Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Rowena    03/06/2011    3 recensioni
La nuova guerra magica aveva colpito anche lontano, seguendo la sete di potere dell’Oscuro Signore appena sconfitto, segnando dunque gravi perdite ben al di fuori dei confini britannici.
Nessuno si stupì, dunque, se i più rinomati e famosi fabbricanti di bacchette, artigiani eredi di una tradizione antica, si radunarono in un paesino della Bulgaria per rendere l’ultimo omaggio a un loro compagno.
E cominciarono a chiedersi se non fosse il caso di considerarsi una specie in via d’estinzione.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Marietta Edgecombe, Nuovo personaggio, Olivander
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ottime bacchette dal 382 a.C.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
Ferrara. Una città che gli rinfrancava il cuore da sempre.
Olivander non sapeva perché quel luogo facesse così bene al suo spirito, con le strade larghe e piane, i palazzi antichi e i portici, eppure a ogni visita si sentiva subito meglio.
Inizialmente si era spaventato, poiché per la rabbia e il panico che la discussione con Jurga aveva scatenato si era Smaterializzato per comparire a una simile distanza, quando in circostanze normali difficilmente avrebbe osato tentare tracciati ben più brevi.
Era evidente che aveva bisogno di parlare con un amico, e Sallustio era la cosa più vicina che gli veniva in mente. Si vedevano molto di rado, per i rispettivi impegni in negozio e per onorare le regole della corporazione, che prevedevano che ogni membro badasse ai propri affari senza curarsi troppo degli altri, ma ogni volta era sempre una gioia ritrovarsi.
Quando era nato Marco, Olivander aveva tenuto buono il quasi neopadre nella lunga attesa che era stata il travaglio della moglie, durante il quale Sallustio aveva rischiato di impazzire per l’ansia.
Ed ecco che il mago italiano l’aveva visto comparire davanti al suo negozio attraverso la vetrina, in pieno giorno, così era corso a prenderlo e l’aveva portato dentro, chiamando subito la moglie perché gli desse una mano.
Fortunatamente, Olivander aveva impiegato così tanta energia nella Smaterializzazione da arrivare esausto ma tutto intero. Quando si fu rimesso in piedi, dopo una bella tazza di brodo e due fette di pane croccante, il mago si scusò del disturbo e chiese di poter usare il camino per tornare a casa, ma Sallustio lo bloccò e gli propose di andare a fare una passeggiata in città, così da potersi sfogare liberamente.
Aveva saputo da suo figlio – per lettera, poiché Marco dopo la riunione dei fabbricanti non era nemmeno tornato a casa dirigendosi direttamente a Sofia – quello che era successo durante il conclave, con l’assegnazione di Jurga e il resto. Olivander era apparso un po’ reticente a parlarne, eppure aveva davvero bisogno di schiarirsi le idee.
«Non so davvero come prenderla, mi mette in difficoltà, mi attacca in ogni momento», si lamentò mentre prendevano una strada secondaria che passava tra i campi.
«Beh, Marco mi ha detto che è molto carina… Sicuro che non ti venga in mente niente? Anche se sei fuori esercizio da parecchio tempo, non dovresti aver dimenticato come si fa. È un po’ come andare in bicicletta, e qui a Ferrara ce ne intendiamo», disse Sallustio con un sorriso sornione.
All’amico inglese ci volle un attimo per capire cosa stesse insinuando tra le righe, ma quando ci arrivò si sentì perso. Fantastico, gli mancavano giusto i giochi di parole per sottintendere che si portasse a letto la ragazza, che avrebbe potuto essere tranquillamente sua nipote.
«Grazie, è proprio quello che volevo sentire», sbottò Olivander cominciando a pensare che la sua fuga non fosse stata proprio ben indirizzata!
Del resto, se la discussione con Jurga lo aveva esasperato al punto da materializzarsi alla cieca a Ferrara, esponendosi a un rischio così grande solo per parlare con Sallustio, era evidente che aveva bisogno di aiuto.
«Stai annegando nel senso di colpa, Eugene», disse a un tratto il suo amico italiano, cogliendolo di sorpresa, «anche se capisco i tuoi motivi, temo per la tua salute se continuerai così. Non puoi tornare indietro nel tempo né riportare in vita Gregorovitch».
Come se quello fosse stato il problema… Olivander scosse il capo, infastidito dal sentire il suo nome di battesimo: nessuno osava chiamarlo così, se non Sallustio, e lui ormai non vi era più abituato. «Non è per lui, lo sai benissimo. Le altre vittime, sono loro che mi perseguitano, la famiglia di Jurga. Di suo padre non le importa molto e questa è forse l’unica cosa su cui andiamo d’accordo».
I due maghi continuarono a camminare, entrambi pensierosi, e svoltarono davanti al Castello Estense, rituffandosi nel centro storico della città. Era stupefacente come i negozi magici fossero inseriti in quelle vie come se non dovessero temere lo sguardo dei Babbani, agli occhi dell’inglese: qualche semplice occultamento era imbastito intorno alle botteghe, ma per il resto erano perfettamente visibili, anzi, i non maghi entravano a comprare ricordini e prodotti non pericolosi che i proprietari vendevano insieme agli oggetti stregati.
«Hai mai pensato che senza quelle morti, forse, il vostro giovane eroe non avrebbe mai messo insieme i pezzi per risolvere il mistero? Da quello che ho letto, so che la sua mente era collegata a quella del vostro Signore Oscuro…»
«No, avrei detto io stesso a Harry Potter tutta la storia della Bacchetta di Sambuco, per metterlo in guardia dal potere che doveva affrontare».
Sallustio sembrò accorgersene: alzò un sopracciglio, come se non avesse creduto a una sola parola. «Sul serio?»
Olivander ci pensò su un attimo e fu preso dal dubbio: non aveva rivelato una parola sul segreto del Primo Dono fino a che il giovane Potter non gli aveva posto la domanda giusta, obbligandolo a parlare. E se il ragazzo non avesse avuto quelle visioni su Gregorovitch? Lo avrebbe mandato allo sbaraglio a combattere contro uno strumento potentissimo nelle mani più sbagliate?
«Mi basta la tua faccia. Ecco, è questo di cui dovresti vergognarti: aver pensato a difendere un segreto ormai caduto nelle mani sbagliate piuttosto che fornire all’unico che poteva salvare la situazione le informazioni di cui aveva bisogno».
«È quello che sono!», sbottò il mago inglese. «Un fabbricante di bacchette. Ho giurato di proteggere quei segreti. Ho ceduto sotto tortura e me ne vergogno molto, non volevo ripetere un errore senza sapere se Harry Potter fosse in grado di gestire una simile conoscenza».
Aveva riconosciuto il suo errore solo quando il ragazzo gli aveva rivelato che aveva intenzione di riporre la Stecca della Morte tra le gelide mani avvizzite di Albus Silente. Avere diritto a usare un simile strumento, il più potente di tutti, e rinunciarvi per amore di un mentore ormai perduto… Lui non ne sarebbe stato in grado, riconobbe.
«Non devi sentirti colpevole perché hai parlato: sei umano e il dolore della Cruciatus è insostenibile. La tortura… Ti porta a dire e a fare le cose più spregevoli, purché quel tormento finisca».
Erano più che parole dette così per farlo stare meglio, Olivander se ne rese subito conto: erano quelle di un uomo che aveva provato quell’esperienza terribile sulla propria pelle. Fissò il suo amico finché Sallustio non si decise a spiegare, il che avvenne solo dopo qualche minuto e con una certa reticenza.
«Ero un ragazzino, allora, e il dittatore babbano di qui voleva saperne di più sul nostro mondo, per capire se poteva trasformarci in tante piccole armi da usare in quello schifoso conflitto che poi c’è stato. Era disposto a tutto e i suoi sottoposti fecero quanto in loro potere per renderlo soddisfatto del loro lavoro».
Non aveva detto poi molto, in fondo era solo un bambino e del mondo magico non ne sapeva granché ai tempi, eppure nessuno si era fatto scrupoli sui metodi di tortura da usare su di lui, una volta riconosciuto come diverso, come stregone. Era stato fortunato perché, almeno, gli avevano lasciato stare le mani, evitando così di distruggere il suo immenso talento.
«Non me lo avevi mai detto» mormorò Olivander, quasi come a scusarsi per aver voluto sapere simili dettagli.
Sallustio imprecò: «L’unico che sa è Jusupov, e lui mi ha ordinato di non rivelare mai nulla ai colleghi per nascondere la mia vergogna. Come se lui solo fosse sopravvissuto a un regime senza scrupoli, intendimi».
Il potere di Jusupov era così grande? Olivander sospirò: quand’era un apprendista, il suo maestro gli aveva sempre ricordato di non fare mai affidamento sui fabbricanti russi, poiché erano spietati e così legati alla corporazione da essere pronti a qualunque colpo basso. Allora il suo collega era appena succeduto al precedente magister di quel paese e sembrava solo un ragazzo molto giovane e molto determinato, ma nel tempo aveva preso in mano la loro società guidandola in maniera molto discutibile. Voleva sempre avere l’ultima parola sugli apprendisti pronti a essere ordinati come membri della corporazione, sebbene non ne avesse il diritto, e trattava tutti dall’alto in basso.
La voce di Sallustio si ammorbidì, tuttavia. «Mi disprezza perché secondo lui ho messo in pericolo tutto il nostro mondo, ma io non mi sento in colpa, non avrei potuto fare altro. Sono entrato comunque nella corporazione perché Dalla Masca voleva me come suo successore e ora porterò avanti la tradizione della mia bottega, a qualunque costo. Tu farai lo stesso: con la linea di Gregorovitch che rischia di spezzarsi, dovresti ritenerti contento di non aver estinto la saggezza degli Olivander».
Come se non ci avesse pensato da solo! Ricordava benissimo quanti secoli di tradizione aveva sulle spalle e l’idea di non saper continuare la linea non lo faceva dormire la notte. «Non sono sicuro che riuscirò a trasmettere quella saggezza: i miei nuovi apprendisti sono alquanto… azzardati e Jurga si è chiusa come un Grinzafico secco».
«Metti in chiaro le cose: tu sei il suo maestro, non una figura paterna di ripiego. Trattala al pari degli altri ragazzi e non farti mettere i piedi in testa. Deve rispettarti».
«Per te è così semplice scindere le due cose? Marco è tuo figlio…»
«Non l’avrei mai preparato a rimpiazzarmi se non fossi certo delle sue capacità» specificò con una certa stizza l’italiano, infastidito dalla domanda. «Mio padre non era un Della Masca, ha sposato la figlia del suo maestro e ne ha preso il nome. Ti assicuro che non mi sarei fatto problemi ad adottare un apprendista, se nessuno dei miei figli avesse mostrato talento per la nostra disciplina».
«E le tue figlie?» domandò un po’ piccato l’altro, ricordando che Marco non era figlio unico. Lui aveva sempre creduto che le donne non fossero adatte a fabbricare bacchette, ma non era detto che si sbagliasse.
«Sono come mia madre, non sono portate: la maggiore non riesce a distinguere un albero dall’altro, si ricorda a malapena quali sono i pini perché hanno gli aghi e non le foglie, ma anche lì poi incespica sulle varie conifere. La piccola, invece, si concentra solo sull’estetica: è molto brava a trattare il legno e a modificarne le forme, ma non potrebbe mai diventare un maestro completo. Le ho insegnato l’arte del cesello e dell’intaglio e di certo in questo campo sarà un aiuto molto importante per Marco, ma non di più».
Serena e Francesca, Olivander le ricordava da bambine, quando sognavano di andare a scuola e diventare grandi streghe come il loro papà. Che la minore delle due fosse portata per un simile lavoro manuale lo sorprendeva, perché fin da piccola era sempre stata attenta a curarsi nell’aspetto: i compiti dei fabbricanti di bacchette distruggevano le mani, anche se si usava moltissimo la magia.
Aveva sempre invidiato Sallustio per la sua capacità di coniugarsi in tanti ruoli: mago, artigiano, marito, padre… Lui si era sempre concentrato sul lavoro, solo sul lavoro, e anche se non desiderava cambiare la sua vita in età avanzata, iniziava a chiedersi se non avesse rinunciato a troppe cose.
«A proposito, il tuo ragazzo è determinato a rivoluzionare il nostro mestiere» commentò ridendo al pensiero del bizzarro esperimento di Marco. In quel senso, capiva perché il gusto dell’estetica di Francesca sarebbe davvero stato utile al fratello.
«Deve affinare la tecnica e comprendere che non può dettare da solo i nuovi standard, ma le sue idee sono valide», gli rispose sorprendentemente Sallustio, con una nota d’orgoglio nella voce. Ne era fiero, per l’amico era evidente, eppure dalle parole di Marco questo non traspariva in famiglia. Forse perché il ragazzo aveva solo cominciato una ricerca che poteva diventare importante, ma che doveva essere condotta con attenzione per non fallire.
Non mostrare la propria approvazione era solo un modo per incentivare maggiormente il figlio a lavorare al meglio, anche per dare prova alla vecchia generazione di essere il migliore, spiegò con un sorriso sagace che fece sospirare Olivander.
I suoi allievi gli avrebbero mai dato motivo per essere altrettanto orgoglioso di loro? In cuor suo lo sperava, ma per com’era messa la situazione non era molto ottimista.
«Sai, Marco mi ha scritto di Jurga: ha detto che qualche giorno fa è comparsa in bottega a Sofia e si è messa a ispezionare tutto, come per assicurarsi che il facente funzioni non stesse combinando danni. Gli è parsa una vera e propria furia e sembrava seccato per la sua intromissione, ma secondo me si è preso una bella cotta».
Questa notizia lasciò perplesso l’inglese: la ragazza faceva avanti e indietro con la Bulgaria quasi per proteggere il santuario del padre… Si sentiva in colpa per averla giudicata male, credendo che gironzolasse tutto il giorno per le vie di Londra, come se l’apprendistato fosse in realtà un sistema per rimandare ancora di qualche tempo la doverosa presa di responsabilità che doveva compiere. Avrebbe dovuto chiarirsi definitivamente con Jurga, così da iniziare un rapporto diverso e lavorare al meglio per la sua istruzione, e avrebbe dovuto farlo subito.
«Ti ringrazio, Sallustio» disse per accomiatarsi dall’amico, sentendosi più leggero. «Venire qui mi ha schiarito le idee più di quanto avesse sperato».
«È la tua solitudine che ti manda il cervello in sterco di drago, dammi retta. Approfitta di questa situazione per crearti dei legami».
Olivander scosse la testa, mentre si faceva riaccompagnare in bottega per usare il camino. Non aveva neanche idea di come si creassero legami con altre persone, con Sallustio erano diventati amici quasi per caso… Quello che poteva fare era sforzarsi di cambiare quel tanto da sopportare quei tre ragazzi in maniera dignitosa e insegnare loro tutto ciò che sapeva. Era quello che gli restava da fare.
«Penso che sia ora di tornare a casa, devo mettere in ordine tante cose», disse per accomiatarsi dal collega, che lo strinse in un abbraccio saldo e tenace. «La prossima volta avviserò, promesso. Arrivederci».
Uno sbuffo di polvere verde e fu di nuovo nel suo negozio, animato da un’energia nuova, ma quando comparve trovò la bottega vuota. Comprensibile, rifletté: era sparito nel nulla senza dare spiegazioni e lasciando due ragazzi che si conoscevano a stento con una giovane donna dal temperamento troppo bizzarro e dal pessimo accento. Anche lui sarebbe scappato a gambe levate, a pensarci bene.
Decise di cominciare con quelli che aveva contattato personalmente: li cercò al Paiolo Magico, visto che Stebbins aveva consigliato di permettere che prendessero una stanza lì visto che Jurga non aveva gradito la novità, ed ebbe fortuna. Gli aspiranti erano seduti a un tavolo in un angolo, stavano sorseggiando un drink e parlavano sommessamente.
A guardarli, Olivander notò che la ragazza sembrava avere gli occhi rossi: forse la cattiveria di Jurga aveva colpito nel segno più del previsto, e il suo compagno le aveva offerto da bere per aiutarla a calmarsi. In quel momento Marietta sorrideva perfino, evento inedito fino a quel punto.
Quando vide il maestro avvicinarsi, Richard smise di chiacchierare e si alzò per salutarlo: «Signor Olivander!»
«Eccomi, non sono sparito nel nulla. Posso sedermi?»
A un cenno affermativo di entrambi, il mago acchiappò una sedia da un altro tavolo e si accomodò: «Prima di dirvi qualunque cosa, vorrei scusarmi per l’incresciosa scena di poco fa. È passato molto tempo da quando ho preso l’ultimo apprendista e non è stata un’esperienza molto positiva, per cui devo adattarmi anch’io ad avervi per casa… Intendiamoci, voglio avervi con me, non vi avrei proposto un percorso formativo del genere» spiegò cercando di non offenderli. «Jurga, poi, è una bella gatta da pelare. Ma voglio che tutti e tre studiate con me e sarà mio compito fare in modo che discussioni come quella di oggi non si ripetano mai più».
Era rivolto a Marietta soprattutto, adesso, perché la cattiveria con cui Jurga si era accanita contro di lei era stata davvero terribile. Forse aveva individuato in lei una diretta avversaria…
«È stato strano, lo ammetto», disse Richard, richiamando l’attenzione del mago. «Nel suo negozio è sempre regnata una calma sovrannaturale… Non ero preparato a tutto questo».
«Neanche io. Ho sempre evitato di lavorare con le ragazze, forse per una mania esagerata, e l’attacco personale che ho subito poco fa era qualcosa che non sapevo gestire. Imparerò, con voi, se me ne darete la possibilità».
Marietta annuì, silenziosa come sempre con Olivander ma già più distesa nei gesti e in volto. Nel vedere ciò, anche il ragazzo si disse deciso a provarci. «Ma se la sua Valchiria se la prenderà di nuovo con noi, le risponderò per le rime».
«Hai la mia assoluta approvazione, ma mi auguro che anche Jurga decida di collaborare con voi e non di farmi la guerra. Sarò io a intervenire, nel caso, non sparirò più».
Contento del risultato, Olivander pagò il conto dei due apprendisti come ulteriore segno di scuse e li riportò a casa, lasciandoli a sistemare le loro cose nelle camere. «Se volete cenare, vi lascio il denaro per andare a mangiare fuori. Vado a riprendere la Valchiria».
Via camino fino alla bottega di Gregorovitch, non lo faceva da secoli. Avevano litigato così tante volte… Sembrava passata una vita intera.
«Oh, signor Olivander!»
Marco sobbalzò da dietro il bancone, sorpreso da quell’entrata in scena così improvvisa.
«Perdonami per lo spavento, Marco. Credo che una dei miei apprendisti sia qui e sono venuto a prenderla».
«Ma certo, è comparsa circa un’ora fa e si è rintanata di sopra. Ho provato a capire cosa fosse successo ma mi ha cacciato via» gli rispose con gentilezza e un cenno di delusione.
Che Sallustio avesse visto giusto nel dire che il ragazzo si fosse preso una cotta per Jurga? Del resto erano padre e figlio, se non si conoscevano tra loro…
«Me ne occupo io» disse Olivander con sicurezza, mentre cominciava a salire le scale. Non era difficile capire dove fosse la giovane strega, c’era una sola porta chiusa di tutte le stanze. «Jurga, posso entrare?»
Nessuna risposta, ma la serratura non era chiusa a chiave…
«Non mi pare di averla invitata a unirsi a me, signor Olivander» fu la replica secca che lo accolse non appena aprì la porta.
«Peccato, perché io entro comunque» disse lui con una voce decisa e seria che ancora non aveva usato con l’apprendista.
«Come mi ha trovato, quel cretino italiano di sotto ha fatto la spia?»
Non direttamente, pensò il mago. «No, anche se ho saputo che sei un po’ preoccupata per questo negozio. Ho immaginato che ti saresti rifugiata in un luogo familiare, perciò eccomi qua».
«Allora è stato lui», borbottò Jurga, «giuro che lo uccido».
La ragazza era rintanata in un cantuccio tra il letto e l’armadio, un angolino sicuro che probabilmente le ricordava la sua infanzia. Era tesa e arrabbiata, ma non con il mago, anche se recitava la solita scena da dura intoccabile: Olivander sapeva che doveva superare quell’atteggiamento per instaurare un rapporto diverso con la sua apprendista.
«Non ne vale la pena, su. Allora, io ci tengo a dirti che mi dispiace molto di aver gridato, ma non posso accettare che tu mi risponda in quel modo. Non siamo amici, se tu decidi di essere la mia apprendista, siamo legati da un rapporto diverso».
«Ho reagito male alla novità, non so perché» ammise Jurga, non senza sforzo. «Ha ragione, io mi riprenderò il mio negozio, non ho la minima mira sul suo. Non sarò la prossima Olivander».
E meno male… Era colpito dal cambiamento nei suoi modi, così radicale e netto: forse aveva esagerato al punto da non poter fare altro che accettare di moderare i toni.
«No, tu sei una Gregorovitch, e devi accettarlo, in un modo o nell’altro».
Il conflitto col padre era ancora evidente, probabilmente aver perso ogni occasione di parlare ancora con lui l’aveva segnata, ma c’era anche molta rabbia.
«Non sono tuo padre, Jurga, e non intendo esserlo, così come tu non vuoi essere mia figlia, ma ho accettato di essere il tuo maestro».
Jurga non rispose subito, ma infilò una mano sotto il letto e ne tirò fuori uno scatolone: «Questi sono i libri di mio padre, i diari dei primi Gregorovitch, i testi su cui ha studiato… Jusupov mi ha chiesto molte volte se sapevo dove potessero essere nascosti, in maniera un po’ ossessiva».
I libri? Olivander cercò di contenere l’entusiasmo: aveva temuto che quei volumi fossero andati perduti, invece erano lì, accatastati in uno scatolone ma intatti. «Questi sono un tesoro, devi tenerli con cura e leggerli fino a saperli a memoria».
«Lei non li vuole?» domandò con una certa ansia la ragazza, e il mago capì che si trattava di un test.
Scosse il capo, sorridendo. «Questi libri sono la tua eredità, il lascito di tuo padre. Sono tuoi e devi decidere tu cosa farne. Io ti consiglio di lasciarli qui, fino a che non avrai sciolto i nodi che ti fanno soffrire. E allora, se vorrai, farai un piacere a un povero vecchio e me li presterai».
Colpita dalla sua risposta, Jurga scosse il capo: «Pensavo che li avesse nascosti chissà dove, in qualche nicchia segreta in negozio, o in soffitta… Invece erano qui sotto, dietro l’asse mobile che usavo per tenere i miei tesori al sicuro, da bambina».
«Questo, secondo me, vuol dire che tuo padre sapeva che saresti tornata e che contava su di te. È una bella cosa, no?»
La strega annuì, ormai in lacrime, e si avvicinò a Olivander e cercò il suo abbraccio. «Mi dispiace…»
Intenerito, l’uomo ricambiò la stretta e le lisciò i capelli biondi, sapendo che il suo senso di colpa nei confronti di Jurga era svanito, come per magia. «Ricominciamo, tutto qua».





Note: So che qualcuno si aspettava che finalmente mi concentrassi sulle lezioni di Olivander... Chiedo venia, abbiate pazienza ancora un pochino! ^^" Questo è un capitolo a cui tenevo un sacco, era da un po' che volevo introdurre Sallustio, che è uno dei primi personaggi che ho inventato per questa storia. Ci voleva un punto di svolta per Olivander, da cui ripartire. Spero che, anche se siamo ancora in una situazione un po' statica, anche questo capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima! ^^
Rowi

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Rowena