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Autore: Thumbelina    30/04/2011    4 recensioni
Sui giornali di domani potrete leggere la mia morte. I giornalisti parleranno di suicidio, mio marito piangerà la mia morte, la mia suocera dirà che ero depressa, mia sorella stringerà forte a se la mia bambina. Ma nessuno di loro saprà mai la verità, nessuno di loro saprà mai perché sto per saltare giù.
Genere: Malinconico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, Fleur Delacour, Sorpresa, Victorie Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Gli ultimi piccoli segreti

Me la ricordo quella giornata, me la ricordo perfettamente. Io stesa lì, sopra il suo letto, lui che giocava con i miei capelli. Dovevamo essere lì da circa un’ora, forse di più, sdraiati sul mio letto, a parlare di tutto e di altro ancora. Quel che non mi ricordo però, e giuro che mi ci metto con tantissimo impegno per ricordarlo, è come mai entrammo in discorso. Insomma, capitava spesso che chiacchierassimo noi due, chiacchieravamo sempre infatti, passavamo tutto il nostro tempo a parlare, eppure quel giorno i nostri discorsi si stavano incamminando in bilico sul filo di argomenti forse un po’ troppo delicati. Non ricordo perché, non ricordo con quale coraggio, ricordo solo che fui io a chiederglielo per prima, che gli chiesi, infine:
- Un’ultima domanda.
- Dimmi tutto. – mi rispose lui, intrecciando le sue dita ai miei capelli.
- Perché lo hai fatto?
Mi guardò con aria interrogativa. Lasciandomi andare le ciocche per qualche secondo.
- Fatto cosa? – mi chiese poi
- Giusto, sbagliavo, – mi corressi – volevo dire, perché volevi farlo?
- Fare cosa? – chiese ancora - Non capisco cosa tu intend… ah, - e la sua espressione si fece subito più cupa, e lui si tirò su a sedere – tu parli del suicidio.
- Sì, esatto. – mi morsi le labbra – Come ti è venuto in mente? Perché?
Prese aria ai polmoni. Ispirò ed espirò per una trentina di volte.
- Ero triste, la morte di Fred mi ha devastato. – rispose poi, senza perdersi in troppe chiacchiere.
- Non è una buona scusa. – argomentai io – Eravamo tutti devastati. George era devastato. Molly era devastata. Arthur era devastato. Bill era devastato. Ron e Ginny e Percy erano devastati. Io ero devastata. Nessuno di noi ha tentato il suicidio.
Respirò a pieno fiato per un altro po’ ancora.
- Non è la stessa cosa, - rispose lui – non è la stessa cosa per niente, perché lì tu c’eri, perché lì c’erano tutti, perché lì c’eravate tutti, io no invece.
- Che vuoi dire? - chiesi io
- È assurdo, lo so che è assurdo, so che tu mi dirai che è assurdo, so che tutti mi diranno che è assurdo, è solo che io continuo a chiedermi, e me lo chiedo continuamente, come sarebbero andate le cose, se ci fossi stato anche io. Forse, forse lui sarebbe vivo, forse saremmo vivi entrambi, o forse sarei morto io per lui, io per lui e lui sarebbe vivo adesso. Dovevo esserci io al posto suo. Dovevo. Io dovevo. Io avrei dovuto…
Piangeva adesso, il ragazzo Charlie Weasley, piangeva in quel modo strano, in quel modo orribile in cui solo gli uomini sanno piangere, ed io mi alzai a sedere per raggiungerlo, e lasciai che la sua testa si appoggiasse sul mio seno, carezzandogli i capelli rosso oro. Sentivo le sue lacrime scivolarmi sulla pelle, e mi sentivo bruciare. Lo cullavo forte a me.
- E’ tutta colpa mia. – continuava a ripetere fra i singhiozzi – E’ tutta colpa mia. È tutta colpa m…
- No, no, no, ti giuro no, ti giuro non è colpa tua, te lo giuro, Charlie, te lo giuro – dicevo piangendo a mia volta, perché il suo pianto ormai aveva contagiato anche me. – se ci fossi stato tuo, se ci fossi stato anche tu, probabilmente non sarebbe cambiato nulla, proprio nulla, o se fosse cambiato sarebbe cambiato solo in peggio, ti giuro, ti giuro che non è colpa tua, ti giuro che…
- Dovevo esserci io lì, Fleur, non capisci? – mi interruppe lui, parlando in quello che era più un urlo che una voce – Io al posto suo. Io al posto suo, lottare al posto suo, morire al posto suo. Io al posto suo. Io al posto suo. In quella bara al posto suo. Io al posto suo. Io. Io. Io. Io.
- Basta, Charlie, basta! Ti prego, ti prego, basta! Non è colpa tua, sarebbe successo lo stesso, sarebbe successo anche peggio e se fossi morto tu… se ci fossi stato tu in quella bara… se fossi stato tu io… io non lo so come starei vivendo adesso, anzi, non so nemmeno se starei vivendo adesso. Io ti giuro che…
Si alzò di getto dal suo letto, ed entrò un momento in bagno. Sbattendo rumorosamente la porta dietro di se. Sentivo, sentivo i suoi singhiozzi, la voce del suo pianto, lo sentivo gemere da dietro quella porta, anche se lui aveva aperto l’acqua per non farsi sentire. Ed io sentivo entrambi, sentivo il frusciare dell’acqua nel lavandino, e immaginavo fosse acqua fredda, e sentivo le sue lacrime, naturalmente, calde loro, invece.
Quando uscì da quel bagno, sbattendo di nuovo la porta fra l’altro, aveva la faccia tutta rossa, ma si era asciugato le lacrime alla ben e meglio, e così fingeva adesso che fosse tutto a posto, che si fosse ripreso.
Mi alzai per andargli incontro. Per abbracciarlo.
Invece lui mosse le mani e piegò il volto un modo che voleva dire quello che poi confermò a parole.
- Và tutto bene, và tutto benissimo. – mi disse – Sto bene, è stato solo un momento, mi è già passata.
- Ne sei sicuro? – gli chiesi io guardandolo con pietà, asciugandomi a mia volta le lacrime con i palmi delle mani, sapendo comunque alla perfezione, che il ragazzo Charlie Weasley non stava affatto bene, e che avrebbe avuto davvero bisogno di piangere ancora.
- Sicurissimo. – rispose lui – ma ora basta parlare di me, tocca a me farti qualche bella domanda, e ti assicuro che sarò terribile.
Ci lasciammo cadere di nuovo sul letto. Poi io mi ricomposi sedendomi a indianina e muovendo le gambe a farfalla, mentre lui rimaneva straiato a guardarmi. Era terribilmente bello con quel sorriso che gli rigava il volto e gli occhi ancora arrossati dal pianto. Avrei voluto completare quell’immagine per ore ed ore, non distogliere mai lo guardo dalle sfumature dei suoi occhi, dal suo corpo, da tutto il resto. E anche lui mi guardava, mi guardava. Mi chiedo davvero come mai non restammo a guardarci per sempre. Ah, già, quasi dimenticavo, fui io a rompere il silenzio.
- Allora? Che domanda hai scelto di farmi? – gli chiesi ridendo.
- Ci sto ancora pensando. – rispose lui ridendo con me – Sai, è difficile far domande a qualcuno di cui ormai sai praticamente tutto. Quante cose ci siamo già chiesti… ecco! Ecco una cosa di te che ancora non so, ecco una cosa di te che non so affatto.
- Dimmi tutto.
- Quando è stata?
- Che cosa? – gli chiesi io sorridente.
- Quando è stata la prima volta che hai fatto sesso con qualcuno, – rispose lui – e non provare a dirmi che sei arrivata vergine al matrimonio, perché tanto non ci casco!
Ricordo che mi rabbuiai all’istante. Il mio corpo divenne freddo, gelido, mi paralizzai per qualche istante, divenni una statua. Era bianca in volto, ed anche il resto della mia pelle sembrava d’avorio.
- Non ne voglio parlare. – risposi fredda.
- E dai! – insistette lui.
- Ho detto che non ne voglio parlare e non ne parleremo, punto e basta.
- Ma come? – fece lui – io ti ho detto tutto di me, ho risposto anche a quella cazzo di domanda sul suicidio e tu adesso non puoi dirmi quando è stata la tua prima volta? Insomma, non sarà stato con Bill, spero?!
- Ho detto di no, Charlie. Per favore. – dissi cercando di alzarmi da quel letto infernale.
- Ma stai scherzando, forse?
Mi alzai e corsi verso il bagno a mia volta. Sentivo conati di vomito aspro salirmi alla bocca. Mi giungeva forte dal letto la voce di Charlie.
- Fleur, ma sei impazzita? Che c’è di così grave.
Lasciai che quel surrogato di schifo che mi era salito alla gola sprofondasse nel gabinetto e tirai la catena. Mi sciacquai la bocca tre volte con l’acqua gelida con altra acqua mi rinfrescai il viso. La voce di Charlie mi arrivava ancora.
- Dimmi almeno con chi!
Avevo voglia di spaccargli la faccia, e di mandare in frantumi lo specchio che rifletteva la mia. Avevo la nausea. Ero arrabbiata da morire con lui. Pensai che se il lavabo del lavandino non fosse stato costituito da un materiale così duro probabilmente le mie unghie ci sarebbero conficcate dentro, ed invece si spezzarono nel vano tentativo. Continuava a ripetere la sua ultima domanda. Bagnai d’acqua fredda i capelli. Presi forza.
Uscii da quel bagno spingendo la porta con tale violenza che non mi sarei stupida affatto se si fosse scardinata, e lo cosa non mi avrebbe toccato minimamente. Rimasi lì, sulla soglia, con le braccia aperte, e il volto bianco, bagnato.
- E’ stato con un mio professore. – risposi infine.
- Il tuo professore?! – chiese lui ridendo – dovevi aver tutti voti alti! Fammi indovinare, era quello di storia? No, no, quello di inglese? Sì, lo sai molto bene l’inglese, potrebbe essere. Quando è stato, il quarto, in quinto liceo?
Rideva lui. Io no. Lo guardavo impassibile.
- E’ stato in terzo. – risposi – Elementare.
Il suo volto giocondo si spense all’istante, un’espressione di non-capisco-ciò-che-vuoi-dire gli colorò la faccia. Non riusciva a parlare. Proseguii io.
- Era un nuovo insegnante. Aveva quarant’anni, forse un po’ di più. Era un uomo robusto. Aveva dei capelli neri, un po’ riccioluti, corti corti, con un principio di calvizie, poco poco però, ed una barba nera, sarà stata lunga, non so, tre, quattro centimetri. Me lo vedo ancora davanti. Insegnava geografia e storia, e francese, sì, insegnava anche francese. Arrivò a scuola quando io facevo il terzo anno, e lui mi diceva, mi diceva che ero bellissima, che era sposato, ed aveva due figli, uno era di un anno più piccolo di me, me lo diceva mentre spingeva il suo membro nella mia pelle ed io piangevo, mi diceva che era tutta colpa mia, che ero troppo, troppo bella, che lui non avrebbe mai toccato una bambina, se solo io non fossi stata così dannatamente bella. Mi diceva che non avrei dovuto dirlo a nessuno. Diceva che sarebbe finito in carcere e che lui non poteva perché aveva la moglie e i figli, e che sarebbe morto se fosse andato in prigione, e che era tutta colpa mia, solo colpa mia, non sua, ma mia perché ero bella.
- Fleur, io…
- Io non lo dissi mai a nessuno. Mantenni il segreto. Dicevo alla mamma che non volevo andare a scuola, speravo che capisse da sola, ed invece non capì proprio niente, quella stupida. Volevo morire. Poi passarono tre anni, tre anni di osceni abusi, ed io, beh io fui finalmente libera da quell’orco, cominciai le scuole medie, pronta a dimenticare tutto fino a che…
- Fino a che…?
- Ne avevamo parlato più volte, con i miei, io avevo insistito particolarmente, ed alla fine avevamo deciso affinché Gabrielle frequentasse una scuola diversa dalla mia per le elementari, ed invece, all’ultimo momento, i miei genitori cambiarono idea e la iscrissero a quello che era stato il mio stesso indirizzo.
- Fleur…
- Mia sorella mi ha sempre somigliato così tanto!
- Fleur…
- Io non volevo dirlo, lo giuro, ma avevo paura che lui potesse farle quello che aveva fatto a me. Lo dissi ai miei, loro lo dissero alla polizia, e la polizia mi credette. Lui continuava a difendersi, diceva che era tutta colpa mia, tutta e soltanto colpa mia, per dio, mi sembra ancora di sentire le sue parole nelle orecchie.
- Finì bene quindi, quel mostro è in carcere adesso.
- No, non c’è. Lo diceva sempre, lo diceva sempre che in prigione non ci sapeva stare, che sarebbe morto se non fosse uscito di lì. Si impiccò un mese dopo il processo. Lo trovò morto la guardia che era andata a portargli la colazione alle 7 quella mattina.
- Mio dio…
- L’ho ucciso io. Diceva che era tutta colpa mia. Tutta colpa mia. Colpa mia. Mia.
Charlie si alzò e mi avvolse fra le sue braccia.
- Non è vero. Non è vero. Era solo uno sporco bastardo. Non è vero. Non è vero. È colpa sua, sua e basta, sua per tutto…
- Ci fu il processo, e poi i media, e i giornali con i loro articoli che io… dovemmo cambiare città, i miei mi mandarono da uno psicologo e ci mandarono anche Gab, anche se lei quel mostro non lo aveva mai conosciuto, e poi decisero che di questa cosa non se ne doveva parlare più, per non turbarci ancora emotivamente. Capisci, Charlie? Ero stata stuprata, quell’uomo si era ucciso, e non se ne doveva più parlare! Mai più! Ti rendi conto?! Con me non affrontarono mai una volta il discorso, uscivano dalla stanza quando la polizia parlava con me, questa storia non la volevano proprio sentire. Io ero stata stuprata e loro non lo volevano sentire. Sai cosa avrei voluto fare? Avrei voluto urlar loro che far finta che non fosse successo nulla non avrebbe cancellato le ferite dal mio corpo, che il loro silenzio non avrebbe fatto tacere i giornali. Avrei voluto gridare, uccidere il mio psicologo, distruggere la mia stanza, io volevo essere ascoltata.
- Amore mio, non sai quanto mi dispiace, ma ci sono io adesso, son contento che tu me ne abbia parlato.
- Non lo sa nessuno, Charlie. Non lo sanno le mie amiche, non lo sa Bill, e nemmeno Gab, non proprio almeno. Promettimi che non glielo dirai, promettimi che non glielo dirai mai, che non lo dirai mai a nessuno.
- Te lo prometto.
Mi asciugai le lacrime.
- Lo sai che cosa volevo fare da grande, quando ero così piccina?
- Che cosa?
- Io, è assurdo lo so, sapevo che era assurdo già da allora eppure, eppure quel che volevo non era fare il dottore, o la veterinaria, o la velina, io volevo, quando erano gli anni del processo e del mio dolore, io volevo, volevo diventare una farfalla, sì una farfalla, per volare via da quello schifo. Via da tutto e tutti. Via per sempre.
Mi sciolsi completamente nel suo abbraccio, e lui mi strinse forte a se. Scostandomi con le labbra i capelli dalle orecchie mi sussurrò, ricordo
: - Lascia che sia io le tue ali.
   
 
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