III.
Buckingham Palace.
Lestrade e Mycroft si fermarono da noi per il pranzo, che ci facemmo
portare
nell’appartamento anziché scendere noi in cucina
per evitare di essere
ascoltati su un caso ancora segreto alla stampa, raccontandoci di
quanto era
stato scoperto dal ritrovamento della Regina Vittoria del giorno prima
al loro
arrivo a Baker Street l’indomani. Non molto in effetti. Per
quanto il caso
fosse singolare e notevolmente importante, sempre di Scotland Yard
stavamo
parlando e di certo grandi progressi, da parte loro, non ce li saremmo
aspettati in nessun caso.
“Devo ammettere” confessò Mycroft
Holmes, voltandosi verso di me. “Che alcuni membri
della famiglia Reale sono stati reticenti nell’accettare la
sua presenza quando
ho raccomandato loro Sherlock. Quando ho detto loro che segue le sue
indagini
da tempo, però, e che la sua discrezione è
raccomandabile, hanno accettato.”
“Non ho intenzione di imporre la mia presenza se non
sarà ben accetta” risposi,
risoluto. Si trattava comunque della famiglia Reale e di certo non
avrei mai
voluto far credere loro di non provare un profondo rispetto e stima da
presentarmi se non ben accetto. Non mi sarei mosso da Baker Street,
sennonché
il mio amabile coinquilino non avesse risposto alle mie parole con una
negazione ben poco cordiale di fronte ai nostri ospiti.
“Non sia stupido, Watson! Questo si prospetta essere senza
dubbio il caso più
importante che potrà mai aggiungere ai suoi annali, non
vorrà certo
perderselo!”
Mi piaceva pensare, all’epoca, che non gliene fregasse
proprio un accidenti dei
miei annali e che gradisse soltanto che lo accompagnassi.
“Ovviamente” riprese subito il fratello,
interrompendo sul nascere una mia qualunque
risposta al più giovane, risposta che senza dubbio sarebbe
stata poco cordiale,
data la sua abitudine di trascinarmi in potenziali missioni suicide,
per quanto
questo, in realtà, mi lusingasse. Non glielo avrei mai
detto, comunque. “Questa
indagine deve rimanere segreta fino a che saremo sicuri che davvero si
tratti
di suicidio o altro. Non dovete farne parola con nessuno”
“Ovvio” rispose Sherlock fissando il fratello con
aria offesa. “Spero tu non
abbia scambiato me e Watson per due incompetenti, Mycroft”
rivolse una fugace
occhiata a Lestrade, di cui l’unico a non accorgersi fu molto
probabilmente
solo l’ispettore stesso “Se la stampa da per
scontata la possibilità del
suicidio, sulla casata Reale si creerebbe lo scompiglio,
così come succederebbe
se si venisse a sapere che sono state avviate delle indagini. Se si
supponesse
pubblicamente l’omicidio, l’Inghilterra intera
cadrebbe nel panico”
Furono quelle parole a farmi rendere conto di quanto realmente gravi
fossero i
fatti avvenuti. Inizialmente avevo visto il caso come sì,
riguardante la nostra
Regina, ma solo dal punto di vista romantico, la donna disperata che
vuole
raggiungere il marito. Il punto di vista sociale e politico non mi
aveva
minimamente sfiorato, ragion per cui Holmes sarebbe stato ben felice di
rimproverarmi.
Lestrade e Mycroft se ne andarono da Baker Street prima di noi per
annunciare a
Buckingham Palace il nostro imminente arrivo e concederci il tempo per
renderci
presentabili al fronte della famiglia Reale al completo e tutti gli
ambasciatori europei. Persino Holmes si preoccupò di
rendersi presentabile, il
che è di per se un fatto straordinario.
Lo sentii sbuffare, spazientito, mentre lo aspettavo in salotto.
Incuriosito,
lo raggiunsi nel bagno, dove lo vidi fissare il proprio riflesso nello
specchio
quasi con disprezzo.
Non feci in tempo a dire niente.
“Stavo pensando con estrema serietà di farmi
tagliare completamente i capelli”
commentò, con una certa acidità nella voce che,
tuttavia, sapevo non essere
indirizzata a me.
Mi feci prendere da un leggero panico, anche se il mio temperamento da
soldato
mi aiutò notevolmente a nasconderlo; mi piacevano i suoi
capelli, mai in
ordine, del tutto indomati, che schizzavano da tutte le parti. Mi ero
sempre
chiesto come sarebbe stato toccarli.
“Non dica stupidaggini” commentai solo, con una
leggera risata.
“Sono ingestibili!” esclamò, esasperato.
In fede mia, quella era in assoluto la prima volta in più di
vent’anni che
assistevo a una scena del genere di fronte a Holmes. Mai, mai, in vent’anni lo avevo
visto così disperato per quanto
riguardasse il suo aspetto.
Risi di nuovo e mi avvicinai.
“Mi lasci provare”
Mi avvicinai a lui, che mi guardava con aria stranita, e mi bagnai le
mani nel
lavandino. Stando ben accorto a non incontrare mai il suo sguardo,
iniziai a
passare le dita tra i suoi capelli, cercando di riordinarglieli. Erano
morbidi,
nonostante la tortura cui continuamente li sottoponeva. Mi piaceva
averli tra
le dita.
Dopo lunghissimi minuti di arduo lavoro, in cui dal mio compagno non
provenne
alcun suono, riuscii a dare una parvenza normale a quei capelli
altrimenti
ribelli e riabbassai lo sguardo sui suoi occhi. Mai avrei potuto fare
errore
più grande; avevo calcolato più che male le
distanze e mi ritrovai con i suoi
occhi troppo vicini ai miei e le mie mani erano ancora tra i suoi
capelli. Non
mi avrebbe occupato che un secondo per azzerare ogni distanza tra di
noi e
vederlo immobile, poco davanti da me, a guardarmi negli occhi, non mi
dava un
notevole aiuto.
Riuscii a distogliere lo sguardo, indirizzandolo alla parete opposta, e
mi
sgranchii la voce, ritirando le mani – come, in effetti,
avrei dovuto fare
prima.
“Dobbiamo… andare” borbottai, per poi
uscire.
Presto fummo nella carrozza mandataci a prendere da Mycroft, che ci
portò
direttamente dentro il cancello del palazzo reale.
Ne rimasi del tutto affascinato. Noi, cittadini comuni, potevamo vedere
solo la
facciata di Buckingham Palace da oltre il cancello, attraverso
l’immenso
cortile, ma vedere il palazzo avvicinarsi, dall’altra parte
del cancello rispetto
al solito, era tutta un’altra cosa, nonostante le tragiche
circostanze in cui
ci trovavamo.
“Non sono mai stato dentro Buckingham” dissi,
più a me che a lui.
“Io sì, quando mi hanno insignito della Legion
d’Onore” si pavoneggiò Holmes
con un sorriso compiaciuto, senza guardarmi.
Sbuffai, tuttavia lievemente divertito, e tornai a guardare fuori, fino
a che
la carrozza si fermo sul retro del palazzo.
Scendemmo dalla carrozza, dove Mycroft, Lestrade e alcune guardie reali
ci
aspettavano.
Ci condussero attraverso un immenso corridoio le cui pareti erano
ricoperte di
quadri di immenso valore che, per la passione artistica del mio amico,
dovevano
valere molto più di quanto fosse il loro valore reale,
mentre Lestrade spiegava
che l’indagine non aveva avuto progressi durante la sua
assenza e che sembrava
proprio suicidio.
Era affascinante vedere come, estasiato, Holmes passava velocemente lo
sguardo
da un quadro all’altro, analizzandoli tutti comunque con
estrema attenzione e
un lieve sorriso a increspargli le labbra. Sono convinto che, se non
avessimo
avuto altro cui pensare, sarebbe stato in grado di raccontarmi la
storia di
ognuno degli artisti che li avevano dipinti e dei quadri singolarmente.
La nostra attenzione fu comunque distratta dall’arte quando
dei singhiozzi,
vicini a quella che ci venne indicata come la stanza della
Regina, ci portarono a distogliere lo sguardo dalle pareti. La
sorpassammo di qualche passo, muovendoci silenziosamente, fino a
sporgerci dal
corridoio. Poco più in là, quella che
riconoscemmo come la Principessa Alice,
pupilla tra le figlie della Regina Vittoria, piangeva tra le braccia di
un
giovanotto, vestito elegantemente di un blu acceso.
“A lei penseremo dopo, lasciamola sfogare un
po’” mi sussurrò Holmes,
afferrandomi per un braccio e riportandomi alla porta della camera
Reale.
Entrammo nella camera, ancora popolata da Yarders che si aggiravano
senza
effettivamente fare niente, facendo ben notare quanto, in
realtà, non avessero
idea di cosa fare.
In altri momenti avrei prestato tutta la mia attenzione alla bellezza
della
stanza reale, ma in quel frangente era come se la camera mi stesse
opprimendo
con il macabro segreto che custodiva agli occhi del resto del mondo.
Seguii lo sguardo di Holmes verso il prezioso lampadario da cui,
ancora,
penzolava un pezzo della corda utilizzata per il presunto suicidio. Era
il
cordone per tirare la tenda. La restante parte era stata tagliata,
probabilmente allo scopo di rimuovere il corpo e portarlo
all’obitorio. Come avesse
fatto proprio Scotland Yard ha
portarlo
via senza che nessuno se ne accorgesse, è un mistero che
né io né Holmes siamo
mai stati in grado di risolvere.
“Il resto della corda?” chiese Holmes, spostando lo
sguardo su uno dei
poliziotti.
“E’ stata portata alla nostra centrale.
E’ al nostro obitorio con il cadavere”
“Perché avete accettato di chiamarmi se mi
sottraete prove, di grazia?” chiese
ancora, fissandolo con un cipiglio vagamente irritato. “E la
lettera?” chiese
ancora, prima che l’imbarazzato Yarder potesse rispondere.
Quando voleva riusciva a intimorire i poveri poliziotti del distretto
con la
sua glaciale freddezza. Non capivo come potesse succedere. Forse era
solo che
io c’ero abituato.
Fatto sta che suddetto poliziotto fuggì verso la scrivania e
tornò in meno di
un secondo con la lettera tra le mani.
Non ci fu concesso di tenerla se non per analizzarla sul luogo e
scribacchiai
velocemente le parole sul mio taccuino perché non andassero
perdute, quindi è
possibile che alcune parole siano diverse dall’originale,
poiché mi allontanai
prima per concedere a Holmes il tempo di analizzarla.
Mia adorata Inghilterra,
Sono ormai sessantatré anni che regno su questo paese e
trentasette che siedo
al trono senza mio marito.
La sua morte ancora oggi non da pace al mio povero animo.
Amo i miei figli e dunque, adesso è giusto che io lasci loro
la Corona e
raggiunga il mio caro Alberto.
Il lutto non mi abbandona da anni e il dolore potrebbe impedirmi di
regnare
ancora in modo giusto.
Vi prego di ricordarmi, figli miei, non come la donna straziata dal
dolore, né come
la Regina, ma come vostra madre.
Alexandrina Victoria, Gennaio 02 1901.
Feci appena in tempo a riscrivere velocemente la firma sul mio taccuino
quando
vidi Holmes estrarre dalla tasca interna del cappotto la lente
d’ingrandimento
e sottrarre la lettera dalle mani dello Yarder.
In quel momento mi feci da parte e lo lasciai lavorare secondo i suoi
metodi.
Analizzò la lettera, parola per parola per buoni dieci
minuti.
“La calligrafia è stata riconosciuta come quella
della Regina?” chiese,
riponendo la lente d’ingrandimento nella tasca ma, tuttavia,
senza staccare gli
occhi dalla lettera.
“Si signore. Il Principe Edoardo in persona l’ha
riconosciuta”
Annuendo distrattamente, estrasse da una delle tasche esterne del
cappotto un
fazzoletto bianco e lo passo sopra la carta, facendo lieve pressione,
per poi
analizzare anche quello.
Lo ripose in tasca senza dire niente e si voltò di nuovo
verso di noi.
“Vedo che il pavimento ha una superficie lucida”
osservò, tornando a guardare
lo Yarder.
“La Reg-”
“Dovete riempire ogni concavità, ogni buco di
questa stanza e del bagno di
fianco con acqua bollente e chiudete tutte le porte e finestre che
danno sull’esterno”
lo interruppe subito.
“Perché?”
“Lo vedrete”
Uscimmo tutti dalla stanza mentre gli uomini di Scotland Yard e la
servitù
passavano davanti a noi per eseguire l’ordine seppur
né loro né io ne capimmo
il senso.
“Watson” mi chiamò.
Mi afferrò per un braccio e mi fece allontanare da Lestrade
e Mycroft, che
erano rimasti fuori dalla porta ad aspettarci per tutto il tempo.
Considerai quell’allontanamento
non una mancanza di fiducia in suo fratello, di qualunque cosa volesse
parlarmi, quanto in Lestrade che, senza dubbio avrebbe usufruito di
quella
prova in modo estremamente sbagliato.
Mi avvicinai a lui, in modo che potesse sussurrare e nessuno sentisse
quello
che stava per dirmi.
“La calligrafia era
quella della
Regina ma era irregolare, come se la sua mano tremasse mentre scriveva.
Per di
più” estrasse il fazzoletto prima bianco dalla
tasca, mostrandomi lievi
striature nere “questa è polvere da sparo. Deve
essere caduta dalla canna della
pistola mentre la tenevano sotto tiro. La regina è stata
forzata a suicidarsi,
non l’ha fatto di sua spontanea volontà.
E’ stata uccisa”
Rimasi raggelato da quella rivelazione. Dietro l’omicidio del
regnante di uno
degli stati più potenti del mondo potevno esserci mille
moventi. Poteva benissimo
anche esserci una guerra alle porte.
“Signor Holmes” lo chiamarono.
Si voltò di nuovo verso la camera, dove il solito Yarder di
poco prima lo aveva
richiamato. Mi lanciò una fugace occhiata prima di dirigersi
di nuovo alla
camera. Lo seguii, come il solito.
Appena entrammo, la prima cosa a cui mi rimandò
l’ambiente
fu la nebbia. Il
vapore dell’acqua calda aveva invaso tutta la camera,
annebbiandola.
“Accendete tutte le luci, chiudete la porta e muovetevi meno
che potete” ordinò
Holmes.
Alla luce la nebbia sembrava meno fitta e si resero ben evidenti, sul
pavimento
lucido le impronte delle scarpe. Holmes si chinò sul
pavimento, osservando
tutte le impronte, soprattutto quelle vicine alla porta.
“Queste sono le impronte delle scarpe degli
Yarders…” mormorò. “Queste le
mie…
quelle di Watson… Il Principe aveva degli scarponcini a
punta quadrata quando
ha trovato la madre?”
“No, aveva le pantofole. Ha detto che sarebbe andato a
dormire da lì a breve”
“Bene. Allora sappiamo che l’assassino è
un uomo”
[Nda]
Sto già furteggiano dal roleplay per le fic xD
La scena in cui Watson sistema i capelli a Holmes, infatti, è stata derubata da lì xD