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Autore: Aesir    29/05/2011    1 recensioni
[Aliens/Predator]
Racconto che si svolge nell'universo fantascientifico di Alien e Predator, o rispettivamente come si chiamano xenomorfi e yaut'ja.
La storia segue il film Alien vs Predator, ma va a cancellare i vari Alien seguenti.
La storia comincia con un'oscura profezia.
E' il 2012.
E gli xenomorfi... stanno arrivando...
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scena Otto (VIII): IL CACCIATORE
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra, svariati anni prima.
 
“Miyrth ‘Feriij, ho sentito che hai fatto la tua scelta.
Intraprendi dunque la strada del cacciatore?”
“Sssì mio pa’ya.”
L’anziano yaut’ja osservò quel giovane che tanto si era distinto rivestirsi dell’armatura.
“Attento… la caccia non è semplice come appare… richiede continua attenzione, sicurezza e…”
“Kv'var-de nrak'ytarayin’itekai” interruppe l’altro.
L’anziano dietro la maschera ebbe un sobbalzo.
Poi comprese.
La vigilanza è custode dell’onore.
“Allora la prossima volta che ti incontrerò sarà per consegnarti la aka’Nagara come uno yaut’ja, Miyrth ‘Feriij.”
“Lo ssspero, pa’ya.”
 
C’tanu, pianeta originario degli yaut’ja, ad una distanza incalcolabile dalla Terra, oggi.
 
Lo yaut’ja lasciò che il ricordo si allontanasse.
C’erano cose più importanti a cui badare.
 
La tua mente è ferita… lascia che la guarisca…
Vieni da me… ho bisogno di te….
Unisciti a me…
La lunga testa lucida si protese in avanti.
Una mano munita di artigli si allungò verso di lei
“No… nooo….”
 
Lex si svegliò di soprassalto.
Non riusciva a distinguere nulla lì intorno.
Nulla, vuoto… e una luce arancione, la cosa peggiore.
Opprimente.
Poi una voce parlò, con tono metallico.
“Shh..crrr…rrggh…gh…”
Rispose qualcuno, le parve chissà perché di riconoscere qualcosa, in quella voce, ma non sapeva darsene una spiegazione.
Non era metallica, ma come la prima sembrava priva di ogni inflessione emotiva.
Come se stesse trasmettendo solo un’informazione, nulla di più.
Comunque, chissà perché, anche così il tono suonava vagamente minaccioso.
“Cchrrr-rrrhhh.”
La prima voce replicò: “Shh’crr…rhh…drh..trgh..shh..dh…”
“rahh c’raa sh’irgh n’rah.”
Ma dov’era?
Chi erano quelle voci?
Gemette un attimo.
La seconda voce: “shh…crrr, ic…jr’t!”
“N’’crahh…ll’Hhd …n’de..”
Cadde nell’incoscienza, per la seconda volta.
Chi erano quelle voci?
Cosa volevano?
Buio.
Nulla.
 
Questa volta si destò lentamente.
Era adagiata su una sorta di piano, ma non riusciva a capire che cosa fosse.
Tutto le sembrava così estraneo.
Alieno.
A cominciare dalla luce.
Arancione.
Non era normale.
Provò ad alzarsi ma un capogiro la costrinse a desistere.
Ci riprovò.
Una fitta le attraversò il collo, poi nulla.
Provò ad avanzare.
Ce la faceva.
Si guardò intorno.
Le pareti erano fatte di uno stano materiale, forse un metallo, e ogni tanto si scorgevano rosse scritte luminose, in un alfabeto sconosciuto.
Continuò ad avanzare.
Svoltò un angolo…
E si trovò davanti a ciò cha mai avrebbe pensato.
Una stanza enorme.
Un’ apertura attraverso la quale passava quella luce innaturale.
Un ambiente stano, alieno, senza nulla di terrestre.
Nel cielo brillavano due soli, tanto per cominciare.
Nella stanza, decine di teschi attaccati alle pareti, alcuni umani, altri di forma assurda e certamente non terrestri.
Alcuni attrassero la sua attenzione: allungati all’indietro, forniti di lunghi denti, sembravano in tutto e per tutto i crani dei mostri che infestavano la Terra.
Altri non avrebbe saputo identificarli: c’erano per citare una strana testa piena di lunghe corna e un’altra che sembrava quella di un dinosauro, con un paio di orbite extra e mascelle aggiuntive.
Sembrava la sala dei trofei di un cacciatore: e che cacciatore doveva essere, per esibire resti di prede così feroci!
Cominciava a farsi una lieve idea di ciò che era successo… “Ma no- si disse –Impossibile!”
Una sorta di trono voltato di spalle rispetto a lei.
Osservava tutto ciò con timore reverenziale, e quasi non si accorse che lo scranno si stava girando nella sua direzione.
Quando lo guardò... non sapeva neanche lei se gioire o tremare.
Sul “trono” sedeva una di quelle creature, uno dei Cacciatori.
Lo osservò con timore, risalendone la figura.
I piedi calzavano una sorta di sandali metallici con grossi artigli, sempre di metallo, posti sopra.
Una protezione risaliva le gambe, per poi cessare all’altezza della vita.
Metallo grigio e lucido, talvolta leggermente ossidato, dalla foggia aggressiva.
Sul torace e sui fianchi, sempre quell’imponente corazza, che copriva anche le braccia, terminanti in delle protezioni sugli avambracci da cui si protendevano due lame per ciascuno.
Attorno al collo aveva una specie di collare nero fatto a quanto pareva di anelli sovrapposti e forse saldati di qualche materiale.
Il colore della creatura era bruno scuro sui fianchi, quasi nero, mentre diventava giallo ocra sul torace, sull’addome e sulla parte interna di braccia e gambe.
Le mani erano coperte di squame, e ricordavano la struttura di quelle umane non fosse stato per gli artigli di cheratina nera, lunghi anche otto centimetri, che le sormontavano; un altro artiglio, o forse un corto spuntone, partiva dal lato esterno di ciascun poso: un dito regredito? Chissà?
Le appendici cutanee del capo erano lunghe e inanellate; ricadevano oltre le spalle.
Quello splendido esemplare di yaut’ja doveva essere alto due metri e oltre.
Com’era grande… e perfetto!
Portava due shurikens allacciati ai fianchi, un paio di lunghissime lame in aggiunta a quelle normali, si scorgeva la punta di una lancia sopra la spalla desta e c’era un plasmacaster su quella sinistra.
Quando arrivò al volto, per poco non ebbe un collasso.
Conosceva quella maschera.
Una maschera sorprendentemente disadorna, un’espressione di sfida e un marchio sulla fronte.
Conosceva quel segno.
Si sfiorò la guancia.
Il simbolo con cui il Cacciatore l’aveva marchiata era ancora lì.
Aveva raccontato, a chi lo chiedeva, di esserselo provocato scivolando sul ghiaccio.
Certo, poteva darsi che ci fossero maschere simili, in circolazione, magari la foggia era come il marchio delle scarpe, ma qualcosa la faceva sperare.
La creatura la osservava.
Poi, pose le mani sui sigilli della maschera e li staccò.
Alloggiò con cura il bioelmo, poi la guardò.
Il volto era più grande di una testa umana, si prolungava verso l’alto in una cresta ossea.
Il colore era sempre ocra, con i bordi nerastri e una fila di macchie nere che scendevano a triangolo fino a metà della fronte alta.
Quattro mandibole ciascuna culminante in una zanna appuntita, circondavano una piccola bocca dotata di cinque denti nell’arcata inferiore e sei in quella superiore, i due più esterni erano maggiormente allungati.
Lo sguardo sinistro proveniva da due gelide ambre, due occhi da predatore, ma per quanto terribili potessero apparire, gli davano comunque un’aria almeno umana, ma guai a chi si fosse fermato a specchiarsi dinnanzi ad essi, al sapere e alla potenza di una razza antichissima, che dell’umanità aveva visto l’ascesa, il culmine e ora il declino.
Spalancò la mandibole.
Incredibile a dirsi, sembrava proprio lo stesso Cacciatore che aveva incontrato in Antartide.
Ma… non era morto?
Lo aveva visto morire, no?
Pensava ormai che nulla potesse stupirla.
Non era così.
Lo yaut’ja non emise di versi incomprensibili.
No, parlò.
Con una voce disumana, sibilante, un suono da incubo, ma pur sempre una voce.
“Sssalve, umana.”
Riconobbe allora la seconda voce…
  
   
 
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