“Spero
di non vederti tra le
file dei Mangiamorte!”
Io
invece spero di vederlo
tra quelle degli Auror, aspetto di trovarmelo come avversario per la
resa dei
conti.
Aprendo
gli occhi e
riscuotendomi dai miei pensieri mi rendo conto di avere la testa
poggiata al
muro, i muscoli contratti, i denti digrignati e le orecchie che
fischiano per
la rabbia.
Ho
un pugno schiacciato
contro il muro come se lo avessi appena colpito, ma non ricordo di
averlo
fatto.
Guardo
il pavimento e solo in
quel momento un’enorme lacrima si stacca dalle mie ciglia
cadendo lentamente
nel vuoto fino a raggiungere il parquet dove s’infrange.
Mi
passo con forza una mano
sulle guance e sugli occhi, sono più che certo che le mie
lacrime siano causate
dall’odio per Sirius, non certo per la tristezza o la
nostalgia del nostro
rapporto andato perduto o meglio, mai cominciato veramente.
Improvvisamente
sento la sua
voce provenire dal piano di sotto, non distinguo le sue parole ma non
è
difficile immaginarle.
Mi
avvio a passo svelto verso
le scale, non so cosa voglio fare, invece di chiudermi in camera mia,
nascondere la testa sotto il cuscino e aspettare di sentire la porta
della
camera accanto chiudersi fragorosamente, i miei muscoli si muovono
verso tutto
quel rumore invece di cercare la calma e il silenzio rassicurante della
mia
camera.
Nell’istante
in cui raggiungo
la cima delle scale, vedo la porta d’ingresso serrarsi alle
spalle di mio
fratello.
Uno
strano senso d’inquietudine
e oppressione m’invade, come se quella vecchia porta di legno
scuro debba
rimanere chiusa per sempre e il suo sordo rumore stia per riecheggiare
tra
queste vecchie mura in eterno.
Improvvisamente
nella mia
mente si materializza l’immagine di due bambini di sei e
sette anni che
trascinavano grandi libri della biblioteca giù per queste
scale e su quel
pavimento fino alla porta, per tirare la maniglia e correre fuori a
giocare con
dei giochi babbani, i ricordi si moltiplicano, nel primo giochiamo con
i
soldatini magici, uno ci rappresenta mentre litighiamo, un altro mentre
ci
abbracciamo per fare pace, ce n’è uno in cui lui
mi spiega per la milionesima
volta le regole degli scacchi, poi mi ricordo di quando durante un
pomeriggio
da soli a casa abbiamo spostato i divani del salone e arrotolato i
tappeti per
correre con i pattini, aggeggi che lui aveva comprato al primo anno di
Hogwarts
grazie all’aiuto di un suo amico mezzosangue.
Forse
un rapporto tra noi due
c’è stato, anche se in un passato molto remoto,
eravamo così simili da piccoli
e ora siamo completamente diversi, non siamo più neanche
fratelli.
Quando
questa sfilza di
ricordi s’interrompe, mi rendo conto che mia madre non
è più ferma nel mezzo
del corridoio, ma si è spostata nel salone, dove mio padre
è seduto in poltrona
con un sigaro spento tra le labbra e lo sguardo perso nel fuoco che
scoppietta
nel camino.
Muovo
alcuni passi per avere una
migliore visuale della sala.
Lei
poggia una mano sullo
schienale della poltrona per sostenersi e lui finge di non vederla, poi
lei
avvicina il viso all’orecchio di suo marito e con voce
sommessa dice qualcosa
che da questa distanza fatico a captare, lui impassibile prende la
scatola dei
fiammiferi dal tavolino vicino e con una lentezza estenuante riaccende
il suo
sigaro per poi voltarsi verso mia madre e
annuire con un cenno impercettibile della testa.
Un
piccolo movimento che
causa una nuova frenesia nei movimenti carichi d’ira di mia
madre che si scosta
rapidamente dalla poltrona mentre lui tira una boccata di fumo, estrae
la
bacchetta tenendola saldamente tra le dita tremanti e in silenzio la
punta
contro l’arazzo incenerendo in un istante il ritratto di
Sirius.
Il
suo viso in penombra,
vagamente illuminato dal fuoco del camino, improvvisamente sulla sua
guancia
intravedo una goccia luccicante, sta piangendo.
I
miei muscoli hanno uno
spasmo e mi ritrovo al centro dell’arco della porta e lei in
quell’istante si
volta a guardarmi, inizialmente il suo sguardo è sconvolto
poi lentamente s’indurisce
e con voce austera mi ordina di andare a letto mentre mio padre ci
ignora.
Evidentemente
entrambi mi
considerano un bambino che deve rimanere all’oscuro delle
dinamiche che
coinvolgono gli adulti.
Non
sono d’accordo ma non
sono neanche un ribelle come mio fratello e allora annuisco piano
“Certamente,
Madre” dico
mentre mi avvio su per la scala.
Angolo
Autrice!!
Eccomi
qui, alla fine di questo breve spaccato di vita dedicato ai miei due
personaggi
preferiti, i fratelliBlack.
Vi
do una breve spiegazione di alcuni particolari, cioè:
-Il
titolo è un modo di
dire inglese “Il
sangue è più denso
dell’acqua” al quale io ho aggiunto una negazione
che nel
caso della famiglia di cui parlo è d’obbligo.
-I
titoli dei capitoli sono uno l’opposto dell’altro
per ovvi motivi.
A
questo punto devo solo ringraziare tutti coloro che hanno recensito e
messo la
storia fra le seguite.
Arrivederci
a tutti e alla prossima!!