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Autore: Jappy    09/07/2011    1 recensioni
"Chino sul quadrato di gioco, rimase immobile, fissando i pezzi neri che aspettavano che lui facesse la sua mossa. Osservò la scacchiera per diversi minuti, lo sguardo che sembrava perso e la mente sicuramente altrove."
Ogni guerra è come una partita a scacchi: è la mente che muove i pezzi ad essere determinante.
Questa storia racconta di una guerra combattuta dopo la guerra, una guerra fatta di piccole mosse su una grande scacchiera.
La fine è vicina, ma lo scacco matto non è ancora stato dato.
I giocatori si siedano al tavolo e muovano le pedine. Tutti i pezzi sono sacrificabili.
Lo scopo: il matto.
La posta: la vita.
[Nb: La storia si svolge nei giorni immediatamente successivi alla prima scomparsa del Signore Oscuro.]
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Capitolo primo:
Apertura: Gambetto di Donna


Pioveva, quella mattina, il cielo plumbeo piangeva sui tetti, sugli alberi e sulle lapidi di Godric's Hollow, facendo eco alle guance rigate di calde lacrime salate dei presenti. C'era tanta gente, nascosta dietro ombrelli scuri di varie dimensioni. Frank osservò i volti di coloro che riusciva a scorgere dalla sua posizione. C'erano i Weasley con prole al seguito, Molly stringeva tra le braccia l'ultimogenita, una piccola di quasi quattro mesi, che si era beatamente addormentata, ignara della gravità della situazione. Dalla tasca di Percy faceva capolino la testa di un piccolo topo grigio, dall'aria stanca e vecchia, sembrava voler partecipare anche lui al dolore generale. Di fianco a loro, stretti l'uno all'altra, sotto un unico ombrello, Amelia ed Edgar Bones avevano lo sguardo fisso per terra, come se non fossero realmente lì, mentre Dedalux Lux giocherellava con la sua bacchetta, la stessa con la quale due giorni prima aveva illuminato tutta londra con le sue stelle cadenti. Frank osservò le bare lignee, gemelle come le anime che contenevano, finemente intarsiate, volute e pagate dallo stesso Silente. I Potter ora riposavano in pace, le ultime vittime del Signore Oscuro, scomparso due notti prima, annichilito da quella piccola creatura candida e innocente, che ora quasi sicuramente riposava al sicuro da qualche parte. “Potrei esserci io, lì, in una di quelle due bare.” Questo pensiero lo portò inconsciamente a cercare la mano della moglie con la sua e a stringerla delicatamente. Lei rispose alla stretta. Probabilmente le stava attraversando la mente lo stesso pensiero del marito, poiché i suoi occhi tradivano una consapevolezza terribile, che partiva da Godric's Hollow e raggiungeva il figlio, Neville, lasciato a casa dalla nonna.
Remus Lupin, appoggiato ad un nodoso bastone da passeggio di quercia, più emaciato del solito, l'aria patita e stanca, probabilmente distrutto dal dolore più di chiunque altro lì presente, si avvicinò zoppicando alle due bare e prese la parola, la voce quasi rotta dal pianto.
-Conoscevo Lily e James da tantissimo tempo. Son..Erano i miei migliori amici. Ora sono degli eroi. Fece una pausa lunga un respiro, poi riprese.
-Non ho mai pensato che potessero morire. James era sempre sorridente, pronto a scherzare su tutto. Persino qualche giorno fa, chiuso in casa, con mezzo mondo magico, quello malvagio, che lo cercava, è riuscito a dirmi “Ehi Remus, cos'è quella faccia sciupata?! Sembra che ti stiano tenendo rinchiuso da qualche parte!”. Lily era forte. Non si lamentava mai, ma trovava sempre il modo di aiutare tutti, anche solo con una parola di conforto. Non è giusto. Non è giusto affatto. Dovrebbero esserci altre persone, persone crudeli, doppiogiochiste e meschine, in quelle bare. Ci mancheranno. Credo. A me terribilmente.
Il silenzio che seguì fu rotto solo da Rubeus Hagrid, l'unico seduto sull'erba fradicia, con il suo enorme ombrello rosa a pallini aperto sopra la sua testa, così grosso da aver quasi divelto una lapide per trovare il proprio spazio vitale, che singhiozzava rumorosamente, alternando il pianto con il soffiarsi il naso e con il borbottare frasi tipo Non ci è giusto. Non ci è giusto per niente” o Povero Harry”.
Fu Alastor Moody ad avanzare per secondo, lanciando occhiate tutt'intorno, per assicurarsi che nessuna minaccia arrivasse all'improvviso.
-
Oggi siamo qui per dare l'estremo saluto a due persone eccezionali, grandi maghi e ottimi amici. La sua voce rude e rovinata dal tempo tradiva un impeto di ferocia e preoccupazione.
-Vedo i vostri volti affranti, le vostre facce tristi. Loro non ci sono più, ma hanno combattuto fino alla fine contro le forze oscure che li hanno sopraffatti. Grazie a loro, abbiamo vinto. Ma il lavoro non è ancora finito. Altre forze sono in agguato, alcuni seguaci di Colui-che-non-deve-essere-nominato sono ancora in libertà. Questo voglio dire oggi: noi non ci fermeremo. Sopravviveremo e combatteremo anche per loro. Vigili, spietati e giusti. Solo così possiamo davvero onorare la loro morte.
La McGrannit annuì vistosamente con la testa, austera nel suo cappotto color prugna e gli occhiali appannati per l'emozione.
A Frank non sfuggì l'assenza dei due migliori amici di James e Lily: Peter Minus e Sirius Black. Scosse la testa desolato, solo il giorno prima i due avevano avuto un confronto letale, e quel folle traditore di Black aveva ammazzato il suo povero ex-amico per poi farsi catturare dagli auror, in apperente stato di delirio.
-Piangiamo dei cari, degli amici, dei compagni di vita. Ma non dobbiamo dimenticare. La voce di Silente era calma, ferma.
-
James e Lily, oltre ad essere due splendide persone, sono soprattutto un grande esempio: si amavano e amavano gli altri. Hanno dato tutto loro stessi per proteggere quello a cui tenevano, gli amici, la famiglia. Hanno saputo opporsi con fermezza a Voldemort, non ne avevano paura. Del male non si può avere paura, perchè il male nasce da un disagio, l'odio ha radici profonde ma deboli. Loro le hanno sapute estirpare. Ha ragione Alastor nel dire che non è finita. Anzi, è appena iniziata. Ma si sbaglia: non dobbiamo combattere per la vendetta, noi dobbiamo combattere per l'amore. Ora è tempo di ricostruire, e potremo farlo solo se saremo capaci di amare: i nostri vicini, gli amici, i figli o i compagni. Non è facile, lo so. Ma non smettete di provarci. Questo è il messaggio che i Potter ci lasciano: Non smettete di credere nella forza dell'amore. Ricordatevi di loro. In questo modo, l'ultimo nemico ad essere sconfitto sarà la morte stessa.
Silente smise di parlare, e rimase per qualche minuto ad osservare le bare, in piedi, poi frugò tra le pieghe della sua lunga veste da stregone ed estrasse la bacchetta, la agitò in silenzio e i due feretri si sollevarono dai basamenti provvisori su cui erano stati posti. Il preside li spostò, guidandoli con il movimento del suo braccio, fino alla fossa doppia che era già stata precedentemente scavata, quindi li calò giù delicatamente. James e Lily si adagiarono nel loro letto eterno senza il minimo rumore. La professoressa McGrannit invece, ricoprì la fossa, smuovendo un cumulo di terra precedentemente preparato, poi prese dei semi dalla tasca, li lanciò sul terreno, quindi mormorò qualcosa compiendo un movimento a mezzaluna con la bacchetta magica e i semi germogliarono, trasformando il marrone in un sottile strato di erba fresca, che le nuvole cominciarono a riempire di leggere e piccolissime gocce che lanciavano deboli bagliori grigioverdi, riflettendo l'ambiente circostante. Remus si avvicinò alla grossa lapide di marmo bianco, ancora vuota di parole, incise magicamente i nomi degli amici defunti con le loro date di nascita e di morte, poi vi aggiunse sotto: L'ultimo nemico che sarà sconfitto sarà la morte”.
A quel punto, Frank prese sua moglie per mano e insieme si allontanarono dal cimitero di Godric's Hollow.




Erano rientrati a casa da un'ora scarsa, Alice rassettava la cucina mentre Frank era seduto in soggiorno, chino sulla grande scacchiera di alabastro che occupava quasi tutto il tavolino di cristallo davanti al divano, quando arrivò un gufo espresso, che entrò dalla finestra della cucina e si appollaiò su di un attaccapanni all'ingresso. La signora Paciock prese un biscottino contenuto in un sacchetto posto sul primo ripiano di una vecchia credenza del settecento in cucina, si avvicinò al messaggero, gli porse il dolce che la bestia afferrò avidamente nel becco e sfilò la lettera dalla zampa. Recava il sigillo del Ministero ed era indirizzata ad entrambi. La aprì, ne lesse il contenuto in silenzio, poi andò in soggiorno.
-
Tesoro, è l'ufficio . C'è stato un omicidio giù a Sutton. Non da altri dettagli, ma Rufus ha chiesto espressamente il nostro intervento.
-Dammi un secondo, prendo il cappotto e arrivo.
Fissò per qualche attimo ancora la partita, poi si alzò e andò a prendere il trench che teneva nell'armadio, tornò dalla moglie le chiese, mentre si vestiva, dove fosse avvenuto precisamente l'omicidio, quindi entrambi si smaterializzarono.




Il corpo si trovava in un grande capannone industriale, non troppo distante dalla linea ferroviaria. Ovviamente l'edificio era stato riempito di misure anti-Babbano, onde evitare che qualche curioso potesse vedere tutto quel via vai di maghi al lavoro. Due obliviatori vestiti da poliziotti babbani stavano parlando con un individuo basso e tarchiato, sulla quarantina, che gesticolava in modo frenetico e sbraitava con un marcato accento italiano:
-
Era lì così quando l'ho trovato! Non ho toccato nulla, vi dico, è pazzesco! Quella... Cosa che ha assassinato quell'uomo non era umana vi dico! Nessuno può fare una cosa del genere! E' stato un mostro, un demonio vi dico! Nel mio magazzino! E ora come farò?!
La prima cosa che il signor Paciock notò entrando nell'edificio è che c'era una quantità di disordine incredibile. Metà delle merci, grossi scatoloni pieni di cancelleria, erano stati rovesciati, lacerati e aperti, ma non da mano umana. Alice non disse niente, ma gli sfiorò appena una spalla e gli indicò una cassa pila di casse di legno ancora imballate, su cui si vedevano chiaramente i segni di una lacerazione da unghioni. Frank fece cenno di sì con la testa, come ad indicare che aveva capito. Seguirono il vociare concitato dei loro colleghi che proveniva da un punto in fondo alla struttura. Appena svoltarono l'angolo di una grossa scaffalatura una zaffata di odore acre e metallico pervase le narici dell'uomo, facendogli storcere il naso in un espressione di disgusto. C'era sangue lungo tutti gli scaffali, come se qualcuno si fosse pulito le mani -o per meglio dire le zampe- dopo la mattanza. Man mano che si avvicinavano, il tanfo di morte si faceva sempre più intenso e disgustoso. Intorno al cadavere c'erano diversi membri dell'Ufficio Auror, Indaffarati nel cercare di raccogliere prove. Un uomo di mezz'età, allampanato e con pochi capelli, stava prendendo appunti.
-Salve
Smithson.
-Salve signor Paciock. Allora, abbiamo un uomo maschio adulto, altro tra il metro e settanta e il metro e settantacinque, razza caucasica, tra i quaranta e i cinquantacinque anni. Almeno credo, non si riescono bene stabilire le sue caratteristiche.
-“Non si riescono bene a stabilire” ? Cosa vuoi dire?
Intervenne la donna.
-Guardate voi stessi...
L'impiegato si spostò per farli passare. Definire “Efferato omicido” lo spettacolo che si presentò ai loro occhi sarebbe stato alquanto riduttivo: Immerso in un mare di quelli che erano i suoi stessi fluidi corporei vi era una figura umana, priva però di tutti gli arti, che gli erano stati strappati e gettati qualche metro al di là del corpo. Il dal ventre completamente aperto fuoriuscivano brandelli di interiora. Il collo era stato aperto da parte a parte e la faccia, irriconoscibile, sfregiata a più riprese dalla stessa mano che aveva devastato il locale. Le feci, liberate dal rilassamento dei muscoli nel momento della morte, rendevano il puzzo insopportabile. Frank dovette reprimere un conato di vomito.
-
Cosa sappiamo sulla sua morte? Chiese ad alta voce. Un altro impiegato che lui non conosceva si girò verso di lui.
-
Il decesso è avvenuto tra le 24 e le 36 ore fa. Probabilmente Domenica notte. La cosa strana è che la morte sembra essere avvenuta a causa dello squarcio della laringe. Lo dimostrano le feci, che sono state rilasciate ehm.. Naturalmente. Probabilmente una volta deceduto è stato fatto a pezzi. Le interiora e gli arti presentano diversi segni di morsi, e alcuni pezzi mancano completamente, come se fossero stati... Mangiati.
-Mio dio! -
Esclamò Alice- Chi può aver fatto una cosa tanto turpe?
-Di certo non è umano.
La signora Paciock si chinò sul cadavere, stando ben attenta a non toccare niente. Rimase in silenzio per diversi minuti, scrutando palmo a palmo ogni centimetro quadrato di quello scempio. Alla fine notò qualcosa.
-
Là, guardate!
Accanto al corpo, proprio all'altezza della nuca, c'era un piccolo ciuffo di peli bruni. Il medico legale che aveva parlato li raccolse e li studiò con accuratezza.
-
Sembrerebbero di cane. O di Lupo.
Frank annuì, era ovvio, solo un lupo mannaro poteva aver compiuto uno scempio del genere. Si spostò di qualche metro, andando ad osservare gli arti: quelli inferiori erano stati entrambi scarnificati a morsi, mentre quelli superiori erano quasi intatti a parte per i graffi che partivano dagli avambracci per finire ai polsi. La mano sinistra era serrata. La aprì con fatica, a causa del rigor mortis, e vi trovò dentro un Galeone. Interessante. E questo cos'è?!” Pensò tra sé e sé. La donna, invece, stava osservando palmo a palmo il pavimento, scrutando sotto le scaffalature. Allungò il braccio che scomparve sotto una mensola bassissima. Quando lo ritrasse, stringeva due metà della stessa bacchetta magica.
-
Ad occhio e croce direi legno di faggio. Ma dovremmo farla analizzare con cura. Smithson, portala da Olivander. Disse rialzandosi e consegnando i frammenti all'uomo con il taccuino.
-
Bene, noi andiamo in ufficio. Voglio tutti i rapporti sulla mia scrivania il prima possibile. E cercate di capire se quel galeone c'entra qualcosa. Frank voltò le spalle al cadavere si incamminò con la moglie verso l'uscita. Mentre raggiungevano la porta dell'edificio, incrociarono un reporter della Gazzetta del Profeta che, evidentemente chiamato da qualche amico al Ministero, arrivava di corsa con un giovane assistente con una macchina fotografica più grande di lui. Frank lo bloccò con un gesto inequivocabile del braccio.
-Tu non passi di qui. Questa zona è off-limits alla stampa finchè non sapremo qualcosa di più. In quel caso saremo noi a fare una dichiarazione. Disse in tono imperativo. Tu con la macchina... Il ragazzo, diversi centimetri più basso di lui, lo guardò a metà tra l'interdetto e lo spaventato. Vai dentro, fai le foto, poi consegna la macchina al signor Smithson. Il tuo strumento ti verrà ridato quando avremo sviluppato i negativi. E allora forse potrete avere le foto.
-Non è stata una bella mossa sai?!
Puntualizzò la moglie, una volta fuori dall'edificio. Ora la Gazzetta ci dipingerà come degli aguzzini.
-Lo so cara. Ma mi sembra inutile fare dell'allarmismo ora. Non adesso che Voldemort è scomparso. E comunque, la prima cosa che dobbiamo fare arrivati in ufficio, è mandare un gufo a Remus.




Nel piccolo salotto del suo appartamento, un piccolo e tranquillo condominio in una zona residenziale a nord di Londra, quella sera, Charles Caius Cromwell se ne stava seduto in poltrona, rimirando la grande scacchiera su cui stava giocando la medesima partita che aveva interrotto nel suo ufficio. Aveva stregato la scacchiera portatile affinchè riproducesse le stesse mosse dell'altra.
Il quadrato di gioco era fatto di alabastro, racchiuso in una cornice di legno di ebano con incisioni su tutti e quattro i lati, rappresentanti combattimenti tra maghi, giganti, goblin e draghi. I pezzi in marmo, sia nero che bianco puro, erano riccamente scolpti.
Osservava il gioco da un po' di tempo, la partita stava prendendo decisamente una piega interessante: dopo aver mangiato il pedone bianco, si aspettava che i bianchi avrebbero risposto in maniera aggressiva, ma non fu così. Un cavaliere appiedato, in armatura e picca, chiaramente un pedone, si spostò da g2 a g3. Quella mossa lo lasciò quasi perplesso. “Non l'avrei mai detto. Hai aperto con un finto Gambetto di Donna. Ma non sei per niente aggressivo.” Pensò per diversi minuti, prima di fare la sua mossa.
-Torre da a8 a c8.
L'enorme torre da assedio, una di quelle costruite in legno per assaltare le mura dei castelli nel medioevo, si sposto di tre caselle in orizzontale, andando a posizionarsi di fianco alla regina.
Allora Cromwell si alzò e si avvicinò al camino. Prese della polvere verde scuro dalla mensola e la gettò nel camino acceso il fuoco avvampò, prendendo il colore della polvere. Lui guardò le fiamme scoppiettare per qualche minuto, poi parlò.
-Stiamo ancora giocando. Non perderemo la partita. Mosse importanti ci aspettano. Usiamo tutti i mezzi. La torre deve muoversi al più presto.
Poi si voltò. Le fiamme brillarono con riflessi blu per un paio di secondi poi si spensero con un rumore secco, lasciando il posto alla normale fiamma del caminetto.

   
 
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