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Autore: a Game of Shadows    04/06/2011    5 recensioni
Il principe Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, era uno dei figli prediletti della Regina Vittoria. Per motivi burocratici, ciò che comportò la morte della sua povera madre fu insabbiato e sostituito con la ormai celebre versione della sua dipartita del 22 gennaio 1901 a Osborne House all’Isola di Wight. Nessuno, chissà perché, si è mai chiesto perché si dicesse che la Regina fosse ancora sull’isola alla fine di Gennaio quando solitamente passava in quell’abitazione solo le vacanze di Natale.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III. Buckingham Palace.

Lestrade e Mycroft si fermarono da noi per il pranzo, che ci facemmo portare nell’appartamento anziché scendere noi in cucina per evitare di essere ascoltati su un caso ancora segreto alla stampa, raccontandoci di quanto era stato scoperto dal ritrovamento della Regina Vittoria del giorno prima al loro arrivo a Baker Street l’indomani. Non molto in effetti. Per quanto il caso fosse singolare e notevolmente importante, sempre di Scotland Yard stavamo parlando e di certo grandi progressi, da parte loro, non ce li saremmo aspettati in nessun caso.
“Devo ammettere” confessò Mycroft Holmes, voltandosi verso di me. “Che alcuni membri della famiglia Reale sono stati reticenti nell’accettare la sua presenza quando ho raccomandato loro Sherlock. Quando ho detto loro che segue le sue indagini da tempo, però, e che la sua discrezione è raccomandabile, hanno accettato.”
“Non ho intenzione di imporre la mia presenza se non sarà ben accetta” risposi, risoluto. Si trattava comunque della famiglia Reale e di certo non avrei mai voluto far credere loro di non provare un profondo rispetto e stima da presentarmi se non ben accetto. Non mi sarei mosso da Baker Street, sennonché il mio amabile coinquilino non avesse risposto alle mie parole con una negazione ben poco cordiale di fronte ai nostri ospiti.
“Non sia stupido, Watson! Questo si prospetta essere senza dubbio il caso più importante che potrà mai aggiungere ai suoi annali, non vorrà certo perderselo!”
Mi piaceva pensare, all’epoca, che non gliene fregasse proprio un accidenti dei miei annali e che gradisse soltanto che lo accompagnassi.
“Ovviamente” riprese subito il fratello, interrompendo sul nascere una mia qualunque risposta al più giovane, risposta che senza dubbio sarebbe stata poco cordiale, data la sua abitudine di trascinarmi in potenziali missioni suicide, per quanto questo, in realtà, mi lusingasse. Non glielo avrei mai detto, comunque. “Questa indagine deve rimanere segreta fino a che saremo sicuri che davvero si tratti di suicidio o altro. Non dovete farne parola con nessuno”
“Ovvio” rispose Sherlock fissando il fratello con aria offesa. “Spero tu non abbia scambiato me e Watson per due incompetenti, Mycroft” rivolse una fugace occhiata a Lestrade, di cui l’unico a non accorgersi fu molto probabilmente solo l’ispettore stesso “Se la stampa da per scontata la possibilità del suicidio, sulla casata Reale si creerebbe lo scompiglio, così come succederebbe se si venisse a sapere che sono state avviate delle indagini. Se si supponesse pubblicamente l’omicidio, l’Inghilterra intera cadrebbe nel panico”
Furono quelle parole a farmi rendere conto di quanto realmente gravi fossero i fatti avvenuti. Inizialmente avevo visto il caso come sì, riguardante la nostra Regina, ma solo dal punto di vista romantico, la donna disperata che vuole raggiungere il marito. Il punto di vista sociale e politico non mi aveva minimamente sfiorato, ragion per cui Holmes sarebbe stato ben felice di rimproverarmi.
Lestrade e Mycroft se ne andarono da Baker Street prima di noi per annunciare a Buckingham Palace il nostro imminente arrivo e concederci il tempo per renderci presentabili al fronte della famiglia Reale al completo e tutti gli ambasciatori europei. Persino Holmes si preoccupò di rendersi presentabile, il che è di per se un fatto straordinario.
Lo sentii sbuffare, spazientito, mentre lo aspettavo in salotto. Incuriosito, lo raggiunsi nel bagno, dove lo vidi fissare il proprio riflesso nello specchio quasi con disprezzo.
Non feci in tempo a dire niente.
“Stavo pensando con estrema serietà di farmi tagliare completamente i capelli” commentò, con una certa acidità nella voce che, tuttavia, sapevo non essere indirizzata a me.
Mi feci prendere da un leggero panico, anche se il mio temperamento da soldato mi aiutò notevolmente a nasconderlo; mi piacevano i suoi capelli, mai in ordine, del tutto indomati, che schizzavano da tutte le parti. Mi ero sempre chiesto come sarebbe stato toccarli.
“Non dica stupidaggini” commentai solo, con una leggera risata.
“Sono ingestibili!” esclamò, esasperato.
In fede mia, quella era in assoluto la prima volta in più di vent’anni che assistevo a una scena del genere di fronte a Holmes. Mai, mai, in vent’anni lo avevo visto così disperato per quanto riguardasse il suo aspetto.
Risi di nuovo e mi avvicinai.
“Mi lasci provare”
Mi avvicinai a lui, che mi guardava con aria stranita, e mi bagnai le mani nel lavandino. Stando ben accorto a non incontrare mai il suo sguardo, iniziai a passare le dita tra i suoi capelli, cercando di riordinarglieli. Erano morbidi, nonostante la tortura cui continuamente li sottoponeva. Mi piaceva averli tra le dita.
Dopo lunghissimi minuti di arduo lavoro, in cui dal mio compagno non provenne alcun suono, riuscii a dare una parvenza normale a quei capelli altrimenti ribelli e riabbassai lo sguardo sui suoi occhi. Mai avrei potuto fare errore più grande; avevo calcolato più che male le distanze e mi ritrovai con i suoi occhi troppo vicini ai miei e le mie mani erano ancora tra i suoi capelli. Non mi avrebbe occupato che un secondo per azzerare ogni distanza tra di noi e vederlo immobile, poco davanti da me, a guardarmi negli occhi, non mi dava un notevole aiuto.
Riuscii a distogliere lo sguardo, indirizzandolo alla parete opposta, e mi sgranchii la voce, ritirando le mani – come, in effetti, avrei dovuto fare prima.
“Dobbiamo… andare” borbottai, per poi uscire.
Presto fummo nella carrozza mandataci a prendere da Mycroft, che ci portò direttamente dentro il cancello del palazzo reale.
Ne rimasi del tutto affascinato. Noi, cittadini comuni, potevamo vedere solo la facciata di Buckingham Palace da oltre il cancello, attraverso l’immenso cortile, ma vedere il palazzo avvicinarsi, dall’altra parte del cancello rispetto al solito, era tutta un’altra cosa, nonostante le tragiche circostanze in cui ci trovavamo.
“Non sono mai stato dentro Buckingham” dissi, più a me che a lui.
“Io sì, quando mi hanno insignito della Legion d’Onore” si pavoneggiò Holmes con un sorriso compiaciuto, senza guardarmi.
Sbuffai, tuttavia lievemente divertito, e tornai a guardare fuori, fino a che la carrozza si fermo sul retro del palazzo.
Scendemmo dalla carrozza, dove Mycroft, Lestrade e alcune guardie reali ci aspettavano.
Ci condussero attraverso un immenso corridoio le cui pareti erano ricoperte di quadri di immenso valore che, per la passione artistica del mio amico, dovevano valere molto più di quanto fosse il loro valore reale, mentre Lestrade spiegava che l’indagine non aveva avuto progressi durante la sua assenza e che sembrava proprio suicidio.
Era affascinante vedere come, estasiato, Holmes passava velocemente lo sguardo da un quadro all’altro, analizzandoli tutti comunque con estrema attenzione e un lieve sorriso a increspargli le labbra. Sono convinto che, se non avessimo avuto altro cui pensare, sarebbe stato in grado di raccontarmi la storia di ognuno degli artisti che li avevano dipinti e dei quadri singolarmente.
La nostra attenzione fu comunque distratta dall’arte quando dei singhiozzi, vicini a quella che ci venne indicata come la stanza della Regina, ci portarono a distogliere lo sguardo dalle pareti. La sorpassammo di qualche passo, muovendoci silenziosamente, fino a sporgerci dal corridoio. Poco più in là, quella che riconoscemmo come la Principessa Alice, pupilla tra le figlie della Regina Vittoria, piangeva tra le braccia di un giovanotto, vestito elegantemente di un blu acceso.
“A lei penseremo dopo, lasciamola sfogare un po’” mi sussurrò Holmes, afferrandomi per un braccio e riportandomi alla porta della camera Reale.
Entrammo nella camera, ancora popolata da Yarders che si aggiravano senza effettivamente fare niente, facendo ben notare quanto, in realtà, non avessero idea di cosa fare.
In altri momenti avrei prestato tutta la mia attenzione alla bellezza della stanza reale, ma in quel frangente era come se la camera mi stesse opprimendo con il macabro segreto che custodiva agli occhi del resto del mondo.
Seguii lo sguardo di Holmes verso il prezioso lampadario da cui, ancora, penzolava un pezzo della corda utilizzata per il presunto suicidio. Era il cordone per tirare la tenda. La restante parte era stata tagliata, probabilmente allo scopo di rimuovere il corpo e portarlo all’obitorio. Come avesse fatto proprio Scotland Yard ha portarlo via senza che nessuno se ne accorgesse, è un mistero che né io né Holmes siamo mai stati in grado di risolvere.
“Il resto della corda?” chiese Holmes, spostando lo sguardo su uno dei poliziotti.
“E’ stata portata alla nostra centrale. E’ al nostro obitorio con il cadavere”
“Perché avete accettato di chiamarmi se mi sottraete prove, di grazia?” chiese ancora, fissandolo con un cipiglio vagamente irritato. “E la lettera?” chiese ancora, prima che l’imbarazzato Yarder potesse rispondere.
Quando voleva riusciva a intimorire i poveri poliziotti del distretto con la sua glaciale freddezza. Non capivo come potesse succedere. Forse era solo che io c’ero abituato.
Fatto sta che suddetto poliziotto fuggì verso la scrivania e tornò in meno di un secondo con la lettera tra le mani.
Non ci fu concesso di tenerla se non per analizzarla sul luogo e scribacchiai velocemente le parole sul mio taccuino perché non andassero perdute, quindi è possibile che alcune parole siano diverse dall’originale, poiché mi allontanai prima per concedere a Holmes il tempo di analizzarla.

Mia adorata Inghilterra,
Sono ormai sessantatré anni che regno su questo paese e trentasette che siedo al trono senza mio marito.
La sua morte ancora oggi non da pace al mio povero animo.
Amo i miei figli e dunque, adesso è giusto che io lasci loro la Corona e raggiunga il mio caro Alberto.
Il lutto non mi abbandona da anni e il dolore potrebbe impedirmi di regnare ancora in modo giusto.
Vi prego di ricordarmi, figli miei, non come la donna straziata dal dolore, né come la Regina, ma come vostra madre.

Alexandrina Victoria, Gennaio 02 1901.


Feci appena in tempo a riscrivere velocemente la firma sul mio taccuino quando vidi Holmes estrarre dalla tasca interna del cappotto la lente d’ingrandimento e sottrarre la lettera dalle mani dello Yarder.
In quel momento mi feci da parte e lo lasciai lavorare secondo i suoi metodi.
Analizzò la lettera, parola per parola per buoni dieci minuti.
“La calligrafia è stata riconosciuta come quella della Regina?” chiese, riponendo la lente d’ingrandimento nella tasca ma, tuttavia, senza staccare gli occhi dalla lettera.
“Si signore. Il Principe Edoardo in persona l’ha riconosciuta”
Annuendo distrattamente, estrasse da una delle tasche esterne del cappotto un fazzoletto bianco e lo passo sopra la carta, facendo lieve pressione, per poi analizzare anche quello.
Lo ripose in tasca senza dire niente e si voltò di nuovo verso di noi.
“Vedo che il pavimento ha una superficie lucida” osservò, tornando a guardare lo Yarder.
“La Reg-”
“Dovete riempire ogni concavità, ogni buco di questa stanza e del bagno di fianco con acqua bollente e chiudete tutte le porte e finestre che danno sull’esterno” lo interruppe subito.
“Perché?”
“Lo vedrete”
Uscimmo tutti dalla stanza mentre gli uomini di Scotland Yard e la servitù passavano davanti a noi per eseguire l’ordine seppur né loro né io ne capimmo il senso.
“Watson” mi chiamò.
Mi afferrò per un braccio e mi fece allontanare da Lestrade e Mycroft, che erano rimasti fuori dalla porta ad aspettarci per tutto il tempo. Considerai quell’allontanamento non una mancanza di fiducia in suo fratello, di qualunque cosa volesse parlarmi, quanto in Lestrade che, senza dubbio avrebbe usufruito di quella prova in modo estremamente sbagliato.
Mi avvicinai a lui, in modo che potesse sussurrare e nessuno sentisse quello che stava per dirmi.
“La calligrafia era quella della Regina ma era irregolare, come se la sua mano tremasse mentre scriveva. Per di più” estrasse il fazzoletto prima bianco dalla tasca, mostrandomi lievi striature nere “questa è polvere da sparo. Deve essere caduta dalla canna della pistola mentre la tenevano sotto tiro. La regina è stata forzata a suicidarsi, non l’ha fatto di sua spontanea volontà. E’ stata uccisa”
Rimasi raggelato da quella rivelazione. Dietro l’omicidio del regnante di uno degli stati più potenti del mondo potevno esserci mille moventi. Poteva benissimo anche esserci una guerra alle porte.
“Signor Holmes” lo chiamarono.
Si voltò di nuovo verso la camera, dove il solito Yarder di poco prima lo aveva richiamato. Mi lanciò una fugace occhiata prima di dirigersi di nuovo alla camera. Lo seguii, come il solito.
Appena entrammo, la prima cosa a cui mi rimandò l’ambiente fu la nebbia. Il vapore dell’acqua calda aveva invaso tutta la camera, annebbiandola.
“Accendete tutte le luci, chiudete la porta e muovetevi meno che potete” ordinò Holmes.
Alla luce la nebbia sembrava meno fitta e si resero ben evidenti, sul pavimento lucido le impronte delle scarpe. Holmes si chinò sul pavimento, osservando tutte le impronte, soprattutto quelle vicine alla porta.
“Queste sono le impronte delle scarpe degli Yarders…” mormorò. “Queste le mie… quelle di Watson… Il Principe aveva degli scarponcini a punta quadrata quando ha trovato la madre?”
“No, aveva le pantofole. Ha detto che sarebbe andato a dormire da lì a breve”
“Bene. Allora sappiamo che l’assassino è un uomo”


[Nda]
Sto già furteggiano dal roleplay per le fic xD
La scena in cui Watson sistema i capelli a Holmes, infatti, è stata derubata da lì xD
   
 
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