L’Oscura Parvenza
-Capitolo 6-
Terraferma
Viaggiarono seguendo il profilo della costa per alcuni
giorni, e Kay sentiva che dentro di lui l’ansia cresceva, la preoccupazione per
la sua famiglia aumentava. Chissà se l’Oscura sapeva che era sopravvissuto e
che aveva il pugnale. E cosa aveva fatto e sua moglie e sua figlia?
–Lo Splendente veglia su di noi.- Disse Reydhan senza
sapere i pensieri del compagno. –Ha
capito che stai facendo del bene, e ci ha voluti aiutare. Non hai visto che
pesca copiosa abbiamo avuto e che non abbiamo incontrato tempeste?- Era molto
felice, ma capì subito che Kay aveva pensieri abbastanza tristi. –A cosa pensi,
Isolano?- Chiese. –Ora che stiamo tornando sulla tua Terra, hai paura?-
-Non ho paura. Sono semplicemente preoccupato per Kayleen
ed Aileen.-
Reydhan lo guardò spalancando i suoi grandi occhi verdi.
-E’ vero, scusami.- Riprese Kay. –Tu non le conosci. Sono
mia moglie Aileen, e mia figlia Kayleen.-
-Perché tua figlia porta il tuo stesso nome?- Domandò il
Celato dopo un po’.
-E’ una tradizione del mio Popolo. “Leen” significa “Dea”
nell’antica lingua, e aggiunto al nome del padre, significa “La dea di Kay”. Si
usa per tutte le primogenite femmine. Come mia moglie, suo padre si chiamava
Ai.-
Reydhan ascoltò attento la spiegazione, ma poi distolse
lo sguardo da Kay, i cui occhi brillavano a parlare della famiglia. Lui era
orfano da quando aveva dodici anni, ed era cresciuto da solo, isolato dal suo
stesso Popolo.
Guardava mestamente la costa sfilare alla loro sinistra,
mentre Kay fissava distrattamente l’acqua del mare. Trai due era calato un
profondo silenzio.
Dopo alcuni minuti, i brillanti occhi di Reydhan scorsero
un cambiamento nella monotonia del paesaggio. Le scogliere si erano abbassate
degradando dolcemente fin dalla loro partenza, ma ancora non avevano scorto
nessuna spiaggia. Fino ad allora, perché la scogliera alta e ripida finiva in
quel momento, nascondendo e proteggendo un piccolo golfo e una breve spiaggia
sabbiosa. –Guarda, Kay! Guarda!- Urlò, puntando il dito verso la spiaggia.
Allora anche Kay si voltò a guardarla, e vide come in un miraggio, due irte
scogliere che cingevano la spiaggia come in un abbraccio materno, e aldilà
della sabbia, immersa nella foschia del primo mattino, alcune basse montagne, e
una vasta campagna erbosa. Il suo cuore accelerò improvvisamente, rischiando di
scoppiargli in petto. Ce l’avevano fatta, e sua moglie e sua figlia erano lì,
da qualche parte.
Lo spazio navigabile del golfo era ancora sgombro perché
era quasi metà mattina quando vi entrarono, e tutti i pescatori che lo
abitavano erano già nelle loro case. Ad ovest sulla spiaggia, infatti, sorgeva
un piccolo villaggio di non più di una decina di case, costruite direttamente
sulla sabbia.
Quando portarono la barchetta in secca, a Kay tremarono
le gambe. Non si ricordava più la terraferma, e dovette impiegare alcuni istanti
per abituarsi a camminare di nuovo, e soprattutto su qualcosa di immobile.
-Quasi mi dispiace lasciare la barca …- Mormorò Reydhan quando
la nascosero tra gli scogli ai piedi della scogliera.
-E’ stato proprio un bel viaggio.- Assentì Kay. –E anche
grazie a te.-
Reydhan non rispose, ormai ne aveva sentite molte di
quelle lodi. Non gli piaceva, principalmente perché non ne era abituato. Tra il
Popolo Celato aveva sentito sempre e solo prese in giro.
-Ora che cosa facciamo?- Domandò dopo un po’ per rompere
il silenzio.
-Credo che sia meglio che tu rimani qui.- Propose Kay.
–Attiri troppi sguardi, e sai quanto i marinai sono superstiziosi …- Cercava di
buttarla sul ridere, ma anche a lui dispiaceva dover lasciare Reydhan, anche se
per poco. Soprattutto non gli andava di fargli pesare la sua diversità. –Ti
comprerò dei vestiti e un mantello con cui coprirti. Non so se qui c’è
un’armeria, ma cercherò anche delle frecce, e una spada.-
Reydhan, scoraggiato, si lasciò cadere a terra in una
macchia d’ombra, nascosto dagli scogli. –Fai in fretta.- Si raccomandò,
visibilmente contrariato, ma sicuro che Kay avesse ragione.
Il Guerriero non aggiunse altro, e si avviò verso il
piccolo villaggio.
Reydhan quindi, si ritrovò da solo. Di nuovo, solo. Dopo che era arrivato Kay non pensava quasi più al
suo Popolo, perché tutto quello che voleva era lasciarlo, ma adesso era molto
spaventato dall’Isola Universale. Tutta quella luce gli feriva gli occhi, per
questo aveva cercato l’ombra, e anche se a Kay non l’aveva detto, aveva paura a
stare da solo. Tutta quella luce, quegli spazi sconfinati che i suoi occhi
abbracciavano, lo facevano sentire a disagio. Era come se mille e più occhi lo
stessero guardando, studiando. Si sentiva terribilmente scoperto e piccolo, e
un po’ rimpiangeva le familiari grotte, di cui conosceva a memoria ogni singolo
angolo. Lui era una creatura del buio; solo nell’oscurità si sentiva completamente
protetto.
Nel bel mezzo dei suoi pensieri, si tirò una manata sulla
fronte. “Che razza di esploratore sei, se hai paura di stare solo?” Si disse
con rabbia.
Incrociò le braccia sul petto, e provò a concentrarsi sui
vecchi incantesimi che gli avevano insegnato i Celati. Aveva studiato con un
mago e con un guerriero, cosa che di norma non si doveva fare: o si era maghi,
o cacciatori. Ma lui voleva essere un esploratore, così di nascosto sia da uno
che dall’altro, aveva preso lezioni; e sapeva sia combattere discretamente, che
fare delle magie.
Lo fece solo per agevolare Kay. Si concentrò, e cominciò
a recitare l’incantesimo.