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Autore: CherryPoppins    06/06/2011    4 recensioni
E' la prima cosa che scirivo qui, in assoluto, sarei molto contenta se commentaste! Amber ha un potere del tutto ignoto agli abitanti sovrannaturali di Bon Temps. Non ha mai visto un vampiro e non ha mai avuto un amico, proprio come Sookie prima di incontrare Bill, ma ciò che hanno in comune non contribuirà affatto ad avvicinare le due ragazze.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Mi sdraiai nel letto  e percepii ogni singolo muscolo del mio corpo tremare, scosso da un mix di rabbia e terrore.
Ero incazzata nera con la biondina. Ma che diavolo avevo di così terrificante? Tra tutta la strana gente che viveva in quel posto, lei doveva proprio aver paura di me? Come potevo essere più spaventosa e preoccupante di un millenario vampiro, di un mutaforma, di un licantropo o di un pazzo psicopatico?
L’indomani mattina le avrei esposto le mie ragioni. Con calma.
Con tutta la calma che sarei riuscita a mantenere.
Poca, a giudicare dalla tensione che avevo in corpo.
Presi a rivoltarmi tra le lenzuola, cominciai a sudare e ad avere le palpitazioni. Poe saltò sul materasso accando a me, e il suo calore, la sua quiete e il suo respiro regolare mi aiutarono a darmi una calmata.
Mi addormentai.

Immagini sfocate. Due occhi neri, due pugnalate. Due canini spropositati.
Ero sdraiata sull’erba, e mio vestito corto, di cotone, era macchiato di terra. Lui era sopra di me.
Le sue zanne snudate percorrevano il mio collo come se volesse impararlo a memoria.
Ero aggrappata con le unghie e con le gambe alla sua schiena, ed ero completamente sopraffatta dalla sua forza, dalla sua presenza.
Lui non aveva odore.
Lui era una sensazione che mi passava attraverso la pelle e mi inondava il cervello, lo stomaco, i polmoni. Come ingoiare acqua affogando, come paura che blocca i muscoli.
Ed era paura, lo era dentro ogni nervo, ogni organo, ogni vena. Paura che si staccasse e mi lasciasse lì, ubriaca di lui.
Ma invece di mordermi, si staccò e mi guardò.
E gli occhi neri s’incorniciarono di un viso biondo che rideva, rideva di me perché sapeva che ero scoperta, nuda improvvisamente nel corpo e nell’anima. E intorno a noi, mentre lei mi teneva bloccata, c’erano Sam Merlotte, la cameriera dai capelli rosso fuoco, e c’era lui, e, insieme alla donna che mi bloccava, mi schernivano e puntavano il dito contro di me, perché ero strana, perché ero debole, perché non ero che un’estranea in mezzo a loro.
Anche la cameriera scoprì i denti, e il suo viso si deformò in una smorfia di pazzia, goduria, soddisfazione e fame. Mi addentò il collo ma il dolore lo sentii altrove. Più in profondità.

Mi svegliai di colpo, fradicia di sudore.
Poe dormiva beato in un angolo della stanza, probabilmente turbato dal mio dimenarmi nel sonno: avevo buttato a terra lenzuola, le coperte, persino il cuscino. Dovevo essermi enormemente agitata.
Intanto fuori albeggiava. Era ancora presto per andare al lavoro, ma mi alzai lo stesso.
Non avevo intenzione di correre il rischio di riprendere quell’incubo tremendo.
Quel pazzo bastardo aveva minacciato me e il mio cane, e io sognavo me stessa fra le sue braccia? No, assolutamente e insindacabilmente no.
Mi feci una doccia, mi misi la divisa ed uscii. Il signor Cattermole già zampettava per casa, ignaro di ciò che era accaduto fuori dalla sua abitazione, e dentro di me.
-Buongiorno, signor Cattermole.
-Oh, Amber, buongiorno! Come stai, questa mattina? Hai voglia di una fetta di crostata e un buon caffè? – rispose lui sorridendo. Avrei preso dieci chili se non mi fossi data una mossa a cercare un appartamento tutto  per me. Era impossibile dirgli di no.
Mangiai la crostata, e mentre lui canticchiava qualcosa di indefinito e lavava i piatti dandomi le spalle, non riuscii a trattenermi e gli chiesi:
-Signor Cattermole, so che mi ha già detto di non volerlo raccontare, ma..
Mi interruppe.
-Amber, non farmi domande delle quali potresti non voler sentire le risposte. Ciò che è accaduto qui è stato terribile, terribile, e io non ho fatto nulla per oppormi alle atrocità… al… al…
Il piatto gli cadde dalle mani. Era sconvolto da quello che la mia domanda gli aveva portato alla mente.
-Signor Cattermole- dissi alzandomi e avvicinandomi a lui –non importa. Mi scusi, non la tormenterò più con la mia curiosità. Non mi interessa ciò che è successo, davvero. Per favore, lasci che faccia io. Si sieda, si calmi.
Lui mi guardò con gli occhi pieni di lacrime. Percepii che era dilaniato dal senso di colpa, e mi sentii terribilmente male nel pensare che gli avevo causato io quel dolore. Se ne andò senza dire una parola.
Ma di cosa poteva pentirsi? Se davvero erano stati compiuti atroci delitti in quel paese, come avrebbe potuto lui, un vecchio, risolvere la situazione?
Decisi di scacciare il pensiero.
Avevo un conto da sistemare, quella mattina.
 

Andai al lavoro carica come un Panzer. Più che camminare, marciai dentro il locale, e la mia furia doveva essere palpabile perché tutti si voltarono a guardarmi.
Sookie non c’era. Salutai distrattamente Sam e Arlene, la mia rossa collega, e con la scusa di poggiare la borsa corsi nel retro.
Lei era inginocchiata e rompeva con le unghie la plastica che conteneva le bottiglie di acqua frizzante.
Le gettai la borsa praticamente addosso, il che la fece sobbalzare: si alzò di scatto e senza nemmeno guardare chi fosse si avventò sul tavolo e afferrò il tagliacarte. Si voltò e, mentre faceva per scagliarsi addosso al suo aggressore, si rese conto che ero io.
-Ah, sei soltanto tu.
E con aria di superiorità gettò il tagliacarte lì dove lo aveva recuperato poco prima, tornando alla sua precedente occupazione.
Pensai che entro breve le mie orecchie avrebbero iniziato a fumare. Il sangue mi bolliva nelle vene, avevo le mani bollenti.
-Senti, sciacquetta- esordii –perché invece di mandare i tuoi leccapiedi a indagare su di me non te ne occupi da sola? Cosa sei, incapace? Sappi che non ci sarà una prossima volta, chiaro? Non ho intenzione di ritrovarmi un’altra volta quell’animale fuori dalla finestra.
-No, senti tu, brutta stronza- mi rispose, avvicinandosi a pochi centimetri dalla mia faccia –questa è la mia città. Qui ci sono le persone che amo. Qui c’è tutto ciò a cui tengo, e non permetto più a nessuno di portarmelo via, è chiaro? E se questo deve significare sguinzagliarti addosso una qualunque specie di animale o uomo che sia, lo farò senza alcuna remora. Io non so cosa sei, non so perché sei qui e non so cosa diavolo vuoi da me e dai miei amici, ma c’è qualcosa di te che non mi convince. Sam avrà anche bisogno di te, ma io no. Quindi ora smetti di parlare di cose che non sai, e sparisci dalla mia vista.
Lì per lì rimasi di sasso. Non mi aspettavo una risposta così accorata, da parte sua. Parlava come se avesse perso qualcuno e non fosse più capace di fidarsi di nessuno. Come se avesse lei il compito di proteggere chi aveva intorno. Lei, che in confronto ai suoi amici era solo una ragazzina con qualche squilibrio neurologico.
Ma qualunque fosse il suo problema, io stavo cercando di ricostruire la mia vita.
-Io non sono qui per fare del male a nessuno. Se proprio lo vuoi sapere, sono qui per caso. Ho lasciato la mia città perché la detestavo, io non… non avevo nessuno lì. Voglio solo costruirmi una vita. Devi per forza rompermi le uova nel paniere? Facciamo così: se faccio qualcosa che non va, il tuo amichetto può… bermi per dessert.
-Noi non facciamo un bel niente! Nessuno sceglie Bon Temps per rifarsi una vita! Perché non te ne sei andata a New York, o Los Angeles, o San Francisco? Non correrò rischi con te. Stammi lontana. Non so che problema hai ma stai certa che lo scoprirò.
Ehi… come come come?
Dunque Erik non le aveva riferito nulla? Non le aveva raccontato niente di ciò che aveva visto?
Questo suonava decisamente strano.
-Se non ha scoperto nulla Erik, cosa pretendi di fare tu?
Stavo cercando di procedere senza scoprirmi.
-E’ solo il primo tentativo. Non ti puoi nascondere per sempre.
Bingo. Dunque il suo animaletto da guardia non le era poi così fedele.
-Lasciami perdere, chiaro? Non c’è nulla da scoprire. Pensa alla tua vita, sempre se ne hai una.
Mi fissò con disprezzo, poi mi ignorò completamente.
Non era andata esattamente come mi aspettavo, avevo fatto delle previsioni che si erano rivelate del tutto sbagliate. Erik non mi aveva messa nei guai. Ma perché?
Tutto intorno a me era… intricato. Cercavo di capire cosa stesse accadendo, ma mi sfuggiva il senso completo della questione. Mi mancavano ancora troppi pezzi del puzzle.
Passai il resto della giornata fra tavoli, ordinazioni e pensieri confusi. Ero così distratta che, al terzo boccale di birra rovesciato, Sam mi disse:
-Vai a casa, Amber. E’ quasi orario di chiusura e sono più i soldi che stai rovesciando sul pavimento che quelli che mi stai facendo guadagnare. Ci vediamo domani.
Assunsi involontariamente un’espressione mortificata mentre mi slacciavo il grembiule, ma quando alzai la testa, Sam mi stava guardando, e non negli occhi, con un’espressione indecifrabile e il sorriso sulle labbra.
-Sam?
Si riscosse.
-Sì, Amber? Non preoccuparti. Non è nulla di grave, ma non affaticarti. Ti stai dando da fare, qui. Non prendertela, ero ironico. Buonanotte.
Continuava a sorridermi. Si passò una mano fra i capelli brizzolati, inspirò profondamente, e girando sui tacchi sparì nel retro.
Aveva una incredibile tenerezza nei tratti. Non lo avevo degnato di nota, nei giorni precedenti, perché lui si era tenuto sulle sue, senza schierarsi dalla mia parte o da quella della psicobionda.
Poco male. Essere simpatica al datore di lavoro poteva solo portarmi giovamento.
Uscii dalla porta principale, salutando i clienti abituali con un sorriso e un cenno del capo (cominciavo ad acquisire elementi di vita sociale), e mi diressi verso la stradina che portava alla casa del signor Cattermole, ma questa era sbarrata da un pick up con degli strani disegni sui lati. Appoggiato a questo, c’era un ragazzo alto, muscoloso, con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
Ma che, soprattutto, era la copia al maschile di Sookie.
-Ciao, bella. Tu devi essere Amber Trenchard. Io, se ancora non hai sentito parlare di me, sono Jason Stackhouse. E ho l’impressione che dobbiamo fare quattro chiacchiere.
Stackhouse? Fantastico. Non bastava la bestia che mi ero ritrovata fuori dalla finestra. Ora mi aveva messo alle calcagna anche il suo adorabile fratellino.

 

  
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