice. Anche se quel premio,
contrariamente alle loro aspettative, toccava a me di diritto.
«Credo che non verrò»
continuò la rossa, stringendosi nelle
spalle appena messo piede fuori.
«No tu devi venire!» esclamò Benedetta,
afferrandole le mani.
«Ok, vengo, magari Charlie Brown accetta di
accompagnarmi» ribattè
sarcastica Claudia «Come posso venire?»
Germa incurvò le spalle, affranta. Poi si fermò
di colpo con aria
soddisfatta, battendo il pugno sul palmo della mano.
«Il fratello di Alice!»
«Non ti conviene!» mi affrettai a dire
«Se lo conosci ti verrà
voglia di farti suora»
Claudia sembrò non aver ascoltato le mie risposte e meditava
sulla
soluzione suggerita da Germa.
«Non è una cattiva idea!» disse con una
mano sul mento.
«No, credimi, è pessima» l'avvisai io.
«Non potrà essere mica così
orribile!» esclamò la rossa «E tanto
poi è solo una festa. Lo uso solo come
lasciapassare» sorrise
sorniona.
Alzai le braccia e le feci ricadere sonoramente lungo i fianchi. Io
avevo cercato di avvertirla, ma lei aveva preferito non ascoltarmi.
Cavoli suoi!
Benedetta sbuffò non appena guardò il parcheggio
vuoto dove
solitamente lasciava il suo motorino. Da due giorni a quella parte
avrebbe dovuto prendere l'autobus come noi comuni mortali
perchè il
suo adorato mezzo a due ruote aveva problemi ai freni. Durante tutto
il tragitto verso il cancello, nessuno di noi parlò, troppo
traumatizzate da quella inutile festa di San Valentino.
Mi fermai all'improvviso, lasciando che qualche ragazzo mi sbattesse
contro. Ma non mi importava, era molto più importante quello
che
c'era davanti al cancello. Anzi, chi
c'era. Accennai un sorriso e mi
portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Timidamente alzai una
mano per salutarlo e Federico, appoggiato alla sua 125, mi rispose
con un gesto della testa. Si staccò subito dopo, con il
casco tra il
braccio e l'avambraccio, avvicinandosi a me. Sapevo che non sarebbe
riuscito a stare arrabbiato con me, me lo sentivo fin dentro le ossa.
Ero pronta ad accogliere il suo abbraccio, intimidita, imbambolata
con le braccia aperte e gli occhi socchiusi. Quando, però,
non sentii
le sue mani sulla schiena, mi voltai per assistere ad una scena da
fil horror. Federico stava abbracciando una sorpresa Benedetta, che
per un primo momento era rimasta con le braccia penzoloni, per poi
ricambiare quella stretta.
«Cosa ci fai qui?» domandò al settimo
cielo.
«Oggi hanno fatto occupazione da noi e quindi niente lezioni.
Ho
pensato che venirti a prendere fosse un gesto carino» le
sorrise,
come già aveva fatto con me.
Io li guardavo, congelata, immobile, percorsa da una gelosia profonda
che si era ormai mischiata al mio sangue.
«Grazie» rispose imbarazzata Benedetta, dondolando
da un piede
all'altro.
Federico le strinse la spalla, spingendola verso la sua moto. Ad ogni
passo le schioccava un bacio tra i capelli. Mi passarono accanto e la
mia amica mi guardò entusiasta, con gli occhi lucenti. Le
sorrisi,
anche se in realtà avrei voluto urlare fino a farmi perdere
la voce.
Seguii ogni loro passo verso la moto con sguardo assassino e furioso.
Chi un giorno mi aveva detto che non illudeva le persone? Ah, si. Un
certo Federico Abbate, lo stesso ragazzo che non aveva voglia di
capirmi. Nemmeno io volevo comprendere chi fosse, ormai non mi
interessava più. Potevo benissimo capire che lui c'era
rimasto male
per il mio fidanzamento con Edoardo, ma dimenticarsi di me nel giro
di nemmeno 48 h era assurdo.
Mia madre aveva assolutamente ragione: gli uomini erano stronzi. Fino
a quel momento non capivo perchè li offendesse in quella
maniera, ma
ora che Abbate aveva appallottolato il mio cuore e ci stava giocando
a calcio, compresi il suo astio nei confronti dell'altro sesso.
Appena arrivata a casa mi fiondai nella mia stanza sotto lo sguardo
perplesso di mia madre. Mi gettai sul letto, nascondendo il viso nel
cuscino e piansi. Quella era la prima volta che piangevo per un
ragazzo, solitamente lo facevo solo per i film romantici. Ma ora, non
ero più la spettatrice, ma bensì la protagonista.
Sentii il letto affossarsi verso destra, poi una mano che mi
accarezzava i capelli.
«Cosa succede tesoro?» mi domandò
dolcemente mia madre.
«Avevi ragione» risposi con la voce ovattata.
«Su cosa?»
«Gli uomini sono stronzi»
Ormai mi ero arresa all'idea che ben presto Benedetta e Federico
avrebbero fatto coppia fissa. Ogni secondo avevo paura che il mio
telefonino squillasse ed emettesse la voce gioiosa di Germa che mi
avvisava del suo nuovo boyfriend. Oltre al fatto che la mia migliore
amica ben presto si sarebbe messa con il ragazzo che mi piaceva, la
cosa peggiore era che io avrei dovuto far finta di niente, anzi,
apparire felice davanti ai miei due migliori amici. Non so se sarei
riuscita in quell'impresa.
Per non parlare poi del problema Edoardo. Mancavano meno di 11 giorni
a quella festa ed io non avevo uno straccio di ragazzo. E se avessi
chiesto aiuto a Raffaele?
Ero accoccolata sul divano a guardare un film insieme a mio fratello
e continuavo a guardarlo in cerca del coraggio per chiedergli un
consiglio, anche se lui non era esattamente la persona adatta.
«Perchè mi fissi?» domandò
brusco.
Tentennai qualche attimo, passandomi le mani tra i capelli.
«Allora» cominciai intimidita
«È una domanda un po' sciocca, solo
una curiosità» avevo la voce tremante.
«Muoviti, che sto perdendo tutto il film» mi
incalzò svogliato.
«Ma tu, se per caso dovessi fingere di essere fidanzato, ma
in
realtà non hai la ragazza, come faresti?»
Lui mi guardò dubbioso e io gli sorrisi, cercando di
apparire il più
tranquilla possibile.
«Che razza di domanda è?!»
sbottò d'un tratto.
«Si fa per parlare!» risposi inacidita.
«Ci sono tanti argomenti di cui parlare»
«Rispondi e basta!» gridai.
Lui alzò le spalle, assumendo un'espressione di
rassegnazione. Per
fortuna che non era per nulla sveglio e non gli sarebbe minimamente
passato per la testa di pensare che io avessi bisogno di un
fidanzato.
«Pagherei qualcuno» rispose.
«In che senso?» chiesi curiosa e dubbiosa allo
stesso tempo.
«Un'accompagnatrice» spiegò con le
virgolette.
Rimasi un attimo sconcertata, quasi imbarazzata da quella proposta.
Non volevo chiamare un accompagnatore per fingere che fosse il mio
fidanzato, ma avevo un'idea migliore? No, purtroppo e quella sembrava
essere l'ultima spiaggia.
Mi alzai di scatto dal divano, nascondendomi nella mia stanza. La
percorsi tutta un centinaio di volte, riflettendo, in cerca di
qualche altra soluzione per la mia situazione incasinata. Ma
più mi
sforzavo e più quella dell'accompagnatore mi sembrava l'idea
migliore. No, non potevo farlo! Era una cosa troppo imbarazzante!
Anche se, se non avessi trovato Edoardo, potevo ufficialmente dire
addio alla mia reputazione.
Mi sedetti alla scrivania e tremante digitai sulla tastiera:
accompagnatore. Deglutii varie volte prima di
decidermi a
premere invio. Il mio dito si muoveva a rallentatore, fino a che non
lo schiacciò. Chiusi gli occhi, in panico, per paura di
chissà cosa
potesse apparire.
Accompagnatori per signore.
Entrai in quel sito con il cuore in gola, ma fortuna per me, non
c'era nulla di scabroso, se non foto di facce e fisici scolpiti.
Oddio, lo stavo facendo davvero? Ero arrivata perfino a pagare
qualcuno per una stupida bugia? Forse avrei fatto meglio a dire la
verità e al diavolo la mia reputazione. Scossi la testa,
dovevo
farlo, assolutamente, non volevo apparire come la sfigata.
Entrai nel profilo, se così si può definire, di
tale Blaine
e sfogliai la sua galleria fotografica, nella quale non si vedeva mai
il suo viso per intero, ma solo squarci di occhi castani e profondi e
profili sfuggenti in cui non si poteva apprezzare granchè.
Le
immagini del suo fisico, invece, si sprecavano. Mi sentivo accaldata
a vedere quel corpo magro e leggermente disegnato dai muscoli. I miei
ormoni, fino a quel momento assopiti, si erano svegliati e si
facevano sentire eccome. Sicuramente stavano festeggiando con limbo e
champagne dentro di me. Mi incantai nel guardarlo e mi sentivo
tremendamente scema.
«Ciao tesoro!» mia madre comparì sulla
porta, con un sorriso
enorme.
Scattai in piedi, facendo cadere la sedia per terra e parandomi
davanti al pc. Lei aveva il brutto vizio di non bussare mai prima di
entrare ed era in grado di beccarti nei momenti meno opportuni, tipo
quello.
«Cosa stavi facendo?» domandò
sporgendosi in avanti curiosa di
sapere che cosa nascondesse il desktop.
«Nulla, perchè?» risposi facendo finta
di nulla, sembrando il più
naturale possibile, anche se o miei movimenti macchinosi erano ben
altro che naturali.
Mia madre socchiuse gli occhi, dubbiosa e sapevo che la
curiosità la
stava mangiando da dentro. Ma, con il tempo, aveva imparato a non
intromettersi nella privacy altrui, anche se le costava parecchio,
ficcanaso com'era.
«Volevo solo dirti che sono rientrata» mi sorrise e
io feci lo
stesso, salutandola poi con la mano, dicendole implicitamente di
andarsene.
Raccolsi la sedia e mi ci lascia andare sopra non appena mia madre fu
fuori. Per un momento avevo creduto di morirle davanti per un attacco
cardiaco. Sospirai passandomi una mano tra i capelli. Torniamo
a
noi, pensai. Afferrai il cellulare e, esitante, digitai il
numero
di cellulare di Blaine. Lo osservai a lungo, non sapevo se realmente
volevo chiamarlo. Mi sembrava una cosa così impura e sporca.
Ma,
prima che potessi decidere realmente cosa volessi fare, il mio dito
aveva schiacciato il tasto verde di chiamata.
«Buonasera, qui parla Blaine» la sua voce calda mi
avvolse
all'istante, anche se la presentazione sembrava più di un
operatore
di una compagnia telefonica.
Farfugliai, cercando di raccattare più aria che potevo e
sventolandomi con una mano per il caldo che sentivo.
«Con chi ho il piacere di parlare?»
domandò.
Le parole facevano fatica a uscirmi dalla bocca. Ero ancora in tempo
per mettere giù quella telefonata e tornare indietro,
trovare una
soluzione migliore o venire allo scoperto.
Non ero
riuscita a chiudere quella telefonata e ora ero tesa e
nervosa seduta al tavolo della cucina che lo aspettavo per
l'appuntamento che mi aveva fissato. La cosa era complicata da
spiegare al telefono, perciò avevamo deciso di incontrarci.
E la
cosa mi rendeva ansiosa, soprattutto perchè Raffaele, di
sabato
pomeriggio, era in casa. Tamburellavo l'indice sul tavolo scandendo
il tempo che lento scivolava via.
«Ma quando arriva» sbuffai elettrica, alzandomi e
vagando come
un'anima in pena per tutta la casa.
Prima arrivava, prima gli spiegavo la situazione, prima sarebbe
arrivata la festa e prima mi sarei liberata di lui.
Suonarono al citofono e mi precipitai a rispondere. Non chiesi chi
fosse, ma gli indicai solo il piano. Mi sistemai i vestiti, i capelli
e sfoggiai un sorriso dolce. Mi posizionai davanti alla porta aperta
nell'attesa di vederlo arrivare. Quando lo vidi sbucare dalle scale,
il mio sorriso si spense. Era una presa in giro, forse? Ok che dalle
foto non si vedeva molto, ma non me lo aspettavo così
orrido. Aveva
due piccoli occhi castani circondati da fini occhiali in stile Harry
Potter, i capelli radi e di uno strano arancione spento e un fisico
secco nascosto da strati di vestiti invernali.
«Oh mio Dio» mormorai.
Mi scansai per farlo entrare e chiusi subito dopo la porta
rumorosamente. Sospirai, chiudendo gli occhi e autoconvincendomi che
lui sarebbe stato il mio fidanzato. A questo punto sarebbe stato
meglio dire la verità.
«Ciao» gli dissi cercando di essere cordiale.
«Ciao» rispose insicuro lui.
«Grazie per essere venuto»
Lui mi guardò confuso, grattandosi la testa.
«Allora, la cosa è complicata» esordii
prendendolo per un braccio
e trascinandolo sul divano «Tu sarai Edoardo» gli
dissi, vedendo
che la sua espressione di faceva sempre più perplessa.
«Sei sicura di star bene?» mi domandò
con la sua voce pecorina.
Ci guardammo ed entrambi eravamo dubbiosi. Suonarono nuovamente al
citofono e, seccata, andai a rispondere.
«Sono Blaine» mi disse.
«Quarto piano» mormorai, aprendo il portoncino.
Mi volti lentamente, rimettendo a posto la cornetta del citofono.
Guardai il ragazzo seduto sul mio divano, incurvato, che si stringeva
le ginocchia.
«Tu chi sei?» gli domandai.
«Alberto, piacere» rispose alzando una mano
«Stavo cercando
Raffaele, dobbiamo studiare insieme»
Sospirai per il sollievo di aver scoperto che quell'essere non fosse
il mio accompagnatore e gli indicai la camera di mio fratello che
raggiunse poco dopo. Mi voltai di nuovo verso la porta, adottando la
stessa procedura di prima: sistemata ai capelli, ai vestiti e
sorriso. Aprii la porta ritrovandomelo davanti in tutta la sua
mediterranea bellezza: occhi scuri e profondi in cui annegare,
capelli tendenti al nero tenuti corti e una fine barba a decorargli
le guance. Lo guardai con la bocca aperta, quasi non avessi mai visto
un bel ragazzo. Sentivo le gambe molli ed ero sicura che presto mi
avrebbero abbandonata ed io sarei collassata come un sacco svuotato
dalle patate.
Mi sorrise sensualmente e io feci lo stesso, anche se il mio era
estremamente idiota.
Ero stupita. Lui era Edoardo,
esattamente come me lo ero immaginata.
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Ciao
a tutti!
Come andiamo?!
Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto da studiare. Ho deciso che
posterò una volta a settimana (se ci riesco, ovvio xD) e
come giorno ho scelto o il sabato o la domeinca, dipende quando
riuscirò a fare la revisione finale del capitolo.
Finalmente il sesto capitolo, molto denso e ricco di avvenimenti. Primo
tra tutti, un avvicinamento tra Alice e Davide, Federico e Benedetta e
l'arrivo di Blaine. Il prossimo capitolo, ovviamente, sarà
quasi interamente dedicato a lui *____*
Spero che vi piaccia, a me non entusiasma molto, credo che sia motlo
sotto le mie capacità. Ma questo è il meglio che
sono riuscita a scrivere.
Poi, volevo fare delle precisazioni sulla storia. È
ambientata nel mio paese, in provincia di Milano, di cui
però non dirò mai il nome, così come
del liceo che è quello che ho frequentato io. La linea 30
è l'autobus che prendevo io solitamente, anche se in
realtà ha un altro nome. Infine, la cioccolateria esiste
davvero.
Passiamo ai ringraziamenti.
Grazie alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le 6 persone che hanno
innserito la storia tra le preferite, all'unica che l'hai
inserita nelle ricordate e alle 27
che l'hanno inserita nelle seguite e a tutte quelle che leggono e basta.
Ricordo, come sempre, il mio profilo
facebook dove potrete trovare foto e anticipazioni.
Un bacio a tutti, Manu ♥