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Autore: hotaru    05/06/2011    2 recensioni
Seguito di "Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon"
Dal primo capitolo:
- Zio Ed, te la ricordi la storia di Raperonzolo? - chiese.
Ed fece del suo meglio per non sbuffare: se c'era una cosa con cui Alba era fissata, erano certe favole di un grosso librone scritto da due fratelli tedeschi... i Grimm, o qualcosa del genere. Alba aveva una spiccata passione soprattutto per le più macabre e cruente, e la fiaba della fanciulla dai lunghissimi capelli era una di queste.
- Certo che me la ricordo. Vuoi che te la legga? -.
Con sua somma sorpresa, Alba scosse la testa.
- Sai, zio Ed – disse, sorridendo di un sorriso triste ma leggermente ironico – Adesso sono quasi come il principe che compare nella fiaba. Te lo ricordi? La strega lo fa cadere tra i rovi e lui diventa cieco -.
E poi vagava per anni per il mondo, finché non ritrovava la sua Raperonzolo e costei gli rendeva la vista facendo cadere le proprie lacrime sui suoi occhi... certo che se lo ricordava. Anche se non riusciva a capire perché mai raccontare a dei bambini storie simili.
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Edward Elric
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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2- Schnee und Stahl- Neve e acciaio Questa storia si è classificata prima al contest “L'immagine parla di... viali innevati” di AudreyConnell, con mia grande gioia! ^^

Immaginate questa storia ambientata qui.


Schnee und Stahl- Neve e acciaio


Schnee und Stahl

"Andiamo, Al!"


(Edward Elric, episodio 5)


Una ragazzina pallida dai capelli biondi raccolti in una treccia si stagliava nel bianco immacolato come la sagoma di un fantasma. Il suo unico occhio, scuro e sottile, stava guardando un albero caduto al limitare del bosco, ormai ricoperto dalla neve che sembrava proteggerlo come una coperta.
- Andiamo, Al! -.
La ragazzina distolse lo sguardo dall'albero, raggiungendo un uomo sulla trentina la cui treccia bionda era appena più scura della sua.
- Zio Ed, un cerchio alchemico potrebbe farlo tornare com'era prima? - chiese.
Edward Elric alzò lo sguardo verso quell'albero spezzato, il cui tronco scuro contrastava col bianco della neve che quasi feriva gli occhi.
- Non lo so – ammise. In teoria un albero era un essere vivente, tuttavia non era sicuro che guarirlo con l'alchimia fosse proibito come con gli esseri umani. Ma tanto in quel mondo l'alchimia non esisteva, quindi ormai che importava? – Non lo so. Ma è meglio che andiamo -.
La ragazzina annuì, seguendolo nella neve. Erano ormai abbastanza lontani dal villaggio che avevano lasciato quella mattina, e stavano per inoltrarsi nel bosco di cui quell'albero caduto sembrava quasi un cancello aperto.
Al momento non nevicava, ma non si capiva se il cielo fosse coperto oppure no: era di un bianco sporco più scuro della coltre di neve sulla terra, come se quest'ultima si stesse specchiando in una pozzanghera.
Comunque Ed aveva già cominciato ad andare avanti, e lei lo seguì senza perdere altro tempo.


Lui e Al se n'erano andati presto dalla casa in cui erano stati ospitati per alcuni mesi dalle controparti in quel mondo di Winry, del colonnello Mustang e del tenente Hawkeye. Si erano trovati un alloggio per conto loro qualche mese prima della nascita del bambino della signora Eliza (fisicamente identica alla Riza che avevano conosciuto nel loro mondo), in modo da lasciare alla famiglia il tempo di organizzarsi per accogliere il nascituro.
Ed ricordava perfettamente quella dolce sera di settembre, dopo il crepuscolo, in cui Win era venuta ad informarli che era nata la figlia dei suoi zii Roderich ed Eliza- in pratica sua cugina, nonostante la forte differenza d'età. E aveva saputo che, malgrado la piccola fosse nata esattamente al tramonto, l'avevano chiamata Alba.
Anche se lui, poi, non l'aveva mai chiamata così. Non mancavano mai una cena settimanale a casa di coloro che per primi li avevano accolti a Berlino, e fin da subito Ed l'aveva chiamata "Al".
In realtà scherzava, ma la piccola aveva dimostrato presto di apprezzare molto il diminutivo: già dopo qualche mese si voltava subito non appena udiva quell'unica sillaba. Poi, quando imparò a camminare, nel momento in cui Ed chiamava il fratello per tornare a casa era ormai tradizione che la piccola Alba si presentasse all'ingresso con la berretta in testa e la sciarpa al collo, pronta a seguirlo.


Ora Ed si chiedeva se in qualche modo non l'avesse già intuito, che un giorno avrebbe davvero dovuto andarsene con lui, lasciando per sempre la sua casa.
Stavano avanzando nella neve, tra alberi alti e scuri come pali che a un occhio inesperto potevano sembrare tutti uguali, e lanciò un'occhiata ad Alba per accertarsi che non stesse faticando troppo.
Ma la ragazzina gli teneva dietro senza problemi, e con l'occhio sano guardava ogni tanto in su, fra le cime degli alberi, che si infilavano nel cielo grigio come le loro radici fossero state lassù, invece che quaggiù.
Ed sorrise brevemente, scoprendosi ancora una volta orgoglioso di quella caparbietà che la caratterizzava. Malgrado avesse conosciuto bene entrambi i suoi genitori- in questo mondo e nell'altro- gli capitava spesso di pensare che sarebbe anche potuta essere figlia sua. Non solo per l'età- in fondo quando era nata lui aveva già diciannove anni- ma anche perché gli sembrava di rivedersi in lei. Se a undici anni, quando era morta sua madre, non avesse avuto Al, sarebbe diventato esattamente così.
Edward Elric, che a trent'anni passati non si riteneva affatto vecchio, si sorprendeva a volte a pensare che gli sarebbe piaciuto insegnarle l'alchimia.
- Zio Ed – Alba lo chiamò, riscuotendolo dai suoi pensieri.
- Cosa c'è? -.
- Te la ricordi la storia di Frau Holle? (¹) -.
Ancora?, si ritrovò a chiedersi Ed, incredulo. Alba aveva compiuto quindici anni da circa tre mesi, eppure non era passato giorno che non se ne fosse venuta fuori con una delle fiabe della sua raccolta preferita. Ricordava ancora che era stato Al a regalarle quel libro grosso come un tomo d'enciclopedia, per il suo settimo compleanno. "Da Al per Al" aveva scritto sulla prima pagina quello sciagurato, dedicandole forse la più grande ossessione della sua vita.
Alba quel libro l'aveva divorato, anche se aveva imparato a leggere soltanto da un anno; poi aveva continuato a rileggerlo saltando qua e là fra le pagine; e quando aveva perduto l'occhio sinistro, dato che i primi tempi la vista le si appannava spesso, tediava chiunque le capitasse a tiro per farsi leggere un paio di favole.
"Fiabe del focolare", s'intitolava quel libro. Beh, dopo otto anni Ed nel focolare ce l'avrebbe buttato per davvero, magari maledicendo quei malaugurati fratelli Grimm.
Poi Alba non gli avrebbe mai più rivolto la parola, e quella era un'eventualità a cui preferiva non pensare, ma almeno si sarebbe liberato di...
- Se non te la ricordi te la racconto, vuoi? - si offrì la ragazzina, affiancandolo in un paio di salti. Ed gemette silenziosamente: da quando quel libro non l'aveva più, Alba si ripeteva due o tre fiabe al giorno, dato che ormai le aveva imparate a memoria e non voleva assolutamente dimenticarle. Ed erano più di seicento.
- Me la ricordo benissimo, non ti preoccupare. Ti è venuta in mente vedendo tutta questa neve? -.
Alba sorrise, con le labbra e con l'unico occhio che le rimaneva, soddisfatta che lo zio Ed capisse sempre le cose al volo.
- Già. È bello pensare che i fiocchi di neve siano in realtà piume fuoriuscite da un cuscino sprimacciato, non credi? Perché dà un senso di calore, e la neve così compatta sembra quasi una coperta – Alba liberò una nuvola di vapore nell'aria – Naturalmente è solo un'analogia, ma è... confortante -.
Ed annuì. Eppure da quelle fiabe Alba era sempre riuscita a ricavare delle riflessioni che stupivano tutti quelli che le stavano attorno, lui compreso, che inizialmente non riusciva a capire come delle favolette per bambini potessero celare simili significati. Poi si era documentato, e aveva scoperto che alcuni studiosi ritenevano che le fiabe potessero derivare da miti più antichi, iniziatici ed esoterici, di cui i racconti magici per bambini erano i discendenti.
Cose che nel suo mondo si perdevano nelle pieghe dell'alchimia, ma che lì affascinavano e attraevano, anche se pochi riuscivano a leggervi attraverso come faceva Alba.


Aveva pianto solo una volta, silenziosamente e contro i palmi delle mani, quando avevano cominciato quel viaggio.
Era accaduto tutto talmente in fretta che Ed aveva dovuto pensarci a lungo, per ricostruire i fatti, sezionando e ritagliando ogni singolo momento. E dire che era sempre stato convinto di riuscire a capire tutto. Ma la sua solita perspicacia, quell'intuizione che lo portava a svelare i meccanismi più nascosti delle cose, stavolta non era servita a niente.
Quel giorno Alba aveva passato l'intera giornata con lui: erano andati fuori città, in una specie di mercatino che alla ragazza interessava molto e a cui Ed si era offerto di accompagnarla.
Stava appunto riportandola a casa, quando già all'entrata del quartiere in cui Alba abitava avevano visto diverse camionette e gruppi interi di soldati aggirarsi per le vie.
Alba era impallidita, ma non aveva detto una parola. Era solamente diventata bianca come un cencio quando erano giunti presso casa sua e aveva visto la porta desolatamente aperta.
Ed stava per fare prontamente marcia indietro, attanagliato da un dubbio viscido come una serpe, quando una voce aveva ordinato loro di fermarsi. Erano scesi dall'auto, e in men che non si dica si erano ritrovati circondati da un gruppo di SS.
- Documenti! - aveva intimato il comandante, e Ed glieli aveva consegnati senza dire una parola.
Quando l'uomo aveva letto che Ed era un legittimo cittadino tedesco, i suoi toni si erano leggermente ammorbiditi nel chiedere:
- Che cosa ci fa nel quartiere ebreo? -.
Stava per dire qualunque cosa che non fosse la verità, quando una voce familiare lo anticipò:
- Quest'uomo stava in casa di ebrei, signore -.
A parlare era stato un giovanotto dal fisico asciutto ma leggermente muscoloso, perfettamente fasciato dalla divisa. Un giovanotto che tuttavia conservava ancora, nei profondi occhi blu scuro, qualcosa del ragazzino sparuto che era stato quando era ancora identico a Wrath.
Ed riconobbe Wilhelm, e si sentì gelare. Non l'aveva più visto da quando Al se n'era andato dalla Germania, ma sapeva che sua madre era morta da parecchio tempo, e in effetti si era chiesto più volte che fine avesse fatto. Avrebbe dovuto immaginarlo che un orfano come lui, senza una famiglia o qualcuno a cui appoggiarsi, sarebbe finito dritto nelle nuove squadre speciali, soprattutto ora che non aveva più Al su cui fare affidamento. Forse ce l'aveva addirittura con lui, per essersene andato via così.
Ma in quel momento l'unica cosa che contava era che Wilhelm lo conosceva fin da quando era arrivato a Berlino, sapeva in casa di chi aveva vissuto e soprattutto conosceva Alba. Erano spacciati; Ed avrebbe dato il braccio e la gamba sani per poter usare ancora l'alchimia, solo una volta. Ma era inutile anche pregare: gliel'avrebbero portata via.
- Ma se n'è andato non appena sono state emanate le leggi sulla razza. Lui e sua nipote – accennò ad Alba – hanno tagliato i ponti con quegli sporchi giudei da tempo -.
L'ufficiale annuì, guardando Ed con una certa aria di approvazione, mentre quest'ultimo cercava in tutti i modi di richiamare l'attore che era in lui: non poteva fare una faccia allibita, non in quel momento. Si atteggiò come se Wilhelm gli avesse legittimamente reso giustizia.
… che razza di verme, era diventato.
In quei lunghi anni aveva imparato una cosa che nel mondo da cui veniva non avrebbe mai appreso: se laggiù la sua intelligenza, la sua forza e soprattutto la sua alchimia avevano davvero potuto fare qualcosa, in quel mondo aveva scoperto, per la prima volta in vita sua, di poter essere completamente impotente.
Ed era la sensazione più terribile che avesse mai provato, un pozzo nero e senza fondo in cui si sentiva inesorabilmente cadere: nell'altro mondo, persino quando era morta sua madre aveva potuto provare a fare qualcosa. Qualcosa che aveva portato alle conseguenze più nefaste, ma non ricordava di essersi mai sentito impotente come in quel momento, specialmente perché aveva qualcuno da proteggere e non poteva rischiare.
Quando il comandante aveva permesso loro di andare, Ed aveva annuito e aveva guardato Wilhelm negli occhi per un istante, mettendo poi un braccio sulle spalle di Alba e portandola via con sé.
La ragazzina si era fatta trascinare come una marionetta senza vita, l'unico occhio completamente vuoto. Quando furono usciti dal quartiere, diretti a casa di Ed, mormorò con una voce che non riconobbe come sua:
- Li hanno portati via? -.
- Credo di sì -.
Ed sapeva anche che quel giorno Win aveva in programma di andare a trovare i suoi zii: quando lui e Alba fossero tornati dalla loro gita, avrebbero dovuto cenare tutti insieme. Pensò che più tardi avrebbe fatto un salto nel suo laboratorio, per sicurezza, ma era praticamente certo che fosse stata presa anche lei.
- Al – disse Ed, così piano che quella sillaba sembrò un sospiro – Domani ce ne andremo da Berlino; dobbiamo raggiungere il confine con l'Olanda, poi decideremo sul da farsi. E dovremo anche dare nell'occhio il meno possibile: è come se tu non avessi documenti, perciò dovremo viaggiare parecchio a piedi -.
Alba annuì impercettibilmente, poi nascose il viso tra le mani e pianse. Anni prima, quando aveva perduto l'occhio sinistro, si era chiesta se sarebbe ancora riuscita a piangere da quel lato. Beh, ora non sapeva più da dove le stavano scendendo le lacrime, e nemmeno le importava: sapeva soltanto che non aveva più una famiglia, che era una clandestina nel suo stesso Paese e che l'unico che le restava non era nemmeno un suo parente.
Dal canto suo, mentre guidava e osservava la strada senza vederla, Ed stava pensando che quando era successo a lui, almeno un fratello gli era rimasto.


Così si era rimesso in viaggio, con un'Al che non era suo fratello ma una ragazza, tra l'altro figlia di un Mustang che in realtà non era Mustang. A voler fare il punto della situazione, le cose si erano complicate di parecchio.
Pensava che, una volta arrivati in Olanda, avrebbero potuto in qualche modo andare in Inghilterra e magari raggiungere Al in Irlanda: era da quando aveva lasciato Berlino che non aveva più sue notizie, anche se in fondo sentiva che doveva stare bene. Avrebbe anche potuto scrivergli, ma non aveva più un indirizzo a cui ricevere una risposta, e non sarebbe servito. Sapeva che aveva avuto dei figli, rendendolo finalmente zio sul serio, anche se non aveva nemmeno idea di che faccia avessero.
Si erano ormai addentrati fra gli alberi, e avevano camminato per un bel tratto quando Alba si fermò, guardando fisso davanti a sé. Per quanto le rimanesse soltanto un occhio, aveva una vista acuta quanto quella di un falco.
- È... un cimitero? Nel bel mezzo del bosco? - domandò.
Ed guardò a sua volta, e in effetti dovette constatare che quelle lapidi sprofondate nella neve, unite fra loro da gradini scivolosi scavati nel terreno e lastricati di pietre ghiacciate, non potevano essere altro che un cimitero. L'aria stessa sembrava cristallizzata, quasi visibile nella nebbiolina candida che si alzava dalla neve.
- Probabilmente è quello del villaggio che abbiamo lasciato stamattina – ipotizzò Ed. Non era raro che, soprattutto nelle campagne, i camposanti sorgessero nei posti più impensabili – Devono essere lontani dai posti abitati per una questione d'igiene, lo sai -.
- Questo lo si sa da poco, zio Ed – lo contraddisse lei – In origine era principalmente una questione culturale: i morti dovevano stare ben separati dai vivi, ricordi? -.
- Già – lui l'aveva imparato magari un po' tardi, ma ormai gli era ben chiaro.
- A proposito – continuò Alba, mentre si avvicinavano al cimitero innevato, immerso in un silenzio reso ancor più profondo dalla neve – Perché stamattina al villaggio ci hanno detto di... "non farci troppo caso"? Fare caso a cosa? -.
- Non lo so – in effetti più di una persona aveva rivolto loro quell'ermetico consiglio, ma nessuno si era spiegato in proposito – Niente di pericoloso, immagino, altrimenti ci avrebbero avvertito -.
Alba annuì, mentre si inoltravano in quel luogo sospeso nel tempo. Stavano per salire i pochi gradini, facendo bene attenzione a dove mettevano i piedi, quando la ragazza notò qualcosa con la coda dell'occhio. Il destro, ovviamente.
- Zio Ed – chiamò piano – C'è qualcuno laggiù. Sembra una donna -.
I lunghi anni trascorsi in quel mondo avevano insegnato a Ed a non stupirsi davvero più di nulla: aveva incontrato altre persone con la stessa faccia di coloro che c'erano al di là del portale- a volte amiche, a volte nemiche- e gli ultimi avvenimenti gli avevano ormai ampiamente dimostrato che non c'era nulla che l'uomo non potesse arrivare a fare- nel bene e nel male.
Oltre a tutto ciò, un'altra cosa che aveva comunque imparato era che ci sarebbe sempre stato qualcosa in grado di sconvolgerlo e farlo ricredere sulle proprie posizioni.
E vedere la maestra Izumi rannicchiata nella neve, in un cimitero nel cuore di un bosco innevato, davanti a quattro monticelli di neve che sembravano le tombe di quattro bambini... beh, rientrava decisamente in quest'ultima categoria.


Le si era avvicinato come in sogno, senza dire una parola ad Alba che era rimasta ferma dov'era.
- Anche lei qui, allora? - mormorò Ed quando le fu accanto, aspettando una risposta che non venne. Certo, lo sapeva benissimo che non era la vera maestra Izumi: innanzitutto perché lei era morta, e poi perché lì erano nel mondo al di là del portale. Ma aveva sperato di incontrarla, soprattutto dopo aver rivisto anche la controparte di sua madre.
- La maternità è il dono più bello che la vita possa fare ad una donna, sapete? - esordì lei senza nemmeno guardarlo, con voce quasi assente.
- Co... come? - domandò Ed. Si rese conto che non si era rivolta solo a lui: Alba era proprio lì dietro, comodamente seduta su una lapide che aveva ripulito dalla neve, intenta ad osservare quella strana donna. Ed stava per dirle qualcosa sulla sacralità dei cimiteri, quando la ragazza chiese, accennando alle quattro piccole tombe:
- Sono i suoi figli? -.
La donna non rispose, allungandosi a tracciare qualcosa nella neve. Aveva i capelli talmente sporchi che le ciocche se ne stavano ormai distinte le une dalle altre, in una selva intricata quanto poteva esserlo la testa della Medusa coperta di serpenti. Avvolta in uno scialle consunto, scrisse nella neve quattro nomi che tuttavia Ed non riuscì a leggere.
- Wolfgang, Rudolph, Anna e Tobias – lesse invece tranquillamente Alba – Tre maschi e una femmina? -.
- Sapete, dicono che ci siano donne maledette che non possono diventare madri. Magari per un malocchio fatto quand'erano piccole, o perché troppo deboli. Ma io non sono debole – si raddrizzò un po', e sia Ed che Alba poterono vedere un ingrossamento all'altezza del ventre, chiaro segno di gravidanza avanzata – Pensavo di chiamarlo Hermann. O Helga, se è una femminuccia -.
- Ma allora che ci fa qui al freddo? Avanti, la riaccompagniamo noi al villaggio – Ed fece per aiutarla a rialzarsi, ma lei sollevò leggermente una mano. Bastò a fermarlo, perché anche se non era la maestra Izumi aveva comunque un che di autoritario.
- Non mi illudo. Morirà anche lui prima di nascere, e dormirà qui assieme ai suoi fratelli – mormorò, quasi in una cantilena – Che senso ha fare dei bambini che non sono ancora nemmeno dei bambini? -.
Ed non disse nulla: si era accorto che gli occhi di quella donna, seppur scuri e allungati come quelli della sua insegnante, erano molto diversi. Quasi velati, persi in un dolore senza più tempo o dimensione: chissà da quanto tempo si trovava in quel bosco, al freddo, a vegliare i suoi bambini. Senza dubbio doveva essere considerata la pazza del villaggio o qualcosa del genere, per questo gli avevano detto di non farle caso.
- Dov'è il padre di questi bambini? - domandò.
- Non sono bambini. Non per lui e non per gli altri. Solo per me. Anche se non hanno mai parlato né camminato né pianto -.
- Ma dov'é? - insistette Ed. Era certo che non dovesse trattarsi del signor Curtis conosciuto nell'altro mondo: lui non avrebbe mai abbandonato sua moglie.
- Forse è andato in guerra: al villaggio non ci hanno detto che hanno già chiamato alle armi parecchi uomini? – ipotizzò Alba, per poi fare cenno a Ed di avvicinarsi, senza dar segno di volersi spostare dalla lapide su cui era ancora appollaiata. Gli sussurrò piano, per non farsi sentire dalla donna: - Zio Ed, la conosci? -.
Ed non rispose, ma Alba capì comunque. Il suo occhio corse alla donna, per poi tornare su di lui: - È la madre di Wrath, non è vero? -.
- Tu... - balbettò Ed, preso alla sprovvista, chiedendosi come diavolo facesse a saperlo. D'accordo che era la cugina di Win; d'accordo che il suo mondo e la storia di quella famiglia si erano già intrecciati più volte, ma addirittura... - … tu come lo sai? -.
- I nomi dei bambini – spiegò semplicemente Alba – Le loro iniziali formano il nome "Wrath", se aggiungi anche quello che deve ancora nascere -.
Ed dovette strabuzzare gli occhi, perché la ragazza sorrise piano: d'accordo, non era vecchio ma stava decisamente iniziando a perdere colpi. Tuttavia Alba viveva per quei giochi di parole, per cui non se la prese più di tanto.
- Zio Ed – continuò Alba, sottovoce – Voglio che tracci per lei il cerchio che serve per la trasmutazione umana -.
     

No, doveva aver sentito male. Stava invecchiando per davvero, accidenti.
- Zio Ed, respira. Tanto lo sai che non succederebbe niente. Prendilo come un regalo per me -.
… l'aveva detto sul serio.
- Lo so che il mio compleanno è stato ormai tre mesi fa... ma siamo vicini ad Hanukkah, ricordi? E anche se io non sono più una bambina... -.
"Dopo tutto quello che ho passato ho diritto ad un regalo, no?". Non lo disse, ma Ed lo sentì lo stesso e sospirò.
- A parte il fatto che è proibito, lo sai... - ma che stava dicendo? Lì l'alchimia neanche esisteva - … non servirebbe a niente, l'hai detto anche tu -.
- Magari le darebbe un po' di pace -.
Per quanto a volte si illudesse che Alba gli somigliasse almeno un po', ogni tanto se ne saltava fuori con delle cose che solo Al avrebbe potuto dire.
- Al, non so se sia una buona... -.
- Signora, sa che esiste un modo per riportare in vita gli esseri umani? - fece lei a voce più alta, per farsi sentire dalla donna che alzò impercettibilmente la testa – Ma è il ricorso estremo: dopo quello, non c'è più nulla -.
Ed la fulminò con lo sguardo, chiedendosi se quella potesse rientrare nella categoria "ribellione adolescenziale", anche se decisamente poco usuale.
- È... è davvero possibile? - domandò esitante la donna, stringendo le braccia sul proprio ventre.
- Si chiama "trasmutazione umana" – continuò Alba, mentre nuvole di vapore accompagnavano ogni sua parola – Con un cerchio alchemico, si può tentare di riportare in vita un corpo umano, richiamandone l'anima. Ma se non funziona nemmeno questo, non rimane altro che rassegnarsi -.  
La donna si voltò verso di loro, vedendoli forse per la prima volta.
- Al... chimia? - ripeté – Che cos'è? -.
Ed sapeva che, se avesse avuto ancora diciotto anni, quella domanda innocente gli avrebbe fatto più male di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere. Ma era diventato adulto da tanto tempo, perciò le rispose:
- Significa che "uno è tutto e tutto è uno". Che tutte le cose sono indissolubilmente legate fra loro da un flusso, e l'alchimia può controllare lo scorrere di tale energia, incanalandola in un cerchio – non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe dovuto spiegarlo a lei, che per prima gliene aveva parlato.
La donna tacque un momento, osservandolo assorta.
- Qualcuno potrebbe dire che anche la morte fa parte di questo flusso – mormorò poi, facendo sussultare Ed, che rivide per un momento gli occhi ferini della sua insegnante – … ma non io. Voglio che provi -.
Somigliava più a un ordine che a un desiderio, ma a lei Ed avrebbe obbedito più che volentieri.
Si arrese e sospirò di nuovo, sentendo gli arti d'acciaio più ghiacciati che mai, per poi iniziare a tracciare il cerchio. A distanza di tanti anni lo ricordava ancora alla perfezione, e in tale frangente non aveva nemmeno bisogno di un gesso: bastò raccogliere un ramo caduto e affondarlo nella neve. Ma quella era la parte più semplice.
Mentre tracciava il cerchio esterno attorno alle quattro piccole tombe, continuava a ripetersi che l'alchimia in quel mondo non esisteva. Che comunque non aveva nemmeno raccolto i materiali necessari a comporre un corpo umano, perché di sicuro quei quattro corpicini dovevano essere già decomposti. Quindi a rigor di logica non sarebbe successo niente. Niente.
Ed cominciava a sentirsi un idiota irrazionale, ma rifare quei segni e ripercorrere quei passaggi, pur a tanti anni di distanza, lo fece tremare.
Che cosa ne sapeva che non sarebbe finito tutto come l'ultima volta?
- C'è qualcosa di cui hai paura? - domandò Alba senza tanti giri di parole, osservandolo da quella che era diventata ormai sua lapide personale.
- Sembra stupido, lo so – ammise Ed.
- La paura non è stupida – ribatté la ragazza – C'è sempre un motivo -.
- Sai, Al, è un po' come... - Ed tacque un momento, chiedendosi se rivangare uno degli episodi peggiori che Alba si era trovata ad affrontare - … se qualcuno ti chiedesse di entrare di nuovo in un certo negozio di caramelle. Capisci cosa intendo? -.
Era sicuro che avesse compreso, e che non si fosse irrigidita un attimo solo per il freddo.
Quando Ed ebbe concluso, nell'assoluto silenzio di quel cimitero innevato, si tirò su ad ammirare il suo cerchio alchemico. Non ne tracciava uno da tanto di quel tempo che stava per cadere vittima di un attacco di nostalgia, ma si riscosse.
- Va bene – mormorò – Va bene... -.
Si inginocchiò nella neve, allungando le braccia verso il cerchio. Si concentrò sul pensiero di quando avrebbe rivisto Al, e di quanto ne avrebbe riso con lui. Sì, perché sarebbe andato tutto bene.
… ma perché diavolo si era lasciato convincere? Che assurdità era mai quella? E se avesse rivisto il portale? E se fosse successo qualcosa ad Alba e alla controparte della maestra Izumi? E se... se fossero comparsi quattro Homunculus?
Ed scosse violentemente la testa. Diamine, aveva più di trent'anni eppure la paura gli stava attanagliando le viscere. Stava per poggiare i palmi sul cerchio, quando...
"Ehi, un momento!" pensò "Manca il sangue."
Alzò gli occhi verso la donna, che stava osservando le quattro tombe con espressione indecifrabile. Senza il suo sangue la trasmutazione umana non avrebbe funzionato nemmeno nel suo mondo, quindi... Ed si sentì un verme, un'altra volta. Stava prendendo in giro quella che era stata la sua maestra, la cosa più simile ad una madre che lui e Al avessero avuto dopo la morte di Trisha Elric.
Ma non poteva rischiare, neanche in quel mondo dove l'alchimia non funzionava.
Poggiò i palmi delle mani sul cerchio, con un movimento che sembrò rimbombare nell'intera foresta.


Malgrado tutto, Alba era rimasta tutto il tempo con il fiato sospeso. Sapeva fin da subito che non avrebbe funzionato, che comunque era qualcosa di proibito e che lo zio Ed aveva ancora una paura tremenda dall'ultima volta che ci aveva provato. Lo aveva visto esitare all'ultimo momento, ma alla fine si era deciso, e aveva anche sospirato di sollievo quando alla fine non era successo niente.
Anche se, nel momento in cui Ed aveva poggiato le mani sulla neve, lei si era sentita improvvisamente strana.
- Mi dispiace – mormorò Ed – Non ha funzionato -.
Guardò la donna, che stava ancora osservando le quattro piccole tombe dei suoi figli, e pensò che in ogni caso doveva assolutamente riportarla al villaggio: non poteva lasciarla lì, nel bel mezzo di un bosco straripante di neve.
- Signora, venga con noi – disse, alzandosi e avvicinandosi a lei, per poi mormorare: - Ormai questi quattro bambini sono un tutt'uno con questa foresta -.
- Lo so – si stupì quando la sentì rispondere con una voce che non era quella lenta e cantilenante sentita finora. La guardò in viso, e vide che gli occhi non erano più opachi e appannati, ma lucidi e perfettamente consapevoli, come lo erano stati quelli della sua maestra – Ma oramai lo sono anch'io -.
Il dolore tornò a velarle lo sguardo, che lei riportò di nuovo sui quattro monticelli di neve.
E Ed si rese conto, per l'ennesima volta, quanto i due mondi separati dal portale fossero in realtà legati l'uno all'altro, esattamente come i loro abitanti: anche se non lo sapeva, quando da bambino aveva incontrato la maestra Izumi lei stava già morendo; e lo stesso valeva per la donna china nella neve davanti a lui. Non poteva fare niente; in quel mondo assurdo non poteva mai fare niente.
- Io non posso lasciarla qui – mormorò ancora, completamente impotente.
- Ma io posso rimanerci – ribatté lei, carezzando delicatamente il nome del suo primo figlio tracciato nella neve – Resto con i miei bambini -.
- Così condanna a morte certa anche il figlio che sta aspettando! -.
- Morirà comunque – fece lei, modulando di nuovo la voce in una specie di cantilena – Morirà con me -.
- No, lei... - Ed sentì qualcosa tirargli la manica, e quando si voltò vide Alba accanto a sé, finalmente scesa dal suo sgabello di pietra.
- Forse dovremmo andare – gli disse, guardandolo con quell'unico occhio che risaltava sul volto pallido, simile a un corvo nella neve – Mi dispiace, non avrei dovuto insistere -.
Già, lui doveva portare Alba oltre il confine. In salvo, lontano da quella follia da cui non era riuscito a salvare la sua famiglia.  
Non aveva potuto fare niente per la maestra Izumi, e non avrebbe potuto fare ugualmente nulla per la sua controparte in quel mondo. Win aveva perfettamente ragione: il tempo gira in tondo, e nemmeno con un cerchio alchemico avrebbe potuto controllarne il flusso.


Stavano ormai uscendo da quel bosco surreale, trovando la strada in quell'intrico di legno nero e neve candida. Ed era ancora immerso negli avvenimenti di nemmeno un'ora prima, e andava avanti quasi per inerzia.
Alba si sentiva un po' in colpa, anche se non sapeva bene per cosa, ed era da un po' che sentiva un certo fastidio che ormai non riusciva più ad ignorare.
- Zio Ed, devo fare pipì – e così dicendo andò a nascondersi dietro un albero.
Ed, che aveva annuito distrattamente, rimase un po' sorpreso nel ritrovarsela accanto neanche cinque secondi dopo. Un'Alba perfino più pallida del solito lo informò, con voce grave, di avere le mutande sporche di sangue.
Dire che Ed rimase a bocca aperta per lo stupore è ancora poco, ma gli bastò guardare in faccia la sua compagna di viaggio per capire quello che stava pensando.
Non si diede nemmeno il tempo di imprecare mentalmente contro il meccanismo biologico femminile e il suo eccezionale tempismo, perché scoppiò in una forte risata che tranquillizzò immediatamente la ragazza.
- Cielo, Al, no! - esclamò Ed – Non è stata la trasmutazione, anche perché una trasmutazione non è nemmeno avvenuta! -.
- Ah... - fece lei, riprendendo colore – Quindi... non mi mancano degli organi, vero? -.
- No, certo che no! È una cosa... beh, del tutto naturale! -.
- Da-davvero? - naturale? Il sangue sulle mutande? E lei che pensava che quella fosse la sua punizione di peccatrice per aver voluto tentare una trasmutazione umana. Non che l'avesse davvero pensato, ovviamente, però... si era un po' spaventata. Non le sembrava una cosa proprio normale.
- Andiamo, credo che dovrò spiegarti... beh, un po' di cose – in effetti non gli era mai venuto in mente. A quindici anni compiuti, Alba era ancora secca e diritta come il giunco di una palude, perciò non aveva affatto pensato che... accidenti. E adesso toccava a lui?
Stava cominciando a pensare di buttare all'aria anni di studi alchemici e chimici e iniziare un discorso infarcito di fiori e apine, quando guardò Alba e si rese conto che non c'era nulla di cui vergognarsi. Era semplice biologia umana, in fondo.
- Zio Ed, e... qui come faccio? -.
- Ah... sì! Sì, ecco... - Ed frugò nello zaino, tirando fuori delle pezze di stoffa pulite – Puoi usare queste. Al prossimo villaggio vedremo di trovare di meglio -.
Alba annuì, prendendole e tornando dietro all'albero.
Nei minuti in cui rimase solo nella neve, un dubbio sorse dalle conoscenze alchemiche di Ed, come la nebbia che si alza fra l'erba: una vocina che gli diceva che forse la prima mestruazione di Alba e ciò che avevano appena vissuto nel bosco fossero davvero collegati. Un dubbio assurdo, in effetti, che tuttavia non riuscì più a togliersi dalla testa.
Quando Alba tornò e si rimisero in cammino, fece per cominciare il suo discorso, ma la ragazza lo precedette:
- Stavo pensando... hai presente Rosaspina? Sai quando si punge un dito col fuso, si addormenta... eccetera eccetera? - Ed tacque, sicuro che fosse una domanda retorica – Il sangue che esce dal dito, che sia una metafora di questa... questa cosa? In fondo anche lei ha quindici anni, quando succede -.
- Può essere – ammise Ed, grato che da dietro quell'albero fosse tornata la Al di sempre.
- Comunque sia, zio Ed – continuò lei, improvvisamente seria – Non per offenderti, ma preferisco i regali di zio Al -.
Ed non si offese, ma neanche rispose.
- Anzi, la prossima volta che provo a chiedertene uno... – continuò, guardandolo severamente con quell'unico, penetrante occhio – … per favore, minacciami con un automail -.





(¹) Frau: significa “signora” in tedesco


Nel contest, oltre ad ispirarci all'immagine data, dovevamo scegliere un particolare “set” con un certo elemento. Avendo scelto il set “Inverno”, l'elemento che dovevo inserire io è il regalo.
Ci sono vari riferimenti a questo concetto: il regalo convenzionale, ossia il libro di fiabe nominato all'inizio, il regalo inteso come favore personale e... la maternità negata, intesa come dono non ricevuto.
I riferimenti alle favole li ho presi un po' da dei libri e un po' da Wikipedia: “Rosaspina” è, come avrete capito, la versione dei Grimm de “La bella addormentata nel bosco”.
Il punto in cui si dice che le fiabe potrebbero derivare da miti più antichi, è un riferimento alle teorie di Vladimir Propp.

Fra un po' potrei pubblicare qualcos'altro (sì, lo so che dovrei darmi dei limiti), una storia incentrata su Al e su altri personaggi. Nel caso, si intitolerà “Roots- Radici”.

Rispondendo alle recensioni:
piwy: sono contenta che tu sia arrivata a leggere fin qui, e mi fa piacere che i personaggi siano ancora riconoscibili. Rispondendo alle tue domande: sì, quelli su cui il padre di Eliza ha condotto le ultime ricerche erano cerchi alchemici, anche se vi ho solo accennato. E non credo che Ed lo verrà mai a sapere, dato che le prove sono state bruciate.
Sì, Al è in Irlanda con chi pensi, e sto anche pensando di scrivere qualcosa al riguardo...
Shatzy: a dire il vero era la prima volta che scrivevo una fic del genere, perciò è stata soprattutto un esperimento. L'idea mi è venuta dai prompt del contest a cui la storia aveva in origine partecipato: l'avvertimento “Non per stomaci delicati”, appunto, il negozio di caramelle, il coltello e la frase “Tutto questo è disgustoso.” Praticamente l'idea è venuta fuori da sola, mettendo insieme tutti questi elementi, e volevo proprio cimentarmi in qualcosa di diverso dal mio solito. Però ti assicuro che era unica nel suo genere, non ce ne saranno altre così esplicite.
Anch'io, quando ho fatto un conto delle età, mi sono resa conto che Ed avrebbe avuto ormai trent'anni, ma in fondo dobbiamo abituarci all'idea: se non può più tornare indietro, in questo mondo rimarrà fino alla fine. Perciò, anche in questo capitolo, ho cercato di renderlo un po' più adulto, pur facendo di tutto perché rimanesse sempre lui.
Guarda, la faccenda della moglie e dei coltelli è del tutto casuale, non ci avevo minimamente pensato. Però, cavolo, potrebbe anche starci! O_O
Per quanto riguarda Al, tutto quello che puoi immaginare e sospettare è esatto. XD Cavolo, avrei una voglia di iniziare un'altra storia su di lui, ma dovrei infilarci un sacco di OC e non so se è il caso... boh, vedremo.
Grazie per l'informazione sul RoyAi Day, ma sinceramente su di loro (quelli di Amestris) non so proprio scrivere. Ho letto qualche fic davvero bella, ma dubito fortemente che riuscirei a tirare fuori qualcosa, ormai sono troppo abituata a... Rod e Liza. XD
 
   
 
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