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Autore: Lorelaine86    11/06/2011    5 recensioni
E' il primo giorno di lavoro di Bella, come cameriera in un prestigioso ristorante. Purtroppo non è quello che si era immaginato...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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“Bella..."

"Senti Edward, se è per quello che è successo con la First Lady..."

Tre settimane e non avevo ancora rovesciato nulla! Mi accadeva ancora di

tremare quando scoprivo Edward a guardarmi, ma la consapevolezza di sentire i suoi occhi addosso non mi faceva venire i nervi.

Quel giorno, però, lui non era stato abbastanza veloce a spostare lo

sguardo altrove e notai qualcosa nella sua espressione, qualcosa di tenero

che mi sorprese; per poco non versai un budino di cioccolato addosso a un

membro della famiglia presidenziale. La First Lady non si era certo lamentata, anzi, mi aveva sorriso e io che mi profondevo in scuse, e m’aveva interrotta dicendo:

"Se quell'uomo avesse guardato me in quel modo, mia cara, non mi sarebbe

caduto solo il budino..."

"No, non è stata colpa tua" rispose Edward al mio posto.

Allora sapeva che era stato lui...

"Stai andando via? Stiamo per pranzare"

"Grazie, ma non mi farà male stare per un po' lontana dal cibo" e anche da

lui. Fin da quel primo episodio, il posto accanto a Edward era sempre stato mio, come se tutti avessero capito che effettivamente io volevo sedere lì.

Anche se rifiutavo di ammetterlo, persino a me stessa.

"Per una volta potrai goderti il pranzo tranquillamente, senza dover trattenere il fiato o preoccuparti perché potrei rovesciarmi qualcosa addosso"

"Però... dovrò preoccuparmi perché un passeggino potrebbe attaccarti,

oppure una moto investirti" disse Edward con tono serio, mentre le piccole

pagliuzze dorate danzavano nei suoi occhi.

Quindi feci una smorfia con la bocca, un invito a fare un po' di autoironia

insieme e io dovetti trattenere il respiro per soffocare una risata.

No. Non volevo reagire in maniera così stupida. Presto lui sarebbe partito,

sarebbe tornato in Italia, pensai aggiungendo così un mattone al muro che

avevo costruito intorno al mio cuore. "Mi dispiace, Edward, voglio solo

prendere un po' d'aria"

"Hai lavorato per tre ore senza sosta e ti aspetta una serata altrettanto

dura. Non penso che un po' d'aria possa bastare a tenerti su"

"Mangerò un panino"

"Ma è troppo poco! Hai bisogno di mangiare cibo vero"

Di fronte a una tale bellezza, quel melodioso accento e il suo corpo

snello, con le spalle larghe e i fianchi stretti, muri e mattoni erano

perfettamente inutili e una ragazza doveva essere pronta a tutto per salvarsi.

"Ti rendi conto, vero, che sembra di sentir parlare tua madre?"

Attaccare la sua mascolinità era una mossa per mandarlo via. Invece,

inarcando un sopracciglio, lui mi disse: "Perché tu la conosci, vero?"

Prima che potessi replicare, Edward mi spinse per un braccio, aprì la porta davanti a me e disse: "Okay, d'accordo: prima un po' d'aria e poi mangiamo" E senza considerare minimamente le mie possibili proteste, mi spinse in strada.

Delicato e morbido come il miglior gelato, pensai: prima è freddo, poi la sua

dolcezza ti si scioglie in bocca. "E poi qualcuno deve guardare le spalle alla

tua divisa" riprese atteggiandosi a body guard.

Quella espressione, ebbe la meglio su di me.

"Che c'è? Che ho detto?" fece Edward stupito.

Scossi la testa, premendomi forte le labbra contro i denti, cercando

invano di reprimere una risata nervosa. "Ti piacciono gli spaghetti western?"

Gli ci volle un attimo per reagire, ma quando lo fece scoprii che,

nonostante l'apparenza, Edward Mansen era capace di ridere. E che quando

rideva, sembrava anche più giovane. Meno minaccioso, anche se molto più

pericoloso per il mio cuore. E così mi ritrovai a camminare con lui su King's

Road.

Mentre io avevo solo intenzione di passeggiare guardando le vetrine, e

riempirmi gli occhi con tutte quelle cose esotiche e bellissime che non potevo

permettermi, Edward sembrava aver qualcosa in mente, oltre che una meta

precisa. Infatti mi condusse in una stradina lontano dai negozi, aprì un

cancello, si diresse verso il seminterrato e, dopo aver tirato fuori una chiave

dalla tasca, aprì la porta.

Ma io rimasi immobile all'ingresso, rifiutandomi di entrare.

"Non volevi un po' d'aria fresca? Allora che fai lì? Ho un piccolo giardinetto,

puoi sederti lì al sole, mentre io preparo il pranzo"

Il suo sorriso mi rassicurò, la sua mano tesa mi sembrò un'ancora di salvezza e per la prima volta in un anno avevo davvero fame.

"Piccolo?" esclamai un attimo dopo, quando lui mi ebbe fatto strada nel

cortiletto: era interamente ricoperto di vasetti di odori e erbe profumate,

appoggiati o appesi ovunque, mentre l'unico spazio rimasto era occupato da

una panchina a due posti. "È davvero minuscolo, ma... è fantastico!" E

mentre il mio lato femminile suggeriva che stavo commettendo uno sbaglio, la

cuoca che era in me smise di preoccuparsi appena ebbi in mano una foglia di

basilico appena colta, che strofinai tra le dita per liberarne il profumo. "È come avere un pizzico di Italia a Londra" dissi prendendo il bicchiere che lui mi aveva passato.

"Senza il mare, le barche, la spiaggia..." rispose lui sarcastico.

"Dev'essere meraviglioso…"

"C'è una vecchia piazza che la sera è piena di gente. Ci sono le

montagne... c'è tutto" disse con un largo gesto della mano.

"Deve mancarti molto. Ma ci tornerai presto, vero?" chiesi sistemandomi

sulla panchina. Lui fece altrettanto appoggiandosi all'indietro, quasi senza sfiorarmi. "Il mese prossimo. Anche la mia famiglia lavora nella ristorazione, più in piccolo rispetto ai Ritz. Sono venuto qui proprio per imparare da loro, in modo che, quando tornerò, dovrò prendere il posto di mio padre..."

Non sembrava entusiasta all'idea e istintivamente sentii il desiderio di

avvicinarmi, prendergli la mano. E invitarlo a confidarsi.

"E tu, Bella? Che progetti hai per il futuro?" chiese lui salvandomi dal

commettere un'imprudenza e spostando l'attenzione da se stesso a me.

"Di sicuro non prenderei il posto di mio padre. Sono la fallita di casa"

"Ti riferisci all'impresa di catering? No, quello non è un fallimento, è

esperienza"

"Questo lo dici tu" ormai volevo raccontargli tutto, così continuai: "Uno

dei soci era il mio fidanzato, Edward. Il bambino..." Lui mi prese la mano,

fermandomi. "Ero così impegnata a costruirmi un impero, da non accorgermi

di cosa stava succedendo sotto il mio naso. Sono troppo stupida anche per

stare al mondo, figuriamoci per far funzionare un'impresa"

"No... È stato lui, lo stupido"

 

Edward

E io me ne intendevo di stupidità, pensai, mentre Bella chiudeva gli

occhi e anche l'argomento girando la faccia verso il sole. Era già ottobre, ma

il bel tempo prolungava l'impressione che fosse estate. Lei almeno aveva

avuto il coraggio di seguire il proprio sogno, mentre io avrei vissuto quello

di mio padre, emulando i miei famosi cugini Cullen e portando i propri

ristoranti a un livello più alto di eleganza e lusso.

Quando Jasper mi aveva chiesto di ritardare la partenza per dare a tutti loro

un po' di respiro, mi ero aggrappato alla proposta con tutte le forze: qualsiasi

cosa per sfuggire all'inevitabile.

Mio  padre non si era opposto. D'altronde, la famiglia Cullen era in

subbuglio per colpa di una serie di scheletri venuti fuori dagli armadi. Sguardi

cupi, lunghe riunioni, Rosalie con una faccia da funerale dopo uno scontro

col patrigno, Carlisle. Debiti che dovevano essere pagati, per salvare l'onore...

Mi domandai quale onore ci fosse nel continuare a vivere una menzogna quando ora, con l'esempio di Bella e con la speranza di averla

accanto, il mio sogno mi tornava davanti, sempre più chiaramente.

Le liberai la mano riluttante, per lasciarla al sole con il suo drink, andai in

cucina e cominciai a mettere insieme qualcosa di semplice da mangiare. Era

meglio sbrigarsi, per tornare il prima possibile al ristorante. E alla lucidità

mentale.

"Che fai?"

Mi girai: la faccia di Bella era arrossata per via del sole e la bocca mi

fece tornare in mente le grosse ciliegie del frutteto di mia nonna. "Preparo il

pranzo. Niente di entusiasmante come un panino, solo un po' di pasta con

funghi selvatici e panna"

"Ambrosia, cibo degli dei" disse lei ridendo.

"Io... veramente... mi ha insegnato mia nonna a cucinare" risposi

farfugliando e probabilmente arrossendo.

"Mi serve il prezzemolo..."

"Te lo porto io"

Quando tornò, Bella prese un panno e se lo legò attorno alla vita. Mi spostai. Ai fornelli c'era spazio per tutti e due.

"Bella..."

Lei alzai lo sguardo dalle erbe che stava tagliando, proprio come

immaginavo sarebbe successo, e un ricciolo ribelle le ricadde su un occhio.

Lo spostai con un soffio. No, pensai, chiaramente non aveva idea di

quanto fosse sensuale, altrimenti non l'avrebbe fatto in quel momento, da

sola con me...

"Sì?" mi incitò, visto che non parlavo più.

"Niente. Solo Bella... che nome è?"

"È il diminutivo di Isabelle Marie"

"Isabelle" ma questa volta lei continuò a tagliare, muovendo il coltello affilato

da vera professionista, cosa che indubbiamente era. Il sogno che avevo

sepolto cosi in fondo, fin quasi a dimenticarlo, si dissolse all'improvviso nella

mia testa, per far posto a ciò che m’aveva ossessionato fin da quando Bella

Swan mi aveva dato la mano unta per presentarsi, e mi aveva sorriso.

 Lei raccolse il prezzemolo e lo buttò nella padella dei funghi.

"Bella..."

E questa volta, quando lei alzò lo sguardo, mi chinai per baciare quel

sorriso stupendo.

Forse avrei fatto ancora in tempo a tornare alla lucidità, se lei non avesse ricambiato il bacio. Se quel bacio non fosse stato ciò che aspettavo

da tanto, se lei non fosse stata la sola donna che poteva completare il mio

sogno, facendo sembrare possibile qualsiasi cosa.


scusatemi ma non ho il tempo materiale di rispondere ai vostri bellissimi commentucci, ma vi posso assicurare che li leggo sempre e mi fanno sempre gongolare di gioia. baci Lory
  
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