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Autore: KikiWhiteFly    18/06/2011    6 recensioni
[AkitoSana - mini long fic ispirata al sequel di Kodocha, Deep Clear]
Musica nell'aria.
Atmosfera tesa, come se nell'aria vibrassero tante corde di violino.
«Finché morte non ci separi, eh?»
Ironizzò lei, tendendo la mano verso l'alto ed osservando i due cerchietti: non aveva mai visto qualcosa di così brillante nella sua vita.
«Mhf. Se non ci scanniamo prima, vorrai dire.»
Davvero romantico da parte sua, già; Sana si appoggiò alla colonna di marmo del terrazzo, lo fissò per un lungo secondo – era seduto sull'altalena; Sana aveva l'impressione che al buio gli occhi di Hayama splendessero. O forse era lei a vedere le cose attorno a sé così preziose, dovevano essere le troppe bollicine –, poi tornò a respirare.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossroad'
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    Crossroad







II.


I'm your dream, make you real












«Siamo prigionieri delle stelle. Ci pensi mai, Hayama?»

Era una fresca serata settembrina, le stelle si vedevano più che bene dal terrazzo di casa Hayama; Sana, per l'occasione, aveva proposto al coniuge di munirsi di plaid di lana e contemplare il cielo in tutta la sua immensità.

Ecco perché se ne stavano seduti, dondolando talvolta, sull'altalena, volgendo lo sguardo verso la volta stellata; più che altro l'iniziativa era partita da Sana, Akito aveva pigramente condiviso l'entusiasmo di sua moglie.

«A dir la verità, non è proprio il mio primo pensiero.»

Ecco come smorzare l'entusiasmo, era la cosa che gli riusciva meglio; Sana lo aveva fulminato con lo sguardo, dopodiché aveva poggiato il capo sulla sua spalla.

«Scommetto che quando non ti sarò vicina ci penserai!»

«A quando questa insolita fortuna, di grazia?», ironizzò Hayama.

«Tra una settimana. Inizio le riprese di un nuovo film... interpreterò una ragazza madre, sai?»

Una strana luce brillava negli occhi di Sana, come se quella frase dovesse sottintendere altro. Ancora una volta il ragazzo non riusciva a condividere l'euforia, lasciò che sua moglie parlasse a ruota libera delle riprese.

«Sarà strano vedermi con un pancione...», osservò per un momento il ventre piatto, poi lo immaginò rigonfio ed una strana paura le attraversò la colonna vertebrale, «... non pensi, Hayama?»

«Non ci penso mai.», sentenziò crudelmente il ragazzo.

Quella risposta destabilizzò Sana; non sapeva cosa volesse dire con quelle parole, tuttavia il cinismo con il quale le aveva pronunciate non le piaceva affatto.

«E quindi, se per ipotesi, noi avessimo un figlio... non ci penseresti affatto?»

Il cuore le batteva all'impazzata, quella domanda decretava una risposta essenziale. In fondo erano sposati da pochissimo, eppure le sembrava palese il desiderio di crescere un po' di più.

Fino ad allora non ne avevano mai parlato ma non pensava che Akito potesse provare un tale risentimento verso una gioia così grande come una gravidanza.

«Non ne voglio parlare, Kurata.», quando la chiamava per cognome c'era davvero qualcosa che non andava; Sana si limitò ad incassare il colpo, cercando improvvisamente di deviare la conversazione.

«Vado a dormire.»

D'un tratto, il calore di Hayama sfumò nel nulla e Sana si ritrovò a contemplare il cielo nella sua manifestazione più assoluta da sola.

Strinse le braccia attorno alle ginocchia, pregò con tutta se stessa che quel passo in avanti avvenisse il più tardi possibile. Eppure, il desiderio materno dapprima incomprensibile ora iniziava a prendere forma nella sua psiche.








Due anni e mezzo dopo.






Era una caldissima giornata d'inizio estate, a primo acchito piuttosto tranquilla.

Quel giorno Sana si trovava a girare alcune scene di un film che sarebbe dovuto essere “un vero successo”, avrebbe scalato le vette della popolarità mai quanto prima – queste, almeno, le testuali parole di Rei. Quest'ultimo le trovava gli ingaggi più disparati, pur sapendo che lei avrebbe voluto diminuire i suoi impegni lavorativi per dedicarsi alla vita familiare; d'altro canto, anche Akito aveva i suoi impegni quotidiani: da qualche tempo aveva trovato un'occupazione fissa all'ospedale più prestigioso di Tokyo, era ormai un medico in tutto e per tutto. O, meglio, un fisioterapista.


La loro era una vita come le altre, condotta forse con maggior pressione a causa degli “scoop”, delle voci false e di altri inconvenienti di questo tipo; la popolarità, dopotutto, aveva il suo prezzo.

«Rei, per favore, portami una bottiglia d'acqua.»

Il manager aveva obbedito immediatamente, a giudicare dal pallore del viso di Sana sarebbe dovuto intervenire alla svelta.

Sana Kurata odiava le temperature calde, preludevano sempre svenimenti o abbassamenti di pressione nel suo caso; d'un tratto, come se i suoi pensieri stessero prendendo forma, iniziò a vedere i contorni sfocare ed ogni cosa essere inghiottita dal nero, abissale, vuoto senza fine.





Quando si svegliò, accanto a lei c'era un medico anziano con due grandi baffi e la premurosa assistenza di Rei.

Ci mise un po' a distinguere i contorni delle cose ma, a conti fatti, si trovava nella sua roulotte.

Dal finestrino poteva vedere le cineprese e gli altri attori che provavano le scene del film. Tuttavia, si tranquillizzò solamente quando il medico la rassicurò circa le sue condizioni.

«Signora Hayama, è stato un calo di zuccheri. Le prescriverei degli integratori e delle vitamine, con questo caldo è bene fare attenzione.»

Rei esalò un sospiro di sollievo; il suo telefono d'un tratto squillò e si scusò un momento.

Il medico annotò sul block notes un paio di cose, con una calligrafia davvero illeggibile; poi le porse il foglio e le suggerì un paio di accorgimenti.

«Tuttavia, signora, le suggerirei anche di fare un paio di controlli specifici.», Sana non capì, arcuò le sopracciglia in un'indefinibile mossa.

«Ho... ho qualche problema, dottore?»

Il dottore sorrise, di fronte l'ingenuità da eterna ragazzina di Sana non c'era scampo.

«No, affatto. Tuttavia, questi cali di pressione potrebbero essere dovuti ad altre condizioni.»

Di quali condizioni stava parlando?

Sana si alzò dal lettino, la testa le doleva ancora un po' ma desiderava vederci chiaro in quella vicenda.

«Dottore, me lo dica chiaramente.», disse, con uno strano presentimento nel tono di voce.

«Signora Hayama, è possibile che lei sia... incinta, sa?»

Il dottore si rallegrò di quella possibile novità, Sana invece impallidì; un figlio, certo, lo voleva da Hayama ma non era sicura che lui sarebbe stato della stessa opinione.

La discussione che avevano fatto un paio di anni fa se la ricordava bene, non le era piaciuto per niente il tono con il quale lui si era rivolto a lei ma... in fondo si trattava di un ipotesi, no?

Non era ancora detto nulla.

Sana deglutì rumorosamente, ringraziò il medico e si distese nuovamente sul lettino.

Mai come in quel momento ebbe paura di perdere la cosa più preziosa della sua vita e di averne in cambio un'altra, preziosa in egual maniera.





*






«Congratulazioni signorina, lei è incinta da due mesi.»

E con quale faccia lo avrebbe detto ad Akito, adesso?

Sana uscì dallo studio medico, una cartella di notevole grandezza in mano e l'espressione stravolta in viso; improvvisamente, il suo equilibrio sembrava barcollante.

Aveva immaginato se stessa bambina, poi ragazzina, dopodiché – accompagnata da non poche difficoltà – diventare donna a tutti gli effetti. E fino ad allora, il tortuoso percorso sembrava essersi compiuto.

Sana credeva di aver terminato la sua scalata, di essere arrivata alla vetta; a quanto pare no, dal momento che la cima era ancora lontana.

«Incinta...»

Sana ripeté sottovoce quella parola, come se fino ad allora non si fosse resa conto della novità. Fissò per un lungo minuto le ante metalliche dell'ascensore prima di premere il pulsante, doveva trovare nuovamente la forza di respirare.

Poi l'ascensore si aprì improvvisamente, rivelando una folla di persone che smaniavano per uscirne; solo allora, riuscì ad entrarvi e, pur tuttavia, non fu capace di togliersi l'espressione allibita in volto.



Fino ad allora la sua vita era stato un susseguirsi senza fine di avvenimenti, sin dalla più tenera infanzia; ora, però, quell'unico avvenimento l'aveva scombussolata a tal punto da sopraffare tutti gli altri.

Ed un altro pensiero si concretizzò nella sua mente, a conti fatti: in fondo, desiderava già da tempo una gioia nella sua vita così grande e, per amor suo, perché Akito non avrebbe potuto condividere il suo entusiasmo?

Era forse il senso di colpa – peraltro ingiustificato, se a sua madre era stato riservato un triste destino la colpa non era da amputare a nessuno – a divorarlo, all'interno?

E perché non scambiarsi gioia e dolore, a quel punto?

Sana sentì le tempie pulsarle forte: più pensava a quella situazione, tanto più non vedeva la soluzione di quel complicato enigma.

«Sana?»

Si voltò di scatto e con sua somma sorpresa distinse la figura di Akito Hayama.

La cartella, di colpo, le cadde di mano – paura di afferrare la verità –, le ginocchia iniziarono a tremarle convulsamente.

Ormai, scendere al piano di fisioterapia era diventata un'abitudine: spesso andava a trovare Akito durante la pausa pranzo – specialmente quando immaginava che non si sarebbero visti fino al giorno successivo – e, osservandolo con il vassoio in mano, era uno di quei momenti.

Sana imprecò a denti stretti, cercando di celare le sue reali emozioni.

«Che ci fai qua?»

Bella domanda, invero.

Si guardò disorientata intorno, poi rifletté: quello sarebbe stato un buon momento per rivelare ad Akito la verità.

Prese coraggio e si disse che non sarebbe andata così male, in fondo prima o poi sapevano che sarebbe capitato.

«V-Vedi, Akito...»

«Sana Kurata!»

Un urlo altissimo risuonò in tutta la stanza, tale da indurre gli altri pazienti a voltarsi in sua direzione. In lontananza si vedeva un giovane ragazzo, che le stava puntando l'indice contro, quasi come se fosse scattato un meccanismo si voltarono tutti gli altri.

E Sana si sentì in imbarazzo, terribilmente; non tanto per il fatto di esser stata riconosciuta – d'altronde, quello era il prezzo della popolarità – quanto perché era in procinto di fare una confessione all'amato e gli altri non potevano minimamente immaginare quanto questo le fosse costato.

Oh, no, giammai: non immaginavano il coraggio che Sana aveva dovuto cercare solo per farsi avanti, la forza di volontà di accettare in grembo un'altra parte di sé – un po' più di sé –, l'immensa forza d'animo di tenere quel bambino, ben sapendo che avrebbe dovuto scegliere.

Sì, se ne rese conto solo in quell'attimo di assoluto panico: Akito le avrebbe chiesto di scegliere.

Poteva chiederlo ad una donna, forse; ma ad una madre... no, ad una madre no.




*





Due settimane dopo.






Certe gioie non si potevano spiegare, davvero.

Potevano essere condivise, però.



Quello, perlomeno, era l'augurio che si era fatta: erano passate circa due settimane da quando era andata dal dottore, a breve sarebbe entrata nel terzo mese di gravidanza.

E, conoscendo la capacità di Akito di scoprire le sue mosse false, il suo segreto non sarebbe stato al sicuro ancora per lungo tempo.

Sussultò quando sentì il rumore della porta; Akito aveva appena oltrepassato la soglia, a ben pensarci era parecchio tempo che non rincasava così presto.

Le loro cenette erano andate a farsi benedire dopo che Akito aveva conseguito l'abilitazione per poter esercitare la sua professione; allo stesso modo, gli impegni di Sana in quel periodo si erano intensificati, l'indomani avrebbe persino dovuto girare un paio di pubblicità.

Forse avrebbe potuto aspettare un altro giorno, prima di rivelargli la verità; forse, facendogli presente che da lì a pochi mesi la loro vita sarebbe stata stravolta Akito avrebbe reagito diversamente da come si aspettava.

Tutti quei dubbi l'assillavano di giorno come di notte, ormai persino riposare era diventato stancante.

Sana si tolse i guanti e lasciò i piatti sporchi nel lavabo; corse letteralmente tra le braccia di suo marito... dèi, come le mancava il suo profumo.

«Era più facile vederci quando abitavamo in case diverse, sai, Hayama?»

Un bacio ridente e fuggitivo, le mani ancora incatenate al suo collo.

«I primi tempi sono sempre così, purtroppo...», si giustificò lui.

Sana allora inclinò il capo di lato, sorrise e staccò la presa.

Pochi secondi di separazione, le mani di Hayama erano scattate ancor prima che potesse accorgersene: ora le cingeva i fianchi, da quella presa Sana non si sarebbe divincolata.

«Mi sei mancata.»

L'ennesimo sorriso si sciolse sulle sue labbra, poi morì su quelle di Hayama.

Erano pochi i momenti in cui veniva fuori il lato fragile e romantico di Akito e, quelle rare volte, erano preziose: poteva essere una frase come le altre, un gesto semplice, un atteggiamento diverso.

Era il suo modo di dirle “ti amo”, tutto lì.

«H-Hayama... dovrei dirti una cosa.»

Boccheggiò ripetutamente; se le mani di Hayama si muovevano così scaltre sui suoi fianchi non riusciva neppure a parlare.

Ricordò, d'un tratto, di dover parlargli di quella questione che ormai non la faceva dormire da quindici lunghe notti... anche se l'intenzione di Akito pareva tutt'altra.

«Domani, signora Hayama.»

Era arrossita di botto, Akito sapeva proprio come metterla a tacere.

L'istinto, a quel punto, prevaricò sul raziocinio: le dita di Hayama trovarono il modo di sciogliere il nodo del grembiule e di infilare così la propria mano all'interno della sua gonna.

Momento di piacere, estasi, dolcezza, violenza... ecco, un mix sconvolgente di emozioni ed il suo cervello era andato in tilt istantaneamente.

Strinse le dita sulla sua giacca, aveva l'impressione che presto Akito se ne sarebbe liberato, soffocò un gemito in gola.

Quello che accadeva tra di loro quando rimanevano da soli non era spiegabile umanamente: per usare una parola in voga si potrebbe parlare di sesso, ma era una definizione troppo banale. C'era alchimia, una sconvolgente alchimia tra di loro: era come se il tempo non esistesse più, era come compensarsi a vicenda.

Le loro azioni si svolgevano in pochi minuti, brevissimi momenti di piacere eppure unici nel loro genere. Alla fine, chi se ne importava della cena, del riposo, di un letto caldo... bastava una cucina, un tavolo vuoto e la forza di espropriare i sentimenti dal cuore.

Così, sopra un anonimo tavolo da cucina, senza nessuna opposizione.

Amarsi prevaricava infinitamente su qualunque cosa... Bisognava gridarle quelle due parole, pensò Sana, bisognava urlarle, cantarle, piangerle, osannarle. Il mondo, mai come in quei momenti, necessitava di quelle due parole.




Quando Sana aprì gli occhi era notte inoltrata, l'orologio a muro segnava le quattro di mattina; si guardò per un momento, denudata di ogni veste, poi fissò per un lungo secondo il corpo accanto al suo... Akito dormiva beatamente, preda solo di Morfeo, ignaro che presto o tardi la sua vita sarebbe stata sconvolta.

Sana fece una corsa nella camera parallela alla cucina – trasportare Akito in camera da letto era un'impresa vana, tanto valeva passare una notte lì – e prese qualche cuscino ed una coperta. Poggiò il cuscino sotto il capo di suo marito, fissò dolcemente il suo volto rilassato e poi si stese accanto a lui; l'indomani avrebbe dovuto trovare il coraggio, da qualche parte nel suo cuore, di rivelargli la grande novità.

«Forse, Hayama, questa sarà la nostra ultima sera...»

Ed un sorriso, accompagnato da una lacrima, si sciolse sulle labbra.







*







«Figlia mia, prima o poi si noterà!»

Esclamò Misako Kurata, dopo aver appreso la novità.

«E poi... quanto pensi di tenerlo nascosto?»

Ecco, quello era un bel dilemma; certo, sapeva anche lei che presto le sue rotondità non sarebbero sembrate così indifferenti ma la paura non solo le bloccava lo stomaco, le congelava persino il cervello, seguito dal cuore.

Tuttavia, aveva sentito il bisogno di dirlo a qualcuno... e chi, se non sua madre?

La donna inizialmente l'aveva guardata con un'espressione allibita, poi aveva cominciato ad andare nel panico – nemmeno dovesse affrontare lei la situazione –, dopodiché si era comodamente seduta ed aveva sorseggiato il suo tè verde, dicendole: «Non vedo il problema. È normale che prima o poi sarebbe accaduto.»

Appunto, normale.

La normalità, d'altro canto, era un concetto parecchio astratto per quel che riguardava suo marito; più che altro, Sana temeva la sua reazione e così, giorno dopo giorno, si portava dentro quell'immenso macigno e con il passare delle settimane era diventato sempre più gravoso.

Ma non aveva promesso eterno amore, in salute e in malattia, nella gioia e nel dolore... no?

Se c'era una persona che sarebbe stata male era lei, necessitava di Akito per affrontare quel lungo periodo; dopotutto, era la prima volta che... beh, che era incinta.

Anche se non l'avrebbe mai ammesso, dentro la paura le corrodeva l'animo: era davvero pronta a prendersi una responsabilità così grande?

Davvero sarebbe stata in grado di mettere al mondo un figlio, crescerlo, guidarlo in quel percorso tortuoso che rappresentava la vita?

Domande di quel tipo non le facevano fare sonni tranquilli, il fatto poi che dovesse condividerli solamente con se stessa non l'aiutava di certo; così, un giorno, senza alcun preavviso, aveva raccontato tutto a sua madre.

Il cuore, a quel punto, era diventato più leggero; Misako Kurata le aveva dato preziosissimi consigli, ma fin quando non si sarebbe decisa ad affrontare l'argomento con Akito non avrebbe potuto metterli in atto.

«E come glielo dico?!»

Sbottò Sana, picchiettando nervosamente le dita sulla tazza di ceramica.



«Dirmi cosa?»

L'unica pecca di quella favolosa casa era che vi fossero due ingressi, il principale ed il retrostante; tutto bene, se non fosse per il semplice fatto che non si poteva mai sapere da quale parte Akito sarebbe sbucato.

Sua madre aveva rischiato il crollo appena aveva notato l'espressione attonita del genero, ragion per cui preferì dileguarsi ed augurarle telepaticamente buona fortuna. Sana a quel punto si sentì piuttosto agitata, deglutì rumorosamente e cercò di trovare un po' di coraggio.

«Ascolta, Hayama, io ti amo. Ma non posso proprio fare a meno di amare qualcun altro quanto te...»

E se dapprima le parole di Sana parvero sfuggenti, astratte, furono chiare quanto bastava quando quest'ultima sfiorò con una carezza il ventre materno e sfoggiò un sorriso diverso: era la tenerezza di una madre, uno sguardo che Akito non aveva mai visto direttamente ma inconfondibile a suo modo di vedere le cose.

«Non dirmelo... Non...»

Le parole sembravano morirgli in gola, la sua espressione era terrorizzata.

Stava per realizzarsi la peggiore delle ipotesi, Sana pregò con tutta se stessa che almeno un po', in fondo al suo cuore, Akito avrebbe capito.

Invece, nei suoi occhi sbarrati di terrore v'erano sentimenti che non avrebbe mai voluto leggere; Hayama era un libro aperto per lei, qualunque cosa le avrebbe detto in quel momento sarebbe stata una coltellata... una lama, sottile e tagliente, che avrebbe fatto a fette quel che ne restava del suo cuore.

«Hayama...», lo chiamò flebilmente, fermandolo sulla soglia della porta, «... Se esci da quella porta... Non costringermi a dirlo.»

Due pugni chiusi, le nocche che diventavano rosse di rabbia.

Un momento di silenzio, le parole di Hayama che graffiavano come tanti aghi acuminati: «Lo hai detto da sola. Non ti costringo a scegliere, Kurata, hai già deciso.»

Uno sguardo furtivo al ventre semi-piatto, un saluto e forse un mai più.


Le lacrime quella notte si sciolsero come rugiada ma, invero, sapevano solamente di dolore. Piangendo tra le braccia di Misako Kurata, come quand'era bambina, Sana pensò che presto o tardi avrebbe trovato il coraggio necessario per rifarsi le ossa... e rinascere, nuovamente, per se stessa e per il bambino che portava in grembo.





_______________________________________________________








Sette mesi dopo.






Scendere le scale non le sembrò mai così faticoso: il dolore la stava trafiggendo all'interno, così come all'esterno. Affannosamente, lottò per tener ritte le proprie gambe ma fu un'impresa pressoché inutile: le poche forze che le restavano erano solo quelle per mettere al mondo sua figlia.

Shuri l'aiutò ad issarsi in piedi, poi chiamò un'ambulanza immediatamente... nei suoi occhi leggeva qualcosa di strano, come una sensazione non troppo piacevole.


«Respira, Sana, respira!», continuava a ripeterle incessantemente.


Ma respirare, a lungo andare, era diventato pesante: tutto quanto, nella stanza, iniziava a sfumare sempre di più e Sana sentiva di essere ormai prossima alla perdita dei sensi.

Tutto sembrava più leggero, chiudendo le palpebre.










Fu solo riaprendo gli occhi, che si accorse di essere in tutt'altra dimensione: il soffitto immacolato e le lenzuola coordinate ad esso le suggerivano di trovarsi in ospedale.


«Sana!»


La signora Kurata si issò in piedi improvvisamente, sembrava davvero spaventata.

Sana iniziò a rendersi nuovamente conto della situazione: si trovava in ospedale, sì, collegata a dei macchinari, pronta a partorire la sua bambina. D'un tratto il pensiero che le potesse esser accaduto qualcosa si materializzò e fletté il busto in avanti con aggressività, sfiorando il ventre ormai rigonfio.


«Stai tranquilla, va tutto bene, è solo un po' di agitazione. Stai per mettere a mondo un figlio, sii forte.»


Misako Kurata le baciò maternamente la fronte, infondendole un grande coraggio; ora Sana sentiva che avrebbe potuto affrontare quella grande battaglia, tutto per tenere tra le proprie braccia un po' di se stessa ed un po' di Akito, un noi inscindibile, sebbene ormai improbabile.

Il pensiero la rattristò immediatamente, negli ultimi tempi il pensiero era andato ancora di più ad Akito: cosa ne sarebbe stato di lei – di loro – dopo la nascita della bambina?

Ciò che la preoccupava davvero era il futuro, piuttosto che il presente.

Tuttavia, cercò di palesare con i propri familiari una certa forza; non poteva certo mostrarsi debole, non dopo aver affrontato una gravidanza in piena autonomia.


«Shuri...», la ragazza entrò solo in quel momento nella stanza, «... Grazie per tutto. »


Mormorò Sana, non sapendo cos'altro dirle; Shuri la pregò di non badare ai ringraziamenti, in fondo si trattava di una fortuita coincidenza se si era trovata lì al momento giusto.


«Piuttosto, Sana-chan, c'è qualcun altro che vorrebbe parlarti.»


Dietro la porta si rivelò la figura di Akito Hayama, apparentemente indifferente ma, a ben vedere, lo sguardo tradiva la sicurezza.


«Maestra... direi che dovremmo lasciarli soli.»


Disse Rei, invitando la madre di Sana ad uscire fuori; in quel momento, si sentì terribilmente a disagio, sentiva quasi il bisogno di stringere forte la mano di sua madre e sentirsi bisbigliare che sarebbe andato tutto bene.

Ecco perché, quando le dita di Misako abbandonarono quelle della figlia, Sana sentì le sue sicurezze vacillare. Ora, nella stanza, lei ed Akito erano da soli e Sana sentiva che non avrebbe retto altre parole di scherno... no, non sarebbe riuscita a sopportare ancora una volta un simile trattamento.

«Perché sei qui?»

Trovò la forza di domandargli, rifuggendo dal suo sguardo.

Akito se ne stava sul bordo del letto, la stava fissando da un buon minuto; solo quando Sana gli fece quella domanda sembrò rinvenire improvvisamente.


«Mi sembra chiaro, no?»

«Affatto, Hayama.», fece lei, autoritaria, «Capisco le tue ragioni ma non rinuncerò alle mie...»

Sibilò lei, torturandosi le dita con nervosismo; allora Hayama le sfiorò il dorso della mano, si avvicinò quel poco che bastava per annullare le distanze e le mormorò lentamente: «Non capisci proprio Kurata, eh?», l'espressione d'ingenuità disegnata sul volto infantile di Sana bastò a fargli comprendere la sua eterna ingenuità, «Non capisci? Tu sei per me quel che io non riesco ad essere per me stesso. È per questo che...»


«... Non posso separarmi da te.», concluse al posto suo, chinando improvvisamente il capo.


E lei avrebbe dovuto perdonarlo così?

Per tutto quel che le aveva fatto patire in quei nove mesi, per le serate trascorse davanti al focolaio da sola, per le parole che avrebbe voluto dirgli... e invece lui le aveva voltato le spalle, senza ritegno, non degnandosi neppure di sentire le sue ragioni.

Poteva una donna arrivare ad punto simile?

Sana rifletteva tra sé e sé, eppure la risposta ce l'aveva già: la sua bambina, quasi a volerle dare un segnale tangibile, scalciò nel suo pancione e le fece così male che Sana dovette gridarlo.

«Okay, va bene!», disse tra sé e sé, carezzandosi il ventre.

Akito sembrò intuire qualcosa, a tal punto che anche lui trovò il coraggio di avvicinarsi e sentire un'altra vita che pulsava dentro sua moglie... ed era una sensazione indescrivibile, inspiegabile, impossibile da definire in poche parole.


«Meglio tardi che mai, papà, eh?»


Ridacchiò vivacemente Sana, riscoprendo sentimenti che credeva ormai sepolti.

Ed invece, le labbra umide di Hayama si tuffarono sulle sue dopo pochi istanti: senza chiedere il permesso, nel momento meno indicato possibile e stupendola per l'ennesima volta.

Beh, dall'estate dei loro tredici anni non era cambiato molto.

Forse era quello il “destino”, probabilmente agiva per via traverse e talvolta imboccava sentieri di dubbio cammino, ma vincolava i rapporti umani da secoli, millenni, lustri e mai aveva fallito.

In fondo, Akito e Sana avevano saputo da sempre di essere destinati a qualcosa di grande, perché grande era il filo rosso che li univa, grande era il sentiero che avrebbero potuto percorrere insieme: grande, in poche parole, era la strada che avrebbero condotto mano nella mano.







Ho sceso milioni di scale non già perché con quattr'occhi si vede di più.

Con te le ho scese, perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.”







********










Lo so, sono in ritardo sulla tabella di marcia (?), o almeno quello che mi ero originariamente prefissata per gli aggiornamenti in questo fandom XD.

Signori, attualmente, sul mio pc, sono venti pagine di fan fiction. E credo di aver eccezionalmente dato tributi come questi alle coppie che amo... probabilmente è la shot (sebbene sia divisa XD) più lunga che abbia mai scritto per un pairing.

Ma ne sono felice, immensamente :).

Anzitutto, i credits:


Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” - Eugenio Montale.


Sad but True” - Metallica.


Ho inserito due delle migliori opere che amo al mondo (sebbene nettamente diverse fra di loro): una poesia di Montale, che compare anche nel capitolo precedente a spezzoni, ed una canzone dei Metallica, a cui personalmente sono legata :).

Riguardo la storia: la parte “al presente”, in realtà, è solo quella finale; quasi tutta si svolge nel passato (cioè, due anni prima della gravidanza di Sana); appare spesso “frammentata” (ovvero, ci sono scene singole, una dopo l'altra) perché penso che renda meglio la situazione di Sana. Anche se può sembrare una tecnica azzardata, lo so XD.


Beh, ho aggiornato con più ritardo questa fiction perché volevo vedere come finiva il manga nel gruppo di FB. Ed è finita diversamente da come avevo pensato io, più o meno, io avevo immaginato questa scena fluff nel finale come vedete XD.

E vabeh, siccome questa storia originariamente era una mia personale interpretazione di “Deep Clear” alla fine ho tenuto questo finale... non volevo fare un “copi/incolla” delle scene tratte dal manga, ho optato per un'altra soluzione. Alla fine stanno sempre insieme, no? ù_u.


Bene, vi anticipo che prossimamente leggerete qualcos'altro di mio – una storia che partecipa ad un contest ed è, se vogliamo, la prosecuzione di questa fiction.

Adesso, non prendetemi per matta, ma ho deciso di scrivere varie storie post-Sari Hayama collegate a questa fan fiction... Quando ve le troverete in linea, quindi, pensate che saranno collegate a questa storia :) (ci potrebbero essere dei rimandi a questa fiction, ve lo dico per questo ^^).

Okaaay, torno a studiare... mercoledì è vicino T^T.


A presto,


Kì-chan :).



PS: grazie a tutti per i meravigliosi commenti, vi ho risposto personalmente. Non so cosa dire, davvero, sono solo commossa ;_;. Sono contenta che si veda che ci ho messo il cuore :).

   
 
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