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Autore: PanteraNera94    13/07/2011    1 recensioni
"Nell’alte vie dell’universo intero, che chiedo mai, che spero…
altro che gli occhi tuoi più vago, altro più dolce aver che il tuo pensiero?".
Fan-fiction scritta come seguito di Breaking Dawn e ambientata sei anni dopo la fine del romanzo che tutti amiamo e tutti conosciamo. Dal punto di vista di Renesmee, una storia che narra della sua crescita interiore ed esteriore, del suo crescende amore nei confronti di Jacob e delle reazione che esso comporterà nei suoi genitori...Enjoy!
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 2: Emarginata

 

Il giorno, ormai, stava per terminare. Gli ultimi raggi di sole filtravano dalla finestra, creando nella mia stanza una rilassante penombra. Avevo letto tutto il pomeriggio, aspettando con trepidazione l'arrivo di Jake, ma il tempo sembrava non voler passare mai. Mi affacciai alla finestra, cercando di rimanere calma nell’attesa. Il sole ormai era nascosto dietro gli alberi e le montagne e il cielo appariva color rosso sangue. Quella analogia mi fece venire una certa sete e, senza che me ne accorgessi, la mia mano destra si fece strada tra le labbra, fino ad arrivare a sfiorare i canini. Dovevo andare a caccia, o trovare qualcosa da mangiare. Continuai ad osservare il cielo: c'erano molte nuvole che, grazie al sole, si accendevano di rosso o di rosa. L'apparente disordine del cielo mi fece ricordare le condizioni della mia stanza. Mi girai dando le spalle alla finestra e guardai la mia camera. Rendendomi conto delle pessime condizioni in cui si trovava, mi rimboccai le maniche e cominciai a mettere a posto. Raccolsi i vari libri sparsi per la camera e li riposi nella libreria, senza un ordine preciso. Poi presi gli stivali e li misi nella scarpiera a muro e, infine, mi dedicai alla scrivania. Era piena di braccialetti e cianfrusaglie varie che non avevano mai avuto una collocazione precisa. Mentre li riponevo in un piccolo portagioie notai, nell'angolo adiacente alla scrivania, qualcosa che brillava. Posai tutto quello che avevo tra le mani e mi chinai per raccoglierlo. Infilai la mano tra la scrivania e il muro, che correvano paralleli, e ne estrassi fuori una collana. La sollevai fino a farla arrivare di fronte al mio viso per osservarla meglio ma non riuscivo a ricordare dove l'avessi già vista. Avevo solo qualche vago ricordo. La esaminai ancora per qualche minuto quando, improvvisamente, nella mia mente fecero capolino due grandi occhi rossi: Aro. Era la collana che quel vampiro spietato aveva regalato a mia madre in occasione del suo matrimonio. In un attimo ebbi l’impulso di prendere quella collana e farla in mille pezzi, pensando a tutto quello che avevamo passato a causa dei Volturi e di come mi sentissi tremendamente in colpa, essendo perfettamente consapevole del fatto che era tutta colpa mia. Rimasi sola con i miei ricordi e con la collana che ancora penzolava davanti ai miei occhi. Non potevo lasciarmi prendere dalla malinconia di quei pensieri, ma cosa potevo farne di quella collana? In quel momento non mi vennero idee per liberarmene, così la riposi dove l'avevo trovata e mi stesi sul letto, in attesa che il mio lupo facesse la sua comparsa. A interrompere il mio flusso di pensieri, fu l'entrata di mio padre. Mi alzai dal letto e corsi ad abbracciarlo. Lui mi sorrise, divertito. Poi i suoi occhi si spensero e vidi chiaramente che quello che stava per dire non lo rendeva affatto felice.

“Stasera io e tua madre andremo a trovare Charlie” disse guardandomi negli occhi. “Tu e Jacob cercate di non fare troppi danni” continuò, senza neanche un po' d'entusiasmo.

“Non ti preoccupare” sbuffai. “Non faremo niente di male” finii la frase con tutta la convinzione possibile.

“Sta arrivando” mormorò improvvisamente mio padre. Io lo guardai sbalordita.

“Cosa?” gli chiesi. Avevo paura di non aver capito.

“Jacob sta arrivando” disse mio padre, scandendo le parole una ad una come se stesse parlando con una bambina.

“Come fai a...?” dissi, biascicando un po' le parole. A volte mi stupivo dei poteri della mia famiglia, non solo di quello di mio padre.

“Segnalatore radar incorporato” mi rispose lui, sorridendo. Non afferrai il motivo del suo improvviso cambio d’umore: era passato dalla noia per il fatto che Jacob stesse arrivando ad un sorriso improvviso. Senza aggiungere altro, andammo in salotto. Non feci neanche in tempo a sedermi sul divano, che mia madre cominciò con la sua predica.

“Mi raccomando...”. La solita frase che ci si aspetta da una madre ma, visto che avevo già parlato con mio padre, non avevo alcuna voglia di sorbirmi anche lei.

“Non temere, mamma” la interruppi incrociando il suo sguardo. “Papà mi ha già fatto la predica. Non faremo nulla” conclusi con un po' di amarezza. Mia madre, per niente scoraggiata, mi sorrise e non potei fare altro che ricambiare. Dopo pochissimi secondi avvertii la presenza di Jacob oltre la soglia della mia casetta. Anche i miei genitori lo percepirono.

“Vi lasciamo soli, allora” disse per concludere la breve conversazione. Li salutai con la mano e li seguii con lo sguardo. Mia madre si alzò elegantemente, prese mio padre per mano e insieme si avviarono all'uscita. Mio padre, passando al fianco di Jacob, non perse occasione di lanciargli un'occhiata di avvertimento, che lui neanche notò. Il suo sguardo era incollato a me.

“Ciao, Nessie” mi salutò sorridente.

“Ciao, lupo” gli risposi ricambiando il sorriso.

“Come te la passi?” chiese noncurante, accomodandosi al mio fianco sul divano.

“Bene, tu?” risposi di rimando.

“Non mi lamento” mi disse lui.

“Cosa hai fatto oggi?” domandai curiosa ma soprattutto per portare avanti la conversazione.

“Ho fatto un giro in spiaggia da solo e poi ho accompagnato in ricognizione Quil” disse, distrattamente. “E tu?” mi chiese, mostrando un po' più di interesse.

“Niente, ho sfogliato qualche libro e poi ho rimesso a posto la mia stanza” gli risposi, poco convinta.

“Le solite cose da Cullen” sbuffò.

“Non capisco proprio queste vostre avversità” ammisi, guardandolo negli occhi.

Lui rise. “I vampiri sono ripugnanti!” mi rispose, continuando a ridere.

“Non sono così male” contestai io.

“Lo sei anche tu,” disse lui “per metà” precisò, enfatizzando l'ultima parola.

“Quindi sono ripugnante anche io?”.

“Per metà” specificò, scoppiando a ridere.

“Ah! E' così, lupo?” dissi, dandogli un pugno e unendomi alla sua risata. Piano piano le risate si spensero, lasciando spazio solo ad un sorriso e poi a un vuoto di parole che sembrava incolmabile. Ci guardavamo in attesa che qualcuno dei due spezzasse quel silenzio insopportabile, ma non successe. Spostai lo sguardo sul tavolino di fronte al tavolo: sopra non c'era niente di speciale o che non avessi già visto un miliardo di volte. La casa era silenziosa e la foresta che la circondava stava andando a dormire. La penombra si stava trasformando in buio, così mi alzai ed andai ad accendere la luce. Mi accorsi degli occhi di Jake, confusi, che mi seguivano in ogni movimento.

“Che c’è? I vampiri non vedono al buio?” chiese, scettico.

“Si” gli risposi. “Ma preferisco la luce” continuai, sorridendo. Poi tornai a sedermi accanto a lui. Il silenzio si faceva sempre più pesante e l'imbarazzo cresceva ancora più velocemente.

“Hai fame?” domandai, improvvisamente, facendolo sobbalzare.

“Si” mi rispose, sorridendo. Come sempre.

“Bene, vediamo cosa trovo” mormorai, alzandomi e dirigendomi in cucina.

“Niente di rosso e liquido!” mi urlò Jacob, dal salotto. Aprii il frigorifero: c'era un po' di tutto ma non sapevo proprio cosa scegliere, così lo richiusi. Aprii la dispensa e presi un pacco di patatine fritte e le portai sul divano.

“Stiamo attenti a non sporcare” mi raccomandai.

Lui mi guardò: “Niente ketchup?” si lamentò.

“Hai detto che non volevi niente di rosso e di liquido” gli risposi, ridendo. Tornai in cucina e gli presi il ketchup, poi tornai in salotto e mi accomodai di fianco a lui, che aveva già iniziato a mangiare.

“Ehy!” mi lamentai. “Lasciane un po' anche a me” dissi, prendendogli la busta dalle mani.

“Da quand'è che i succhiasangue mangiano?” chiese cercando di riafferrare la busta.

“I vampiri, no” precisai mettendo molta enfasi nella parola “vampiro”. “Ma gli umani, si” continuai. “E' il bello di essere metà uno e metà l'altro” conclusi, ridendo. Lui desistette e mi lasciò la busta, continuammo a mangiare mentre io guardavo insistentemente l'orologio: ogni secondo passava lento e le grandi lancette nere sembravano immobili. Parevano volermi prendere in giro e io, stupida, continuavo a fissarle.

“Cosa metterai al matrimonio?” chiese Jake, cercando di uccidere il silenzio.

“Non lo so e anche se lo sapessi, probabilmente, non piacerebbe ad Alice. E tu?”.

“Siamo sulla stessa barca, Nessie” mi rispose, con un po' d'amarezza nella voce.

“Staresti bene in smoking” dissi, ridendo.

“E a te sta benissimo quella gonna scozzese” mi canzonò lui.

“Che fai, mi prendi in giro?” domandai.

“Anche se fosse?” mi sfidò con aria superiore.

“Vuoi rifarti per stamattina?”.

“Può darsi”.

“Non ce la faresti” decretai.

“E perché?” mi chiese.

“Perché una battuta non vale quanto una palla di neve in faccia” dissi, con aria severa.

“Te lo concedo” rispose lui, sarcastico. “Ma devi ammettere che le mie battute valgono molto di più delle tue” continuò.

“E in base a cosa?” gli chiesi, scettica.

“Sei solo una bambina, non puoi capire certe cose”. Gli diedi un pugno sulla spalla. “Non è colpa mia, se la tua testolina non ci arriva, Nessie!” si lamentò lui. Entrambi scoppiammo a ridere, ma, come era successo prima, le risate morirono velocemente e il silenzio tornò a far da padrone. Ormai le patatine erano finite e, con loro, anche gli argomenti di cui discutere. Non avevo niente da dire e sapevo perché: cosa pretendevo? Non ero mai uscita di casa, non avevo amici, a parte i licantropi. Ignoravo il mondo che si estendeva ai confini della foresta. Gli unici motivi per cui avevo il permesso di uscire erano andare a fare shopping con Alice, cosa che odiavo, o andare a trovare mio nonno Charlie. Durante gli anni, la mia reclusione mi era sempre un po' pesata, ma ci avevo fatto l'abitudine. Ogni tanto però tornava e si faceva sentire. Era meglio quando c'erano i miei genitori: anche se litigavamo, almeno avevamo qualcosa da fare.

“Oggi ci siamo presi una bella sgridata” constatai.

“Già” disse, con molta amarezza nella voce.

“Che c'è?” gli chiesi.

“Se non mi avessi fatto fare quella stupida promessa, ora tuo padre sarebbe in mille pezzi!” urlò, arrabbiato.

“Beh, allora è stato meglio così”.

“Preferisci lui a me” mi accusò.

“Jake, tu sei il mio migliore amico e lui è mio padre”.

“E allora?”.

“Non posso mettervi a confronto”. Lui distolse lo sguardo sussurrando qualcosa di incomprensibile ed io tornai a guardare le lancette. Erano passate due ore e i miei stavano per tornare. Non potevo lasciare che la conversazione finisse così.

“Jake...?” lo chiamai incerta.

“Si?” chiese lui tornando a guardarmi.

“Sei arrabbiato?” mormorai.

“No. Non potrei mai arrabbiarmi con te, Nessie”. Fece uno dei suoi migliori sorrisi jacobini.

“Ti voglio bene, Jake” dissi, abbracciandolo.

“Anche io, Nessie” rispose, ricambiando l'abbraccio. Restammo a fissarci per qualche minuto, poi lo scatto della serratura ci fece sobbalzare e i nostri occhi caddero sulla porta che si aprì velocemente. I miei genitori fecero la loro comparsa. Improvvisamente vidi gli occhi di Jake riempirsi di rabbia, si alzò noncurante e, dirigendosi verso la porta, disse: “Vabbè, io vado”.

“Ciao, Jake” dissi, un po' triste.

“A domani” aggiunse mia madre.

“Perché?” chiese Jacob, sorpreso.

“Alice mi ha chiamato” si lamentò. “Andiamo a fare shopping!” aggiunse, cercando di mettere un po' di entusiasmo nella voce ma ,come sempre, era una frana quando mentiva.

“Non vedo l'ora” rispose Jake, alzando gli occhi al cielo e poi se ne andò. Lo guardai chiudersi la porta alle spalle e rimasi a fissare la porta chiusa per un po'.

“Che ore sono?” chiesi, improvvisamente.

“Le dieci” rispose mio padre, per nulla sorpreso.

“Vabbè, io vado a letto” dissi alquanto scocciata. Avevo voglia di stare un po' da sola prima che qualcuno mi facesse domande che non volevo sentire riguardo la serata.

“Buona notte, tesoro” mi augurò mio padre, dandomi un bacio sulla fronte.

“'Notte” risposi assonnata. Mi diressi in camera mia, lentamente, e sentii i passi di mia madre che mi seguivano. Ero stata una stupida a pensare che sarebbe potuta finire così, feci un sospiro ed entrai in camera mia, lasciando la porta aperta per mia madre.

“Come è andata? Cosa avete fatto?” chiese lei, entrando ed accomodandosi sul letto.

“Bene” risposi, senza entusiasmo.

“Che c'è, amore?” domandò, cercando i miei occhi. “Avete litigato?” continuò quando incrociò il mio sguardo triste.

Magari” esclamai alzando un po' troppo la voce. “Avremmo detto qualcosa” mi lamentai. Poi la guardai con aria smarrita e le chiesi. “Mamma, perché io e Jake non abbiamo argomenti? Voi di cosa parlavate?”.

“Amore...” disse mia madre, comprensiva. “Tu vivi in segreto da sei anni: non vai a scuola, ne esci” continuò, spedita. “E' normale che tu e Jacob non sappiate di cosa parlare”. Quella era la verità, lo avevo pensato anche io prima, ma sentirmelo dire mi aveva fatto più male di quanto pensassi. Non volevo che le persone mi compatissero, anche se non lo facevano di proposito. Mi faceva sentire una vittima ed io non lo ero.

“Ma Jake è il tuo migliore amico” constatai. “Che cosa facevate... “prima”?” chiesi, curiosa.

“Beh, all'inizio decidemmo di aggiustare due moto” disse mia madre. Che cosa stupida. Cosa ci avrei fatto con una moto? Non potevo neanche farmi vedere in giro. “Per poi usarle per divertirci” aggiunse.

“Non ci pensare nemmeno” urlò mio padre, dal salone.

“Non ci stavo pensando, dovresti saperlo!” gli urlai di rimando.

“Ma più che altro ci raccontavamo della scuola, degli amici... degli amori” continuò mia madre. Avrebbe potuto evitarmi quella lista, mi fece sentire ancora più esclusa dal mondo. “E poi, molto spesso, litigavamo” ammise. Mi guardò in attesa che dicessi qualcosa, ma l'unica cosa costruttiva che mi venne in mente fu: “Ma io non vado a scuola”.

“Lo so, amore. Tra poco, se vuoi, potrai andarci” assicurò mia madre, con tantissima pena negli occhi. Questo mi fece rabbia. “Ma devi aspettare che la tua crescita termini”. Come se non lo sapessi già. Quello voleva dire un altro anno da rinnegata, senza amici, senza scuola, rinchiusa tra la mia casa, la foresta e la casa dei miei nonni. “E questo significa almeno altri sei mesi” dissi, con quanta più acidità potevo.

“Già” mi rispose mia madre. Poi aggiunse, sorridendo: “Dai, che domani ci rifacciamo con una bella giornata di shopping”. Fece finta di tremare. Ma non faceva ridere, anzi. Avrei preferito restare in casa, che andare in giro per la città a farmi trattare come un burattino da Alice. E poi, con quell'umore che mi ritrovavo, non sarei stata la solita ragazza gentile e accondiscendente. Purtroppo, non potei fare altro che annuire, tristemente. “Vieni qui” disse mia madre, e mi strinse tra le sue braccia. Per quanto fosse dura e fredda, con quel gesto mi diede tantissimo calore. “Tutto si sistemerà” proseguì. Avrei voluto tanto crederci. “E tu e Jake potrete stare insieme con tranquillità”.

“Lo spero” dissi, e ci speravo davvero. “Io gli voglio molto bene,mamma”. Questa frase mi riscaldò il cuore più del suo abbraccio.

“Benvenuta nel club” mi rispose, cercando di alleggerire la situazione, ma solo un miracolo ci sarebbe riuscito. “Cerca di dormire” si raccomandò, assumendo la voce di una madre molto protettiva. “Ti voglio bene” disse, alzandosi.

“Anch'io, mamma” le risposi, mentre usciva. Quando mia madre uscì, il buio si impadronì della stanza. Non era buio per me, anzi, ci vedevo bene. Forse il buio era solo dentro di me. Così mi alzai dal letto e mi affacciai alla finestra. Intravedevo la luna da dietro le folte chiome degli alberi: quella sera non c'erano nuvole e il cielo si estendeva infinito. Per un attimo, mi sentii infinitamente piccola in confronto, ma poi spostai il mio sguardo più in alto, dove il cielo era dominato dalle stelle. Erano tutte uguali: piccoli punti di luce in un nero sconfinato. Dopo un po' scorsi la stella polare, al centro esatto del cielo. Era lì, bellissima, un punto di riferimento, una guida. Era uguale alle altre ma la sua luce brillava di più. Distolsi il mio sguardo dal cielo e mi stesi sul letto, il mio sguardo cadde subito sulla foto della mia famiglia posta sul comodino. Chiusi gli occhi, chiudendomi in me stessa e lasciai che i sogni, più belli della realtà, mi cullassero e mi trascinassero in un limbo dorato, almeno per una notte.

NDA:  Questo è il secondo capitolo di Pole Star ^^ spero vi sia piaciuto e sarei felice di conoscere i vostri pareri... Se volete leggere questa storia anche dal punto di vista di Bella trovate il link della storia nel primo capitolo ^^ inoltre nel primo capitolo potete trovare anche la copertina (creata da me) per la storia!! Buona lettura :D

  
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