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Autore: a Game of Shadows    25/06/2011    5 recensioni
Il principe Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, era uno dei figli prediletti della Regina Vittoria. Per motivi burocratici, ciò che comportò la morte della sua povera madre fu insabbiato e sostituito con la ormai celebre versione della sua dipartita del 22 gennaio 1901 a Osborne House all’Isola di Wight. Nessuno, chissà perché, si è mai chiesto perché si dicesse che la Regina fosse ancora sull’isola alla fine di Gennaio quando solitamente passava in quell’abitazione solo le vacanze di Natale.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V. Ambassadors.
Provai un immenso e immotivato odio verso Mrs. Hudson. D’altra parte, avevo detto io a quella povera donna di venirci a chiamare per la cena, non meritava che la detestassi così.
L’argomento, comunque, fu chiuso così.
Più tardi la ringraziai mentalmente per averci interrotti. Non sapevo quali sarebbero state le conseguenze se avessi baciato Holmes e forse sarebbe stato meglio non scoprirlo. Per di più, non era nel pieno della salute e quasi mi sarebbe sembrato di abusare di lui. L’imbarazzo subito dopo, poi, sarebbe stato troppo.
Non ne parlammo più, quel momento sembrò dimenticato da entrambi.
Dopo cena, quindi, parlammo solo del caso, come se niente fosse, anche se mi sembrava che Holmes fosse notevolmente più rigido del solito. Cercava di mantenere una parvenza di normalità, ma sentivo che qualcosa non andava.
Decisi, più per togliermi il peso che per una reale certezza, che avrei attribuito quel suo strano comportamento alla febbre.
La mattina dopo, Holmes si alzò di buon’ora, come suo solito quando aveva un caso particolarmente interessante tra le mani.
Erano appena le sette quando uscii dalla mia camera, ancora in pigiama e vestaglia, e lo trovai seduto sulla poltrona, di nuovo lo sguardo fisso nel vuoto, durante la riflessione, le mani giunte sotto il mento.
Non aveva suonato, quella notte. Mi ero svegliato alle tre, come il solito, per via dell’abitudine, ma non avevo sentito nulla. Probabilmente era troppo stanco e non era riuscito a rimanere sveglio.
Non si accorse neanche della mia presenza finché non mi sgranchii la voce.
“Buongiorno” salutai, quando lo vidi voltarsi verso di me.
“’giorno” mugugnò, tornando a guardare il muro.
Non ricevendo altra considerazione, tornai in camera mia per cambiarmi.
Quando rientrai in salotto, trovai il vassoio con la colazione appoggiato sulla mia poltrona e Holmes che leggeva il giornale.
Rimasi allibito.
“Mi dica che quello che leggo in prima pagina è dovuto a dei problemi ottici molto prossimi” chiesi.
Richiuse il giornale e lo posò sul vassoio sulla mia poltrona insieme alla colazione.
In prima pagina faceva bella mostra di sé il titolo che annunciava la morte della Regina di due giorni prima.
“Come hanno fatto a scoprirlo?”
“Non mi stupirei se qualcuno a Scotland Yard si fosse fatto scappare qualcosa… fatto sta che adesso ci ritroveremo immersi in una folla nel panico. C’è anche il mio nome nell’articolo”
Nessuno dei due aggiunse altro. Una volta che fossimo arrivati a Buckingham, sarebbe stato un inferno. Se tutti sapevano della morte della Regina, sotto il palazzo ci sarebbe stata una folla che a mala pena ci avrebbe permesso di passare con la carrozza.
“Holmes, può gentilmente togliere la sua colazione dalla mia poltrona?” chiesi, tanto per cambiare argomento.
“Ho già fatto colazione, più di un’ora fa. Quella è la sua”
Ammetto che forse non era una cosa che rientrava nei limiti di normalità della mente di un uomo comune, ma rimasi molto più stupito del fatto che Holmes mi avesse preparato la colazione che del fatto che la stampa avesse saputo tutto. Ovviamente dopo tanti anni di amicizia e convivenza, si penserebbe normale un gesto simile ogni tanto, ma non è da dimenticare che il mio coinquilino era pur sempre Sherlock Holmes.
“Oh. Grazie”
Non rispose. Non rispondeva mai ai ringraziamenti e ancora non ho capito perché.
“Faccia in fretta, dobbiamo andare” disse solo.
Normalmente avrei combattuto per farlo rimanere a casa, nelle condizioni in cui era, ma se non me l’avrebbe data vinta con un caso qualunque, ero certo che per continuare le indagini di questo caso avrebbe lottato fino allo stremo delle forze. Non glielo chiesi neanche. Una volta pronto per uscire, mi limitai semplicemente ad assicurarmi che avesse con sé almeno una sciarpa. Mi rivolse un sorriso divertito quando gliela passai, ma non disse niente. La afferrò soltanto e se la legò intorno al collo.
La carrozza che venne a prenderci veniva direttamente da Buckingham Palace, mandaci dal fratellino Mycroft.
La prospettiva che ci si presentò davanti era esattamente quella che ci aspettavamo. Una folla in delirio, composta di civili e sudditi, invadeva la piazza di fronte al palazzo, armata di macchine fotografiche, taccuini con penne o semplicemente domande cui nessuno poteva permettersi di rispondere.
Non entrammo dal cancello principale; quando il cocchiere vide la folla, cambiò strada e ci fece entrare dal cancello sul retro.
Non c’era nessuno ad aspettarci fuori, tutti si erano barricati dentro, lontani dai giornalisti e le loro fotocamere.
Ormai tutti sapevano che Sherlock Holmes stava seguendo il caso, quindi non ci preoccupammo di evitare di essere fotografati ed entrammo dalla porta principale.
Mycroft e Lestrade ci vennero subito incontro ma Sherlock non permise loro di parlare.
“Mi domando, Lestrade” iniziò subito “chi venga ammesso tra i suoi uomini, se per i giornalisti è stato così semplice avere tutte le informazioni. Mycroft-“ aggiunse, voltandosi verso il fratello.
“Come stai?” lo interruppe subito, con aria preoccupata “In quarantasette anni raramente ti ho visto con una sciarpa. Stai bene?”
“Sto benissimo” rispose, con un lieve sorriso di rassicurazione.
“Ha la febbre” lo corressi.
A quel punto Mycroft si voltò verso di me, ormai cosciente che Sherlock non avrebbe mai ammesso di stare male neanche se avessimo testimoniato misurandogli la febbre lì, davanti a tutti.
“Alta?”
“Non troppo, ma sarebbe meglio se riposasse”
“Lo riporti a casa, allora”
“Dubito che collaborerebbe”
“Stordiamolo”
“Signori” ci interruppe Sherlock, prima che potessi chiedermi come Mycroft intendesse stordire il fratello. Forse parlò in quel momento perché lui non voleva saperlo. “Vi ricordo che sono qui, accanto a voi”
Dopo di che ci superò e tornò verso la camera della Regina.
Passai lo sguardo tra lui che se ne andava e il fratello che ancora lo guardava, preoccupato.
Mi sembrava incredibile riuscire a scorgere quella traccia di umanità in entrambi gli Holmes in una sola volta. Lo sguardo preoccupato di Mycroft e il sorriso rassicurate di Sherlock mi avevano colpito, in qualche modo.
Lo raggiungemmo mentre parlava con uno Yarder e lo aspettammo sulla porta.
“Ci porteranno il cappio” comunicò, raggiungendoci “Intanto, Mycroft” abbassò la voce “dovresti portarmi i fascicoli contenenti le informazioni sugli ambasciatori”
“Niente donne” confutò l’altro.
“Niente donne” fu la conferma.
Quando Mycroft se ne andò, Sherlock si accomodò su una poltrona nella camera. Teoricamente non avrebbe dovuto, trattandosi di una scena del crimine e futura camera dell’erede al trono, ma nessuno gli disse niente, quindi mi avvicinai a lui, in attesa.
“Non possiamo fare niente finché non ci portano il cappio. Tanto vale riposarsi. Watson, dovrebbe sedersi, non credo che la sua gamba sia felice di tutto questo sforzo”
Prima che il mio orgoglio mi permettesse di protestare, Holmes era in piedi ed io seduto. Quasi non mi accorsi di quello che successe. Si era alzato, aveva premuto sulle mie spalle e mi aveva fatto sedere.
Una gentilezza simile da parte sua era del tutto innaturale ed era la seconda quella mattina. C’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento, e non era niente che fosse riconducibile al caso o alla febbre, a meno che non fosse il suo modo di ringraziarmi per prendermi cura di lui.
Scartai subito questa ipotesi, in quanto non era certo la prima volta in cui mi ritrovavo con lui malato tra le braccia. Non riuscivo proprio a capire che cosa gli fosse preso.
Non so quanto tempo passò da quando mi ero misteriosamente scoperto seduto sulla poltrona a quando arrivo Clarkie con il cappio con cui era stata trovata impiccata la Regina, ma so che lo avevo trascorso tutto osservando Holmes, cercando di scovare qualcosa di anomalo nel suo atteggiamento. Niente.
Quando l’oggetto del delitto arrivò, Holmes non mi rivolse più uno sguardo e prese immediatamente la busta dalle mani dello Yarder. Estrasse velocemente il cappio, ma non spese più di un secondo per esaminarlo. Sorrise immediatamente, vittorioso.
“Watson” mi chiamò, così mi alzai e lo raggiunsi vicino alla porta “lei è un soldato, ha combattuto in guerra, quindi certamente avrà conosciuto ogni grado dell’esercito. Che cosa le dice questo cappio?” chiese, mostrandomi suddetto oggetto.
Capii immediatamente perché aveva sorriso. Una cosa simile era stata immediatamente evidente anche a me. Quello non era un cappio come tutti gli altri.
“E’ un nodo marinaio” osservai.
“Esatto, vecchio mio” si congratulò, sorridendo. Quel sorriso mi fece un effetto diverso dal solito, forse per via degli occhi che brillavano, febbricitanti, o per la sua pelle pallida imporporata lievemente sulle guance. “Dubito che la Regina sapesse fare un comune nodo a cappio, figuriamoci qualcosa del genere. Questo restringe la nostra lista degli indiziati”
Come se si fosse sentito chiamare, Mycroft rientrò nella stanza con una borsa che poco prima non aveva a tracolla.
Tutti gli Yarders lasciarono immediatamente la stanza e si chiusero la porta alle spalle.
“Tutti gli ambasciatori europei uomini” comunicò, posando la borsa sul letto. Entrambi ci si sedettero mentre io, non so perché, evitai. Forse, e dico forse perché era pur sempre il letto della nostra defunta Regina. Mi chiesi come si permettessero di comportarsi così.
Vidi Sherlock aprire la borsa e subito scartare un numero consistente di fascicoli senza neanche aprirli, solo leggendone i nomi nell’intestazione. Avvicinandomi, notai che erano gli ambasciatori degli stati che non avevano sbocchi sul mare o fiumi navigabili.
“Restano Spagna, Francia, il novello stato Italiano e la Grecia…” osservò a bassa voce, più parlando tra sé e sé che con noi.
Aprì tutti i quattro fascicoli sul letto, cercando un’informazione precisa che non si preoccupò di svelarci.
“Fammi indovinare” richiamò la sua attenzione Mycroft con un sorriso quando lui, sbuffando con aria seccata, li aveva richiusi tutti. “Nessuno di loro ha la misura del piede adeguabile all’impronta che hai trovato”
Quella era una delle situazioni in cui mi sentivo certamente di troppo tra di loro. Si capivano con un solo sguardo, ragionavano di pari passo ed io mi sentivo quasi come se venissi da un altro mondo e mi fossi intrufolato clandestinamente nel loro.
“Già…” Si rialzò, restituendo i fascicoli al fratello e riavviandosi alla porta. “Non credo che a Buckingham Palace ci sia altro da fare. Andiamo a casa, Watson”
Mi avviai con lui verso l’uscita, quando improvvisamente mi bloccò per un braccio.
“Aspetti un attimo”
Tornò indietro di corsa per raggiungere Mycroft. Si scambiarono poche parole, ma da dove ero, non riuscii a sentire niente. Quando mi raggiunse di nuovo, però, era ancora più pensieroso.


 

   
 
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