IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA
1) INVERNO
La porta si chiuse in maniera assolutamente normale e Sora rimase immobile
per alcuni secondi ad aspettare che la strana sensazione d’attesa si
compisse in qualche modo.
Il rumore si spense nella soddisfatta quiete di quella
comunissima mattinata feriale.
Girò la chiave con fare inspiegabilmente perplesso.
Cos’era quell’urgenza?
Quante volte in quegli ultimi anni si era posta quella domanda?
In verità già ne conosceva la risposta.
Si voltò sospirando e si diresse verso scuola.
C’erano momenti della giornata, e quello era
pienamente nella categoria, in cui veniva scossa da
una sensazione tersa e lieve di…smarrimento.
Ed in effetti aveva più in
generale la sensazione di vivere inseguendo un’ormai persa pienezza
esistenziale, come una bimbetta al luna park che rincorra un palloncino
lasciato andare per puro caso.
E quando aveva perso quel palloncino?
Quante volte in quegli ultimi anni si era posta anche quella
domanda?
Conosceva la risposta anche di quella domanda ed era la
stessa della domanda di prima.
Le irregolarità del marciapiede scivolavano
rapidissime sotto di lei, era ormai a metà strada e si aspettava di
incontrare Matt da un momento all’altro. E così
fu.
Un ragazzo alto, biondo e magro la stava aspettando dietro
l’angolo, le spalle a ridosso d’una
cancellata frastagliata da una siepe rattrappita, gli azzurri occhi rivoltile
dall’ombra di una leggera ciocca di capelli che gli ricadeva sulla
faccia.
Le sorrise sincero, le si avvicinò
sistemandosi l’acconciatura e la salutò pacato:
Sora lo salutò a sua volta; che tenerezza le faceva!
Che tenerezza le faceva il modo in cui ingenuamente
preparava le sue entrate, o il suo modo misurato di parlare, o i vestiti scuri che
indossava, o lo sguardo serio, o i movimenti tesi…
Questi accorgimenti gli avevano garantito
un’indiscussa popolarità, ma andavano bene con le ragazzine dei
primi anni, non certo con lei che lo conosceva da quando
era un bambino!
E proprio non se ne rendeva conto!
Sia chiaro, non lo faceva per vanità, eh! Solo sembrava credere che il mondo andasse avanti
così!
Lei scosse la testa sorridendogli e muovendogli così una
momentanea perplessità, lo prese sotto braccio e riprese il tragitto per
la scuola.
Matt era il suo compagno, lo era da molto tempo ormai, dal tempo delle medie.
Ma se lui aveva fatto di lei una droga, lei pareva considerarlo alla stregua di un fratello.
Gli voleva molto bene, certo, ma non provava quel tipico,
viscerale trasporto che nel caso particolare da sempre si dice debba esser d’obbligo.
Ma se la cosa la inquietava anche solo superficialmente, allora non lo dava a vedere nemmeno a se stessa.
Aveva infatti troppo spesso un’aria assente, aveva spesso lo spirito altrove.
Aveva paure che non riusciva a raffigurare per intero, paure che le facevano dubitare che di una determinata
parte della sua vita, parte che era riuscita solo con strazianti fatiche a
concludere, non si avesse da dire più nulla.
“ Fin che è giorno, almeno, voglio evitare di pensarci ” si comandò.
Il silenzio rilassato di quei pochi minuti la risollevò moltissimo e l’aria frizzante della mattinata invernale le alimentò un purissimo sorriso.
Fu in quello spirito che vide…che videro
Tai immettersi in strada dal giardino di una vecchia villetta abbandonata, con
lo zaino su una spalla e l’andatura d’un gatto assonnato.
Matt fece per salutarlo ma Sora lo blocco e lo trascinò più indietro.
- Scusa…Perché? – domandò Matt.
Sora, agitatissima, lo trattenne per una manciata di frementi istanti mentre egli la guardava incredulo;
ciò non era da lei. Il ragazzo s’incupì.
Tai sparì oltre un’altra curva e fu come se non
l’avessero mai incontrato.
Era come aver evitato un predatore feroce, ecco cosa
pensò li per li la fanciulla; il pulsare del
petto le ovattò l’udito e gli occhi erano sbarrati.
Ciò che poi la sua parola el suo gesto fecero non la coinvolsero e non la interessarono affatto.
Ma pensò suo malgrado a quella “famelica bestia”.
Dio solo sa quanta parte della sua vita abbia passata ad evitare di pensare a quel ragazzo!
Dio solo sa quanta confusione…ma non poteva negare che egli, anche ora che lo evitava come la peste, fosse
fondamentale per lei.
Si, ne era intensamente innamorata, anzi, probabilmente lo era sempre stata, ma il problema non era quello.
Il ruolo di Tai era molto più profondo: Tai era per lei una sorta di limite inconoscibile,
un’entità trascendentale che per quanto la attraesse e spaventasse la rendeva al contempo speciale,
e questo indipendentemente da tutte le cose del mondo.
Se ne avesse parlato con qualc’uno le avrebbero detto che lo stava ingiustificatamente
divinizzando e che Tai era un ragazzo come tanti altri e che si stava rovinando
la vita…
La verità era che non potevano capire, che non
sarebbe mai riuscita a spiegare quanto questa sensazione le fosse superiore e
quanto essa fosse per lei materna e confortevole!
Che lo si credesse o no Tai era davvero speciale!
Era così incredibilmente distante pur nella sua purissima
spontaneità! E ciò era agli occhi di
Sora quasi…angelico.
Tai era come un animale selvatico, si, questo era il giusto
paragone: per quanto distante potesse sembrare era cosi
incredibilmente umano! Molto più umano di quanto lo sia chiunque
altro!
Eppure erano così in pochi
ad averlo intuito e Sora sapeva che così chiaramente lo aveva capito
solo lei.
Non aveva in verità mai saputo come comportarsi con
lui, non aveva mai capito realmente cosa egli volesse.
Ma se in passato questo stato d’inespressa potenzialità
la torturava, ora aveva capito che le era fondamentale che le cose
rimanessero così.
Ora sapeva che la risoluzione di quello stato, lei non
l’avrebbe mai potuta capire, e che per quanto male le avesse fatto, le aveva al contempo dato se stessa:
quando la rifiutò, Tai le donò se stessa.
Aveva accettato quell’urgenza.
Aveva accettato di chiedersi perpetuamente che cosa fosse quell’urgenza
e aveva accettato di non poterla capire.
Queste erano le sue risposte.
2)
TRAUMEREI
La notte, però, tutto cambiava.
Da alcuni mesi a quella parte, la notte faceva fremere quell’equilibrio, come una colossale fera che sta per svegliarsi ed in quelle ore le sue risposte non valevano più.
Il male che tanto temeva era nel sonno e nei sogni che le portava.
Quei sogni scardinavano la chiave di volta della sua inquietudine e le mostravano Tai, irradiante una spettrale luce verde, che, in piedi ed immobile, fissava il vuoto ai piedi del suo letto.
Ma quello non era uno dei consueti sogni su Tai, quello era diverso!
Era imbevuto di una tragicità sussurrata così folle, piena ed incomprensibile che nessuno avrebbe potuto sostenere per intero.
C’entrava forse… Digiworld?
Aveva fatto così tanta fatica a chiudere definitivamente i ponti con quel passato, perché ora, perché ritornare proprio ora che era passato così tanto tempo!
Però più ci pensava più capiva di aver indovinato; non sapeva che c’entrasse Tai, che ruolo avesse nel significato profondo di quella ”visione”, certo era che se pensava a Digiworld doveva pensare anche a Lui.
Non le era mai stato più vicino che in quel luogo senza senso.
Comunque non sapeva se voleva verificare se aveva ragione, se davvero voleva assistere all’avverarsi delle prospettive che una rivelazione simile apriva.
Sarebbero state sicuramente enormi.
“ Tanto, che ho da perdere ? ” si disse.
Non era quello il punto: non stava cercando la felicità, non le serviva agire, cambiare le cose per tornare sana. Sarebbe stato troppo ingenuo da parte sua ignorarlo.
Riportare il caos le era inutile ora le rimaneva da chiedersi se era giusto e se per quanto terribile non fosse però necessario.
“ Forse dovrei… parlarne… a…Tai…”
Facce invisibili la derisero silenziose.
Tornata alla realtà, Sora temeva solitaria il crepuscolo tra silenziosi fremiti e sudori freddi.
Ed anche quel giorno, nel compiersi dell’angosciosa e pallida luce invernale in un’oscurità densa e malata, le parole tornarono a non significare nulla per lei.
Era stata una giornata inutile, nulla era veramente successo dopo quella mattina e ora, nella notte prossima, muoveva assente verso casa.
L’atmosfera dei sogni era già su di lei quando, nella tetra luce arancione dei lampioni, rivide Tai. Col suo solito moto felino stava entrando nella fatiscente proprietà di quella mattina.
Lo seguì.
A distanza.
Lo vide andare verso il giardino sul retro, lasciar cadere il borsone che teneva in spalla e dirigersi verso un insignificante muretto.
La nebbia calava pesante sull’imbrunire annoiato e lei, dietro un albero umido e marcescente fissava il ragazzo con stupore.
Sdraiato sul piccolo rudere, il vecchio compagno d’avventura le pareva un elemento naturale: era come guardare una cascata o un albero antico.
Scorrevano i secondi e lei lo fissava con sempre maggior trasporto finché, perso il controllo, lo chiamò vivacemente:
- E CHE CI FARESTI TU LI’ ?! –