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Autore: nitro    26/05/2011    2 recensioni
Questa storia ha partecipato al concorso "What if..e se fosse andata in un altro modo?" organizzato da Dark Iris91, classificandosi prima a pari merito.
Nelle ultime pagine del libro "Eclipse" si vede Jacob scappare lontano dalla riserva e da Bella, senza una meta precisa. E se il suo cammino trovasse una meta? E se Billy lo trascinasse in un viaggio oltreoceano?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
Capitoli:
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C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce. (Leonard Cohen)
 

La prima cosa che vidi furono i suoi occhi. Due enormi zaffiri brillavano alla luce del crepuscolo perenne. Le iridi assomigliavano alla superficie di un lago cristallino, sul cui fondo erano sparpagliati i giacimenti della pietra Turchese. Le pagliuzze celesti illuminavano un viso ovale e perfetto. La carnagione pallida risaltava ancor di più gli occhi meravigliosi di quella fanciulla.

I lineamenti delicati non erano quelli di una bambina. Ero di fronte ad una ragazza che ormai aveva superato da un pezzo l’età dell’adolescenza.
 

Mi accorsi che la stavo fissando in maniera troppo insistente e abbassai lo sguardo imbarazzato.
 

Mio padre si era riferito a lei come a una bimba piccola e nella mia mente mi ero creato un’immagine che non corrispondeva alla realtà. Mentre mi ripromettevo di maledire Billy per aver omesso quel piccolo particolare, cercai nella mia mente il nome di quella ragazza che sicuramente mi era stato detto e cui non avevo prestato molta attenzione. Dovevo rimediare alla frase infelice con cui avevo esordito.
 

Per quanto mi fossi sforzato, non riuscii a ricordare come si chiamasse.
 

La ragazza si alzò in piedi con un agile balzo e mi squadrò da capo a piedi.
« Jacob Black, immagino ».
Evidentemente lei possedeva una memoria migliore della mia.
Stava di fronte a me con le braccia conserte e attendeva una risposta. Si era sistemata sopra un grosso masso per potermi guardare dritto negli occhi e sfoggiava uno sguardo fiero e altezzoso.
Osservai meglio il suo viso. Non c’erano segni di sofferenza sulla sua pelle diafana, le labbra sottili erano incurvate in uno strano ghigno. Non era l’espressione che ci si aspetta di vedere sul viso di una persona rimasta improvvisamente orfana.
« Hai intenzione di rimanere lì impalato? Sembri sconvolto ».
Provai a risponderle ma riuscii soltanto a balbettare. Mi sentivo un perfetto idiota. Respirai a fondo e finalmente riuscii a replicare a tono.
« Credevo fossi una bambina. Sono rimasto sorpreso, ma forse non mi sbagliavo del tutto… »
Scosse la testa e le sue labbra si aprirono in una debole risata. « Io me ne torno a casa ».
Mi passò accanto e mi lanciò uno sguardo severo da oltre il cappuccio peloso. Sentii nuovamente quel dolce profumo di rosa. Trovai incredibile che un odore così dolce provenisse da un essere così… acido.
L’aggettivo giusto da attribuire a quella ragazza era “acido”.
La ragazza si mise a correre e sparì nella foresta.
Sentii le mie labbra aprirsi in un lieve sorriso. Quel breve scambio di battute mi aveva divertito.
Mossi velocemente le mie gambe attraverso gli alberi e la raggiunsi in pochi secondi. Rallentai il passo per poterle stare accanto. Soltanto in quel momento mi resi conto di quanto fosse minuto il suo corpo, il suo viso arrivava a stento al mio petto.
Una domanda continuava a volteggiare nella mia mente, ma non aveva ancora trovato risposta.
« Posso sapere il tuo nome, piccolina? »
Volevo finalmente dare un appellativo a quell’essere tanto particolare.
Non mi guardò, continuò a concentrarsi sul sottobosco davanti a sé, ma disseminò nel vento una parola che non riuscii a cogliere con precisione.
Rikke.
Dalla casa del capo villaggio proveniva un buonissimo odore di carne ai ferri. Mi precipitai dentro precedendola.
Lei entrò e scambiò un paio di parole con Arnulf. Parlarono nella loro lingua e non riuscii a capire ciò che dicevano, ma sicuramente lei fece qualche osservazione su di me, perché Merlino mi guardò e rise, esponendo una dentatura ormai consumata dal tempo.
Quando si tolse il cappuccio della pelliccia, rimasi sconcertato per la seconda volta da quando l’avevo vista, e la conoscevo soltanto da poche decine di minuti.
I suoi capelli si liberarono dall’indumento e scesero sinuosamente fino a posarsi sui suoi fianchi. Erano lunghi e incredibilmente lisci, di una tonalità di biondo che non avevo mai visto nella mia vita. Quella gradazione di colore aveva in sé qualcosa di bianco e meraviglioso che ricordava il colore della corolla delle calle.
Quei capelli così chiari incorniciavano l’ovale pallido del viso e facevano risaltare i suoi occhi, come due gioielli scolpiti nel zaffiro e abbandonati sulla neve.
Quelle iridi così fredde mi riportarono sulla terra, nella cucina di Arnulf. Quegli occhi mi stavano letteralmente fulminando, mi bruciavano in un modo in cui solo il ghiaccio riesce a fare.
Sentii le mie guance avvampare e abbassai di nuovo lo sguardo a terra. Perché non riuscivo a sostenere quello sguardo?
Quella ragazza emanava luce. Splendeva di luce propria come un a stella nel firmamento, e i suoi occhi erano due stelle ancora più belle.
Mio padre entrò dalla porta sul retro, non mi ero nemmeno accorto che non era in cucina.
« Che il Grande Spirito mi fulmini! Sei diventata una donna bellissima! Ovviamente non ti ricordi di me, ma quando sei nata, sono venuto in Norvegia a trovare tuo padre e ti ho stretto con queste grosse braccia! Eri così piccola! »
Cosa diavolo stava facendo mio padre? Il mio morale, che aveva già toccato livelli infimi, sprofondò nell’imbarazzo.
La ragazza non sembrò infastidita dalle sue parole, gli sorrise e gli strinse la mano.
« Non è l’unico a pensare che sia ancora una bambina ».
La frecciatina giunse alle mie orecchie in fiamme e mi pungolò.
Durante la cena Billy e Arnulf parlarono a lungo di ciò che era successo e di come avrebbero dovuto sistemare gli affari in sospeso del clan.
Arnulf menzionò la lettera di Harald e concordò che la ragazza sarebbe stata meglio con Billy. Lui era vecchio e non sarebbe riuscito a prendersene cura. Harald credeva che affidarla a una tribù simile alla loro fosse la cosa migliore per la figlia.
Quando i due menzionarono l’affidamento e la prospettiva di lasciare la Norvegia, il viso della ragazza si turbò e per un momento perse la sua luce.
Per tutto il pasto avevo cercato di concentrarmi sul mio piatto e di non alzare lo sguardo su di lei ma in quel momento mi sentivo come calamitato dalla sua espressione triste.
I suoi occhi incontrarono i miei e mi maledirono di nuovo.
Si alzò da tavola e si congedò.
« La mia casa è quella in fondo alla strada. Billy, ho preparato la stanza degli ospiti, Jacob può dormire sul divano ».
Uscì dalla casa del vecchio e portò con sé l’odore di rose.
« Cosa le hai fatto? Ha appena perso i genitori e tu la infastidisci? » mio padre era furioso. Mi guardava con occhi truci e assassini.
Stavo per giustificarmi e avvertirlo che non mi era apparsa così turbata, ma Arnulf parlò prima di me.
« Billy, non prendertela con il ragazzo. Rikke è sempre stata una ragazza dura. Non sa ancora come affrontare questa situazione e non è abituata a stare con ragazzi estranei al clan. Jacob rappresenta il mondo che dovrà affrontare, quando sarà strappata alla sua terra ».
Mio padre si calmò ma continuò a guardarmi severamente.
Roteai gli occhi e guardai fuori dalla finestra.
Rikke…allora quella parola soffiata nel vento era il suo nome.
Erano le due di notte, ma il Sole era ancora ben visibile all’orizzonte. Mi chiesi se il mio cervello si sarebbe mai abituato a quegli strani ritmi.
Sentii un rombo di motore provenire dalla fine della strada. Le mie orecchie addestrate riconobbero il canto di una vecchia Harley Sportster.
Possibile che quella ragazzina guidasse una moto?
Le mie labbra si curvarono in un ghigno.
Aiutai a mettere a posto le stoviglie e poi sospinsi la carrozzina di mio padre fino alla casa dei Ulvensonn. Era uguale alla casetta di legno di Arnulf, solo più grande e con più stanze.
Non avevo voglia di dormire. Buttai la maglietta sul divano e mi legai i jeans attorno alla caviglia.
La foresta mi aspettava.
Il vento ululava forte tra gli alberi e le mie orecchie animali mi aiutavano a percepire ogni singolo fruscio creato dalle foglie. La musica del bosco ritmava la mia corsa e i profumi degli arbusti riempivano i miei polmoni di aria pulita.
Corsi per ore cercando di svuotare la mia mente, ma il viso di Bella tornava sempre a tormentare i miei pensieri.
Aveva preferito lui, aveva scelto la morte eterna al posto della vita meravigliosa che avrei potuto offrirle.
Una fitta di dolore scosse il mio petto e fui costretto a fermarmi. Il terriccio sotto le mie zampe era umido, brumoso come il mio animo.
Mi ero ritrovato a pensare all’imprinting una miriade di volte. Se fossi stato colpito da quella forza misteriosa, avrei potuto legare a me la mia Bella e renderla incapace di amare chiunque altro. In seguito a quello che era successo, invece, non mi restava che pensare all’imprinting come alla forza che mi avrebbe permesso di dimenticarla.
Il mio cuore sarebbe mai riuscito a guarire? Avrebbe mai distrutto la dura corazza che si era costruito attorno?
Mossi le mie zampe lentamente e raggiunsi una piccola radura. Mi accucciai sul prato e lasciai che il vento mi lisciasse il pelo rossiccio sulla schiena.
I miei occhi furono attratti da un piccolo grappolo di fiorellini che, come me, si lasciavano cullare dalla brezza.
I petali di quei gioielli naturali erano di un blu molto intenso, con delle sfumature celesti sui bordi.
La mia immaginazione corse veloci al mare, alle onde che scrosciavano poco lontano da quella radura. Il suono raggiungeva le mie orecchie, calmo e rilassante. Quell’acqua cristallina era blu come i fiorellini che mi facevano compagnia, celeste come il cielo sereno, azzurra come i due zaffiri che illuminavano il viso di Ricky.
Mi misi seduto, appoggiato sulle zampe anteriori.
Perché mai le mie riflessioni erano volate fino a lei?
Persino i fasci di luce che filtravano dalle fronde mi ricordavano lei e i suoi capelli chiari, quasi bianchi, che possedevano una luminosità incredibile.
Il ritmo del mio cuore aumentò; la testa mi girava. Sentii un rumore sordo, come un tonfo all’altezza del petto. Il sangue pompava potente nelle mie arterie, incrinò la dura corazza che rivestiva il mio muscolo cardiaco fino ad aprirsi un varco in esso.
La crepa era stata aperta. Quella luce era riuscita a farsi strada dentro di me.
Non avevo voluto ammetterlo prima, ma quando si era girata verso di me su quella scogliera, per una frazione di secondo, avevo sperato che la sensazione di vuoto che si era cerata nel mio stomaco fosse proprio l’imprinting che avrebbe cambiato la mia vita.
I battiti incessanti tormentavano le mie tempie, che pulsavano senza pietà.
La mia forma di lupo non era in grado di gestire il turbine di emozioni che mi stava lacerando.
Mutai in forma umana e corsi verso la scogliera. Quella radura aveva cominciato a darmi un senso di claustrofobia insopportabile.
L’immensità del Mar Glaciale Artico riuscì a sedare l’ansia. Sorrisi a quella distesa d’acqua pacifica; quei flutti dovevano essere gelidi, ghiacciati come gli sguardi che Ricky mi aveva rivolto.
Mi diedi dello stupido e ghignai. Ero debitore al mare per avermi fatto capire, che non sarei mai stato capace di gestire una ragazza tanto difficile.

 

   
 
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