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Autore: EffieSamadhi    12/05/2011    3 recensioni
[Storia scritta per il contest "Scegli il Cooprotagonista", indetto da Nausicaa Black sul forum di EFP, poi andato a monte per mancanza di partecipanti.]
[Obiettivo del contest: scrivere una ff su un Nuovo Personaggio, scegliendo il coprotagonista tramite una lista di frasi fornite dalla giudice; la frase deve comparire, sotto forma di dialogo o pensiero, e deve essere rivolta al coprotagonista dal nostro personaggio, che deve quindi essere il fulcro della storia.]
Frase scelta: "Lo che a volte ti senti inadatto, sotto pressione. E' la stessa cosa per me, Ron."
[Ho inserito l'avvertimento Lemon, anche se in realtà è presente solo una scena di questo tipo, nell'ultimo capitolo. Il resto può tranquillamente essere letto da tutti.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Sirius Black, Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'Aquila e il Cane, il Cacciatore e il Destino.'
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Vento Di Passione.

12, Grimmauld Place, Londra, agosto 1995

 

            Si svegliò a notte fonda, in preda ai morsi della fame. Non metteva niente nello stomaco dall’ora di pranzo, e per una buona forchetta come lei un digiuno così lungo era a dir poco impossibile da reggere. Frugò nella borsa a tracolla alla ricerca di un vecchio album di fotografie, uno dei pochi oggetti – insieme al proprio manico di scopa, alla lettera con la quale Silente le aveva proposto la cattedra di Babbanologia e alla sua vecchia divisa da Quidditch – che non aveva voluto mostrare a Hermione e Ginny, e tenendoselo stretto al petto si Materializzò in cucina. Sull’ampio tavolo in legno, Molly aveva lasciato una pentola corredata da un messaggio: Per Sofia, se più tardi ti dovesse venire fame. “Oh, Molly…” sussurrò, alzando il coperchio e inspirando il buon odore dello stufato. Lo scaldò in fretta, rispolverando un vecchio incantesimo, e iniziò a mangiare sfogliando l’album, pieno fino all’inverosimile di scatti magici e non. La prima fotografia era stata realizzata con una vecchia Polaroid, proprio il giorno in cui era venuta al mondo. Doveva essere stata un’infermiera a scattarla, perché nella foto comparivano tutti: suo padre, sua madre e i suoi tre fratelli. Sofia sorrise nell’incrociare quel bizzarro ritratto di se stessa, che non poteva nemmeno fissarla di rimando, soffermandosi per più di un istante sulla buffa cuffietta verde – eredità dei suoi fratelli – che le era stata calcata sulla testolina fragile per nascondere la completa assenza di capelli. Capelli che erano cresciuti in fretta, perché nemmeno un mese più tardi – almeno stando a ciò che mostravano le immagini – Sofia mostrava una chioma più folta di quella di Hermione Granger.

            Le fotografie magiche iniziarono a farla da padrona a partire dal 1972, anno in cui Sofia era stata ammessa a Hogwarts. Parecchi scatti la ritraevano in sella al suo manico di scopa, impegnata in una partita a Quidditch, specialmente nei primi tre anni. In molte delle immagini, naturalmente, era presente anche James: capelli perennemente scompigliati, come un gatto centrifugato per sbaglio da una lavatrice Babbana; occhi nocciola, brillanti e incredibilmente sorridenti, anche quando le labbra erano nascoste o assolutamente inespressive. Volendo identificare James Potter con uno stato d’animo, si sarebbe certamente dovuto accostare ad una risata. Risate e un pizzico di sana incoscienza, ecco qual era la natura di James, completamente diversa da quella di Lily, fin dal primo giorno più seria e meno estroversa, ma non per questo schiva. Nessuno aveva mai capito come quei due avessero potuto innamorarsi: forse il temperamento pacifico della ragazza era riuscito a domare quello guerriero di lui, come l’acqua riesce a domare gli incendi. O forse, semplicemente non c’era spiegazione, e quei due si erano innamorati perché quello era il loro destino.

            Sofia finì di mangiare e pulì le stoviglie con un colpo di bacchetta, riponendole poi ciascuna al proprio posto. Con la pancia piena e nessuna voglia di tornare a dormire, continuò a sfogliare le pagine dell’album. Con un sorriso, si fermò su un’immagine scattata il primo settembre 1977, il primo giorno del suo sesto anno a Hogwarts. Suo padre gliel’aveva scattata a King’s Cross, a tradimento, con la stessa vecchia Polaroid usata per immortalare il suo primo giorno di vita, mentre era china sul baule, intenta a controllare che fosse ben fissato al carrello. Quel giorno aveva cambiato tante cose: quel giorno, scendendo dal treno, si era accidentalmente scontrata con Sirius, che in risposta alle sue scuse l’aveva invitata ad uscire. Era iniziata così, tra di loro: un pomeriggio di sole, una visita a Mielandia, una passeggiata per le strade del villaggio e un bacio rubato davanti alla Stamberga Strillante. Sofia se lo sarebbe ricordato per sempre, quel bacio, ma in caso di un’improvvisa amnesia le sarebbe bastato guardare la fotografia di cui le avevano fatto dono Marlene McKinnon e Alice Paciock, che si erano opportunamente Disilluse per seguirli e immortalare quel momento.

            “Come mai sei sveglia?” le chiese una voce roca, la stessa che l’aveva fatta voltare poche ore prima, al suo arrivo a Grimmauld Place.

            “Avevo fame, sono scesa per cenare” rispose, senza voltarsi e senza tentare di nascondere l’album.

            “Molly ti aveva lasciato dello stufato.”

            “Sì, l’ho trovato. È stata gentile. E tu, come mai sveglio?”

            “Sono sceso a prendere un bicchiere d’acqua” rispose Sirius, sedendosi alla sua destra.

            “Potevi Evocarlo” gli fece notare, senza staccare gli occhi dalle fotografie.

            “In realtà, speravo di trovare te.” Sofia alzò finalmente lo sguardo. “Sei sicura di stare bene? Alla riunione eri strana, e poi hai saltato la cena. Tu non salteresti mai un pasto.”

            “Beh, non credevo che incontrare Harry potesse essere così… spiazzante. È stato come guardare Lily e James allo stesso momento. Lui… confonde.”

            “Gli hai parlato?”

            “No. L’ho incrociato nell’ingresso quand’è arrivato, e basta.”

            “Gli parlerai?”

            “Per dirgli cosa? Che sua madre mi dava ripetizioni di Pozioni e che suo padre mi designò come sua erede nella squadra di Quidditch del dormitorio?”

            “Credo che qualsiasi cosa sarebbe abbastanza, per lui” commentò Sirius. “Non sa nulla di loro. Non ha ricordi. Non li conosce. Forse potrebbe conoscerli attraverso i ricordi degli altri…” Fece una pausa e sospirò. “Dev’essere terribile, non avere ricordi dei propri genitori.”

            “A volte è meglio non averne, che averne di dolorosi. E parlo in generale, non solo della propria famiglia.”

            “Beh, in questo Harry è ferrato. Basti vedere l’inferno che ha dovuto sopportare dai Dursley…” ribatté Sirius, con un sorriso.

            Anche Sofia sorrise. “Non lo invidio. Ne ho abbastanza dei miei, di ricordi.”

            “Ti riferisci a Lily e James? Ne vuoi parlare?”

            Sofia scosse la testa. “No, non mi riferisco soltanto a loro. E no, non ne voglio parlare.”

            “Se non ne vuoi parlare, perché stai guardando queste vecchie fotografie?” la interrogò, avvicinando l’album per poterlo osservare meglio. “Il primo giorno del mio ultimo anno” sorrise. “Questa me la ricordo. Mentre scendevi dal treno mi sei venuta addosso. Merlino, non la smettevi di chiedermi scusa. Sembravi Tonks.” Si grattò il mento con due dita. “Per farti stare zitta, ti chiesi di venire a Hogsmeade con me, il primo weekend libero. Ma te lo avrei chiesto comunque, anche se non mi avessi mai investito” specificò. Girò distrattamente la pagina, senza incontrare resistenza da parte della donna. La fotografia scattata da Alice e Marlene catturò immediatamente la sua attenzione: Sirius rimase senza parole, mentre una versione di se stesso più giovane di diciotto anni si avvicinava ad una Sofia molto più timida di quella che gli sedeva accanto, e con la scusa di toglierle un bruscolo dall’occhio poggiava le labbra sulle sue. “Immagino che questo fosse uno dei soliti scherzi di James” osservò, improvvisamente senza voce.

            “No, di Alice e Marlene. Si Disillusero entrambe per seguirci senza essere viste.”

            “Ho sempre pensato che fossero due streghe piene di potenzialità.” Tornò a guardare la donna seduta al suo fianco. “Perché non me l’hai mostrata prima?”

            “Non lo so” rispose Sofia, alzando le spalle. “Forse pensavo che ti saresti arrabbiato. In fondo, Alice e Marlene avevano violato la nostra privacy.”

            “Non esiste privacy, quando porti una ragazza a spasso per Hogsmeade” osservò Sirius, voltando altre pagine. “Come non esiste quando la ragazza in questione stabilisce il record di reti segnate da un Cacciatore in una sola partita, e alla fine dell’incontro salta addosso al proprio ragazzo  senza ritegno” commentò, indicando un’immagine che ritraeva la gioia di Sofia nell’aver stabilito un record che sarebbe stato battuto soltanto molti anni più tardi.

            “Confesso di aver un po’ esagerato, quella volta” ammise lei, voltandosi a guardarlo.

            “Confesso che non mi dispiacque” ribatté lui, alzando a sua volta lo sguardo. “In fondo, tutti sapevano di noi.” Senza pensarci due volte, alzò una mano ad accarezzarle i corti capelli scuri. “Mi sei sempre piaciuta, con questo taglio” sussurrò. “E in tutti questi anni ho sempre sperato che non lo avessi cambiato.”

            “Sirius…”

            “So cosa stai per dire. La notte in cui Lily e James sono stati uccisi ti ho mentito, sì. Ti ho detto che non sapevo chi fosse il loro Custode Segreto, ma invece… invece lo sapevo. Era Peter, ed ero stato io a pregare James di scegliere lui. Scegliere me sarebbe stato scontato, e altrettanto lo sarebbe stato scegliere Remus. Peter non aveva più avuto contatti frequenti con loro, anche se faceva parte dell’Ordine. Tu… tu non sai quanto mi sono detestato, per avergli consigliato Peter. Sarebbe stato più sicuro scegliere Piton, a questo punto.” La mano che ancora accarezzava i capelli di Sofia si scostò bruscamente. “Io… io avevo sopravvalutato Peter. Credevo sarebbe stato disposto a morire per noi, così come noi saremmo morti per lui, e invece…”

            La mano di Sofia scattò avanti senza esitazioni, proprio come aveva fatto quella di Sirius poco prima. “Non devi fartene una colpa, Sirius” gli sussurrò, sfiorandogli una guancia. “Peter ha deciso da solo da che parte stare. Non è colpa tua.”

            “Se non avessi suggerito a James di scegliere Peter, lui e Lily non sarebbero morti. Harry non avrebbe perso i suoi genitori, e io non avrei perso te.” Quella frase valeva quanto i ‘Ti amo’ omessi nei loro quattro anni insieme. Sofia sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime: dunque, nonostante tutto quel tempo, Sirius continuava a pensare a lei? Continuò ad accarezzargli il viso, fin quando non sentì la mano di lui raggiungere la sua. “Dimmi che non ti ho persa, Sofia” le sussurrò, facendosi più vicino. “Dimmi che non ti ho persa, ti prego.”

            “Non… tu non mi hai mai persa, Sirius” rispose lei, la voce mai così bassa prima di allora. Aspettò, completamente immobile, che Sirius si avvicinasse ancora. Le loro labbra si toccarono con dolcezza, quasi con timore, proprio come a Hogsmeade, in quel soleggiato pomeriggio di settembre. Lei schiuse le proprie, lasciandosi sfuggire un sospiro. In quell’attimo comprese che era esattamente come nei romanzi Babbani che aveva letto da ragazza: le labbra di Sirius avevano conservato la delicatezza di un tempo, e i suoi baci continuavano ad essere i migliori che avesse mai ricevuto. Completamente coinvolta da quel bacio, Sofia quasi non si era accorta che una delle mani di Sirius si era poggiata sulla sua schiena, premendovi dolcemente per attirarla vicino a sé. Sapeva che cosa avrebbe dovuto fare: avrebbe dovuto fermarlo, domandargli quali fossero le sue intenzioni… al solo pensiero di fare una cosa del genere, si ritrovò a sorridere. Conosceva le intenzioni di Sirius, e sapeva che non sarebbe mai riuscita a tirarsi indietro. Tuttavia, un improvviso borbottio li costrinse a dividersi. “Oh, certo, il padrone si intrattiene con donne indegne nella casa di sua madre, oh, se la povera padrona potesse vedere, ora sì che lo caccerebbe, questo figlio indegno, questo criminale che mescola il suo sangue puro con il sangue sporco di donne di dubbia…”

            “Questo è Kreacher” sussurrò Sirius, staccando la bocca da quella di Sofia. “Il nostro elfo domestico. Credo sia diventato completamente matto: è rimasto chiuso qui per dieci anni a parlare con il ritratto di mia madre. Beh, nemmeno prima era completamente sano di mente. Kreacher, che diavolo ci fai qui?”

            “Oh, il padrone domanda a Kreacher che cosa vuole, oh, Kreacher vorrebbe rispondere che vorrebbe indietro la padrona, ma Kreacher sa che non può, allora Kreacher dice che niente, stava solo controllando che tutto va bene in casa Black, i Black erano una grande famiglia, i Black sono rispettati, ma il padrone si intrattiene con strane donne…”

            “Kreacher, perché non vai a dormire?”

            “Oh, sì, Kreacher farà come dice il padrone, quel farabutto, farà così, andrà a dormire e a sognare la padrona, lei sì che era buona con Kreacher…” continuò a borbottare l’elfo, lasciando la stanza.

            “Era decisamente molto devoto a mia madre. Credo che avesse una cotta per lei…” osservò Sirius, seguendo con lo sguardo l’uscita di scena dell’elfo. Tornò a guardare Sofia, ancora seduta al suo fianco, ancora a pochissimi centimetri da lui. “Sei bellissima, lo sai?” le sussurrò, sfiorandole una guancia con la punta delle dita. “Sei diversa da come ti ricordavo, ma sei sempre bellissima.”

            “Certo che sono diversa. Non ci vediamo da quattordici anni.”

            “Perché continui a ricordarmi quanto tempo è passato?”

            “Ho paura che tu possa dimenticartene.”

            “Non potrei. Ti amavo, e sono stato costretto a lasciarti. Ho perso il conto di quante volte ho immaginato di averti perduta, di quante volte mi sono convinto che mi avessi dimenticato, che avessi ricominciato con un altro… ma era più facile pensare che non mi amassi più, piuttosto che immaginarti triste a causa mia.” L’attenzione di Sofia aveva rischiato di vacillare nei dintorni della quarta parola, quando Sirius era andato vicino a dare un nome a tutto ciò che non aveva mai osato nominare prima. Improvvisamente, si sorprese ad arrossire: c’era stato qualcuno, in quei lunghissimi quattordici anni che separavano Little Hangleton da Grimmauld Place, e uno di questi era il suo migliore amico, Greg8, con il quale aveva condiviso la passione per il Quidditch e ben ventidue mesi della propria vita. C’era stato qualcuno nel suo letto, sì, ma il suo cuore era sempre appartenuto ad un solo uomo: lo stesso che la stava fissando, accarezzandola con lo sguardo nello stesso modo in cui l’avrebbero accarezzata le sue mani.

            “Ci ho provato” ammise, la voce spezzata dall’imbarazzo. “Sono uscita con altri uomini, in questi anni.”

            “Non ti biasimo. Non eri chiusa in una cella.”

Io ti perdono, le stava dicendo. Le perdonava qualcosa per cui lei non aveva nemmeno chiesto scusa. “Forse la mia prigione era diversa dalla tua” sospirò, “ma era pur sempre una prigione. Diciotto anni fa ti ho dato il mio cuore. Non me lo hai mai restituito.”

“Non me lo hai mai chiesto indietro” fu il commento di lui.

Sofia alzò la testa, e per la prima volta dopo tanto tempo guardò dritta nei suoi occhi grigi, senza paura e senza imbarazzo. “Non ho nessuna intenzione di farlo” confessò, a voce bassa, incredibilmente sicura di quanto stava dicendo. Negli occhi grigi di Sirius parve accendersi una scintilla, come se qualcuno lo avesse improvvisamente svegliato da un lungo sonno con un scossone. Avvertì una strana sensazione, come un nodo in gola, qualcosa che non aveva mai sentito prima d’allora: come se Malocchio gli avesse assestato un poderoso pugno all’altezza dello stomaco, lasciandolo senza fiato. Era questo, dunque, ciò che aveva provato James quando Lily aveva accettato di uscire con lui? Quando aveva accettato di sposarlo? Quando gli aveva detto di essere incinta? “T-ti… ti senti bene, Sirius?” gli domandò Sofia, vagamente preoccupata da quel silenzio.

“Io…” iniziò, titubante, improvvisamente insicuro come mai era stato in vita propria, “io credo di essermi innamorato di te.” Un sorriso confermò la confessione. “E sono contento che Silente ti abbia fatta restare qui. E credo… credo sia ora di andare a letto” concluse, alzandosi.

Il vuoto improvviso alla sua destra la spiazzò, forse ancora più di quanto avesse appena sentito dire. Si alzò e prese l’album, stringendoselo forte al petto. Lasciarono la cucina insieme, senza parlare, entrambi ugualmente sconvolti dall’incredibile numero di confessioni che si erano scambiati. Salirono le scale in sincronia, un gradino dopo l’altro, senza riuscire a lasciarsi alle spalle nemmeno una tra le mille parole dette quella notte. Raggiunsero il primo piano, Sirius si fermò, la mano aggrappata alla porta della propria stanza. Allungò l’altra verso Sofia, la lasciò cadere a metà percorso. Se la portò davanti alla bocca, come a volersi nascondere. “Io… Merlino, mi sento così in imbarazzo. Ho… ho detto cose che… che non pensavo avrei mai detto.” Sorrise. “Ma ti immagini? Sirius Black nervoso… e non ho nemmeno detto tutto quello che volevo dire.”

“Perché, c’è dell’altro?” gli domandò Sofia, sorridendo a sua volta.

“Vorrei… ah, lascia stare. Probabilmente perderesti quel poco di fiducia che hai riacquistato in me.”

“Dimmelo, dai. Che c’è?”

Sirius sospirò, passandosi la lingua sulle labbra, un po’ per inumidirle, un po’ per prendere tempo. Indicò l’album. “Posso?” Sofia glielo porse, e lui prese a sfogliarlo nervosamente fino al giugno 1979. Indicò una fotografia scattata con una Polaroid, alla stazione di King’s Cross, in un caldo giorno di inizio estate. Sofia la riconobbe subito: l’aveva scattata suo padre, il giorno in cui era definitivamente tornata a casa da Hogwarts, diplomata e pronta a gettarsi nel mondo reale. L’immagine era tipicamente Babbana, e la Sofia diciottenne che vi era ritratta era immobile: immobile tra le braccia di Sirius, felicemente pietrificato quanto lei, il naso e le fronti a pochi centimetri di distanza, le labbra di entrambi dischiuse in un sorriso. “Ti ricordi?” le domandò.

Sofia non staccò gli occhi dall’immagine nemmeno per un istante: ricordava, sì. Ricordava del modo in cui si era letteralmente gettata giù dal treno, sotto gli sguardi invidiosi delle altre ragazze, per correre ad abbracciare il suo fidanzato. Ricordava del modo in cui lui l’aveva stretta, ricordando a tutti che lei gli apparteneva, e che lui apparteneva a lei. Ricordava quella stupida Polaroid, sempre pronta ad immortalare i momenti meno opportuni. Ricordava di quella notte, quando si erano Smaterializzati in Cornovaglia, e sotto la luce delle stelle avevano fatto l’amore per la prima volta. “Sì, mi ricordo. Mi ricordo tutto” specificò, alzando gli occhi e badando di tenere la voce bassa, per non rischiare di svegliare nessuno. “Ricordo tutto” disse ancora, sperando che lui cogliesse quella particolare sfumatura.

“Anche tu? Anch’io ricordo tutto” rispose lui, dandole ad intendere di ricordare davvero ogni dettaglio di quella giornata.

“Sirius?” disse lei, dopo un breve silenzio.

“Sì?” Erano di nuovo vicini, l’album di nuovo sigillato. Potevano avvertire l’uno il respiro dell’altra, potevano di nuovo guardarsi negli occhi, lasciando stare tutto il resto.

“Voglio ricordi nuovi.”

Sirius avvertì di nuovo quella strana sensazione, come se improvvisamente qualcuno gli avesse svuotato i polmoni, come se Hagrid gli avesse appena dato una delle sue celebri pacche sulle spalle. “Ricordi nuovi?” domandò, con la splendida certezza di quanto Sofia avesse inteso dire con quella frase.

“Ricordi nostri” disse lei, distogliendo lo sguardo e arrossendo appena, come era accaduto spesso nei primi tempi della loro relazione.

Sirius sorrise, reprimendo una risata che avrebbe svegliato tutta la casa. Lasciò morire l’ilarità sulle labbra di lei, tirandosela vicina in fretta, quasi con urgenza, come se dopo quattordici anni un minuto potesse fare la differenza. La strinse a sé il più possibile, avvertendo tra loro l’ingombrante presenza dell’album. Schiuse le labbra, cercando di catturare il suo respiro, cercando di recuperare il tempo perso, cercando di renderla di nuovo sua. Un rumore di passi li divise, lasciandoli immobili a fissarsi, decidendo cosa fare. I passi si avvicinavano, il rischio di essere scoperti cresceva.

Sirius fu il più veloce a reagire: aprì la porta della propria stanza e tirò dentro Sofia, che nella concitazione del momento mollò la presa sull’album, facendolo cadere. I passi si fermarono, indugiando al centro del corridoio. Seguì il noto fruscio di un libro che viene raccolto da terra, poi un rumore di pagine sfogliate. Sirius e Sofia erano in attesa: lei, con la schiena appoggiata alla porta, e lui davanti a lei, le mani all’altezza delle sue spalle, quasi a volerla imprigionare, quasi temesse una sua fuga. Avevano entrambi il fiato corto, come reduci da una lunga corsa, imbarazzati come due adolescenti quasi scoperti dai genitori. Ricominciarono i passi, diretti verso il piano inferiore: erano troppo pesanti per appartenere all’elfo domestico, ma troppo leggeri per appartenere ad un adulto. Sofia si voltò verso la porta chiusa, come per guardarsi indietro, come a voler protestare, come a pretendere la restituzione del maltolto. Ma voltare la testa significò offrire il collo a Sirius, che senza preavviso vi poggiò le labbra, sospirandovi contro. Sofia chiuse gli occhi, lasciando che un brivido le attraversasse la schiena. Nella penombra della stanza, le sue mani salirono a cingere le spalle dell’uomo, invitandolo tacitamente a continuare. Il sospiro si mutò  in un bacio, che dall’incavo tra il collo e la spalla salì alla mandibola, sfiorò la guancia e arrivò alle labbra, tornando a ricoprirle completamente.

Finalmente liberi dall’impaccio dell’albo che, tra tante, raccontava anche la loro storia, Sirius e Sofia si avvicinarono di più, facendo aderire i loro corpi l’uno all’altro. Le mani di Sirius scivolarono dalle spalle ai fianchi, racchiudendoli con delicatezza, nello stesso modo in cui succedeva in passato, e di lì iniziarono quasi subito una lenta risalita, infiltrandosi sotto la blusa dal taglio maschile indossata da Sofia: avvertì le lunghe dita di Sirius sfiorarle il ventre, e dopo quelli che parevano giorni interi, arrivare al seno, senza tuttavia soffermarcisi a lungo, e poi ridiscendere, impossibili da fermare. Quelle stesse dita separarono ogni bottone dalla corrispondente asola, decise più che mai a scoprirla. Sofia percepì di nuovo il loro calore pochi istanti più tardi, quando le cinsero la vita, finalmente senza impedimenti, mentre la bocca di Sirius lasciava la sua per scendere verso il seno. Con un sospiro, abbassò lo sguardo e spostò le mani, raggiungendo il torace dell’uomo. Costringendolo a baciarla ancora, si accanì contro la sua camicia, slacciando in fretta ogni bottone.

Nel trovarselo davanti così, mezzo spogliato, Sofia trattenne a stento un sussulto: Sirius era magro, troppo magro. Aveva sempre avuto un fisico piuttosto asciutto, ma così era davvero eccessivo. Si sentiva quasi in colpa nell’ostentare un corpo diametralmente opposto: non che fosse grassa, ma non era mai stata nemmeno un’acciuga. “Che ti è successo?” sussurrò, senza riuscire a trattenersi dall’accarezzargli l’addome, avvertendo la sagoma delle costole sotto le dita.

“Il servizio mensa di Azkaban non è esattamente lo stesso di Hogwarts” scherzò, prendendole il viso tra le mani. “Ma non ti preoccupare, sto recuperando: svolgo una regolare attività fisica e Molly mi rimpinza come un Vermicolo. Tornerò quello di prima” aggiunse, prima di baciarla. Sofia gli fece scivolare le mani sulla schiena, sfiorandogli la spina dorsale con le punte delle dita. Si chiese come gli fosse possibile non soffrire il freddo, con un fisico in apparenza tanto debole. Si rimangiò il dubbio nell’istante in cui i loro corpi tornarono a combaciare, permettendole di avvertire la sua reazione, tanto esplicita quanto condivisibile. Stese le braccia per spogliarsi della blusa, domandando poi a lui lo stesso sforzo. Sentì le mani di Sirius scendere lungo la sua schiena scoperta, esercitando poi una pressione più forte sul fondoschiena: gli strinse le spalle, garantendosi un appoggio, e poi rispose a quella silenziosa richiesta, lasciandosi sollevare tra le sue braccia e allacciandogli le gambe alla vita. Così legati raggiunsero il letto, ancora fatto ma un po’ sgualcito, esattamente quanto la camicia di cui Sirius era appena stato spogliato, indice del fatto che il proprietario non vi aveva dormito – e che, visto come si stavano mettendo le cose, per un po’ ancora non vi sarebbe riuscito. Adagiò Sofia sul soffice materasso, abbassandosi per baciarla ancora, raggiungendo con una mano i pantaloni. “Toglimi una curiosità” le sussurrò, nella pausa intercorsa tra due baci, “perché non ti vesti come tutte le altre streghe?”

“E somigliare alla McGranitt?” scherzò lei, aspettando che la cintura di lui entrasse nel proprio raggio d’azione. “Neanche per sogno, ci tengo alla mia immagine.” Si tirò a sedere, issandosi contro i cuscini, cercando di facilitargli il compito. Sollevò il bacino e sentì la stoffa scivolare via con grazia, scoprendole a poco a poco le gambe. Sirius non applicò la medesima pazienza a se stesso: non lo aveva mai fatto, e nel rendersi conto che questo aspetto di lui non era mutato, Sofia si sorprese a sorridere. Lo osservò attentamente mentre si spogliava in fretta, mordicchiandosi il labbro con più forza ad ogni centimetro di pelle che si rivelava alla luce fioca che rischiarava la stanza. Tuttavia, non ebbe il tempo di osservarlo, perché quasi immediatamente Sirius tornò sul letto, ricoprendola di carezze, dalle gambe risalendo fino al ventre, fino a tornare al seno e al viso, che baciò con rinnovata dolcezza. Scostò le lenzuola e la aiutò a distendersi, impegnandosi poi a liberarla dalla biancheria, la sola cosa che ancora impediva ai loro corpi di toccarsi davvero.

Rimasta completamente nuda di fronte all’uomo che non aveva mai smesso di amare, Sofia ebbe un attimo di smarrimento, ma dopo un respiro profondo si rese conto di essere pronta a diventare di nuovo la ragazza di un tempo, quella che arrossiva per uno sguardo e che si faceva confondere da un’unica, fugace carezza. “Posso ancora fermarmi, se vuoi” le sussurrò Sirius, di nuovo a stretto contatto con il suo collo.

“Tu parli sempre nei momenti sbagliati, Black” sorrise lei di rimando, inarcando la schiena per sfiorargli il bacino.

Con un sorriso, Sirius tacque e scivolò avanti, lasciando che il corpo di Sofia lo accogliesse lentamente. Un lieve gemito da parte della donna lo indusse a fermarsi, assaporando quell’istante a fondo, cercando di riportare alla mente le sensazioni di un tempo. Premendogli con forza le mani sulle spalle, Sofia gli domandò di tornare ad essere sua, per quella notte e per tutte quelle che sarebbero seguite. Sirius acconsentì alla richiesta celata da quella stretta così intensa, e puntellandosi sulle braccia magre, eppure incredibilmente forti, si spinse più a fondo in lei, risvegliando in entrambi l’antico sentimento. Si riabbassò su di lei, accarezzandola con le dita e con le labbra, senza interrompere i propri movimenti, cogliendo ogni sospiro e ogni gemito come un invito ad amarla di più. Non esisteva più il tempo, non esisteva Voldemort, non esisteva l’Ordine della Fenice, il figlio dei loro migliori amici non stava dormendo al piano di sopra e non c’era un elfo mezzo matto a piede libero. Esistevano soltanto loro, Sirius e Sofia, stretti in un abbraccio la cui magia superava di gran lunga gli incantesimi più potenti.

 

Fin dall’inizio della sua prigionia, Sirius si era accorto di non riuscire più a dormire serenamente come un tempo: spesso, durante la notte, si scopriva improvvisamente sveglio e vigile, tutti i sensi all’erta per cogliere ogni possibile pericolo. Soltanto nell’ultimo periodo, una volta sistemato al Quartier Generale, aveva potuto ricominciare a dormire senza temere di essere improvvisamente catturato. Quella notte, però, non ci riusciva: non aveva dormito prima, scosso dal ritorno della donna che aveva amato, e non riusciva a dormire adesso, spaventato all’idea che tutto ciò che era successo potesse essere etichettato come un errore, o che, ancora peggio, potesse rivelarsi tutto un sogno.

Mentre fissava le ante del proprio armadio, ricoperte di gagliardetti con i colori di Grifondoro e poster Babbani, Sirius fu distratto da un leggero rumore di passi che risalivano dal piano inferiore, e immediatamente realizzò che doveva trattarsi della stessa persona scesa qualche ora prima. Si alzò dal letto con cautela, badando a non svegliare Sofia – il cui sonno sembrava non aver subito alcuna modifica nel corso degli anni, al contrario del suo –, e si avvicinò alla porta, tendendo l’orecchio per percepire ogni scricchiolio. Attese il completo silenzio, poi aprì con circospezione l’uscio. Il corridoio era deserto, fatta eccezione per l’album di Sofia, compostamente abbandonato sul pavimento, davanti a lui. Sirius gettò un’occhiata ai due lati del corridoio, ben sapendo che avrebbe visto nessuno, poi raccolse l’albo.

Richiudendo la porta, notò la presenza di un angolo spiegazzato, un impercettibile difetto che prima non c’era, forse dovuto ad una chiusura troppo precipitosa della copertina. Lo sfogliò fino alla pagina in questione, dedicata al giorno delle nozze di Lily e James. Era una foto Babbana, una di quelle che Sofia amava tanto, e che lui non era mai riuscito ad apprezzare a dovere. Era in bianco e nero, il che rendeva tutto molto più malinconico e lontano nel tempo. L’impronta piuttosto chiara di un dito indice sul vestito bianco di Lily e una macchia umida sulla pergamena della pagina gli rivelarono, senza ombra di dubbio, l’identità dell’insonne. “Harry…” sospirò, lisciando l’angolo sgualcito e richiudendo i ricordi là dove sarebbero rimasti: nel passato.

Lasciò l’album sulla scrivania e si rimise a letto, senza smettere di guardare Sofia: senza nemmeno averne l’intenzione, aveva rivelato a Harry molto più di quanto lui avrebbe mai osato domandare. Mentre la stringeva tra le braccia, uno strano senso di spossatezza lo colse: improvvisamente, seppe che non si trattava di un sogno, né tantomeno di un errore. Sofia era tornata, e tutti insieme avrebbero potuto cambiare il mondo.

 

 

 

8Greg – Personaggio inventato da me, non presente nella saga. Nato nel 1961, frequenta Hogwarts insieme a Sofia; Cacciatore per Grifondoro, diventerà poi titolare dei Cannoni di Chudley e della Nazionale inglese, e per un periodo sarà anche il fidanzato della protagonista di questa storia.

   
 
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