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Autore: LadyMorgan    14/07/2011    2 recensioni
Ogni storia, grande o piccola che sia, ha un inizio. Un inizio a volte dimenticato, confuso, perduto. Ma non per questo meno importante. Questa è la storia di Lily Evans e del suo Inizio.
Dal Capitolo I:
"Non so quali pianeti si fossero messi d’accordo per rendere la mia nascita così difficile, ma fu così: trentasei ore di travaglio piene, in cui mia madre fece del suo meglio e del suo peggio per dare vita ad un essere di tre chili e mezzo che come primo ringraziamento la fissò con due occhi grandi come metà faccia."

Questa storia parla della vita di Lily Evans, raccontata da lei stessa in prima persona.
In particolare del suo primo anno ad Hogwarts e di come mano a mano si forma la sua brillante personalità.
Dal 3° Capitolo
"La cosa più irritante in assoluto, invece, erano Black e Potter, non necessariamente in quest’ordine: Remus aveva ragione, dovevano conoscersi già da prima, perché non passava momento senza che stessero insieme, normalmente al centro dell’attenzione. Erano diversi, però: Black più facilmente sogghignava invece di ridere, ed uno strano sguardo che ogni tanto gli spuntava negli occhi mi dava da riflettere, sembrava stesse cercando di trattenersi dall’urlare; Potter invece aveva sempre un sorriso che gli inghiottiva metà faccia, non uno di quei sorrisi che ti rendono spontaneo ricambiarlo, ma un sorriso che sembrava avvisarti che da un momento all’altro il soffitto ti sarebbe caduto addosso e lui avrebbe potuto sghignazzare in santa pace mentre tu ti liberavi delle macerie."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Lucius Malfoy, Petunia Dursley, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Prima parte: I Anno

Capitolo 15 – Riprendermi


Seduta in Guferia, pensavo. Non mi muovevo da tanto tempo, sentivo le mie lacrime gelate contro le guance.

I miei genitori se ne erano andati.

E io avevo improvvisamente realizzato che in loro presenza dovevo essere forte, perché loro non conoscevano il mio nuovo mondo e ne avevano più paura di me. Avevo pianto con loro, per lo stress emotivo subito. Avevo pianto perché con loro potevo piangere. Ma non mi potevano aiutare. Non c’erano modi per aiutarmi, l’avevo capito fin da subito.

E quello strano marchio lasciato sulla mia spalla non era neanche lontanamente spaventoso come il marchio che torturava la mia mente.

Non ricordavo niente.

Poteva essermi successa qualunque cosa in quell’ora, anche se le diagnosi di Madama Challoner avevano ricostruito con abbastanza efficacia quello che mi avevano fatto.

Non volevo che mi vedessero piangere.

Per questo ero scappata in quell’angolo solitario e gelato. Volevo piangere. No, non volevo piangere. Non volevo ma ne avevo bisogno, e allora cercavo di non farmi vedere.

Non ero più rimasta sola da quando Madama Challoner mi aveva dimessa: Severus, Alice e Remus facevano la ronda, a volte accompagnati da Black, Potter, Paciock o Minus. Inoltre, la mia disavventura aveva fatto il giro della scuola, quindi capitava che venissi salutata nei corridoi da dei perfetti sconosciuti.

La notizia che una primina Grifondoro dal dubbio stato di sangue fosse finita in Infermeria per lesioni da incantesimi era trapelata. A quanto mi avevano raccontato i miei amici, c’era stata un’ondata di rabbia da parte di tutta la nostra Casa ed un notevole incrinarsi dell’amicizia fra Grifondoro e Serpeverde, come se fosse stato necessario. Tassorosso e Corvonero erano rimasti neutrali, ma si vedeva bene che non approvavano assolutamente l’aggressione. Alcuni studenti di entrambe le Case con cui potevo aver rivolto al massimo una dozzina di parole mi erano venuti a trovare per informarsi della mia salute e tre giorni dopo il mio ricovero Madama Challoner aveva accettato di far entrare un Hagrid notevolmente sporco di terra e dotato di un mazzo di… fiori, credo, nella sua ottica, straordinariamente simili a carciofi e che emettevano un inquietante sibilo ogni volta che la conversazione si interrompeva.

In tutta quella confusione, i miei genitori se ne erano dovuti andare solo due giorni dopo essere arrivati, dopo essersi assicurati che ricevevo cure costanti e che mi sarei rimessa presto: il rischio che la notizia della loro presenza si diffondesse era troppo alto, a Hogwarts la velocità con cui circolavano le voci aveva un che di particolarmente magico. Malgrado tutto, ero riuscita a impormi di insistere con loro affinché se ne andassero, visto che ero terrorizzata che qualcuno potesse in qualche modo aggredirli. A volte sospettavo che fra ritratti, gargoyle parlanti e quant’altro fosse impossibile mantenere un segreto.

Era stato da un ritratto che avevo saputo che, a quanto pareva, a numerosi studenti di Serpeverde erano capitati strani incidenti non ben spiegati: il martedì dopo il mio ricovero, Rowle era stato portato in Infermeria per via di un’eruzione di pustole su tutto il corpo che non erano riusciti a guarire, Avery poco tempo dopo aveva saltato tutte le lezioni per un inspiegato quanto improvviso attacco di febbre e mi fu riferito che Malfoy andava in giro con aria talmente furiosa che tutti erano certi gli fosse successo qualcosa.

Severus non ne parlava e non commentava, e in sua presenza sia Remus che Alice non ne parlavano, per quanto possibile. Curiosamente, nemmeno Potter e Black ne parlavano più di tanto, anche se quando Remus mi raccontò dell’accaduto cominciarono a sghignazzare senza neppure troppo ritegno, chiaramente divertiti.

Ma ora dovevo piangere. E chissà, forse il trovarmi in Guferia mi faceva sentire più vicina ai miei genitori. Mi mancavano. Mi mancavano tremendamente, e Tunia ancora di più.

Rimasi lì seduta a rimuginare per non so quanto tempo. Cercavo di tranquillizzarmi, e non ci riuscivo. Non sapevo neppure più se volevo stare sola o in compagnia, se per orgoglio volevo rifiutare qualunque conforto o se volevo solo appoggiarmi alla spalla di qualcuno e sentirmi consolare.

Il tempo continuava a peggiorare, ma più i miei muscoli si intorpidivano per il freddo più perdevo la voglia di andarmene.

E poi, sembrava quasi che la neve lenisse il mio dolore… come un anestetico, come se riuscissi ad addormentarmi, senza incubi. Cara neve…

«Evans!»

Alzai la testa, infastidita da quell’urlo.

«Evans!»

La porta della Guferia si aprì ed entrò niente di meno che James Potter, con la bacchetta illuminata alta e l’espressione più preoccupata che gli avessi mai visto.

Quando mi scorse, mi parve di notare una scintilla di rabbia nei suoi occhi, ma tutto avveniva così da lontano… “Dove sei stata?”, “Tutto il pomeriggio che ti cerchiamo…”, “Che ti salta in testa…” erano frasi prive di significato, per me. Giunse invece nettamente chiaro un suo esasperato “Merlino!” mentre la finiva di scuotermi e pronunciava un incantesimo che non ricordavo. D’improvviso mi sentii caldissima, e l’ovatta che occludeva le mie orecchie sparì.

«Vieni, hai un principio di congelamento, di questo passo finirai metà dell’anno in Infe…»

«No!» esclamai con forza trattenendo bruscamente il suo braccio.

Mi guardò stupito. «No cosa?»

«Non voglio andare in Infermeria» dissi freneticamente artigliandogli il mantello. «Andiamo… andiamo in Sala Grande, ho fame…»

Mi guardò stranito. «Evans, il banchetto è finito da almeno un’ora…»

Che ore erano?

«Allora… allora andiamo in Sala Comune, non voglio che restino tutti preoccupati…»

«Su quello non c’è problema.» Mentre mi pilotava giù per le scale, tirò fuori dai meandri del grembiule un piccolo specchietto rotondo. «Sir? L’ho trovata. La porto in Sala Comune appena si è riscaldata un po’, era in Guferia. Trova gli altri, arriviamo tra una mezz’oretta.»

«Se sta bene, dille da parte mia che è un’idiota» brontolò la voce di Black dallo specchietto, facendomi sobbalzare. «C’è Remus che stava per avere una crisi isterica…»

Io arrossii furiosamente e Potter rise. «Non mancherò di riferire, tranquillo.» Richiuse lo specchietto e se lo mise in tasca. «Sirius dice che sei idiota» mi informò con un mezzo sogghigno.

Continuò a trainarmi verso il castello.

«Cos’era quel coso?» chiesi dopo un po’. Mi accorsi che stavo battendo i denti e strinsi forte la mascella per coprire il rumore.

«Uno specchio a doppio senso» mi rispose lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Io ne ho uno e Sirius ha l’altro, ci consentono di comunicare a distanza.»

«Bello» mormorai mettendomi le mani sotto le ascelle. Mi ero improvvisamente resa conto di quanto facesse freddo. «Sembrano dei telefoni che si possono portare in giro.»

«Dei che?» chiese lui mentre ci allontanavamo sempre di più dalla Guferia.

«Telefoni. Sono…» Una nuova raffica di vento coprì le mie parole. Il fatto che la Guferia fosse separata dal resto del castello si stava rivelando più scomodo di quanto non credessi.

Poco prima di arrivare al portone, Potter mi fece fare una brusca deviazione verso la zona più incolta delle mura esterne.

«Che fai?» gli chiesi in un soffio mentre ci dirigevamo verso una cortina d’edera.

«Evans, mi ascoltavi prima quando parlavo? Il banchetto è finito, stiamo infrangendo il coprifuoco, il portone è chiuso.»

Sentii un crampo di paura afferrarmi lo stomaco. «Siamo… chiusi fuori?» gracchiai con voce resa stridula dal freddo.

Sorrise appena. «Ho detto questo?» Si avvicinò al muro fino a toccarlo e scosse un po’ l’edera, facendoci cadere addosso una considerevole quantità di neve. «Entra, su» mi disse spingendomi verso il piccolo pezzo di muro liberato dall’edera.

Ero troppo debole per ribattere; feci come mi diceva, aspettandomi di sbattere contro le pietre compatte che vedevo… ma non ci fu nessun impatto: attraversai il muro come se non esistesse e piombai nell’oscurità più completa. Non riuscivo a vedermi neppure le mani. E dopo l’ululato continuo del vento fuori, l’improvviso silenzio faceva quasi impressione. Quando mi sentii afferrare la spalla non potei impedirmi di sobbalzare. «Tranquilla, sono io» disse Potter tirando fuori la bacchetta. «Lumos!»

Ora che riuscivo a vederlo, ci trovavamo in uno stretto passaggio di pietra dal soffitto basso molto umido, con l’aria di non essere stato usato per molto tempo.

«Che posto è questo?» chiesi mentre continuava a spingermi avanti. Prima che potesse rispondermi, come se mi fossi appena ricordata di qualcosa, tirai fuori la bacchetta e la accesi anch’io.

«Ah, non ti eri completamente rimbecillita, allora» commentò lui lasciandomi andare. «Cominciavo a temere che parte del tuo cervello si fosse congelato. Comunque, questo è uno dei passaggi più brevi che conducono fuori dalla scuola, io e Sirius ci siamo imbattuti mentre cercavamo di scappare da Gazza…»

«Com’è che voi due state sempre scappando dal custode?» chiesi mentre il sangue cominciava a rifluirmi nelle vene. Molto. Molto dolorosamente.

Lo sentii sogghignare. «È un uomo senza senso dell’umorismo» disse soltanto.

Feci una smorfia che non poté vedere mentre proseguivamo in quello spazio angusto e vuoto. «Sgattaiolate spesso fuori di notte?» mi informai in tono mondano, per ignorare la paura che quel luogo buio e pieno di ragni mi ispirava.

Ridacchiò. «Solo quando dobbiamo recuperare compagne troppo orgogliose per chiedere aiuto.»

Trattenni una rispostaccia. «E vi capita spesso?»

Lo udii ingoiare una risata. «Ultimamente sì.»

Mi stavo per girare, quando lo udii dichiarare dietro di me: «Pallone, rigetto, arancia, stecchito.»

Spalancai la bocca. «Hai fuso l’ultimo neurone che ti rimaneva o è un indovinello?»

Dietro di me qualcosa scattò e una lama di luce penetrò nel buio del passaggio.

Potter mi superò con un sogghigno. «Mai sentito parlare di parole d’ordine, Evans?»

«Mai così stupide» borbottai senza accettare la mano che mi aveva teso per aiutarmi ad uscire.

Mi scrutò con aria critica. «Non hai l’aria molto sana» mi informò senza un minimo di tatto. «Sei praticamente blu.»

Mi passai una mano sugli occhi. «Devo essere rimasta lì per più tempo di quanto non sembrasse… non ci ho fatto caso.»

«Sì, ho notato» mormorò lui abbassando la voce. «Credo che oggi ci siano Anderson e Hawkins di Corvonero e Flit e Selwyn di Serpeverde di ronda, senza contare Gazza e la Harvey.»

Non gli domandai neppure come lo sapeva. Probabilmente aveva rubato i turni da qualche incauto Prefetto. «Dove siamo?» chiesi guardandomi attorno. La stanza era piccola e la luce sembrava non avere una provenienza precisa.

«Nello sgabuzzino delle scope e dei solventi dietro il bagno delle ragazze del secondo piano» mi informò lui premendo uno dei mattoni che componevano il muro. Il passaggio si aprì e lui mi fece cenno di passare con un ironico inchino.

Passai con la bacchetta in guardia e mi guardai attorno. Conoscevo quel bagno, anche se di solito lo evitavo: c’era un fantasma non molto simpatico che lo infestava, che non faceva altro che piangersi addosso. «Immagino sia inutile chiederti come diavolo siete finiti nel bagno delle ragazze per sfuggire al custode, vero?»

Nascose una risata in una mano. «In realtà ci siamo infilati nella prima porta che abbiamo trovato e Sirius è riuscito a abbagliare abbastanza il fantasma che ci stava per portarla dalla nostra parte. Io stavo correndo e sono scivolato e sbattendo contro il muro ho aperto questo passaggio. È stato buffo…»

«Immagino…» dissi con un sorriso immaginandomi la scena. Stavo per ridere, ma i muscoli mi facevano ancora male per il freddo e mi ero appena accorta che il mio stomaco stava brontolando.

Potter mi guardava attentamente, anche se sempre con quel piccolo sorriso di scherno. «Confesso che non so bene cosa fare, se non vuoi andare in Infermeria» disse alla fine. «Voglio dire, tu hai bisogno di mangiare e in Sala Comune non c’è niente… o meglio, forse riusciamo a fare una colletta di dolci, ma tu hai bisogno di qualcosa di caldo, e non mi sembra che…»

«Andiamo nelle cucine» suggerii debolmente appoggiandomi al muro. La stanchezza continuava a piombarmi addosso ad ondate, e se un secondo prima mi sembrava di stare bene, quello dopo i miei muscoli venivano presi da un tremito incontrollabile che mi infiacchiva sia fisicamente che psicologicamente. Forse aspettare che il freddo lenisse il mio dolore non era stata una grande idea.

Siccome non avevo ancora ricevuto una risposta alzai lo sguardo: Potter mi fissava con gli occhi spalancati e la bocca un po’ aperta.

«Che c’è?» chiesi io cercando di riprendere fiato.

«Nelle cucine?»

Io annuii. «Sai, credo che tu abbia ragione, un po’ di cibo mi farebbe bene» ammisi con un piccolo sorriso. «E tanto ormai sanno che mi hai trovata, quindi anche se tardiamo qualche minuto non credo che…»

«Tu sai dove sono le cucine?» mi chiese a metà fra lo stupefatto e il deliziato.

Io annuii di nuovo. «Perché…?»

«Tu mi stai dicendo che vivi nella mia stessa Casa da quattro mesi e non mi hai ancora detto dove stanno le cucine?» mi chiese alzando tanto la voce che dovetti fargli cenno di abbassare tono.

«Non ti eccitare, lo so da meno di un mese» mormorai.

«Be’, dobbiamo andarci» dichiarò lui risolutamente. «Assolutamente. Io e Sirius le stavamo cercando già da un po’ e…»

Mi concessi un sogghigno. «Be’, essere bravi a Pozioni servirà a qualcosa…»

«Cosa c’entrano le Pozioni, per Merlino?» chiese lui abbassando la voce mentre metteva fuori la testa dal bagno per controllare che non ci fosse nessuno. Lo sentii borbottare contrariato. «Accidenti, Evans, se avessi saputo che ci sarebbe voluto così tanto avrei portato il…» S’interruppe di scatto e ritirò la testa. «Be’, dove stanno le cucine?»

«Sotto la Sala Grande, si entra da un quadro con la frutta. Lo stesso sotterraneo che porta alla Sala Comune dei Tassorosso, a quanto so, almeno, non se sai dove…»

«Certo che lo so, Evans, per chi mi hai preso?» chiese quasi offeso. Si appoggiò alla parete e cominciò a contare. «Quindi sono circa… quattro piani, giusto, per arrivare? E il fatto che sia vicino a una Sala Comune non aiuta…»

«Possiamo anche andare direttamente alla Torre, magari è più…»

«Non è più facile, Evans, e se ti degnassi anche solo di contare i piani lo capiresti anche tu» mi disse stizzito. «Quanto vorrei avere il…» Lo vidi stringere i pugni e rilassarli d’improvviso. Ora stava di nuovo sorridendo. «Be’, dovremo improvvisare, immagino» disse alla fine di buonumore. «È sempre il piano migliore.»

Ciò detto, mi prese per un polso ed uscì nel corridoio, muovendosi molto velocemente vicino alle pareti.

Arrivammo al primo piano senza difficoltà, ma lì incontrammo Pix. Ci muovemmo immediatamente per una delle scorciatoie che evidentemente conoscevamo entrambi prima che ci raggiungesse. Ci guardammo un attimo e proseguimmo lungo il passaggio fino ad arrivare al Salone d’Ingresso.

A gesti, gli indicai la porta per i sotterranei e lui annuì. Ci arrivammo di corsa ed entrammo nel corridoio illuminato a passi felpati. Se fosse arrivato qualcuno ci avrebbe per forza visti, eravamo in piena luce e non c’erano né nicchie né armature in cui ci saremmo potuti nascondere. L’unico vantaggio era che il corridoio era un’unica, lunga curva e quindi, in teoria, chi entrava non ne aveva una visuale completa. Un’arma a doppio taglio.

«Credo ci convenga correre» mormorai sfiorandogli il braccio. «Non ci sono nascondigli da qui al quadro.»

«Mi sa…» Il rumore di una porta che si apriva ci fece sobbalzare tutti e due. «Vai!»

Corremmo il più silenziosamente possibile lungo il corridoio, pregando che non venisse nessuno dall’altra parte. A metà corridoio, mi fermai di fronte a uno dei quadri più grandi, quello con una ciotola d’argento piena di frutta, e una volta fatto il solletico alla pera spinsi la maniglia verde apparsa e mi fiondai dentro le cucine il più velocemente possibile.

Dietro di me, Potter chiuse velocemente la porta e alzò la testa, guardandosi attorno.

«Signorina! Buonasera!» Percky mi stava venendo incontro strofinandosi le lunghe dita in un canovaccio e guardandomi con un sorriso.

«Ciao, Percky» mormorai io sorridendo in risposta. «Spero tu stia bene…»

«Percky sta benissimo, signorina.» Mi guardò e le sue orecchie parvero afflosciarsi. «Ma la signorina sembra non stare benissimo…»

«Ho… ho avuto una settimana intensa, Percky…» dissi vagamente, in imbarazzo.

Lui annuì con il testone, comprensivo. «E benvenuto al signorino, anche!» disse facendo una riverenza verso Potter.

Mi voltai a guardarlo: sembrava gli avessero appena annunciato che le vacanze estive sarebbero durate tutto l’anno. «È magnifico!» sussurrò guardandosi attorno. «Elfi Domestici… certo, è talmente ovvio…»

«Percky può fare qualcosa per i signorini?» chiese lui guardandoci in radiosa attesa.

Questo parve scuotere Potter. «Sì, potremmo avere due cioccolate calde? La signorina qui è gelata…»

«Se non crea troppo dist…» iniziai io, di nuovo in imbarazzo, ma non mi ascoltò neppure: era già partito alla volta dei fornelli per dare l’allarme generale.

Altri due elfi ci si avvicinarono. «Se i signorini vogliono accomodarsi…» ci dissero rispettosamente facendoci strada verso un tavolino sistemato lì su due piedi.

«È meraviglioso…» mormorò Potter sedendosi e guardandomi con un sorriso che gli tagliava la faccia in due.

Mi venne da sorridere in risposta, anche se mi sentivo un po’ in colpa: in fondo li stavo solo caricando di nuovo lavoro…

«I signorini vogliono panna sulla cioccolata?» Percky si era avvicinato e ci stava guardando interrogativo.

Prima che io potessi rispondere, Potter annuì entusiasta. «Sì, la panna sarebbe l’ideale!»

Percky parve squittire di felicità e corse a portare il nuovo ordine: dopo neanche un minuto due tazze di fumante, deliziosa cioccolata calda con panna ci vennero scarrozzate davanti su un vassoio argentato assieme a un piattino con biscotti e una zuccheriera, per ogni evenienza.

«Grazie, siete stati molto gentili» dissi con un sorriso mentre ci poggiavano il vassoio sul tavolino. Si inchinarono fino a terra come se gli avessi fatto il più grande favore del mondo e si ritirarono per lasciarci bere tranquillamente.

«Evans» scandì Potter mentre si portava la tazza alle labbra guardandosi attorno, «non so come hai fatto a trovare questo posto ma sei un genio!»

«Grazie» mormorai arrossendo appena e chiudendo le mani sulla tazza bollente per assorbirne il calore. «E grazie anche per avermi portata via dalla Guferia» aggiunsi, riscuotendomi. «Credo che ci sarei rimasta, altrimenti.»

«Figurati» rispose lui con noncuranza bevendo dalla tazza.

Cominciai anch’io a sorseggiare la mia cioccolata: aveva una temperatura perfetta, né così bollente da scottare il palato né troppo fredda per riscaldare dentro. Aveva un effetto benefico istantaneo. Chiusi gli occhi per poterne meglio assaporare il calore e la dolcezza. Senza ombra di dubbio, era la miglior cioccolata che avessi mai assaggiato.

«Evans, mi hai fatto uno dei migliori regali di compleanno che potessi chiedere» commentò la soddisfatta voce di Potter.

Riaprii gli occhi. «È il tuo compleanno?» chiesi stupita.

Si strinse nelle spalle. «Fra un paio d’ore sì» mi disse con un sorriso.

Lo guardai e cominciai a ridacchiare.

«Che c’è?» chiese abbassando la tazza.

«Hai due baffi di panna» lo informai ridacchiando più forte.

«Ah sì?» Incrociò gli occhi per cercare di vedersi. Era estremamente buffo. Se li leccò via e parve degustarli per un attimo. «Be’, in quel caso erano i baffi più buoni che avessi mai avuto» commentò girando la cioccolata.

«Me lo immagino» confessai sempre ridendo. Il freddo sembrava un ricordo lontanissimo, nel caldo delle cucine di Hogwarts. «Be’, buon compleanno in anticipo, allora» dissi dopo un po’.

«Grazie» rispose lui con aria compita.

Ci guardammo per un attimo, serissimi tutti e due, e riprendemmo a ridere.

«Seriamente, come hai fatto a trovare le cucine?» chiese continuando a girare la cioccolata.

Così cominciai a raccontargli del festino di Lumacorno, del mio primo incontro con Percky e del desiderio che avevo di far passare un buon compleanno a Severus, e di tutto ciò che ne era conseguito.

«Quindi, come ti ho già detto, essere bravi a Pozioni torna utile, a volte» conclusi soddisfatta prendendo un cucchiaio di panna.

Non mi aveva interrotto una sola volta, e verso la fine aveva abbassato gli occhi. «Sai, continuo a non capire perché stai con Mocciosus…» cominciò. Gli rivolsi un’occhiataccia. «Però sei una brava amica» concluse imperturbabile.

Mi spiazzò: non mi aspettavo quel commento.

Alzò gli occhi verso di me e sogghignò. «Sai, se me lo dicevi prima che bastava farti un complimento per zittirti avrei passato l’anno a complimentarmi con te» mi informò, bastardo.

Gli rivolsi una poco aristocratica linguaccia. «Allora sono contenta che non lo sapessi» commentai finendo l’ultimo sorso della mia buonissima cioccolata.

«Ah, ma ora lo so» commentò lui in tono saggio. «E quindi non ti risparmierò, d’ora in avanti.»

Lo guardai male. «Non ci provare» lo ammonii.

Poggiò il cucchiaio e la tazza sul piattino e incrociò le dita, sogghignando. «Altrimenti, Evans?»

Gli rivolsi una nuova occhiataccia. «Altrimenti… chiederò a Percky di non farti più entrare qui» improvvisai. Era un bluff bello e buono, non pensavo che gli Elfi Domestici avrebbero mai impedito a qualcuno di andarli a trovare, ma sorprendentemente funzionò: i suoi occhi persero l’aria spavalda.

«Non lo faresti» disse subito, allarmato.

Mi portai la tazza alle labbra, anche se era vuota. «Scommettiamo, Potter?»

«Non sei così sadica, Evans…»

Finsi di mandare giù un sorso. «Sei tu che dici sempre che stare a contatto con i Serpeverde mi fa male…»

«Lo vedo» commentò lui imbronciato. Sospirò. «Va bene, niente complimenti fuori contesto. Contenta?»

«Sì» risposi poggiando la tazza e guardandolo con un sorriso. «Abbiamo un accordo?» chiesi tendendo la mano.

Improvvisamente ridacchiò. «Non credo che l’avresti fatto, in ogni caso» disse stringendomi la mano. «Ma vabbè, al massimo posso ignorare il tutto.»

«Non ci provare» lo ammonii ritirando la mano.

Sogghignò. «Vedremo, Evans» disse spettinandosi i capelli. «Dopotutto non era un giuramento, il tuo…»

«Infame!» lo accusai, non sapevo se arrabbiarmi o ridere.

Si strinse nelle spalle con aria modesta.

Presi un biscotto mentre riflettevo. «Sai» dissi all’improvviso, riportando i suoi occhi su di me. «Io proprio non ti capisco.»

«Comprensibile, col cervello mezzo congelato che hai» mi disse in tono partecipe, battendomi alcuni colpetti sulla spalla.

Lo ignorai. «Insomma, a volte non so che darei per poterti prendere a schiaffi, mi esasperi davvero. Non so, con Sev, per esempio, o quando fai di tutto per provocarmi.» Sospirai e affondai i denti nel biscotto. Di solito non mi piacciono, i biscotti, ma quello era veramente buono. «E poi ci sono dei casi in cui sembri solo un amico.» Sbuffai: non capivo davvero.

Si strinse nelle spalle. «Forse perché entrambi mi divertono» commento sorridendo. «La parte di me stesso e la parte del fido amico…»

«James!»

Sobbalzai: quella sembrava proprio la voce di Black…

Infatti, Potter tirò fuori il suo specchietto e lo aprì. «Sirius, non indovinerai mai dove sono!»

«Spero all’inferno o in paradiso, James Potter, o non ti giustificherò, non questa volta!»

«Meglio: molto meglio, Sir! Sono nelle cucine!»

«Nelle cucine?» La voce di Black si fece improvvisamente eccitata. «Le hai trovate, alla fine? Perché non mi hai chiamato? Dove sono? Come hai fatto?»

«In realtà le ha trovate Evans» disse lui di malavoglia. «Sono nel corridoio dei Tassorosso, dietro un quadro con un cesto di frutta. Se fai il solletico alla pera appare una maniglia e dietro…»

«Evans? Che c’entra lei? È ancora lì con te?»

«Certo che è ancora qui con me, idiota! Pensavi che l’avrei lasciata andare in Sala Comune da sola con un principio di congelamento?»

Uno sbuffo forte e impaziente si alzò dallo specchio. «Cosa vuoi che possa pensare quando mi avevi detto che tornavi in una mezzora e ne sono passate tre?»

«Lo so, ma mi ha detto delle cucine! Non avrai pensato che mi lasciavo sfuggire un’occasione del genere!»

«È lì vicino a te?»

Potter alzò le sopracciglia. «Chi?»

«Evans, idiota!»

Potter alzò gli occhi su di me. «Proprio accanto, amico.»

«Passamela!»

Potter mi tese lo specchio ridacchiando. «Una chiamata interscolastica per lei, signorina.»

Presi lo specchio e sobbalzai quando vidi il viso di Black riflettersi dove normalmente si sarebbe dovuto trovare il mio. «Evans» mi disse solennemente il ragazzo, «non so come tu abbia fatto a trovare le cucine, ma sei un genio e noi ti siamo debitori.»

Alzai lo sguardo verso Potter. «Voi due sembrate proprio fratelli» commentai passando lo sguardo dall’uno all’altro. «Non credo sia passata più di un’ora da che Potter mi ha detto la stessa, precisa, identica cosa» spiegai a Black.

Si strinsero contemporaneamente nelle spalle.

«Poteva andarci peggio» commentò Potter ridendo e riprendendosi lo specchietto. «Oh, e Sir, non indovinerai mai chi c’è qui: Elfi Domestici!»

«Elfi Dom… oh, no!» esclamò Black con una smorfia. «E come vi trattano?»

«Benissimo! Ci hanno preparato due cioccolate calde da favola…»

«James, non ti sembra un po’ presto per le cioccolate?»

«Sirius Black, fammi il favore di…»

Mi accorsi di star perdendo la conversazione, ora i discorsi mi arrivavano come attraverso una radio mal sintonizzata: una nuova ondata di stanchezza mi aveva raggiunto, e lottava per abbassarmi le palpebre.

Era estremamente piacevole trovarmi lì, al caldo ed asciutta, ascoltando i bisbigli di Potter e Black e i rumori di sottofondo degli elfi che ripulivano la cucina per il giorno dopo. Non credevo mi sarei potuta sentire di nuovo così bene, eppure era così. Ero tranquilla…

«Credo che dovremmo tornare in Sala Comune prima che ti addormenti» mi disse, lontanissima, una voce che riconobbi vagamente come quella di Potter.

Mugugnai di disappunto. «Posso dormire qui…» dissi mentre cercavo di tenere gli occhi aperti. «Domani è domenica, non morirà nessuno se per oggi sto qui…»

«Evans… Evans! Smettila! Non puoi addormentarti qui!»

«Perché no?» chiesi con la voce impastata dal sonno. «È comodo…»

Mi parve di sentirlo afferrarmi il braccio e scuoterlo. «Evans! Avanti, non puoi dormire…»

Poi, sempre da più lontano, una vocetta acuta, diversa: «Percky può aiutare i signorini?»

La voce esasperata di Potter: «Sì, sapete come farci tornare in dormitorio…»

Sentii qualcosa afferrarmi un braccio. «Aspetta, prima di cadere in catalessi: giurami che non andrai di nuovo a congelarti non appena ti sarai svegliata.»

Senza comprendere la richiesta, io annuii.

«Perché tu non sei inferiore, Evans: non permettere a quei deficienti razzisti di fartici diventare, ok?»

Non compresi del tutto, ma mi parve una bella frase: sorrisi e annuii di nuovo. In qualche modo la mia mano trovò la sua e la strinse, per fargli capire che avevo capito.

Poi la mia testa andò definitivamente in vacanza.

 

 

Angolo Autrice

Mi sono divertita a scrivere questo capitolo…

Credo sia stato quello che mi ha fatto penare di più: ne ho scritti circa tre diversissimi fra loro, fino a quando, in un’assolata (ma dove? -.-)  nottata di giugno il buio mi ha portato consiglio: quindi eccolo qui. Una piccola parte in realtà è tratta dagli altri tentativi, ma la maggior parte è frutto dell’ispirazione del momento. “Mai scrivere di getto”, direbbe la mia insegnante di italiano. Ma tanto io lo faccio sempre comunque, quindi credo di poter sopravvivere anche stavolta.

 

Piccolo appunto: nei libri, la Guferia è una delle torri del castello, qui ho adottato la versione del film secondo cui invece la Guferia è un edificio a sé. Espediente letterario, abbuonatemelo, please!

 

E ovviamente, i miei soliti, triti e ritriti grazie a chiunque sia arrivato fino qui con sempiterna costanza e buona fede. Non vi posso vedere da qui, ma sinceramente: grazie.

Angolo Autrice Bis

Dunque, siccome pare che sia tornata prima che i capitoli siano finiti e che mia sorella si sia infine liberata dell’ingrato compito di pubblicare, eccomi qua a fare gli onori di casa. Innanzitutto, scusatemi fra il ritardo ma fra jet leg, vita da riprendere e palle varie sono stata leggermente occupata e sono infelice di annunciarvi che probabilmente lo sarò anche per il prossimo mese e quindi non so quanta regolarità ci sarà negli aggiornamenti.

Ad ogni modo, quello che dovrei fare è ringraziare tutto e tutti per la prima volta direttamente, ma ho deciso che siccome EFP si è evoluto dalla mia ultima visita aggiungendo la fichissima opzione “rispondi ai recensori” me ne avvarrò anch’io e quindi la risposta precisa ai vostri gentilissimi commenti appariranno come per magia nel vostro account. E speriamo bene xD

Qui quindi ringrazio i 24 che hanno trovato questa storia degna di entrare fra i loro preferiti, i 4 che la ricordano e i 49 (O.O) che la seguono. Sapete come fare un autore felice, ragazzi!

  
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