-Mani dietro la testa!-
Vincenzo Russo si agita con impeto, sordo alle
parole del poliziotto che, a fatica, estrae le manette dalla cintura.
-Fermo!- gli intima rabbioso, schiacciando
ulteriormente il corpo dell’uomo contro il pavimento. Vincenzo respira a
fatica, il volto pigiato sulle piastrelle lercie del covo. –Chi minchia vuliti1!?-
ringhia, sputando saliva giallastra e cercando di divincolarsi dalla presa
ferrea dell’agente.
-Fermo ho detto!- Il poliziotto fatica a far
scattare le manette, per poi afferrare la maglietta sudata dell’uomo e alzarlo
in piedi a fatica. Vincenzo si guarda attorno, respirando profondamente per
calmarsi. Osserva i suoi amici. Enzu è ancora per terra mentre ‘Ntoni viene
portato fuori da due agenti. Fissa la roba sul tavolo, gli alambicchi ancora in
funzione e la polverina bianca pronta per essere imbustata. Questo porterà
rogne a don Patrizio.
-Andiamo, cammina!-
Il poliziotto, un pischello di trent’anni, niente di più, lo spintona malamente verso
la porta del garage, facendogli evitare con uno strattone la pozza di sangue e
il corpo di Petru steso per terra. –No! Petru!- inizia a urlare, liberandosi
per un attimo dalla salda presa dell’agente e inginocchiandosi per terra vicino
al picciotto. –Aviti ammazzatu zu’2 Petru3!- ripete,
iniziando a piangere. L’agente sbuffa infastidito, strattonandolo per una
spalla nel vano tentativo di farlo rialzare.
-Piantala con la commedia, Russo-.
Vincenzo alza il volto piangente, sbarrando gli
occhi sorpreso e infastidito. –Minchia!
Ancora tu?- sbotta, alzandosi finalmente in piedi e muovendo qualche passo
incerto verso l’agente appena entrato.
-Sorpresa! Contento di rivedermi?- lo prende in
giro la poliziotta, facendo un cenno al ragazzo che lo aveva ammanettato di
poter andare.
-Dovevo capirlo che c’entravi tu! Fètiri di burritta4!-
borbotta, asciugandosi con gesti secchi le lacrime e appoggiandosi stancamente
alla parete scrostata.
L’agente White stiracchia un sorriso, avvezza da
anni al linguaggio colorito e alla “erre” marcata dell’uomo.
-Chi fai
ddocu5?- chiede, spazientito, calcolando mentalmente quanti
soldi lo scherzetto di quella pischera gli costerà.
-Ti farò
un’offerta che non potrai rifiutare6- scherza lei, imitando con
poco successo la parlata di Corleone. Vincenzo stiracchia un sorriso, scuotendo
la testa.
-Nu sàcciu
nenti7- sbuffa,
chinando il capo stufo per quella solita domanda. L’agente indurisce lo
sguardo. –Beh, peggio per te, allora- minaccia, afferrandolo saldamente per la
spalla e accompagnandolo fuori dove diverse auto della polizia aspettano il
loro arrivo.
Vincenzo si blocca, socchiudendo gli occhi per la
troppa luce di quel caldo pomeriggio. -Eu
vuoi livariti na petra da la scarpa8, figghia9, e ti capisco. Nun
si l’havi a ghiuttiri10- borbotta sottovoce, obbligando l’agente
White ad avvicinarsi alla sua bocca per capire le parole.
-Allora?- sbotta spazientita, inforcando gli
occhiali da sole e fissandolo torva.
-Nnucenti
sunno. Tutti11- biascica, controllando che Enzu e ‘Ntoni non lo
vedano. La ragazza sbuffa contrariata. –Hai chiesto a tutti?- gli domanda, seria. –Triadi? Yakuza? Tutti?-
Vincenzo fa cenno di sì con la testa. –Consigliori a tia e to padri, sunno12-
ribatte, piccato, mettendo il broncio offeso dall’incredulità della ragazza.
L’agente White gli accarezza una spalla,
nascondendo un sorriso, per poi chiamare con un cenno del capo il poliziotto
che lo aveva ammanettato. –Beh, grazie comunque-.
-Figghia-
la richiama Vincenzo, voltandosi appena. – Si
chianca di corna. Truva u colpevole13- le borbotta, in quella lingua
incomprensibile e musicale, prima di sparire nell’abitacolo della macchina.
-Connie!-
L’agente White raggiunge a passo svelto l’uomo
nella vettura, togliendosi non senza problemi lo stretto giubbotto
antiproiettili.
-E’ andato tutto bene?- domanda il ragazzo,
passandole una bottiglietta d’acqua. –Operazione riuscita, Dave. Ne abbiamo
perso uno ma, in compenso, abbiamo trovato la raffineria. Questo dovrebbe
causare qualche problema ai trafficanti italiani- commenta la ragazza, prima di
versarsi un po’ d’acqua sulla mano e di bagnarsi, stanca, la nuca.
-E Vincenzo?- s’interessa il collega che, da
lontano, aveva assistito interessato a tutto il dialogo fra la sua partner e
l’informatore. –Ha scoperto qualcosa?-
Connie sprofonda sul sedile, stirando le gambe e
chiudendo gli occhi. –L’omertà regna- commenta stizzita, pregando poi il
collega di riportarla in centrale il prima possibile per fare rapporto.
-Ha provato con l’IRA? Nel 1981 hanno compiuto
diversi attacchi…- suggerisce l’uomo, controllando con la coda dell’occhio la
strada prima di partire.
-E perché non rivendicare il merito dell’impresa?-
commenta ad alta voce la ragazza, accomodando la pistola nella fondina e
sistemandosi meglio sul sedile.
L’agente David Canter, a quell’osservazione,
schiocca le labbra, annuendo piano.
-Ho studiato questa storia da tutte le angolazioni,
Dave- si sfoga Connie, girando la manovella per abbassare il finestrino. –Non è
stato un attacco terroristico, ne sono certa. La strage di Tooley Street era in qualche modo una vendetta, un piano elaborato
da qualche folle con il preciso scopo di uccidere qualcuno- sentenzia decisa
prima di estrarre dalla tasca l’agendina di cuoio scuro e appuntare con
irritazione di non avere novità.
David si schiarisce la gola, cercando di guadagnare
qualche minuto prima di dire qualcosa che, lo sente, manderà su tutte le furie
la collega. –Non avevano detto che era stato un incidente?- si arrischia a
chiedere, prima di svoltare sicuro verso sinistra ed immettersi nella Brodway.
-Una fuga di gas14, per la precisione-
lo corregge Connie, sfogliando tutte le teorie elaborate in quegli anni di
indagini non autorizzate.
-E tu non ci credi?- domanda, prima di dirigere la
macchina nel parcheggio del luminoso New Scotland Yard15.
Connie si limita a stiracchiare un sorriso,
scuotendo la testa e accarezzando la mano del collega sul freno a mano. –Lascia
stare- borbotta, per poi scendere veloce dalla macchina.
David si maledice mentalmente per aver tirato in
ballo quel caso che, lo sa, rendeva la collega di pessimo umore. La raggiunge a
passo svelto, iniziando a passarsi una mano fra i capelli corti, imbarazzato.
-Ehm… cambiando discorso…- inizia, ignorando lo
sguardo curioso della collega e infilandosi con lei nell’affollato ascensore.
–Mi chiedevo se, visto la buona riuscita dell’operazione, ti andasse di andare
a pranzo fuori, domani- dice, facendo scendere il tono di voce tanto da
renderlo quasi inudibile sul finale.
Connie, improvvisamente dimentica dell’agendina di
cuoio che sta ancora esaminando, si sistema una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, osservandosi veloce nel vetro dell’ascensore e notando solo in quel
momento il proprio orribile aspetto. –S-Sarebbe carino, Dave, davvero-
balbetta, avvicinandosi maggiormente al partner a causa di un paio di colleghi
appena entrati in ascensore. –Ma domani sono a pranzo da mia madre, sai com’è…-
Dave stiracchia un sorriso, sminuendo l’invito con
“fa lo stesso!” e “sarà per un’altra volta!”.
Connie si morde l’interno delle guance, imbarazzata
e intimamente arrabbiata con quell’invito e con il proprio aspetto. Appena il dlin metallico dell’ascensore l’avverte
di aver raggiunto il piano desiderato, esce a passo spedito ignorando i saluti
dei colleghi.
Afferra una ciambella dal cestino sul tavolo
dell’angolo ristoro e ruba un caffè dall’aria stantia dalle mani di un
poliziotto che, per ripicca, la colpisce scherzosamente sulla testa.
Arrivata alla propria disordinata scrivania si
lascia cadere di peso sulla sgangherata sedia, addentando poi famelica il dolce
dal sapore di cartone.
Sbuffa stanca, distogliendo lo sguardo dalla porta
a vetri d’entrata quando anche Dave fa il suo ingresso. Il collega prende posto
con calma alla scrivania di fianco, iniziando a scrivere con attenzione quello
che ha tutta l’aria di essere un rapporto.
Connie, intenzionata a non incrociare più gli occhi
espressivi del collega per il resto della giornata, inizia a sfogliare le carte
sul tavolo, cercando qualcosa di interessante.
E lo trova.
-Erick!- urla con voce squillante un secondo dopo,
facendo voltare il biondo al quale prima aveva rubato il caffè. L’uomo la
raggiunge un attimo dopo. –Che c’è, vuole dell’altro caffè, agente White?- la
prende in giro, attirando anche l’attenzione di David.
-Quando è arrivato?- chiede con urgenza la ragazza,
ignorando la battuta e sbattendogli con poca grazia in faccia il foglio
incriminato. Erick Miller strizza gli occhi, avvicinando il foglio agli spessi
occhiali. –Questo? Oh, poche ore fa- risponde con un’alzata di spalle, prima di
ridare il foglio a una sempre più febbricitante Connie.
-L’hai inserito nell’HOLMES16?- domanda,
scattando in piedi e stringendo quel pezzo di carta in modo psicotico.
-Ovvio, è il mio lavoro- ribatte Erick, punto sul
vivo.
-Scott c’è?-
-E’ nel suo ufficio ma…-
Prima che l’uomo possa fermarla, Connie era già
uscita dall’open space e si dirige
determinata all’ufficio del Capo Dipartimento.
Eugene Scott, Commissario di Scotland Yard da più
di quindici anni, elogiato dai politici per il suo ottimo operato e criticato
dalla stampa per l’eccessivo zelo, sobbalza sorpreso all’entrata dell’agente.
-White!- ringhia alla porta, trattenendo tra i
denti un’esclamazione scurrile e osservando con orrore la macchia di caffè
espandersi lenta sulla camicia bianca. –Era così difficile bussare?- brontola
minaccioso, mentre lascia la tazza gocciolante sull’angolo della scrivania e
trafigge con lo sguardo la propria agente ferma alla porta.
-Volevo farti rapporto!- trilla lei, ignorando le
minacce suscitate da quella affermazione. Conosce Eugene da sempre, suo padre
aveva insistito perché le facesse da padrino e, adesso che lavora sotto la sua
supervisione, fatica non poco a non trattarlo come uno vecchio zio brontolone.
-L‘operazione Sicilia
è stata brillantemente conclusa- termina soddisfatta, gonfiando il petto e
mettendosi falsamente sull’attenti.
Scott sospira esasperato per quel comportamento
infantile, sedendosi poi goffamente sulla propria poltrona rivestita.
-Mi hai portato il rapporto?- domanda serio,
cercando di mantenere una certa professionalità.
-L’agente Canter lo sta stilando proprio in questo
momento- lo rassicura Connie, mordendosi un labbro e sperando di non essere
arrossita troppo al nome del collega.
Eugene appoggia i gomiti sul tavolo, congiungendo
poi le dita delle mani, in attesa. –Quindi?- domanda spazientito alla fine,
passando lo sguardo sulla figura disordinata e sudata della ragazza.
Connie si siede di fronte a lui, facendo spallucce
e fingendo indifferenza. –Sono stata brava- lo informa poi, senza pudore.
Il Commissario scuote la testa, espirando
lentamente. –Cosa vuoi?- chiede lentamente, scandendo bene le parole e
aspettandosi il peggio.
-Lavorare a questo caso!- trilla entusiasta la
ragazza, scattando in piedi e porgendogli il foglio che aveva trovato prima
sulla scrivania.
Scott inforca con studiata lentezza gli occhiali,
leggendo le poche righe del testo. –Non c’è nessun caso- commenta con ovvietà,
appoggiando il foglio sulla scrivania e togliendosi gli occhiali.
-Oh, non mentirmi!- sbotta Connie, appoggiando
entrambe le mani sul tavolo e sporgendosi verso l’uomo. –C’è un evaso in
circolazione, ovvio che c’è un caso!- gli rinfaccia, parlando velocemente.
Il Commissario si passa una mano sul volto,
nascondendo l’inquietudine che quel non-caso
gli provoca. –Non spetta a noi- si limita a dire, evasivo.
-Problemi di competenze?- lo incalza avida di
spiegazioni l’agente.
-Precisamente-.
-Chi lo rivendica? CIA? INTERPOL?- insiste Connie,
con gli occhi infiammati e le guance rosse per l’eccitazione.
Eugene stiracchia le labbra, passandosi poi una
mano sulla fronte sudata. –Non ti riguarda. Tu devi solo tenere gli occhi
aperti e, se lo vedi, informare subito la centrale perché…-
-… perché il soggetto è armato e molto pericoloso,
sì, lo so. L’ho letto anch’io17- conclude per lui, delusa. –Ma è un
uomo solo! E armato di pistola! Come fa a essere così pericoloso? E perché non è segnato
da che carcere è evaso?- continua veloce, perseverando nel suo ragionamento.
Il Commissario Scott si passa un fazzoletto sulla
fronte e sulla nuca, rimettendolo poi in tasca e accorgendosi del leggero
tremore delle mani. –Perché… perché ti interessa tanto?- borbotta alla fine,
guardandosi attorno con aria circospetta.
Connie lo fulmina. –Lo sai il perché- gli dice
elusiva e con tono minaccioso. -E’ lui, Eugene! E’ lui l’uomo che ho visto a Tooley Street il due novembre di dodici
anni fa!- sbotta all’improvviso, incapace di trattenere quella stravolgente
scoperta e desiderosa di sfogarsi con una delle poche persone al corrente di
quel particolare.
-White!- la rimprovera, richiamandola all’ordine e
pregandole con gli occhi di abbassare la voce.
-E’ lui Eugene, ne sono sicura! Era in quel vicolo,
ha ucciso papà!-
-E’ stata una fuga di gas, una tragedia, certo, ma
solo questo. Un tragico incidente e…-
-No! Sai che non è vero!-
-CONNIE!-
L’agente si calma all’improvviso, accorgendosi solo
in quel momento di star fronteggiando il Commissario in piedi, uno di fronte
all’altro. Abbassa gli occhi, imbarazzata e stizzita, mentre Scott le appoggia
paterno una mano sulla spalla.
-Agente White- riprende, dopo aver riacquistato la
lucidità. –Che cosa ti avevo detto su quel giorno?- la rimprovera gentile, a
bassa voce. –Di dimenticare tutto, ecco cosa ti avevo detto- risponde per lei,
mentre la ragazza si scosta scontrosa dalla presa.
-Mi hai sentito? Lo farai?-
Connie sbuffa sonoramente, iniziando a fissare
interessata il soffitto.
-Dimmi che lo farai-.
-Agli ordini, Commissario-
mastica sottovoce, senza nascondere il tono di scherno.
Scott si risiede sulla poltrona, con il battito
accelerato e, nella mente, un turbine di pensieri, paure e avvertimenti.
-Bene, puoi… puoi andare- dichiara alla fine,
afferrando la tazza sul tavolo con due mani per timore di versarne ancora per
il tremore.
Connie si sporge sul tavolo, afferra il volantino e
si dirige decisa verso la porta.
-Connie- la richiama Scott, sinceramente
preoccupato. –Non fare niente di stupido, ti prego. Lascia perdere- la prega,
un attimo prima che la porta venga chiusa.
-Non cercare Sirius Black-.
_______________________________________________________________
Note:
1. Che minchia volete?
2. Appellativo non privo di deferenza
con cui è concesso chiamare le persone anziane.
3. Avete ammazzato Pietro
4. Puzzare di latte, essere bambino e
ingenuo.
5. Che ci fai qui?
6. Da Il Padrino, film del 1971
7. Non so niente
8. Ti vuoi vendicare
9. Figlia, ragazza
10. L’offesa non si tollera
11. Sono tutti innocenti
12. Sono consigliori tuo e di tuo
padre. Consigliori è una carica di
fiducia e grande importanza
13. Ragazza, sei determinata. Troverai
il colpevole
14.
“«Hanno fatto
una bella fatica a mettere tutto a tacere, vero, Ern?» disse Stan. «La strada
per aria, e tutti quei Babbani stecchiti. Com'è che l'hanno chiamata, Ern?»
«Una fuga di gas» grugnì Ernie” da Harry
Potter e il Prigioniero di Azkaban
15. Edificio dove ha sede Scotland
Yard
16.
Sigla del database criminale di
Scotland Yard, l’ Home Office Large Major Enquiry System.
17. “E’ armato ed estremamente pericoloso. È stata
attivata una linea telefonica speciale, e chiunque lo avvisti è pregato di
comunicarlo imme-diatamente alle autorità”; “Mentre tra i Babbani è stata diffusa la notizia che Black è armato di
pistola (una specie di bacchetta magica di metallo che i Babbani usano per
uccidersi a vicenda)” da Harry
Potter e il Prigioniero di Azkaban