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Autore: sammyjoe Storm    04/07/2011    13 recensioni
"L'amore è come il vento, viene e va con facilità, ma se è come il vento prima o poi ritornerà" Da questa frase prende il via questa storia.. Una storia dove i sentimenti, le provocazioni, la passione, le emozioni, i sorrisi e le battute saranno all'ordine del giorno.
Samantha scappa dalla sua vita e dalla sua città, Los Angeles, per iniziarne una completamente diversa a New York, in un nuovo Campus non proprio convenzionale, tanto che gli studenti dovranno inscenare, per un concorso, la rivisitazione in chiave moderna di Dirty Dancing e non solo... Qui Sam incontrerà Alexander, un bellissimo ed egocentrico ragazzo. Sam e Alex, hanno lo stesso identico carattere e si avvicineranno grazie ad una piccola scommessa, un giochino un po' perverso... ma questo è solo l'inizio.
..ma come sempre accade, quando si chiude il cuore, arriva di nuovo l'amore, quello forte, quello vero, quello che ti lascia senza fiato ad annaspare aria, quello che ti massacra il cuore da dentro..eh si.. quando l'amore arriva, o più semplicemente ritorna, non avvisa nessuno.. colpisce come un treno in corsa, come un tir lanciato a tutta velocità o come uno shuttle in decollo.. quando arriva arriva e non c'è niente da fare.. se non viverlo o almeno provare a viverlo, perchè scappare è inutile, ti insegue e non ti lascia mai. L'amore è qualcosa che attanaglia l'anima, prende il cuore, il corpo e la mente, niente resta escluso..se è amore. Paradiso e inferno, volo e immobilità, colore e nulla.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ero nella mia città, ero con la mia migliore amica, ma non riuscivo a sorridere né a piangere, mi trovavo in uno stato di totale sospensione, un limbo dove il dolore e la tristezza aleggiavano come fitta nebbia e non mi permettevano di vedere e scorgere e provare niente. Grigiore dei sensi, intorpidimento delle membra e immobilità dell'essere.
Era staticità e apatia.
Mi trovavo in camera di Nikki ed eravamo sdraiate sul letto, avevo appena finito di raccontarle tutto quello che era accaduto poche ore prima, rivedendomi per l'ennesima volta i fatti davanti agli occhi, come se stessi guardando ancora quel dannato film, peccato che non fossi una spettatrice ignara e inconscia ma l'attrice reale e che quello, purtroppo, non fosse una cazzo di semplice e banale storia scritta da altri.

Anche lei era silenziosa, nessuna delle due aveva proferito mezza parola dalla fine del racconto.
Entrambe guardavamo il soffitto, come se fosse la cosa più interessante del mondo, ma nessuna di noi lo guardava veramente, pensavamo entrambe.
Ad un tratto schioccò la lingua sul palato.
“Io quello lo ammazzo, anzi no, lo castro direttamente e, se non dovessi riuscirci, glielo tiro e poi lo annodo ma non con un semplice nodino del cacchio, uno di quelli che non può slegare, tipo quelli delle cime delle barche, come si chiama.. ah sì, nodo savoia. Testa di cazzo! Tesoro, mi dispiace tanto”
Si avvicinò a me, spalla contro spalla, inclinai la testa dalla sua parte e lei fece lo stesso, ci fissammo per circa un minuto.
La vedevo, era preoccupata, dispiaciuta e amareggiata; non volevo si sentisse male anche lei, era parecchio empatica quando si trattava di me.
Risi, ripensando alla sua frase di poco prima, e la vidi alzare entrambe le sopracciglia, sicuramente stava pensando che fossi impazzita.
“E da quando sai fare i nodi marinareschi?” domandai curiosa.
“Hem... imparerò su internet o comprerò un libro illustrato, ce la posso fare... Ma vuoi mettere la soddisfazione che avrei ad impedire al Dio del sesso, nonché Mr egocentrico, di scopare per un bel pezzo?”
Ridemmo. Era contagiosa Nikki, riusciva a strapparmi una risata anche se non avevo nessuna voglia di ridere e credo che sorvolò sul fatto che la mia fosse una risata un po' tirata.
“Hai due occhi gonfissimi, è meglio se ti riposi un po'..”
Mi fece una carezza sulla testa e si azò, si avvicinò ad uno dei suoi millemila cassetti ed estrasse un pigiama.
“Mettiti questo, stasera dormi con me, poi domani potrai andare a casa tua, non ti lascio sola stanotte. Nel frattempo vado a prepararti una tisana della mamma”
“Grazie, ma niente tisana, ho lo stomaco completamente chiuso.”
Fece no con il dito e assunse quell'aria materna “La tisana la bevi o te la faccio ingoiare con l'imbuto!”
Ecco, mai contraddirla.
“Sì, mammina” le risposi accennando un sorriso.
“Vado e torno”

Scomparì in un battibaleno. Mi cambiai e l'attesi a gambe incrociate sul letto.
Forse avrei dovuto avvisare qualcuno, Steve o Bruce, ma da loro era già mattina, quindi Steve era a lezione e Bruce, molto probabilmente, immerso in una vasca nuvola in qualche centro benessere; avrei mandato un sms appena mi sarei svegliata.
Lasciai il telefono spento in borsa, non mi andava nemmeno di controllare se ci fossero messaggi o chiamate. E se mi avesse chiamato Alex? Certo, per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Inutile sperare o farsi castelli in aria, era meglio lasciar perdere, dovevo solo riposarmi e riprendermi, domani sarebbe stato un altro giorno.
Le lacrime, questa volta, scesero da sole.
Ma che mi aveva fatto? Dov'era finito il mio carattere? La mia forza di volontà?
Non avevo più pianto da quando ero arrivata all'aeroporto, perché doveva accadere, ancora, adesso?
Solo per aver pensato a lui per un attimo fugace? Era entrato in me così profondamente che nemmeno riuscivo a rendermi conto delle mie azioni, emozioni e sensazioni?
Sicuramente! Ed io mi sentivo una cretina per aver permesso che accadesse tutto ciò.
Stupida, stupida Samantha.

Arrivò Nikki con la tisana fumante.
Mi asciugai gli occhi con la manica del pigiama, velocemente, non volevo che mi vedesse piangere.
“Tieni scricciola, questa ti calmerà e ti permetterà di dormire un pochino”
“Ok, grazie. Hai messo lo zucchero?”
“Certo che no, ti conosco bene, io!”
E mi sorrise sincera, non disse nulla, nemmeno quando mi fissò il viso. Dio quanto le volevo bene.
Si mise il pigiama ed io finii la mia tisana. Nell'arco di cinque minuti eravamo entrambe sotto il piumone, vicine.
“Nikki, tu domani devi andare a lezione, appena mi sveglio vado a casa mia e ci vediamo poi la sera”
“Non preoccuparti, comunque ho già avvisato Tara”
“Ah giusto, non l'ho nemmeno chiamata, sono una persona pessima”
“Smettila o ti tiro un pugno su quella testolina buffa. Adesso dormi, domani penseremo a cosa fare e tutto il resto”.
Ci abbracciammo come sorelle, come gemelle, come amiche che si volevano un bene dell'anima.
Mi sentivo meglio, più rilassata e calma, non mi accorsi nemmeno che mi addormentai in un lampo. Sfinita.

Mi stiracchiai, ma appena lo feci sentii tutti i muscoli dolermi. Ma come cavolo avevo dormito?
Mi alzai ed andai in bagno a lavarmi la faccia, con mio stupore notai che gli occhi non erano gonfi, segno che avevo riposato e non avevo pianto nel sonno.
Ritornai in camera e trovai Nikki.
“Buongiorno bella addormentata, come ti senti?” Domandò curiosa e sorridente.
Era strano vederla così allegra di primo mattino, perché era come me, e ci metteva un po' ad ingranare una volta uscita dalla culla dei sogni, inoltre era già vestita.
“Sinceramente? Mi sembra di essere stata investita da un tir, mi fanno male tutti i muscoli”
Ridacchiò e si sedette sul letto, la raggiunsi e mi sedetti vicino a lei.
“Ma tu, piuttosto, che ci fai a casa? Non dovresti essere a lezione?”
“Hai fame?” Domandò in risposta.
“Mangerei una mucca, ma non hai risposto alla mia domanda” Sorrise ancora. Iniziava a non quadrarmi qualcosa.
“Nikki, da quando sei così allegra di primo mattino?”
“Hem.. è primo pomeriggio” Spalancai gli occhi. Avevo dormito parecchio!
Mi alzai di scatto, mi vestii e presi il cellulare dalla borsa, Nikki fissava i miei movimenti con attenzione, accesi il cellulare e iniziarono a sentirsi beep a tutto spiano.
A quanto pareva avevo ricevuto un bel po' di sms.
“Nikki, che diavolo c'è? Son cinque minuti che mi fissi come se fossi un'aliena!”
“Se prometti che non ti arrabbi, ti dico una cosa” Alzai un sopracciglio e la guardai.
“Che hai combinato? Non avrai chiamato Alex!”
“No, giuro che non l'ho chiamato” disse muovendo le mani davanti a sé, negando ulteriormente.
“E allora che hai fatto? Lo sai che non posso arrabbiarmi con te”
“Oggi è mercoledì”
“E allora?” Risposi convinta. Ma fu un attimo.
“Mercoledì! Come mercoledì! Nikki! Com'è possibile?” Guardai il cellulare che avevo in mano e vidi che segnava esattamente mercoledì. La guardai aspettandomi una risposta.
“Ti ricordi la tisana?” Affermai con il capo. “Gli ho messo dentro il sonnifero di mamma, volevo dormissi tranquilla, ma mi sa che ho esagerato con la dose”
“Nikki! Ma sei impazzita?” Sbottai.
“Scusami Sammyna, ma l'ho fatto per il tuo bene, anche se sei un po' indolenzita, almeno ti sei riposata, non hai pensato e giuro che ti abbiamo monitorato. Giusto, ti ricordo che hai promesso di non arrabbiarti..” Alzai gli occhi al cielo.
“Sei assurdamente incredibile” Alla fine l'aveva fatto per il mio bene e in un certo senso potevo comprenderla, era inutile arrabbiarsi, forse avrei fatto anch'io la stessa cosa.
“Lo so, e tu mi vuoi bene anche per questo” disse trillante. Aveva ragione.
“Si, pazza di un'amica che non sei altro, Ma adesso con che coraggio chiamo il Campus dopo tre giorni senza mie notizie? Conoscendo Steve e forse anche Mark avranno allertato la Polizia, la fforestale, i marines, l'aviazione o..” M'interruppe.
“calma, calma testolina, secondo te, ti avrei lasciato nei casini? Ho chiamato Steve lunedì, gli ho detto che eri qui e ha detto che avrebbe pensato lui ad avvisare chi di dovere”.
“Previdente”
“Astuta direi, non ti sei accorta di nulla” Scoppiammo a ridere, poi prese il cellulare dalla mia mano.
“Vediamo un po' se lo stronzo ti ha scritto”.
Mi morsi un labbro, non ci avevo nemmeno pensato. Sentii un tonfo del cuore.
Diamine, Alex aveva la capacità di sbattermi dal paradiso all'inferno solo a nominarlo.
“Hai parecchi messaggi in segreteria e di testo suoi, il resto sono di Bruce, Steve e Mark.”
Parecchi suoi messaggi... Cosa diamine voleva? Prima agiva e poi voleva parlarmi? Prima faceva quel cazzo che voleva e poi, magari, pretendeva di darmi delle spiegazioni? Avevamo un discorso da chiarire, ma dopo quello che ho visto alla sfilata non c'era molto da dire: i fatti parlavano da sé.
Però da buona masochista avrei voluto sentire la sua voce, Dio quanto mi mancava!
Avrei voluto e potuto, bastava un attimo, schiacciare una semplicissima sequenza di tasti sul cellulare, ma a che pro?
“Ho paura Nikki... Una fottuta paura di sapere, via telefono, qualcosa di più brutto e doloroso di quello che ho già visto.”
“Da quando ti lasci schiacciare senza reagire? Hai sempre affrontato le questioni di petto, e non sarà certo un distributore automatico di sesso a gettoni che ti farà cambiare! Sammy, non posso credere che non ci sia una buona spiegazione a quanto accaduto, stava andando tutto troppo bene tra voi.” La interruppi.
“Appunto troppo bene. Troppo bello e perfetto per essere vero.”
“Adesso basta! Cazzo! Non ti riconosco più!” Sbottò.
La fissai basita, non era da Nikki alzare la voce.
“Sammy, Alex non è Steve. La vostra storia è diversa, voi siete diversi e vi siete presi a testate per un tempo indefinito perché volevate entrambi la stessa cosa. Quando due persone fanno come voi due, quando si comportano uno in riflesso dell'altro, esattamente come specchi, significa che di fondo qualcosa c'è, e quel qualcosa non può essere altro che amore. Solo che quell'altro è una testa di cazzo bella e buona, egocentrico, geloso ma anche innamorato e cretino come tutti gli uomini, e tu sei piena di paure perché ti sei innamorata di lui. Sono sicura che a tutto c'è una spiegazione, almeno secondo me. Quindi adesso libera la mente, torna in te e rifletti su quanto ti ho detto. Vai a farti una passeggiata sulla spiaggia che ti piace tanto, oppure prendi l'auto e vai a farti un paio di curve sopra Santa Barbara, la moto è meglio di no, fai qualcosa che ti piace fare... Sfogati e poi, più tardi, penseremo a cosa fare”. Nikki aveva ragione, su tutto.
“Prendi il cellulare” e me lo porse “Non voglio che tu vada in giro senza. Prenditi tutto il pomeriggio, ci vediamo qui per l'ora di cena”. Sorrise.
Afferrai il cellulare e l'abbracciai.
“Grazie...”
“Adesso fila.”


Iniziai a camminare sulla spiaggia di Santa Monica.
Nonostante fosse ancora inverno, tolsi le scarpe e cercai quel contatto con la sabbia che non sentivo da tempo.
La sabbia era fredda e i raggi del sole riscaldavano appena l'aria, il profumo di salsedine e rena umida, trasportato dal flebile vento, m'investì in pieno. Respirai a pieni polmoni.
Ero a casa.
Mi sedetti a pochi metri dal bagnasciuga, abbracciai le ginocchia e guardai l'orizzonte, in quell'esatto punto dove il cielo e il mare si uniscono fino a fondersi insieme, dando la parvenza di essere un unico elemento. Immensità.

Ripensai alle parole di Nikki e cercai di creare un quadro completo della situazione, estraniandomi e vedendo il tutto con distacco, come se fossi una persona esterna, non coinvolta.
Era difficile inquadrare i comportamenti di una persona come Alex, imprevedibile e troppo particolare per la logica comune, ma soprattutto difficile perché riusciva a far sparire una buona parte della mia razionalità.
E come sempre accadeva, quando si accantonavano momentaneamente le emozioni ed i sentimenti, anche se spingevano e facevano accelerare i battiti ad un'immagine, ad una frase o ad un ricordo, oppure facevano increspare la pelle, provare un brivido o far scendere una lacrima, si ritrovava la lucidità. Un grande sforzo, senza dubbio.
Salì la rabbia.
Mi ero fatta calpestare, non avevo chiesto spiegazioni ed ero scappata per l'ennesima volta; avevo agito d'istinto, ancora.
Dovevo fare qualcosa: chiarire e perdonare o chiudere ed andare avanti, altre soluzioni non potevano essere prese in considerazione.
Fanculo all'orgoglio e al possibile devasto che mi avrebbe potuto cogliere, meglio un attimo da leone che uno da agnello o da cogliona. Volevo delle spiegazioni e le avrei avute, nel bene o nel male e sicuramente ci sarebbero state delle conseguenze.

Infilai la mano in borsa per estrarre le chiavi dell'auto e trovai la busta che mi aveva dato la madre di Alex.
L'afferrai in mano e la guardai.
Vero che non volevo sentire la sua voce e leggere i suoi messaggi, l'avrei affrontato direttamente, ma quella busta richiamava la mia curiosità, adesso, in maniera morbosa.
Che cazzo c'era dentro? Che voleva quella donna?
Feci un respiro profondo e l'aprii.
“Ma guarda un po' la stronza fashion... Ma per chi mi ha preso? Per una puttana?” Parlai a voce alta.

Un assegno con un post it appiccicato sopra con scritto:
Per il disturbo.

Saltai in piedi e gridai con tutto il fiato che avevo in corpo un bel Vaffanculo.
Infilai tutto in borsa e mi diressi, con passo incazzoso, all'auto; sarei andata da Nikki con una decisione, sarei rientrata a New York l'indomani, qualcuno mi avrebbe dovuto dare parecchie spiegazioni, altrimenti le avrei cavate dalla sua bocca a suon di schiaffi.


Parcheggiai l'auto e suonai, aprì la governante e m'indicò di raggiungere le ragazze in salone. Immaginai ci fosse anche Tara.
Vidi Nikki seduta sulla poltrona con un sorriso e mentre entravo dalla porta
“Nikki, devo tornare a New York tu non sai..” e m'interruppi, vedendo Tara con Alex seduti sull'altro divano.
“Che cazzo ci fa lui qui?” Domandai a voce alta.
Tara e Nikki si guardarono, poi Nikki le disse “Te l'avevo detto che era meglio avvisarla”
“Se l'avvisavi non sarebbe venuta qui” rispose Tara.
“Secondo me sì”
“No, non l'avrebbe fatto”
“Sì”
“No”
Evitai di guardare Alex, concentrandomi sulle mie due amiche, nonostante sentissi il suo sguardo bruciarmi sulla pelle.
“Basta!” Si zittirono e si girarono a fissarmi.
“Ho chiesto che diavolo ci fa lui qui!”
“Sam..” proferì Alex.
“Zitto, non sto parlando con te! Allora?”
“L'ho trovato mentre scendeva dal taxi davanti all'agenzia, sapevo quello che era successo e così gli sono andata incontro, poi...”
“Devi ascoltarlo, Sammy” disse Nikki. Assottigliai gli occhi.

A quanto pareva il tutto era stato anticipato e io non mi ero nemmeno preparata uno straccio di discorso. E adesso? Adesso avrei improvvisato.
Appoggiai una mano alla fronte, toccai le tempie e chiusi gli occhi.
“Che cazzo sei venuto a fare?” chiesi bassa, evitando di guardarlo.
“Non fare mai più una cosa del genere!” Spostai la mano e finalmente lo guardai, si era alzato in piedi e mi fissava, serio, la mascella tirata. Mi misi a braccia conserte e sfoderai il sorrisino più stronzo che avessi potuto fare. Se pensava di rigirare la frittata aveva sbagliato tutto.
“Scusa?”
“Hai capito”
“Fino a prova contraria faccio quello che voglio... E poi tu eri troppo impegnato, se non ricordo male, con la tua nuova, oppure ripassata, amichetta”
“Non è come pensi”
“Certo e le marmotte confezionano la cioccolata”
“Sam, sto dicendo sul serio”
“Anch'io, Alex.”
“Ragazzi vi lasciamo soli, se avete bisogno di noi siamo di là...” disse Nikki.
Continuai a fissare Alex ma allungai un braccio in direzione di Nikki e Tara
“Voi due ferme, è casa vostra. Alex tu vieni con me” L'avevo detto con un tono che non ammetteva repliche, mi accorsi della durezza della frase solo quando le mie due amiche mi fissarono preoccupate.
Diedi le spalle ad Alex, sorrisi a Tara e Nikki e mi avviai verso l'auto. Sentii Alex salutare e i suoi passi seguirmi.

Aprii lo sportello dell'auto.
“Sali!” dissi senza voltarmi.
Misi in moto l'auto quando chiuse la portiera e partii.
“Sam, so che sei arrabbiata...”
“Alex, non sono arrabbiata, sono incazzata nera, sono delusa, amareggiata e ferita”.
“Mi dispiace.”
“Anche a me.”
Scese il silenzio.
Forse stava pensando a cosa dire o il modo giusto per affrontare il discorso. Alzai il volume dello stereo, scalai e sorpassai, accelerai, mi spostai sulla corsia di sinistra e cambiai. La strada era libera, sapevo dove volevo andare.
“Sam, è la tua auto?”
“Domanda idiota” Era targata Sammy.
“Non stai esagerando con la velocità?”
“Cos'è hai paura?” domandai.
“No”
“Bene. Hai qualcosa di sensato da dire o preferisci andare subito all'aeroporto?”
“Non scenderò dall'auto finché non avremo chiarito”
“Sei tu quello che deve dare spiegazioni, non io”
“Cazzo Sam, te ne sei andata senza dire niente!”
“Mi hai dato i motivi per farlo, mi pare.”
“Ti ho chiamato talmente tante volte al cellulare, che la tua segreteria è diventata la mia migliore amica. Ah a proposito, non c'è più spazio per i messaggi vocali. Ti ho cercato ovunque tra domenica e lunedì, avanti e indietro, volevo persino chiamare la polizia. Ho rotto i coglioni a Bruce in piena notte per sapere dove cazzo fossi, ho svegliato tutti i ragazzi all'alba per sapere se avevano tue notizie. Niente. Nessuno sapeva nulla. Come pensi mi sia sentito? Dio, Sam, ero preoccupato da morire, stavo impazzendo.. e poi scopro che sei venuta qui, da Steve nel tardo pomeriggio di lunedì”
“Mai una volta che si facesse i cazzi suoi”
“Stupida, tu non ti rendi conto di quanto mi hai fatto stare in pena.”

Stupida io? Poverino, si era preoccupato e adesso faceva la vittima, ma era grazie a lui, alle sue azioni, ai suoi silenzi e alle sue mancanze che ero tornata a casa.
Misi la freccia ed uscii dall'autostrada, eravamo arrivati a Santa Barbara, m'infilai nella strada che portava verso la montagna, la zona più panoramica e piena di curve.
“Si chiamano conseguenze, Alex, ma forse non sai nemmeno cosa siano. Ah, ti consiglio di allacciare la cintura e di chiudere la bocca, adesso”. Fredda e tagliente.
Se prima ero nervosa e incazzata, dopo le sue cazzate lo ero il doppio.
“Non sono un bambino cazzo!”
Lo ignorai completamente. Iniziai a sorpassare le auto, avevo rabbia e adrenalina da far defluire, altrimenti gli sarei saltata alla gola. Alzai la musica, mandai avanti un paio di canzoni e trovai quello che faceva al caso mio: Airplaines.
“Che diavolo..” Gli lanciai un'occhiataccia. Si zittì subito, spiazzato.
Sorpassai, accelerai, scalai, si aggrappò alla maniglia laterale; ero concentrata sulla strada, sulle curve, sulle poche auto che incontravamo; sentivo i giri del motore salire e diminuire. Alex finalmente si era zittito, forse aveva capito o forse pregava di non morire, ma non me ne curai, ero completamente fuori giri.
Arrivai nel punto in cui volevo, uno spiazzo abbastanza ampio, tirai il freno a mano e fermai l'auto.
Polvere come veleno.
Aprii la portiera e scesi, veloce.
“Sei un coglione” e la sbattei, chiudendola.
Scese pochissimi istanti dopo e me lo trovai davanti. Adesso potevo sfogarmi a dovere.

“Come hai potuto? Prima dici che mi ami, te ne fai un'altra davanti a tutti, fotografi e amici, e con che faccia tosta ti presenti davanti a me? E quella donna che per te era solo lavoro ed invece è tua madre? Mi rompi i coglioni perché sono uscita con Bruce, fai lo stronzo, balli con quella puttana, m'ignori dopo averti detto che mi mancavi e poi hai il coraggio di passare da vittima, dopo che te la sei fatta e magari anche scopata a fine sfilata. Anziché parlare con Christopher e credere alla mia versione ti sei fatto abbindolare come un idiota da quella stronza senza cervello, poi anziché chiarire anche solo con un messaggio, con una cazzo di parola come scusami, oppure ho sbagliato, che fai? Niente. Nada. Zero. Ma vogliamo parlare del fatto che hai preferito credere a quella stronza e non a me? Non mi hai dato fiducia, cazzo! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Se volevi lei, bastava poco a dirlo, ma potevi evitare di farmi star male facendomi vedere quello che ho visto e comportandoti diversamente, invece di fare lo stronzo immaturo e testa di cazzo. Te l'ho già detto non sono una bambolina con cui giochi per un po' e poi appoggi sulla mensola!
Hai preferito ferirmi e stare zitto, lasciare che azioni ed eventi parlassero per te.
Bugie, bugie e ancora bugie e silenzi. Che cosa ti ho fatto perché tu ti comportassi così? Spiegamelo, cazzo! Perché non riesco a capirlo. Sei incoerente, vivi nelle tue convinzioni, nelle tue teorie assurde, ti comporti come uno stronzo silenzioso e menefreghista, sei... sei...” Si era avvicinato, era a meno di una spanna e mi fissava serio.
“Sono qui” disse grave.
“Grazie al cazzo, idio...” Mi abbracciò e mi strinse a lui. Cercai di liberarmi ma non me lo permise.
“Lascia...”
“Ascoltami, per favore...” Lo disse in un sospiro, un sussurro lieve, che sapeva di supplica e dolcezza; un soffio invisibile ma consistente di quello di cui avevo bisogno: era pieno di lui.
M'immobilizzai ed inspirai lui, in silenzio, in attesa. Sospesa in quel caldo e sincero abbraccio pieno di dolore e amore, emozioni e sentimenti, paura e felicità.

“Mi dispiace, amore mio. Scusami... mi sono comportato come un idiota, mi sono lasciato illudere da una stupida fotografia e traviare da una stronza, ho lasciato che la gelosia e la paura prevalessero su tutto. Scusami... se sono stato uno stupido egoista che ha perso di vista la ragione e si è fatto offuscare la mente e il cuore. Scusami... se sono stato uno stronzo la sera della festa e ti ho ignorato, se ho ballato con un'altra e non ti ho rivolto mezza parola, ma ti ho fissato solamente. Scusami... se sono uno scemo che ti ha sentito piangere e non ha fatto niente se non guardarti combattuto, se non ti ho chiamato subito per chiarire e ho lasciato passare troppo tempo. Scusami... se sono stato un cretino che ti ha messo in secondo piano tacendoti alcune cose. Scusami... se sono un menefreghista e ho dubitato delle tue parole e dei tuoi gesti. Scusami... se sono un emerito codardo che aveva paura di affrontare una semplice situazione e ho preso e perso troppo tempo. Scusami... se sono un pezzo di merda che si è fatto baciare da un'altra davanti ai nostri amici e a mezzo mondo, ma soprattutto davanti a te, se mi sono lasciato cogliere alla sprovvista da qualcosa che doveva stare lontano. Scusami... se sono un imbecille di prima categoria che non ha pensato con il cuore e ha solamente guardato con gli occhi, chiusi tra l'altro... Ma... Sam, tu riesci a farmi perdere la razionalità e la capacità di giudizio, mi rendi irrazionale e pazzo, vivo solo di emozioni, le più disparate, e sensazioni quando si tratta di te. Tu non ti rendi conto dell'effetto devastante che hai su di me, basta un niente perché tu mi spedisca nell'Empireo e poi giù, diretto, sparato, nella parte più bassa e terribile dell'Inferno. La cosa più incredibile è che tu non te ne rendi minimamente conto. Mi sono preoccupato da morire prima di sapere perché non riuscivo a trovarti da nessuna parte, ti ho cercato ovunque per ore, avanti e indietro, ho persino pensato a tutte le cose brutte che potevano esserti capitate. Ero stretto in un morso di paura e angoscia e terrore, non sapevo... io non sapevo dov'eri né come stavi. Dio, Sam, sono stato malissimo, ho pianto.” Mi strinse con più forza.
“Ho rotto i coglioni a tutte le compagnie aeree per prendere il primo volo per venire da te, per respirare il tuo profumo, per averti tra le braccia, per spiegarti tutto, per rispondere alle tue domande, per farmi insultare, per ascoltare la tua voce, guardare i tuoi occhi, ma soprattutto per dirti che sono un coglione, che ho sbagliato e che mi manchi da star male, Non sono capace di starti lontano, non riesco a ragionare se non sei con me, io...” Lo abbracciai con amore e dolore e gioia. Era impossibile non lasciarsi andare, era impossibile non amarlo con tutta me stessa, era impossibile essere ancora arrabbiata dopo quelle parole.
“Sam... ti amo. Ti prego... perdonami. Sono un coglione.”

La paura scemò, il cuore accelerò e mi sentii invadere dal calore delle emozioni, che solo lui riusciva a far esplodere come fuochi d'artificio. Scesero le lacrime.
“Alex... Ti amo... e si, sei un coglione” Tremò in una risata silenziosa.
Prese il mio viso tra le mani, con i pollici asciugò le lacrime e posò delicatamente le labbra sulle mie. Era tenerezza, era emozione, era amore.
Noi. Semplicemente noi.
Posò la sua fronte alla mia e sussurrò a fior di labbra “Grazie”.
Avrei potuto morire in quel momento, complice della profondità e della sincerità dei suoi occhi, delle sue parole e di lui, totalmente lui.
Avevo bisogno di lui per star bene ed essere felice, avevo bisogno della sua presenza ed essenza per essere me stessa e completarmi, per trovare il mio spazio di mondo.
Cercai le sue labbra e lo baciai, libera dai pensieri e dalle spiacevoli sensazioni, libera dai tormenti che mi avevano assillato e torturato nei giorni precedenti, libera da tutto e con il cuore leggero.
Tra le sue braccia, sulle sue labbra, nel suo cuore e nella sua mente, lì, in quello spiazzo, sotto quel cielo, davanti a quel panorama e illuminati dalla luna, mi sentii veramente a casa e completa.

In pochi attimi il bacio divenne profondo, vorace. Sentii le sue mani stringersi sui glutei e mi sollevò, lo abbracciai con le gambe e infilai le mani tra i suoi capelli. Ci perdemmo in quel bacio, affogammo uno nella bocca dell'altro. Trasporto e Passione.
Sentii la schiena appoggiarsi all'auto, inclinai la testa e le sue labbra furono sul mio collo: baci, languidi tocchi e dolci morsi. Respiri e sospiri, cuori accelerati e desiderio.
Ad un tratto un gorgoglio cupo echeggiò tra noi e Alex si spostò appena per guardarmi, occhi lucidi e un dolcissimo sorriso.
“Hem... il mio stomaco, avrei un po' di fame...”
Rise, con quella risata che mi piaceva tanto e che mi faceva volteggiare il cuore.
“Direi che allora dobbiamo assolutamente andare a mangiare qualcosa, ho una certa fame anch'io, oggi non ho mangiato nulla, ero troppo nervoso e se... andiamo avanti così va a finire che mangio te...” Ridacchiai.
La tempesta era passata ed era tornato il sereno.
“Allora andiamo, ti porto in un posto carino, sempre se mi fai scendere...”
“Ok, tu sei di casa quindi tocca a te far da Cicerone, tigrotta mia. Però ti prego, guida più piano.”
“Non dirmi che avevi paura!”
Ridacchiò. “Paura no, ma mi hai lasciato spiazzato, non ti facevo capace di fare certe cose.”
“Vedi... con me non ti stancherai mai. Dove la trovi un'altra così?”
“Così imprevedibile, pazza, splendida, sexy, dolce, unica, incredibile, bellissima”
“Hey” lo interruppi “Sei il mio adulatore preferito, ricordami di parlare con te nel caso la mia autostima dovesse scendere sotto i piedi”
Sorrise sulla mia fronte mentre i miei piedi toccarono terra, materialmente parlando, perché mi sembrava di camminare di nuovo in paradiso.
“Andiamo, ti porto a mangiare il pesce. Ti porto all' Harbor Restaurant.”
Aprii la portiera e sentii il suo braccio stringersi intorno alla mia vita, la sua bocca sfiorò il mio orecchio e il suo torace si appoggiò alla mia schiena.
“Mi sei mancata stellina” mi lasciò un bacio sulla guancia e fece il giro dell'auto e salì.
Sorrisi con il cuore.

“E così ceniamo sul pier di Santa Barbara a lume di candela.” disse dopo che il cameriere se ne fu andato.
“Ti piace?”
“Particolare, ma non importa il luogo quando sono con te, potevamo anche mangiare un hot dog in una bettola che andava bene lo stesso, l'importante è che tu sia con me, perché sei tu che rendi speciale le mie giornate.”
Ok, aveva deciso che voleva vedermi sciolta come una candela: io la cera, lui la fiamma.
Lui era con me, noi eravamo insieme e il resto non contava più; certo c'erano questioni irrisolte che avremmo chiarito ma bastava la sua presenza per non farmi pensare a nient'altro. Era gioia.

I bicchieri tintinnarono ai nostri innumerevoli brindisi e le nostre risate si sparsero briose nella sala, i nostri occhi non si lasciavano mai, o quasi, giusto il tempo per non far schiantare il pesce sul viso o farlo rotolare sul tavolo.
“Alex, prendi il dolce?”
“Tra poco con te, non qui, non sarebbe carino...”
“Scemo.”
“Arrapato, fatina mia”
“Ok, il dolce a casa, adesso una passeggiata per digerire”
“Se proprio mi tocca...”
“Ti tocca, poco ma sicuro”
“Allora andiamo, così possiamo andare prima a casa” e ghignò malizioso.
Eccolo, era lui in tutto e per tutto, nei suoi gesti, nei suoi sorrisi e nelle sue battutine. Non potevo desiderare né volere di più.

“Sam, aspetta!”
“Lumaca!”
“Lumaca a chi?”
“A te, sei un leone con la velocità di una lumaca”
“Tzè.. io ho le scarpe e tu le hai tolte.”
“Embè? Sei senza fisico.” Gli feci una linguaccia, mentre camminavo all'indietro sulla sabbia e lo guardavo con la luce della luna.
“Ah si eh?! Adesso vediamo”. Si fermò, si tolse le scarpe e le calze in un attimo e scattò.
Non me l'aspettavo, feci appena in tempo a girarmi, fare due passi che mi brancò e mi trascinò con lui sulla sabbia.
Iniziò a punzecchiarmi i fianchi con le dita e a farmi il solletico. Ridevo come una pazza.
“Allora stellina, cos'è che non ho?”
“Niente, niente! Ah ah ah ah” Era a cavalcioni sopra di me, avrei potuto disarcionarlo e invertire le posizioni, ma mi serviva qualcosa per farlo smettere o rallentare.
“Alex, fermati, mi vien da vomitare!” Si immobilizzò. Fui veloce, un colpo di reni, lo feci sbilanciare e invertii le posizioni.
“Ma cosa..”
“Scherzavo” e sghignazzai.
“Che stronza!”
Ridemmo.
“E adesso che siamo così?”
“Adesso che ti ho atterrato, sono soddisfatta e ti punirò per avermi fatto il solletico” e così dicendo mi abbassai sul suo viso e sfiorai le sue labbra, nel frattempo scesi a far coincidere le nostre intimità e mi mossi, strusciandomi appena.
“Oh, se ti vendichi così, ti farò tutti i giorni il solletico”
Sentii le sue mani infilarsi sotto il giubbetto, farsi strada sotto il maglione e spostare la maglietta; appoggiai i gomiti ai lati del suo viso e mi appoggiai completamente a lui. Le sue mani scivolavano sulla mia pelle, erano calde e lisce, si muovevano sicure fino alla schiena e ancora più su. Brividi. Iniziai a baciargli il collo, le guance, a giocare con il respiro nell'orecchio e a lambirne il lobo, poi tornai sulla bocca, che mi attendeva famelica e ci baciammo intensamente. Lo desideravo, lo volevo. Mi staccai brusca.
“Che succede?”
“Niente. Voglio stare qui ancora un minuto e poi andare a casa mia, con te.”
Ero idiota, lo sapevo da me, ma volevo guardare e respirare il mio oceano con lui, un'ultima volta prima di tornare a New York.
Scesi dal suo bacino eccitato e mi sedetti vicino a lui; si alzò a sedere e, muovendosi impercettibilmente, si mise dietro di me e mi avvolse tra le sue braccia, facendomi appoggiare la schiena al suo torace e prendendo le mani nelle sue.
Restammo così qualche attimo, in silenzio ed ammirare la luna piena che si specchiava sull'acqua, creando quella strada argentea che sembrava volerci condurre a lei, la sabbia brillava al candore di quella luce e l'oceano suonava la risacca della sua melodia.
Pace ed emozioni si fusero nel silenzio di quella serata invernale.

“Sam, hai le mani e i piedi gelati.”
“Anche tu”
“Che dici se andiamo a casa al caldo? Non voglio che ti ammali”
“Sì, hai ragione. Andiamo”
Ci alzammo, raccattammo le scarpe e ci dirigemmo, mano nella mano, all'auto.
“Vuoi guidare tu?”
“Non so la strada e poi, se dovessi guidare, va a finire che ti tocca riportarmi su quella strada spettacolare piena di curve, quando l'unica cosa che vorrei veramente è assaporare altre curve... ” fece l'occhiolino, sorridendo malizioso.
Avevo riprese il pacchetto intero. Non potevo chiedere di più.
Sulla via del ritorno cantammo e parlammo come se niente fosse mai accaduto, come se quella maledettissima settimana fosse semplice fumo disperso dal vento.

Chiusi la porta di casa e buttai le chiavi sul mobile all'ingresso.
“Questa è casa tua?”
“Direi di si, non m'improvviso una ladra quando devo andare a dormire”
“E' decisamente immensa!”
“E non hai ancora visto niente. Dai seguimi, andiamo di sopra, che la sabbia mi sta facendo impazzire”
“Ti seguo” replicò guardandosi attorno. Tolsi il giubbino e lo appesi, lo stesso fece Alex e ci incamminammo verso le scale di marmo bianco, che separavano il salone in due parti e portavano al piano superiore, dividendosi, poi, a destra e a sinistra.
Non sentivo i passi di Alex e mi girai a cercarlo. Era fermo immobile a guardarsi in giro.
“Alex?”
“Ci sono.”
“Ma dai?” Sghignazzai.
“Che fai, mi prendi in giro?”
“No, ma che dici?”
In due balzi mi raggiunse, con il sorriso e quell'aria sexy e tenebrosa che tanto mi faceva impazzire, si fiondò sulle labbra e iniziò a baciarmi ancora e ancora.
Le sue mani afferrarono il maglione, lo sfilarono e iniziò a lambire, baciare e mordere il collo, ondeggiai travolta dai suoi movimenti e mi trovai semi sdraiata sui gradini con lui sopra. Sfilai il suo maglione e mi tuffai di nuovo sulle sue labbra, ne volevo ancora, non mi sarei mai stancata di quel contatto; infilai le mani sotto la sua maglietta, volevo sentire e toccare la sua pelle, assaporarla, annusarla, così presi i lembi del tessuto superfluo e la sfilai. Visione celestiale!
Quanto mi piaceva quel torace, delineato alla perfezione e abbronzato, liscio e marmoreo; feci scivolare le mani su ogni tratto di pelle, sfiorando ogni singola cellula e non tralasciando un misero lembo; m'inarcai, aggrappandomi alle sue spalle, volevo sentirne il calore e il profumo, sfiorai la sua spalla con il naso e lasciai dei piccoli baci e prosegui fino il collo e la parte sotto l'orecchio. Avvolta dal tepore e dal profumo, chiusi gli occhi e nascosi il viso nell'incavo della sua spalla. Dio quanto mi era mancato!
“Stellina?”
“Mmmm adoro il tuo profumo e l'odore della tua pelle...”
Lo sentii respirare profondamente e poggiare la testa alla mia.

“Sam, ti voglio”
Mi sfilò la maglia e scese a baciare la clavicola, oltrepassò il seno e continuò sul fianco fino al bordo dei Jeans, poi risalì verso l'ombelico, lento e delicato.
“Alex, fermati. Se dovesse entrare qualcuno e ci trovasse qui così?”
“In piena notte? Bhè.. Lo salutiamo! E facciamo ciao con la mano” e così dicendo tornò a baciare e lambire la pancia, risalendo fino al reggiseno e ancora sulla clavicola, con i denti spostò la spallina e riprese a disegnare quei ghirigori umidi che mi facevano impazzire e che mi eccitavano terribilmente.
Quando le sue mani strinsero i seni e lui affondò con la bocca sul collo, gemetti e mi inarcai ancora contro di lui, strusciandomi come una tigrotta in cerca di piacere.
“Saliamo...” dissi bassa.
“Sto... bene... anche... qui” rispose grave tra un bacio e un morso delicato.
“Ho un'idea..” S'interruppe e mi fissò. Sorrise malizioso.
“Adoro le tue idee perverse.. che hai in mente?”
“Seguimi”

Lo condussi in camera mia, aprii la porta e una volta dentro la richiusi, si appoggiò alla porta.
“Camera tua?”
“Si”
“E' un appartamento non una camera” constatò mettendomi le mani sui fianchi.
“Più o meno”, presi la sua cintura e la slacciai.
“Andiamo”
“Sul letto?” Lambii il suo labbro e lo mordicchiai. Afferrai i suoi jeans e m'incamminai verso il bagno.
“Ok, niente letto... che hai in mente?”
Aprii un'altra porta, quella del bagno.
“Bagno”
“Adesso?”
“Idromassaggio” Gli slacciai i pantaloni e mi abbassai trascinandoli con me, risalii accarezzandogli le gambe e le cosce; presi l'elastico dei boxer e iniziai a tirarlo verso di me, facendo scorrere l'indice e il pollice. Lo fissai negli occhi e li abbassai, appoggiandomi al suo torace con il seno e spingendoli verso il basso con il ginocchio.
“Questa si chiama istigazione notturna al sesso nell'idromassaggio”
Feci scorrere la mano dal suo fianco e circondai il suo sesso con la mano. Un gemito.
“Forse” dissi sensuale.
“Ma se non ti va...” e feci per indietreggiare di un passo.
“Eh no fatina, adesso che hai svegliato Alex Junior non vorrai scappare...” disse portando le mani dietro la mia schiena e slacciando il reggiseno.
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai, mentre la mano e le dita accarezzavano la pelle calda e tesa. Scesi dalle punte dei piedi e spostai la mano, arretrando di un passo.
“Odio quando fai così...”
“E' per una buona causa, golosone” mi spostai fino alla vasca e aprii l'acqua della vasca interrata, rovesciai il bagnoschiuma e poi, lentamente e sensualmente, slacciai i jeans e li abbassai insieme agli slip.
“Ecco, così va meglio..” Gli risposi con un sorriso, ed entrando nella vasca.
“Che fai? Mi raggiungi o resti appoggiato alla porta?” domandai chiudendo l'acqua.
Non feci quasi in tempo a finire la frase che comparve davanti ai miei occhi in tutto il suo splendore di uomo e maschio.
Sempre perfetto, molto probabilmente aveva veramente i geni di un Dio!
Entrò, si accomodò e s'immerse bagnandosi faccia e i capelli, poi con le mani li spettinò e sorrise. Impossibile abituarsi a così tanta semplicità e bellezza, persino i gesti più semplici trasudavano ammirazione e goduria degli occhi.
“Che c'è?”
“Niente, ti guardavo” Ecco, mi ero imbambolata. Possibile che riuscisse a farmi sempre quest'effetto? No, non ero normale.
Mi mossi tra la schiuma e le bolle e scivolai sopra di lui, a cavalcioni. Occhi negli occhi, le sue mani si posarono subito sui fianchi.
“E perché mi guardavi?”
“Perchè a volte mi sembra di vivere un sogno”
“Dolce stellina” Mi attirò a sé e le nostre intimità si sfiorarono e si toccarono, cercammo il contatto tra le nostre bocche e le nostre lingue presero a danzare, dolcezza e tenerezza, che pian piano scemarono lasciando posto a passione e desiderio, le nostre mani iniziarono a vagare alla ricerca di pelle e carne da toccare, stringere e assaporare.
Lo volevo e non volevo più aspettare.
Mentre era distratto a mordicchiare il mio seno, mi alzai appena, mossi il bacino e posizionai Alex Junior nella giusta posizione, scesi leggermente, interruppe la sua adorazione del seno e dei capezzoli e mi guardò.
Adesso avevo totalmente il suo sguardo nel mio e i nostri visi si sfiorarono, circondai, con le braccia la sua nuca e lui la mia schiena, iniziai a scendere lenta, volevo gustarmi ogni singolo millimetro insieme alle sue microscopiche reazioni.
“Sam... vuoi farmi morire...”
“Shhhh”
Gli occhi erano oceano e mare, emozioni allo stato liquido si riversarono come uno specchio nei miei, i respiri diventarono sospiri e i nostri corpi si fusero.
Gemiti e movimenti di bacino. Le sue mani scesero sul mio fondo schiena, le lingue ripresero la loro danza, i corpi seguirono l'istinto e noi tornammo nella nostra terra: Lussurolandia.
E l'orgasmo ci travolse.


"Lascia, faccio io"
"Sicuro?"
"Mi piace asciugarti i capelli e respirare il tuo profumo"
Come facevo a non essere pazza di lui? O innamorata persa? Amavo i suoi piccoli gesti, che gli venivano spontanei o che spesso erano talmente unici che era nessun'altro avrebbe mai compiuto. Il mio Alex. Il mio amore. Il mio mondo.

Inutile dire che una volta sotto le coperte ripartimmo ancora per Lussurolandia, troppo presi da noi, dall'essere di nuovo insime, vicini e uno parte dell'altro.
E far l'amore con Alex era quanto di più bello e appagante potesse esistere.
Mi strinse a sè e ci lasciammo abbracciare da Morfeo, facendoci cullare il sonno da quell'incanto magico chiamato Sogno.




Angolino autrice: Mi spiace se questo non è uno dei capitoli migliori che ho scritto, ma spero che un pochino vi sia piaciuto lo stesso.. L'importante è che non mi prendiate a testate..purtroppo è un periodo parecchio sfigato..e gli imprevisti, quando arrivano, arrivano, peccato che non siano mai vincite stramilionare o inviti a sfilate XD Adesso vado a rispondere subito alle recensioni che mi mancano.
Piccole precisazioni sul capitolo:
Il discorso del sonnifero: con mezza compressa (purtroppo nelle mie sfighe c'è anche l'insonnia) riesco a dormire tranquillamente per 20 ore. Quindi ho pensato che raddoppiando la dose l'effetto potrebbe essere allungato.. se ho sbagliato chiedo venia.
Nikki si arrabbia volutamente perchè capisce che sammy va spronata e che si sta facendo troppe paturnie. Secondo il suo punto di vista sono state delle incomprensioni, perchè stando a quello che le raccontava Sam, nemmeno lei poteva credere che Alex l'avesse abbandonata.
Il discorso della madre di Alex verrà ripreso nel prossimo capitolo.

Solitamente ringrazio con una sfilza di nomi, tutte le persone che seguono questa storia, ma un po' per mancanza di tempo e problemini vari, non ho la testa per intabellare tutti.. quindi Vi ringrazio, semplicemente.
In particolare ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: prettivitto, gwen_87, ElisinaUchiha, sister82, Princesa18, Genn, Vera1982, baby 2080, Keil, CrisAngel, Biancaneve90, GingerRoxanne, rodney, franklyn e liven.
Grazie per le vostre recensioni, mi fanno star bene e mi danno la possibilità di rientrare nella storia, anche quando sono occupata a vivere altro, grazie per le emozioni che mi donate, grazie per la vostra presenza. Grazie di cuore.

Un benvenuto ai nuovi lettori.
A presto
SJ
   
 
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