V.
Ambassadors.
Provai un immenso e immotivato odio verso Mrs. Hudson.
D’altra parte, avevo
detto io a quella povera donna di venirci a chiamare per la cena, non
meritava
che la detestassi così.
L’argomento, comunque, fu chiuso così.
Più tardi la ringraziai mentalmente per averci interrotti.
Non sapevo quali
sarebbero state le conseguenze se avessi baciato Holmes e forse sarebbe
stato
meglio non scoprirlo. Per di più, non era nel pieno della
salute e quasi mi
sarebbe sembrato di abusare di lui. L’imbarazzo subito dopo,
poi, sarebbe stato
troppo.
Non ne parlammo più, quel momento sembrò
dimenticato da entrambi.
Dopo cena, quindi, parlammo solo del caso, come se niente fosse, anche
se mi
sembrava che Holmes fosse notevolmente più rigido del
solito. Cercava di
mantenere una parvenza di normalità, ma sentivo che qualcosa
non andava.
Decisi, più per togliermi il peso che per una reale
certezza, che avrei
attribuito quel suo strano comportamento alla febbre.
La mattina dopo, Holmes si alzò di buon’ora, come
suo solito quando aveva un
caso particolarmente interessante tra le mani.
Erano appena le sette quando uscii dalla mia camera, ancora in pigiama
e
vestaglia, e lo trovai seduto sulla poltrona, di nuovo lo sguardo fisso
nel
vuoto, durante la riflessione, le mani giunte sotto il mento.
Non aveva suonato, quella notte. Mi ero svegliato alle tre, come il
solito, per
via dell’abitudine, ma non avevo sentito nulla. Probabilmente
era troppo stanco
e non era riuscito a rimanere sveglio.
Non si accorse neanche della mia presenza finché non mi
sgranchii la voce.
“Buongiorno” salutai, quando lo vidi voltarsi verso
di me.
“’giorno” mugugnò, tornando a
guardare il muro.
Non ricevendo altra considerazione, tornai in camera mia per cambiarmi.
Quando rientrai in salotto, trovai il vassoio con la colazione
appoggiato sulla
mia poltrona e Holmes che leggeva il giornale.
Rimasi allibito.
“Mi dica che quello che leggo in prima pagina è
dovuto a dei problemi ottici
molto prossimi” chiesi.
Richiuse il giornale e lo posò sul vassoio sulla mia
poltrona insieme alla
colazione.
In prima pagina faceva bella mostra di sé il titolo che
annunciava la morte
della Regina di due giorni prima.
“Come hanno fatto a scoprirlo?”
“Non mi stupirei se qualcuno a Scotland Yard si fosse fatto
scappare qualcosa…
fatto sta che adesso ci ritroveremo immersi in una folla nel panico.
C’è anche
il mio nome nell’articolo”
Nessuno dei due aggiunse altro. Una volta che fossimo arrivati a
Buckingham,
sarebbe stato un inferno. Se tutti sapevano della morte della Regina,
sotto il
palazzo ci sarebbe stata una folla che a mala pena ci avrebbe permesso
di
passare con la carrozza.
“Holmes, può gentilmente togliere la sua colazione
dalla mia poltrona?” chiesi,
tanto per cambiare argomento.
“Ho già fatto colazione, più di
un’ora fa. Quella è la sua”
Ammetto che forse non era una cosa che rientrava nei limiti di
normalità della
mente di un uomo comune, ma rimasi molto più stupito del
fatto che Holmes mi
avesse preparato la colazione che del fatto che la stampa avesse saputo
tutto.
Ovviamente dopo tanti anni di amicizia e convivenza, si penserebbe
normale un
gesto simile ogni tanto, ma non è da dimenticare che il mio
coinquilino era pur
sempre Sherlock Holmes.
“Oh. Grazie”
Non rispose. Non rispondeva mai ai ringraziamenti e ancora non ho
capito perché.
“Faccia in fretta, dobbiamo andare” disse solo.
Normalmente avrei combattuto per farlo rimanere a casa, nelle
condizioni in cui
era, ma se non me l’avrebbe data vinta con un caso qualunque,
ero certo che per
continuare le indagini di questo caso avrebbe lottato fino allo stremo
delle
forze. Non glielo chiesi neanche. Una volta pronto per uscire, mi
limitai
semplicemente ad assicurarmi che avesse con sé almeno una
sciarpa. Mi rivolse
un sorriso divertito quando gliela passai, ma non disse niente. La
afferrò
soltanto e se la legò intorno al collo.
La carrozza che venne a prenderci veniva direttamente da Buckingham
Palace,
mandaci dal fratellino Mycroft.
La prospettiva che ci si presentò davanti era esattamente
quella che ci
aspettavamo. Una folla in delirio, composta di civili e sudditi,
invadeva la
piazza di fronte al palazzo, armata di macchine fotografiche, taccuini
con
penne o semplicemente domande cui nessuno poteva permettersi di
rispondere.
Non entrammo dal cancello principale; quando il cocchiere vide la
folla, cambiò
strada e ci fece entrare dal cancello sul retro.
Non c’era nessuno ad aspettarci fuori, tutti si erano
barricati dentro, lontani
dai giornalisti e le loro fotocamere.
Ormai tutti sapevano che Sherlock Holmes stava seguendo il caso, quindi
non ci
preoccupammo di evitare di essere fotografati ed entrammo dalla porta
principale.
Mycroft e Lestrade ci vennero subito incontro ma Sherlock non permise
loro di
parlare.
“Mi domando, Lestrade” iniziò subito
“chi venga ammesso tra i suoi uomini, se
per i giornalisti è stato così semplice avere
tutte le informazioni. Mycroft-“
aggiunse, voltandosi verso il fratello.
“Come stai?” lo interruppe subito, con aria
preoccupata “In quarantasette anni
raramente ti ho visto con una sciarpa. Stai bene?”
“Sto benissimo” rispose, con un lieve sorriso di
rassicurazione.
“Ha la febbre” lo corressi.
A quel punto Mycroft si voltò verso di me, ormai cosciente
che Sherlock non
avrebbe mai ammesso di stare male neanche se avessimo testimoniato
misurandogli
la febbre lì, davanti a tutti.
“Alta?”
“Non troppo, ma sarebbe meglio se riposasse”
“Lo riporti a casa, allora”
“Dubito che collaborerebbe”
“Stordiamolo”
“Signori” ci interruppe Sherlock, prima che potessi
chiedermi come Mycroft
intendesse stordire il fratello. Forse parlò in quel momento
perché lui non
voleva saperlo. “Vi ricordo che sono qui, accanto a
voi”
Dopo di che ci superò e tornò verso la camera
della Regina.
Passai lo sguardo tra lui che se ne andava e il fratello che ancora lo
guardava, preoccupato.
Mi sembrava incredibile riuscire a scorgere quella traccia di
umanità in
entrambi gli Holmes in una sola volta. Lo sguardo preoccupato di
Mycroft e il
sorriso rassicurate di Sherlock mi avevano colpito, in qualche modo.
Lo raggiungemmo mentre parlava con uno Yarder e lo aspettammo sulla
porta.
“Ci porteranno il cappio” comunicò,
raggiungendoci “Intanto, Mycroft”
abbassò
la voce “dovresti portarmi i fascicoli contenenti le
informazioni sugli
ambasciatori”
“Niente donne” confutò l’altro.
“Niente donne” fu la conferma.
Quando Mycroft se ne andò, Sherlock si accomodò
su una poltrona nella camera. Teoricamente
non avrebbe dovuto, trattandosi di una scena del crimine e futura
camera dell’erede
al trono, ma nessuno gli disse niente, quindi mi avvicinai a lui, in
attesa.
“Non possiamo fare niente finché non ci portano il
cappio. Tanto vale
riposarsi. Watson, dovrebbe sedersi, non credo che la sua gamba sia
felice di
tutto questo sforzo”
Prima che il mio orgoglio mi permettesse di protestare, Holmes era in
piedi ed
io seduto. Quasi non mi accorsi di quello che successe. Si era alzato,
aveva
premuto sulle mie spalle e mi aveva fatto sedere.
Una gentilezza simile da parte sua era del tutto innaturale ed era la
seconda
quella mattina. C’era qualcosa di strano nel suo
atteggiamento, e non era
niente che fosse riconducibile al caso o alla febbre, a meno che non
fosse il
suo modo di ringraziarmi per prendermi cura di lui.
Scartai subito questa ipotesi, in quanto non era certo la prima volta
in cui mi
ritrovavo con lui malato tra le braccia. Non riuscivo proprio a capire
che cosa
gli fosse preso.
Non so quanto tempo passò da quando mi ero misteriosamente
scoperto seduto
sulla poltrona a quando arrivo Clarkie con il cappio con cui era stata
trovata
impiccata la Regina, ma so che lo avevo trascorso tutto osservando
Holmes,
cercando di scovare qualcosa di anomalo nel suo atteggiamento. Niente.
Quando l’oggetto del delitto arrivò, Holmes non mi
rivolse più uno sguardo e
prese immediatamente la busta dalle mani dello Yarder. Estrasse
velocemente il
cappio, ma non spese più di un secondo per esaminarlo.
Sorrise immediatamente,
vittorioso.
“Watson” mi chiamò, così mi
alzai e lo raggiunsi vicino alla porta “lei è un
soldato, ha combattuto in guerra, quindi certamente avrà
conosciuto ogni grado
dell’esercito. Che cosa le dice questo cappio?”
chiese, mostrandomi suddetto
oggetto.
Capii immediatamente perché aveva sorriso. Una cosa simile
era stata
immediatamente evidente anche a me. Quello non era un cappio come tutti
gli
altri.
“E’ un nodo marinaio” osservai.
“Esatto, vecchio mio” si congratulò,
sorridendo. Quel sorriso mi fece un effetto
diverso dal solito, forse per via degli occhi che brillavano,
febbricitanti, o
per la sua pelle pallida imporporata lievemente sulle guance.
“Dubito che la
Regina sapesse fare un comune nodo a cappio, figuriamoci qualcosa del
genere. Questo
restringe la nostra lista degli indiziati”
Come se si fosse sentito chiamare, Mycroft rientrò nella
stanza con una borsa
che poco prima non aveva a tracolla.
Tutti gli Yarders lasciarono immediatamente la stanza e si chiusero la
porta
alle spalle.
“Tutti gli ambasciatori europei uomini”
comunicò, posando la borsa sul letto. Entrambi
ci si sedettero mentre io, non so perché, evitai. Forse, e
dico forse perché era
pur sempre il letto
della nostra defunta Regina. Mi chiesi come si permettessero di
comportarsi
così.
Vidi Sherlock aprire la borsa e subito scartare un numero consistente
di
fascicoli senza neanche aprirli, solo leggendone i nomi
nell’intestazione. Avvicinandomi,
notai che erano gli ambasciatori degli stati che non avevano sbocchi
sul mare o
fiumi navigabili.
“Restano Spagna, Francia, il novello stato Italiano e la
Grecia…” osservò a
bassa voce, più parlando tra sé e sé
che con noi.
Aprì tutti i quattro fascicoli sul letto, cercando
un’informazione precisa che
non si preoccupò di svelarci.
“Fammi indovinare” richiamò la sua
attenzione Mycroft con un sorriso quando
lui, sbuffando con aria seccata, li aveva richiusi tutti.
“Nessuno di loro ha la
misura del piede adeguabile all’impronta che hai
trovato”
Quella era una delle situazioni in cui mi sentivo certamente di troppo
tra di
loro. Si capivano con un solo sguardo, ragionavano di pari passo ed io
mi
sentivo quasi come se venissi da un altro mondo e mi fossi intrufolato
clandestinamente nel loro.
“Già…” Si rialzò,
restituendo i fascicoli al fratello e riavviandosi alla
porta. “Non credo che a Buckingham Palace ci sia altro da
fare. Andiamo a casa,
Watson”
Mi avviai con lui verso l’uscita, quando improvvisamente mi
bloccò per un
braccio.
“Aspetti un attimo”
Tornò indietro di corsa per raggiungere Mycroft. Si
scambiarono poche parole,
ma da dove ero, non riuscii a sentire niente. Quando mi raggiunse di
nuovo,
però, era ancora più pensieroso.