Capitolo primo:
Apertura:
Gambetto di Donna
Pioveva, quella mattina,
il cielo plumbeo piangeva sui tetti, sugli alberi e sulle lapidi di
Godric's Hollow, facendo eco alle guance rigate di calde lacrime
salate dei presenti. C'era tanta gente, nascosta dietro ombrelli
scuri di varie dimensioni. Frank osservò i volti di coloro che
riusciva a scorgere dalla sua posizione. C'erano i Weasley con prole
al seguito, Molly stringeva tra le braccia l'ultimogenita, una
piccola di quasi quattro mesi, che si era beatamente addormentata,
ignara della gravità della situazione. Dalla tasca di Percy
faceva capolino la testa di un piccolo topo grigio, dall'aria stanca
e vecchia, sembrava voler partecipare anche lui al dolore generale.
Di fianco a loro, stretti l'uno all'altra, sotto un unico ombrello,
Amelia ed Edgar Bones avevano lo sguardo fisso per terra, come se non
fossero realmente lì, mentre Dedalux Lux giocherellava con la
sua bacchetta, la stessa con la quale due giorni prima aveva
illuminato tutta londra con le sue stelle cadenti. Frank osservò
le bare lignee, gemelle come le anime che contenevano, finemente
intarsiate, volute e pagate dallo stesso Silente. I Potter ora
riposavano in pace, le ultime vittime del Signore Oscuro, scomparso
due notti prima, annichilito da quella piccola creatura candida e
innocente, che ora quasi sicuramente riposava al sicuro da qualche
parte. “Potrei esserci io, lì, in una di quelle due
bare.” Questo pensiero lo
portò inconsciamente a cercare la mano della moglie con la sua
e a stringerla delicatamente. Lei rispose alla stretta. Probabilmente
le stava attraversando la mente lo stesso pensiero del marito, poiché
i suoi occhi tradivano una consapevolezza terribile, che partiva da
Godric's Hollow e raggiungeva il figlio, Neville, lasciato a casa
dalla nonna.
Remus Lupin, appoggiato ad un nodoso bastone da
passeggio di quercia, più emaciato del solito, l'aria patita e
stanca, probabilmente distrutto dal dolore più di chiunque
altro lì presente, si avvicinò zoppicando alle due bare
e prese la parola, la voce quasi rotta dal pianto.
-Conoscevo
Lily e James da tantissimo tempo. Son..Erano i miei migliori amici.
Ora sono degli eroi. Fece una
pausa lunga un respiro, poi riprese.
-Non ho mai pensato
che potessero morire. James era sempre sorridente, pronto a scherzare
su tutto. Persino qualche giorno fa, chiuso in casa, con mezzo mondo
magico, quello malvagio, che lo cercava, è riuscito a dirmi
“Ehi Remus, cos'è quella faccia sciupata?! Sembra che ti
stiano tenendo rinchiuso da qualche parte!”. Lily era forte.
Non si lamentava mai, ma trovava sempre il modo di aiutare tutti,
anche solo con una parola di conforto. Non è giusto. Non è
giusto affatto. Dovrebbero esserci altre persone, persone crudeli,
doppiogiochiste e meschine, in quelle bare. Ci mancheranno. Credo. A
me terribilmente.
Il silenzio
che seguì fu rotto solo da Rubeus Hagrid, l'unico seduto
sull'erba fradicia, con il suo enorme ombrello rosa a pallini aperto
sopra la sua testa, così grosso da aver quasi divelto una
lapide per trovare il proprio spazio vitale, che singhiozzava
rumorosamente, alternando il pianto con il soffiarsi il naso e con il
borbottare frasi tipo “Non ci è giusto. Non ci
è giusto per niente” o
“Povero Harry”.
Fu
Alastor Moody ad avanzare per secondo, lanciando occhiate
tutt'intorno, per assicurarsi che nessuna minaccia arrivasse
all'improvviso.
-Oggi siamo qui per dare l'estremo
saluto a due persone eccezionali, grandi maghi e ottimi amici. La
sua voce rude e rovinata dal tempo tradiva un impeto di ferocia e
preoccupazione.
-Vedo i vostri volti affranti, le
vostre facce tristi. Loro non ci sono più, ma hanno combattuto
fino alla fine contro le forze oscure che li hanno sopraffatti.
Grazie a loro, abbiamo vinto. Ma il lavoro non è ancora
finito. Altre forze sono in agguato, alcuni seguaci di
Colui-che-non-deve-essere-nominato sono ancora in libertà.
Questo voglio dire oggi: noi non ci fermeremo. Sopravviveremo e
combatteremo anche per loro. Vigili, spietati e giusti. Solo così
possiamo davvero onorare la loro morte.
La
McGrannit annuì vistosamente con la testa, austera nel suo
cappotto color prugna e gli occhiali appannati per l'emozione.
A
Frank non sfuggì l'assenza dei due migliori amici di James e
Lily: Peter Minus e Sirius Black. Scosse la testa desolato, solo il
giorno prima i due avevano avuto un confronto letale, e quel folle
traditore di Black aveva ammazzato il suo povero ex-amico per poi
farsi catturare dagli auror, in apperente stato di
delirio.
-Piangiamo dei cari, degli amici, dei compagni
di vita. Ma non dobbiamo dimenticare. La
voce di Silente era calma, ferma.
- James e Lily, oltre
ad essere due splendide persone, sono soprattutto un grande esempio:
si amavano e amavano gli altri. Hanno dato tutto loro stessi per
proteggere quello a cui tenevano, gli amici, la famiglia. Hanno
saputo opporsi con fermezza a Voldemort, non ne avevano paura. Del
male non si può avere paura, perchè il male nasce da un
disagio, l'odio ha radici profonde ma deboli. Loro le hanno sapute
estirpare. Ha ragione Alastor nel dire che non è finita. Anzi,
è appena iniziata. Ma si sbaglia: non dobbiamo combattere per
la vendetta, noi dobbiamo combattere per l'amore. Ora è tempo
di ricostruire, e potremo farlo solo se saremo capaci di amare: i
nostri vicini, gli amici, i figli o i compagni. Non è facile,
lo so. Ma non smettete di provarci. Questo è il messaggio che
i Potter ci lasciano: Non smettete di credere nella forza dell'amore.
Ricordatevi di loro. In questo modo, l'ultimo nemico ad essere
sconfitto sarà la morte stessa.
Silente
smise di parlare, e rimase per qualche minuto ad osservare le bare,
in piedi, poi frugò tra le pieghe della sua lunga veste da
stregone ed estrasse la bacchetta, la agitò in silenzio e i
due feretri si sollevarono dai basamenti provvisori su cui erano
stati posti. Il preside li spostò, guidandoli con il movimento
del suo braccio, fino alla fossa doppia che era già stata
precedentemente scavata, quindi li calò giù
delicatamente. James e Lily si adagiarono nel loro letto eterno senza
il minimo rumore. La professoressa McGrannit invece, ricoprì
la fossa, smuovendo un cumulo di terra precedentemente preparato, poi
prese dei semi dalla tasca, li lanciò sul terreno, quindi
mormorò qualcosa compiendo un movimento a mezzaluna con la
bacchetta magica e i semi germogliarono, trasformando il marrone in
un sottile strato di erba fresca, che le nuvole cominciarono a
riempire di leggere e piccolissime gocce che lanciavano deboli
bagliori grigioverdi, riflettendo l'ambiente circostante. Remus si
avvicinò alla grossa lapide di marmo bianco, ancora vuota di
parole, incise magicamente i nomi degli amici defunti con le loro
date di nascita e di morte, poi vi aggiunse sotto: “L'ultimo
nemico che sarà sconfitto sarà la morte”.
A
quel punto, Frank prese sua moglie per mano e insieme si
allontanarono dal cimitero di Godric's Hollow.
Erano
rientrati a casa da un'ora scarsa, Alice rassettava la cucina mentre
Frank era seduto in soggiorno, chino sulla grande scacchiera di
alabastro che occupava quasi tutto il tavolino di cristallo davanti
al divano, quando arrivò un gufo espresso, che entrò
dalla finestra della cucina e si appollaiò su di un
attaccapanni all'ingresso. La signora Paciock prese un biscottino
contenuto in un sacchetto posto sul primo ripiano di una vecchia
credenza del settecento in cucina, si avvicinò al messaggero,
gli porse il dolce che la bestia afferrò avidamente nel becco
e sfilò la lettera dalla zampa. Recava il sigillo del
Ministero ed era indirizzata ad entrambi. La aprì, ne lesse il
contenuto in silenzio, poi andò in soggiorno.
-Tesoro,
è l'ufficio . C'è stato un omicidio giù a
Sutton. Non da altri dettagli, ma Rufus ha chiesto espressamente il
nostro intervento.
-Dammi un secondo, prendo il cappotto e
arrivo.
Fissò per
qualche attimo ancora la partita, poi si alzò e andò a
prendere il trench che teneva nell'armadio, tornò dalla moglie
le chiese, mentre si vestiva, dove fosse avvenuto precisamente
l'omicidio, quindi entrambi si smaterializzarono.
Il
corpo si trovava in un grande capannone industriale, non troppo
distante dalla linea ferroviaria. Ovviamente l'edificio era stato
riempito di misure anti-Babbano, onde evitare che qualche curioso
potesse vedere tutto quel via vai di maghi al lavoro. Due obliviatori
vestiti da poliziotti babbani stavano parlando con un individuo basso
e tarchiato, sulla quarantina, che gesticolava in modo frenetico e
sbraitava con un marcato accento italiano:
-Era lì
così quando l'ho trovato! Non ho toccato nulla, vi dico, è
pazzesco! Quella... Cosa che ha assassinato quell'uomo non era umana
vi dico! Nessuno può fare una cosa del genere! E' stato un
mostro, un demonio vi dico! Nel mio magazzino! E ora come farò?!
La
prima cosa che il signor Paciock notò entrando nell'edificio è
che c'era una quantità di disordine incredibile. Metà
delle merci, grossi scatoloni pieni di cancelleria, erano stati
rovesciati, lacerati e aperti, ma non da mano umana. Alice non disse
niente, ma gli sfiorò appena una spalla e gli indicò
una cassa pila di casse di legno ancora imballate, su cui si vedevano
chiaramente i segni di una lacerazione da unghioni. Frank fece cenno
di sì con la testa, come ad indicare che aveva capito.
Seguirono il vociare concitato dei loro colleghi che proveniva da un
punto in fondo alla struttura. Appena svoltarono l'angolo di una
grossa scaffalatura una zaffata di odore acre e metallico pervase le
narici dell'uomo, facendogli storcere il naso in un espressione di
disgusto. C'era sangue lungo tutti gli scaffali, come se qualcuno si
fosse pulito le mani -o per meglio dire le zampe- dopo la mattanza.
Man mano che si avvicinavano, il tanfo di morte si faceva sempre più
intenso e disgustoso. Intorno al cadavere c'erano diversi membri
dell'Ufficio Auror, Indaffarati nel cercare di raccogliere prove. Un
uomo di mezz'età, allampanato e con pochi capelli, stava
prendendo appunti.
-Salve Smithson.
-Salve signor
Paciock. Allora, abbiamo un uomo maschio adulto, altro tra il metro e
settanta e il metro e settantacinque, razza caucasica, tra i quaranta
e i cinquantacinque anni. Almeno credo, non si riescono bene
stabilire le sue caratteristiche.
-“Non si riescono bene a
stabilire” ? Cosa vuoi dire? Intervenne
la donna.
-Guardate voi stessi...
L'impiegato
si spostò per farli passare. Definire “Efferato omicido”
lo spettacolo che si presentò ai loro occhi sarebbe stato
alquanto riduttivo: Immerso in un mare di quelli che erano i suoi
stessi fluidi corporei vi era una figura umana, priva però di
tutti gli arti, che gli erano stati strappati e gettati qualche metro
al di là del corpo. Il dal ventre completamente aperto
fuoriuscivano brandelli di interiora. Il collo era stato aperto da
parte a parte e la faccia, irriconoscibile, sfregiata a più
riprese dalla stessa mano che aveva devastato il locale. Le feci,
liberate dal rilassamento dei muscoli nel momento della morte,
rendevano il puzzo insopportabile. Frank dovette reprimere un conato
di vomito.
-Cosa sappiamo sulla sua morte? Chiese
ad alta voce. Un altro impiegato che lui non conosceva si girò
verso di lui.
-Il decesso è avvenuto tra le 24 e
le 36 ore fa. Probabilmente Domenica notte. La cosa strana è
che la morte sembra essere avvenuta a causa dello squarcio della
laringe. Lo dimostrano le feci, che sono state rilasciate ehm..
Naturalmente. Probabilmente una volta deceduto è stato fatto a
pezzi. Le interiora e gli arti presentano diversi segni di morsi, e
alcuni pezzi mancano completamente, come se fossero stati...
Mangiati.
-Mio dio! -Esclamò
Alice- Chi può aver fatto una cosa tanto turpe?
-Di
certo non è umano.
La
signora Paciock si chinò sul cadavere, stando ben attenta a
non toccare niente. Rimase in silenzio per diversi minuti, scrutando
palmo a palmo ogni centimetro quadrato di quello scempio. Alla fine
notò qualcosa.
-Là, guardate!
Accanto
al corpo, proprio all'altezza della nuca, c'era un piccolo ciuffo di
peli bruni. Il medico legale che aveva parlato li raccolse e li
studiò con accuratezza.
-Sembrerebbero di cane. O
di Lupo.
Frank annuì,
era ovvio, solo un lupo mannaro poteva aver compiuto uno scempio del
genere. Si spostò di qualche metro, andando ad osservare gli
arti: quelli inferiori erano stati entrambi scarnificati a morsi,
mentre quelli superiori erano quasi intatti a parte per i graffi che
partivano dagli avambracci per finire ai polsi. La mano sinistra era
serrata. La aprì con fatica, a causa del rigor mortis, e vi
trovò dentro un Galeone. “Interessante. E
questo cos'è?!” Pensò
tra sé e sé. La donna, invece, stava osservando palmo a
palmo il pavimento, scrutando sotto le scaffalature. Allungò
il braccio che scomparve sotto una mensola bassissima. Quando lo
ritrasse, stringeva due metà della stessa bacchetta
magica.
-Ad occhio e croce direi legno di faggio. Ma
dovremmo farla analizzare con cura. Smithson, portala da Olivander.
Disse rialzandosi e consegnando
i frammenti all'uomo con il taccuino.
-Bene, noi andiamo
in ufficio. Voglio tutti i rapporti sulla mia scrivania il prima
possibile. E cercate di capire se quel galeone c'entra qualcosa.
Frank voltò le spalle al
cadavere si incamminò con la moglie verso l'uscita. Mentre
raggiungevano la porta dell'edificio, incrociarono un reporter della
Gazzetta del Profeta che, evidentemente chiamato da qualche amico al
Ministero, arrivava di corsa con un giovane assistente con una
macchina fotografica più grande di lui. Frank lo bloccò
con un gesto inequivocabile del braccio.
-Tu non passi
di qui. Questa zona è off-limits alla stampa finchè non
sapremo qualcosa di più. In quel caso saremo noi a fare una
dichiarazione. Disse in tono
imperativo. Tu con la macchina... Il
ragazzo, diversi centimetri più basso di lui, lo guardò
a metà tra l'interdetto e lo spaventato. Vai dentro,
fai le foto, poi consegna la macchina al signor Smithson. Il tuo
strumento ti verrà ridato quando avremo sviluppato i negativi.
E allora forse potrete avere le foto.
-Non è stata una
bella mossa sai?! Puntualizzò
la moglie, una volta fuori dall'edificio. Ora la Gazzetta
ci dipingerà come degli aguzzini.
-Lo so cara. Ma mi sembra
inutile fare dell'allarmismo ora. Non adesso che Voldemort è
scomparso. E comunque, la prima cosa che dobbiamo fare arrivati in
ufficio, è mandare un gufo a Remus.
Nel
piccolo salotto del suo appartamento, un piccolo e tranquillo
condominio in una zona residenziale a nord di Londra, quella sera,
Charles Caius Cromwell se ne stava seduto in poltrona, rimirando la
grande scacchiera su cui stava giocando la medesima partita che aveva
interrotto nel suo ufficio. Aveva stregato la scacchiera portatile
affinchè riproducesse le stesse mosse dell'altra.
Il
quadrato di gioco era fatto di alabastro, racchiuso in una cornice di
legno di ebano con incisioni su tutti e quattro i lati,
rappresentanti combattimenti tra maghi, giganti, goblin e draghi. I
pezzi in marmo, sia nero che bianco puro, erano riccamente
scolpti.
Osservava il gioco da un po' di tempo, la partita stava
prendendo decisamente una piega interessante: dopo aver mangiato il
pedone bianco, si aspettava che i bianchi avrebbero risposto in
maniera aggressiva, ma non fu così. Un cavaliere appiedato, in
armatura e picca, chiaramente un pedone, si spostò da g2 a g3.
Quella mossa lo lasciò quasi perplesso. “Non l'avrei
mai detto. Hai aperto con un finto Gambetto di Donna. Ma non sei per
niente aggressivo.” Pensò per diversi minuti, prima
di fare la sua mossa.
-Torre da a8 a c8.
L'enorme torre
da assedio, una di quelle costruite in legno per assaltare le mura
dei castelli nel medioevo, si sposto di tre caselle in orizzontale,
andando a posizionarsi di fianco alla regina.
Allora Cromwell si
alzò e si avvicinò al camino. Prese della polvere verde
scuro dalla mensola e la gettò nel camino acceso il fuoco
avvampò, prendendo il colore della polvere. Lui guardò
le fiamme scoppiettare per qualche minuto, poi parlò.
-Stiamo
ancora giocando. Non perderemo la partita. Mosse importanti ci
aspettano. Usiamo tutti i mezzi. La torre deve muoversi al più
presto.
Poi si voltò. Le fiamme brillarono con riflessi
blu per un paio di secondi poi si spensero con un rumore secco,
lasciando il posto alla normale fiamma del caminetto.