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Autore: Subutai Khan    14/07/2011    0 recensioni
“Per favore, non essere maleducata. Oggi mi sono alzato bene e il caffè mi è miracolosamente venuto bevibile. Non abusare della mia pazienza, non voglio doverti polverizzare e dover maledire la tua stirpe fino alla terza o quarta generazione per così poco. Inoltre, prima che tu possa dire qualcos'altro di cui ti pentiresti: io ho le risposte che cerchi. Non le vuoi sentire?”
Genere: Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminiamo in silenzio, uno accanto all'altra. Dopo qualche rimostranza sono riuscito a convincere 'sta testaccia dura a venire a stare da me, almeno per il momento.
Il motivo? Io abito da solo e lei no. Mi sembra un notevolissimo pro, considerata la nostra peculiare situazione.
Pare che casa Wutterstrüber sia abitata solo da testardi patentati, comunque. Elisa ha dovuto fare una fatica boia, prima al telefono, per convincere i suoi a non rompere troppo la fava col fatto che sarebbe stata fuori di casa per un po' di tempo.
“Cazzo mamma, ho ventiquattro anni ormai! C'è gente che alla mia età è sposata con figli! No, non vado a convivere col mio ragazzo, figurati. Ci sono delle... cause che mi è davvero impossibile spiegarti e che mi obbligano ad agire così. Abbi fiducia in me, ti prego”. L'ultima parte era quasi melensa e, difatti, mi è arrivata dritta in fronte una frecciata di amore filiale e risentimento malcelato buone per abbattere un mammuth adulto. Credo che non abbia apprezzato ciò che le ho dato in cambio, cioè una vagonata di grassa ilarità per la deliziosa scenetta appena consumatasi di fronte a me.
Almeno, alla fine di un'estenuante battaglia retorica, la madre le ha lasciato la propria benedizione. Con l'obbligo di farsi vedere fra le mura genitoriali almeno una volta ogni due giorni. E siccome lei abita dalla parte opposta di Roma rispetto a me questo potrebbe essere un problema. Però dai, poteva andare peggio. E tanto ci sarebbe dovuta comunque tornare là, se non altro a recuperare dei vestiti e gli effetti personali minimi. La permanenza in trasferta sarà probabilmente lunghetta, meglio non farsi trovare impreparati.
Cinque ore di libertà, il resto del tempo attaccato a una persona che non conosco. Non fatico ad ammettere che una simile prospettiva non mi eccita più di tanto, sempre che non riesca a convincerla, chessò, a dormire assieme dopo aver consumato...
No, porco di un Claudio che non sei altro. Non ora, non ancora. Adesso è veramente presto per farsi castelli in aria simili. Comincia a imparare a viverci assieme, all'eventualità di una trombata ci si penserà dopo.
“Tipo, ascolta un po'...” se ne esce improvvisamente, cogliendomi del tutto impreparato. Mi è avanti di qualche passo, quindi faccio leggermente fatica a sentirla.
“Dimmi”.
“Sarà bene essere il più chiari possibile fra di noi. In merito a orari, esigenze varie e tutto quanto. Non voglio dover essere obbligata a saltare un concerto dei Dark Emisphere of Flaming Chaos per colpa tua, sappilo”.
Eh?
“Chi minchia sono questi?” chiedo, un po' acido e un sacco divertito dal nome ridicolo.
“Non è importante chi sono! Cazzo, come fai a stare così calmo di fronte a un avvenimento del genere? Quello là ci ha ficcati in una roba uscita da Twilight Zone e tu stai lì a ridere dei miei casini familiari e dei miei gruppi preferiti. Mettiti la testa sulle spalle e rifletti per bene, maledetto debosciato!”. Non si è mai girata nella mia direzione durante il cazziatone.
Mi arresto di scatto, le gambe appesantite dall'attacco appena ricevuto. Perché ho chiaramente percepito disprezzo, invidia e una punta d'odio in quello che ha appena detto. E, ora che ci presto maggiore attenzione, davanti a me non sta camminando a passo spedito una ragazza. Quel che vedo è una massa di lava incandescendente pronta a scoppiare da un momento all'altro.
Nonostante sia almeno mezz'ora che stiamo procedendo, fianco a fianco, non mi ero per nulla accorto di quanto fosse realmente sconvolta. E questo mi inquieta e mi intristisce.
Sto per chiamarla e chiederle di fermarsi quando, fatalmente, supera i tre metri di distacco. E, altrettanto fatalmente, arriva impietoso un immenso dolore per tutto il petto.
Mi accascio a terra, sopraffatto. Lo stesso fa lei. Uno dei pochi, sparuti passanti si ferma, piuttosto meravigliato dal lugubre spettacolo. Senza proferir parola estrae il cellulare dalla tasca della giacca e compone un breve numero, presumo il 118.
No, stupido vecchio! Striscio tipo Navy Seals che sta cercando di infiltrare le linee vietcong, nonostante stia praticamente andando a fuoco e ogni singolo muscolo sia sul punto di spezzarsi. Per nostra fortuna anche Elisa recupera quanto spazio può ed entro breve rientriamo nel margine di sicurezza. Improvvisamente rigenerati scattiamo entrambi in piedi e ci fiondiamo sul ficcanaso, riuscendo dopo qualche rassicurazione sul nostro stato di salute a fargli mettere giù il telefono. Si sente chiara e forte la voce dell'infermiera, dall'altro capo dell'apparecchio, che gli intima di non farle mai più perdere tempo prezioso con falsi allarmi. Scusa, sconosciuto guastafeste.
Lo osserviamo, sospirando per lo scampato pericolo, mentre si allontana.
“Cacchio, stavamo per combinarla grossa” dico in tono scherzoso per cercare di smorzare la tensione.
“Stavolta mi tocca darti ragione. E volevo porgerti le mie scuse: è stata colpa mia. Non credere, però, che questo succederà tanto spesso”.
Riprendiamo a camminare.
Per un po' senza dir niente. Io sono ancora scosso, sia per l'incidente col vecchiardo e sia per non aver capito che lei è stata totalmente rivoltata come un calzino da quanto ci è successo neanche un'ora fa. Non che io sia rimasto impassibile, ci mancherebbe. Mica sono fatto di pietra. Però sono sempre stato bravo a scendere a patti con la realtà che mi si presentava di fronte, per quanto scomoda o poco favorevole. Non tutti, evidentemente, possiedono le mie doti di adattabilità.
Poi decido che non ne posso più di non spiaccicar parola: “Elisa, se posso chiedere...”.
Adesso siamo perfettamente affiancati, ma non accenna a girarsi verso di me: “Dimmi, tipo”.
“Tanto per cominciare, ti costa davvero così tanto chiamarmi per nome? Claudio, nel caso te ne sei dimenticata. E ho come la sensazione che non è questo il caso”.
“Perché tieni così tanto a una formalità del genere? Claudio, tipo, essere, tamarro. Dubito che per lungo tempo mi rivolgerò a qualcuno che non sia tu”.
Ora tocca a me fare quello offeso: “Dio santo. Quanta insensibilità. Sto solo cercando di renderci la convivenza più sopportabile e piacevole che posso. Non mi sembra di chiedere troppo, dai. Il mio nome proprio, non un diavolo di titolo nobiliare o qualcuna di quelle minchiate lì”.
Irritazione. Tanta irritazione. Emanata come se fosse calore che esce da un termosifone lasciato acceso attorno ai cinquanta gradi.
“Tenterò, ma non assicuro nulla. Era per questo che mi hai disturbata?”.
“No. In realtà volevo soddisfare una mia curiosità, ma vedo che non c'è trippa per gatti. Lasciamo perdere, và”.
Credo che abbia captato la mia delusione per un simile trattamento visto che, con voce molto più addolcita, mi invita a chiedere quel che mi interessava.
“Sicura?”.
“Sicura. Spara”.
“Niente di che, davvero. Volevo solo sapere da dove proviene il tuo cognome. È piuttosto inusuale”.
“Solo piuttosto? L'understatement del secolo. Come avrai intuito da te è tedesco. I miei nonni erano di Magonza. Essendo ebrei sono fuggiti da piccoli dai nazisti e si sono rifugiati in Svizzera. Intrecci troppo difficili da spiegare li hanno poi portati qui a Roma, dove mio nonno Heinrich ha conosciuto e poi sposato Giuseppina. Aggiungici quella sessantina di anni, un figlio maschio e avrai Elisa Wutterstrüber. Soddisfatto, curiosone?”.
“Pienamente. Un'altra cosa: fammi indovinare, devi comprare le sigarette”.
“...”.
“Ehi, che c'è?”.
“Come l'hai capito?”.
“Beh, non mi chiamano lo Sherlock Holmes der Testaccio per nulla. Ma, seriamente, si nota lontano un chilometro che fumi. C'è una tabaccheria dietro quest'angolo. Offro io”.
“Accidenti, quanta grazia”.
“Te l'ho detto, voglio solo essere il miglior coabitatore possibile della tua vita. Se un pacchetto di sigarette può aiutarti a essere tranquilla, o almeno un po' meno scontrosa, non sarò di certo io a dire di no”.
E finalmente sorride. Un sorrisino smunto e tirato. Ma un sorriso.
   
 
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