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Autore: Ely79    28/04/2011    4 recensioni
Regulus Black, visto attraverso gli occhi di Rabastan Lestrange. Perché questo giovane odia tanto il secondo genito dei Black? Perché tanto isentimento nei suoi confronti?
Storia prima classificata al "Il mio miglior nemico/La mia miglior nemica contest" indetto da Maeve_ e Mizar19.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rabastan Lestrange, Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange'
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II
II

paura e onore

Camminavo svelto lungo il vialetto dell’ingresso. L’umidità della notte aderiva alla maschera, rendendola gelida e viscida. La sentivo sposarsi sugli zigomi, sulla fronte, sul mento, trattenuta a malapena da quel che restava di un Adesivo.
Desideravo solo poter mettere piede in casa, levarmi le vesti da battaglia e sedermi accanto alla vetrata, sorseggiando un cordiale mentre la mia Elanor si prendeva cura di me. Le avrei raccontato del duello con l’Auror, sbucato all’improvviso per contrastarci; delle molte vite mietute e delle parole di lode di Lord Voldemort per la nostra nottata di caccia. Lei avrebbe ascoltato rapita, seduta sulle mie ginocchia, provvedendo a mantenere pieno il bicchiere fino all’ora in cui ci saremmo coricati. Accennai un sorriso, subito cancellato dal rumore di un passo strascicato.
Dietro di me arrancava il ragazzino, col respiro strozzato e l’andatura incerta. Stava curvo in avanti, rattrappito sotto ad un mantello fattosi improvvisamente troppo grande e pesante. La stoffa strisciava per terra, imbrattandosi di polvere e sporcizia. La sua maschera sporgeva in bilico fra le pieghe del manto, precipitando a terra di quando in quando. Ogni volta che l’aveva persa, aveva impiegato interi minuti per raccoglierla ed infilarla di nuovo in quella tasca troppo stretta. Ormai era malridotta quanto le sue vesti. Era privo di dignità.
Non avevo mai visto tanta mancanza di rispetto verso le nostre insegne. Nessun Mangiamorte degno di quel titolo avrebbe osato mostrare una simile trascuratezza prima e, soprattutto, dopo una notte di combattimenti. Ci saremmo vergognati di quell’aspetto da accattone Babbano. L’essere un Mangiamorte significava mettere in chiaro la superiorità del nostro sangue sugli indegni, in ogni modo, con ogni mezzo. Incluso l’aspetto.
Dover portare a casa mia un marmocchio piagnucoloso, con la tunica bagnata di piscio e chiazzata di sangue e vomito, mi mandava in bestia. L’aver quasi rotto il naso a Lucius, che se la ghignava allegramente in un angolo, non mi aveva dato alcun sollievo, così come non l’avevano sortito le rassicurazioni di mio fratello riguardo “l’onore di offrire ospitalità ad un rampollo Purosangue, sì caro al Maestro”.
Per chi mi avevano preso? Per una balia, forse? Black non sapeva badare a sé stesso e dovevo sentirmi obbligato a pensarci io? Ridicolo, semplicemente ridicolo. Aveva una famiglia, che badassero loro a lui!
E poi, cos’aveva di tanto speciale? Era solo un borioso viziato che guardava tutti dall’alto in basso peggio di Narcissa, capace solo di profondersi in montagne di belle parole, bei modi, galanterie leziose che potevano abbindolare le donne. Aveva dimostrato chiaramente quanto poco valesse in battaglia. Sguardo perso, mano tremante, ginocchia cedevoli. Inutile. Dannoso. Pericoloso. Ecco cos’era: pericoloso. Ciascuno di noi Mangiamorte rappresentava un pericolo per Mezzosangue, Nati Babbani e Babbani, non per gli altri accoliti. Lui invece era un pericolo per tutti. Amici e nemici. Far affidamento su una bacchetta insicura era da sconsiderati. Perché gli avevano permesso di ricevere il Marchio? Sarebbe stato molto meglio lasciarlo a farneticare nella sua soffice bambagia, servito e riverito dai suoi stupidi elfi, lontano da noi e dalla nostra guerra.
Ad un tratto lo udii incespicare e cadere. Non mi voltai, né rallentai il passo, ma dopo pochi metri fui costretto ad arrestarmi. Stava rimettendo, contorcendosi a terra. Avrei voluto sapere cosa stesse spargendo sulla ghiaia, visto che aveva vomitato subito dopo la morte del suo “amico” e un altro paio di volte in un angolo della cripta dove ci eravamo riuniti dopo l’attacco. Milord aveva assistito con un sogghigno malevolo a quell’increscioso spettacolo, per poi avvicinarlo. Gli aveva parlato sottovoce, perché il discorso restasse fra loro due soli. Poco importava cosa gli avesse detto, dubito si trattasse d’incoraggiamenti o condoglianze per la sua perdita.
Tornai suoi miei passi, la mano serrata con forza sulla bacchetta. La mia voce attraversò la maschera, assumendo una sfumatura metallica e tagliente.
«Alzati» intimai disgustato.
Lui rimase accucciato, biascicando qualcosa contro i sassolini pallidi quanto la sua faccia. Era una sorta di minuscolo grumo nero e frignante, scosso dalla tosse e dai singulti. Repressi a fatica l’istinto di prenderlo a calci lì dov’era, sfogando la mia collera sulle frasche di un cespuglio poco lontano. Mi rifiutai d’imbrattare ulteriormente gli stivali e di sprecare anche un solo briciolo di magia per punire una creatura più infima persino di un elfo domestico.
«Alzati!» ordinai, più arrabbiato.
Black dondolò sulle ginocchia, scosso dai singhiozzi. Le sue frasi erano un miscuglio di sillabe prive di senso e di suoni. Mi ricordarono un cerbiatto che avevo ucciso la primavera precedente: per un caso fortuito l’avevo ferito di striscio e questi era riuscito a fuggire per un po’, prima d’accasciarsi ed invocare soccorso disperatamente. Era stato un piacere zittirlo.
Le dita accarezzarono il legno di quercia, desideroso di ripetersi, ma l’ossequio alle richieste di mio fratello mi frenava. E dietro a queste, c’erano gli occhi venefici di Lord Voldemort, che impedivano alla mia gola di proferire l’incantesimo ferale.
«Ho detto alzati!» gridai.
Finalmente riuscì a raddrizzare la schiena, ma rimase inginocchiato, le braccia che ciondolavano inerti lungo i fianchi. Piangeva ancora. Dove Merlino trovava tutta quell’acqua e la voglia di continuare a disperarsi?
«Come avete potuto… lui… lui poteva…» balbettò con voce rotta.
I miei occhi divennero due fessuro gelide dietro le orbite vuote della maschera.
«Cosa? Esserci utile? Non capisci nulla, stupido idiota!»
Black scosse con forza il capo, facendo oscillare quella deliziosa chioma corvina per cui tante sue amichette di Hogwarts avevano spasimato e provato invidia. Forse non possedeva il fascino del reietto di famiglia, ma ne condivideva l’impronta estetica.
«Era solo un verme. Da schiacciare e sprofondare nella melma da cui proveniva».
«Era mio amico!» gridò, scattando in piedi.
Arretrai di un passo, squadrandolo con ribrezzo mentre ricadeva floscio e affondava le mani nella ghiaia. Non era solo la mancanza di decenza nel suo comportamento o il moccio che gli colava sulle labbra mescolato alle lacrime, era soprattutto la sua insensata ottusità ad infastidirmi.
Ero sicuro che, dopo quella notte, i miei compagni e Milord avrebbero prestato attenzione alle mie rimostranze, convenendo che il giovane Black andava tenuto lontano dalla mischia e, se possibile, anche dai nostri affari in generale. Lo avremmo rispedito dalla sua vociante mammina, a nascondersi nella sua stanza e a maledirsi per non essere un uomo bensì l’esempio del disonore.
«Non dovevate… potevamo salvarlo… lui… Calvin…»
S’interruppe, tirando poco elegantemente su col naso. Un fremito di gioia mi percorse. Vedevo la sua algida immagine sgretolarsi: l’affascinante e presuntuoso Purosangue che piegava i cuori delle dame e le simpatie dei nobiluomini spariva rapido, lasciando il posto ad una creatura insignificante. Avevo sempre odiato il modo in cui la sua sola presenza riuscisse a calamitare su di sé sguardi e pensieri. Non che abbia mai invidiato lo charme della sua casata - noi Lestrange non abbiamo tratti di pari eleganza e avvenenza -, ma preferivo la sostanza all’involucro. E quella notte, vedevo confermata la mia teoria, dato che in quella scatola non c’era assolutamente nulla.
Sollevai la maschera, perché potesse vedermi bene in faccia mentre lo deridevo.
Aveva gli occhi lucidi e dilatati dall’orrore al punto tale da sembrare molto più grandi del normale. Qualunque strega si sarebbe sciolta in lacrime di commozione, correndo ad abbracciarlo e confortarlo. Un giovane mago provato oltre misura dall’impatto con un mondo che credeva ben diverso, quasi idilliaco, se visto da dietro le finestre di Grimmauld Place. Persino Bellatrix, che notoriamente disapprovava strepiti e piagnistei - sia che si trattasse di vittime o Magiamorte - aveva avuto un moto d’incertezza nel vederlo in quelle condizioni. Non si poteva certo assistere ad uno spettacolo del genere e restare insensibili. No, su questo concordavo. Ero totalmente disgustato dalla mancanza di spina dorsale di quel rammollito e godevo di ogni istante della sua prostrazione.
Un basso uggiolio mi fece voltare. Lungo il viale avanzava zoppicando una sagoma bianca. Era uno dei nostri levrieri russi, Norios. La pelliccia, un tempo soffice, ora si sfaldava in batuffoli disordinati che ondeggiavano con ritmo impari ad ogni passo. Avevo pensato di abbatterlo, ma lo strenuo attaccamento alla vita che aveva mostrato mi avevano portato a cambiare idea. Inoltre, mia moglie diceva con orgoglio che le cicatrici sul muso e sul fianco gli conferivano un’aria nobile e solenne.
Norios sedette al mio fianco, levando al cielo il muso affusolato. Il torace magro si gonfiava e  contraeva ad un ritmo identico a quello dei polmoni di Black. Tuttavia, l’ansare spasmodico di Norios era una gioia per i miei occhi, perché testimoniava la smisurata estensione della sua fedeltà nei confronti del padrone che l’aveva graziato. Nei patetici rantoli di Black non scorgevo alcunché.
Allungai la mano sul capo dell’animale, che scodinzolò adorante.
«Questo cane è vecchio e stanco, ha un’anca distrutta da una zuffa con un cinghiale. Non riesce neppure ad acchiappare un Vermicolo e i suoi morsi non fanno alcun danno. Eppure vale molto più di te, stupido ragazzino. Lui sa cos’è l’onore» conclusi, calciandogli addosso la ghiaia.
   
 
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