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Autore: ElizabethLovelace    19/03/2006    6 recensioni
I Malandrini rimasti e chi è ora al loro fianco dovranno fare i conti con i ricordi divertenti e tristi del passato... le loro vite torneranno a intrecciarsi per decidere cosa fare una volta per tutte di ciò che è stato. La chiave? Elizabeth Lovelace... sospesa fra un passato ed un presente che Harry &Co. trovano indecifrabili: chi è, da dove viene? Come può essere... ciò che è?
Inserita quasi esattamente nel 5° e 6° libro della rowling.
GRAZIE per seguirmi ancora così tanto, prometto che oltre alle revisioni dei primi capitoli posterò prestissimo anche i tre conclusivi!!! Ma GRAZIE
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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***RIVEDUTO E CORRETTO***


ci ho messo tanto. non riuscivo a rendere giustizia a questo capitolo... spero ora di essere riuscita almeno in parte nel mio intento. c'è poco da dire al momento... ho fatto le bamboline di alcuni personaggi, controllerò se metterle su internet ed inserire qui il link infrangerebbe ottomila regole di questo sito oppure no.



La Stanza dei Misteri, 21.



Extra.
In qualunque luogo mi trovi, l’aria oggi ha un sottofondo di tristezza. È come un rumore di pioggia che m’inzuppa le ossa, e fra il suo tamburellare la gioia giace ormai sul fondo. Questa notte ho sognato Lily... sorrideva.
Sogno ogni notte. Credo non significhi nulla. Allora perché mi sconvolge tanto?
È una domanda così fragile, perché. Ci sono delle domande che fin dalla loro formulazione sono destinate al fallimento. Perché è una di queste.
Quando mi sono svegliata Sirius era al mio fianco. Allora ho pensato che dovrei smetterla, con questo voler ritornare a casa. È lui la mia casa. Non riavrò ciò che è stato.




42.
Bessie era entrata al Ministero con Silente, e mentre correvano verso l’Ufficio Misteri aveva pensato che di sicuro Sirius sarebbe stato arrabbiato con lei perché non era arrivata subito per dare una mano a Harry. Forse mi guarderà con freddezza. Sarebbe stato deluso di lei? L’avrebbe rimproverata? Ad ogni modo, l’essenziale ora è pensare ai ragazzi. Speriamo stiano tutti bene -- oh, Dio! Devono! Era corsa avanti senza più pensare a nulla, i suoi passi esili eco di quelli più fermi del mago. Non le era mai piaciuto stare così al chiuso, così in fondo. Lei amava il vento sulla pelle e l’odore pungente di certe foglie o di certe scogliere, e poi se avesse potuto scegliere il posto in cui morire avrebbe definitivamente optato per una riva di qualcosa e non per lo sgabuzzino del Ministero. “Non mi piace,” aveva mormorato sentendo per un attimo lo sguardo indulgente di Silente su di sé mentre correvano. Non le piaceva davvero.
In più si sentiva strana... ma forse era solo il tornare in servizio attivo dopo tanto tempo.
Harry.
Da una porta in fondo veniva un miasma nauseabondo di carne bruciata. Bessie era rabbrividita, aveva fatto in tempo ad immaginare lo sguardo accigliato di Silente; era un odore così acre e penetrante che aveva sentito quel supplizio su di sé, gridando per lo spavento e cercando di raggiungersi con le mani un punto tra le scapole per togliersi di dosso il dolore, come un incubo che ricominciava.
Basta.
Silente le era finito addosso in mezzo a tutta quella tortura, aveva sentito la sua barba solleticarle le guance e le era venuta voglia di toglierla da lì a costo di strappargliela; prendendola prima per un ginocchio e poi per le braccia l’aveva rimessa in piedi, e per fortuna era Silente e non qualcun’altro: non avrebbe voluto che nessun’altro l’avesse vista così.
“Cazzo,” aveva ansimato sconvolta, senza badare al linguaggio. “Scusa,” aveva aggiunto poi cogli occhi spalancati per quel momento di debolezza. Come in una specie di linguaggio in codice quello era stato il segnale con cui lei gli aveva indicato che potevano ripartire. Mentre riprendevano la corsa un boato li aveva raggiunti con prepotenza da una porta sulla destra. Bessie, nella foga, aveva sbattuto con la spalla contro una colonna.
“Sei pronta,” le aveva annunciato Silente. Bessie non aveva sentito nessun punto di domanda.
“Okay,” aveva detto. Non aveva mai pensato davvero che potesse capitare di nuovo qualcosa. Non così presto. “Dio ti prego, fa’ che siano -- interi.”
Quando avevano raggiunto la stanza tutto intorno si era tramutato in un momento gelatinoso: tra strilli di spavento e di sincera gioia per l’apparizione di Silente non si era più capito nulla, come se i battiti del mondo fossero rallentati insieme alla battaglia.
Il suo sguardo aveva subito cercato Sirius, e quando l’aveva scorto la sua espressione le era sembrata strana -- non era arrabbiato, l’aveva fissata e poi in una frazione di secondo aveva guardato la persona con cui stava duellando: spostando lo sguardo dall’una all’altra si era reso conto immediatamente del fatto che anche Bellatrix Lestrange aveva notato Bessie.
La cosa più terribile di Bellatrix, aveva pensato Bessie, è che anche un istante prima di ucciderti il suo volto ha un’espressione dolcissima.
Era stato un attimo: nell’immobilità della situazione Sirius aveva avuto un guizzo, era stato come sempre il primo a muoversi. Si era rivolto alla cugina con aria beffarda, con una risata distorta dalla tensione l’aveva costretta ad occuparsi di lui, apostrofandola.
“Avanti, puoi fare di meglio!”
La sua voce echeggiava ancora nel salone mentre un fiotto di luce verde lo raggiungeva e lo colpiva in pieno petto. Bessie non aveva più visto altro che gli occhi di Sirius che si sgranavano increduli mentre il suo corpo si sollevava da terra, come preda di una forza incredibile, e finiva dietro il velo. L’immagine era talmente terrificante che le era sembrato fosse durata anni, prima di scomparire. Quantomeno, aveva pensato udendo l’esclamazione di trionfo della donna, lei si era sentita invecchiare di anni.
Non aveva sentito il suo stesso urlo uscire lacerandole la gola, contorcersi ed intrecciarsi con il medesimo “SIRIUS!” lanciato disperatamente da Harry. Aveva spalancato gli occhi, Bessie, e le forze le erano mancate di dosso con la stessa rapidità. Era finita in ginocchio, ciondolando per il contraccolpo, le braccia abbandonate lungo il tronco come se non sapesse più di averle.
È impossibile, impossibile.
Dì che è solo un sogno.
Mantienimi viva.

Non aveva visto la battaglia riprendere. Poco distante aveva sentito Harry urlare ancora ed una voce conosciuta rispondergli tentando di calmarlo, ma i suoni non raggiungevano più la sua testa. Non si accorgeva più di niente.

Harry, voltandosi per divincolarsi, aveva notato Bessie in quelle condizioni e l’aveva indicata a Lupin. Lui dopo un attimo di esitazione aveva lasciato il ragazzo per soccorrerla; aveva cercato di scuoterla, si era portato il suo braccio attorno alle spalle per sostenerla e Harry ne aveva approfittato per inseguire Bellatrix Lestrange, cieco di rabbia e di dolore. Lupin aveva soltanto potuto gridargli di fermarsi, prima di scorgere Silente che si muoveva dietro di lui.
Si era guardato intorno: Tonks era a terra, Malocchio sembrava ridotto male e Sirius era morto. Era sicuro che fosse morto. Come poteva essere morto? Cosa poteva fare, ancora una volta? Perché toccava sempre a lui rivivere le stesse situazioni, gli stessi dolori, le stesse perdite? Cercava di far riprendere Bessie che sembrava in stato catatonico e si lasciava muovere guardando chissà dove. Lupin aveva avuto paura di controllarle il battito, dopo quanto era successo, perché se l’avesse fatto probabilmente avrebbe scoperto che il suo cuore si era fermato.
C’è qualcosa qui dentro, come un sole che brucia. Ma un sole non può morire tra le fiamme, e che tu ora non sia qui è semplicemente irreale. Dì il mio nome Sirius, aggrappati pure alla mia carne. Non riesco a far smettere le mie mani di tremare, è come se tutto intorno non avesse un senso.
Che sta succedendo là fuori, Sirius? Dimmi, che sta succedendo?
Dentro di me sento un rumore di bicchieri che si frantumano. Di un colpo di fucile. Questa mia piaga inizia con qualcosa che ha a che fare con uno strano, terribile silenzio.

Un ultimo sforzo, che per le fatiche, le ferite che aveva addosso e i pensieri che gli rimbombavano nel cervello gli era sembrato sovrumano, e Lupin era riuscito a farla alzare in piedi.

Quando era tornato indietro insieme a Silente, un Harry furibondo, straziato dal dolore, non era riuscito a rendersi conto bene della situazione. Nella stessa stanza c’era Caramell che blaterava e balbettava senza sosta; c’era Moody che sanguinava e soccorreva Tonks, in apparenza svenuta; c’era Lupin che sorreggeva Bessie perché non sembrava in grado di restare in piedi da sola. Aveva gli occhi vacui, Bessie, che guardavano oltre, Dio solo sapeva cosa.
Mi sento come se ti avessi appena conosciuto, sperduta e nuda da qualche parte. Per favore dì qualcosa, non essere più spaventato da me. Non svanire un’altra volta. Stringimi, mi sento fragile: sono ancora dannatamente la tua principessa di vetro...
Non c’è sangue intorno. Non c’è il tuo sangue.
Il fatto che non ci sia m’impedirà per sempre di crederci.
Per quanto una persona può resistere in piedi senza schiantarsi? Dovrò cadere di nuovo? Dovrò morire, devo morire di nuovo Sirius?
Sto ancora aspettando che tu torni fuori di lì. Vieni a prendermi ti prego, prima che i miei fantasmi abbiano la meglio.

Solo una volta, per pochi istanti, si era ripresa mentre il corpo di Tonks le passava accanto, diretto al San Mungo, e Moody riusciva a sussurrare qualcosa a Lupin prima di venire accompagnato a sua volta.
“Non il San Mungo!!!” aveva supplicato. “Non di nuovo lì, ti prego, Remus!!!”. Sembrava terrorizzata.
Kingsley, che tutto sommato se l’era cavata senza troppi danni, si era avvicinato a Silente interrompendo il suo dialogo con il Ministro e bisbigliandogli qualcosa nell’orecchio.
“Ha bisogno di cure, lo sai,” aveva scosso il capo il vecchio. Harry aveva sentito soltanto un “Madama Chips” nella risposta di Kingsley, poi Silente aveva guardato la ragazza con intensità prima di chinare lentamente il capo in segno d’assenso. L’attimo dopo, vorticosamente, il preside aveva smesso di parlare con Caramell e si era voltato verso di lui, mandandolo ad attendere nel suo ufficio. Ferito, pesto, sanguinante nell’animo, Harry non aveva visto più nulla.



43.
Dove sono i miei pensieri? Dove sono le tue parole, Sirius Black? Perché questa nostalgia, già pesante come una lettera lontana?
Non posso permettere che tu te ne vada. Come posso lasciarti andare Sirius, lasciare che ti fermi da solo senza nessuno a volerti bene o a difenderti?
Le ombre rapiranno anche te. Chi sarò ora, perdendoti per sempre?




44.
Ognuno muore in modo diverso, pensava Lupin da una stanza buia mentre vegliava Bessie. Ne ho visti tanti, e non è mai stato lo stesso. Quand’è che uno decide di averne visti troppi? Come capisci che non ne potrai sopportare altri? In fondo, piangere non serve. Muore qualcuno ad ogni minuto. Ad ogni angolo. Bisognerebbe guardare queste cose con gli occhi del mondo, e sarebbero solo dei pezzi di strada. Qualcuno dice che i licantropi hanno gli occhi del mondo. Vorrei quegli occhi.
Quando Eliza è entrata a far parte delle nostre vite, ho sperato che si innamorasse di lui. L’ho pensato per Sirius, perché era qualcosa che gli mancava; forse è normale, all’epoca soltanto lui era mio amico. A dire la verità Sirius e James sono gli unici per cui mi sono spinto oltre i limiti della ragionevolezza. E così non mi sono preoccupato, non ho pensato che se una pietra preziosa va in frantumi poi non la si può riaggiustare. Me ne rendo conto ora, mentre prego che non sia tardi.
Il giorno in cui si sono messi insieme ricordo che Sirius era tornato dall’infermeria barcollando come un ubriaco, pieno di graffi e fasciature -ho sempre pensato che Sirius avesse meno fasciature di quante gliene sarebbero servite-. L’ho guardato, gli ho chiesto se fosse andato a scuola di fascino. Lui ha sorriso, poi mi ha stampato un bacio sulle labbra.
Adesso è morto.
Muoiono persone ad ogni pezzo di questo svolgersi. Non ha senso. Ma per me ora, ha più senso della morte stessa.


Lupin aveva guardato Bessie che dormiva sotto sedativi. La sua espressione non aveva mai perso l’aria corrucciata e sofferente, sembrava che riuscisse ad esprimere il suo dolore soltanto nell’inconscio. Le aveva rimboccato le coperte, sistemandole un polso che si era incastrato sotto il cuscino. Di tanto in tanto le tastava la fronte per controllare che fosse tutto a posto. Le accarezzava il volto per vedere se sarebbe riuscita a rilassarsi.

C’è così tanto silenzio qui, mi travolge e non posso nemmeno piangere. Posso solo portarmelo addosso come se fosse un altro dei miei logori mantelli. Anche se ora chiamassi Eliza, lei non risponderebbe. Impara, Remus Lupin. Diventa licantropo.
Ogni volta, è come se fossi già stato qui. Adesso anche quel mondo vivrà soltanto nel mio ricordo.
Ci sarà dolore. Non potrò capire. Non potrò accettarlo.


Bessie si era svegliata con un singulto strozzato, come un urlo che non era stato in grado di uscire. Si era alzata a sedere di scatto, portando le mani alla gola. Respirava pesantemente, con ansia, e Lupin le si era subito avvicinato.
“Io... Remus--” era riuscita a bisbigliare fiocamente “...è tutto vero?”
Lupin le aveva stretto forte una mano, senza riuscire a risponderle. Doveva averle fatto male. Lei si era voltata a guardarlo con due occhi imploranti che l’avevano ferito nel profondo. “L’ho appena... rivisto, quel momento--” aveva agitato una mano nell’aria, come se stesse annaspando. “Credevo di averlo solo sognato...”

La Morte, aveva pensato Lupin quando i sedativi erano tornati a fare effetto su Bessie, è qui ora. Cosa ne farò? Non dovrei interferire.
Mi manca.
Il buio risuona contro le mie orecchie, le ferisce e tuona e rantola, e mi ricorda che tutto è cambiato. Se mi addormentassi, cosa sognerei io? Sognerei da uomo o da lupo mannaro? I sentimenti sono sempre esagerati, vorrei essere un po’ meno uomo. Ma se lo fossi, pagherei per il mio oblio il mancare a chi ha bisogno di me. Non sarò mai per qualcuno del tutto. Non potrò mai esserlo. Non potrò mai chiedere a qualcuno di restare. È come un vortice, è un mare di fango che mi sta sommergendo e non mi lascia respirare. Mi porta dove vuole, guardo Eliza e non è più la stessa. Io non sono più lo stesso. Forse non lo saremo mai più.


“Remus,” la mano di Madama Chips si era posata sulla sua spalla. “Sono ore che stai qui ormai, dovresti dormire anche tu. Ne hai bisogno.”
Lupin aveva scosso la testa.
“Davvero,” aveva insistito lei. “Sei stato ferito, hai combattuto, non puoi reggere! Non è... saggio, da parte tua.”
“Guardi a cosa mi ha portato l’essere saggio, fino ad oggi...” aveva mormorato lui, indicando il letto su cui stava stesa Bessie. Succederà che un giorno avrai bisogno di me ed io non ci sarò, non sarò in me.
“Non dire così! Sono cose che non si possono prevedere. So che Sirius Black era un tuo amico, ma... non servirà. Non servirà a nulla.”
Lupin era tornato a guardare Bessie, così fragile, così indifesa. Le aveva scostato inconsciamente i capelli dal volto, ne aveva ascoltato il respiro regolare, aveva cercato di distenderle la ruga che le solcava la fronte tra gli occhi.
“Sì che serve.”

Ricordo un giorno, eravamo ragazzi. Sirius ed io studiavamo in biblioteca... ma sarebbe più corretto dire che io studiavo, lui si sforzava in tutti i modi di compiacermi. Stava lì, ed era chiaro che avrebbe voluto essere ovunque, piuttosto; non riusciva a stare fermo con le gambe, impaziente di correre, di sporcarsi, di combinare qualcosa. Sembrava un bambino. Da questo punto di vista, Sirius lo è sempre stato. Non è mai riuscito ad aspettare, non è mai riuscito a fermarsi in tempo. È sempre andato un po’ più in là.
Però mi voleva bene e voleva farmi piacere, così cercava di mantenersi impegnato ed in silenzio, nonostante la sofferenza che questo gli provocava, nonostante il pensiero di tutto quello che avrebbe potuto fare in alternativa.
Poi è arrivato James, è entrato con entusiasmo nella biblioteca senza curarsi del divieto di parlare a voce alta. Ci ha salutati, se n’è uscito con una delle sue idee bizzarre. Gli occhi di Sirius si sono illuminati. Ricordo di essermi sentito ferito. Sirius non se n’è accorto, non ha rinunciato a divertirsi per non farmi sentire un idiota come sarebbe successo in uno dei miei libri.
Non era un essere perfetto, Sirius Black. L’amavo per questo.


La luna era entrata dalla finestra come il canto del cigno, si era posata sui capelli di Bessie. Lei aveva le labbra così rosse! È talmente bella, in questo momento! Così piccola, anche.

È ingiusto.
Fuori forse circolano delle auto, e c’è qualcuno che già si sveglia, e tra poche ore sarà tutto un brulicare di vita senza che nessuno sappia. Non è solo Sirius, è Voldemort, è tutto il mondo.
--Avanti, a chi vuoi darla a bere, Remus? A te importa solo di Sirius. Lui aveva bisogno di te... ma non c’è più, al mondo. C’è un rumore, ed è come un cuore che si spezza, come se tentasse di salvarsi legandosi al tuo stomaco, mentre ripensi alla sua espressione quel giorno di tanti anni fa, dopo che per colpa sua Piton aveva scoperto il tuo segreto.


Aveva pensato a Bessie. Come potrò aiutarla? C’è tanta tristezza al mondo, ed io sono talmente stanco!
L’aveva controllata, poi si era grattato via dalla faccia una bava di sangue rappreso.

Una volta conoscevo un ragazzo... lui aveva sempre paura di voltarsi, quando qualcuno gli andava a parlare. Come se avesse paura di venire sorpreso, di sentirsi vulnerabile ed un perfetto idiota, se prima non avesse assunto il suo aspetto di bravo ragazzo e bravo studente con la spilla. Sirius è stato il primo a farmelo notare, a mandarmi a quel paese per questo.
Mi è morto davanti agli occhi, ed io non ho potuto fare altro che raccogliere il suo ultimo respiro.


“Madama Chips mi ha detto che non vuoi muoverti da qui, Remus.”
“Silente!” Lupin era sobbalzato. Il vecchio mago aveva un’aria terribilmente stanca, gli occhi cerchiati da troppe sofferenze. Si era chiesto come dovevano essere i suoi.
“Dovresti riposare.”
“Non sono l’unico.”
Silente aveva scosso il capo. “Ho parlato con Harry.”
“Come... come l’ha...?” aveva provato a chiedere, senza riuscire a portare a termine la domanda. Silente aveva scosso il capo di nuovo.
“E se sbagliassimo?” Lupin aveva posto la seconda domanda senza guardarlo, pettinando con le dita i capelli di Bessie. La sfiorava con delicatezza, temendo di svegliarla. “Forse un giorno avremo vinto questa malvagità, allora davvero potremo riposarci? Davvero avremo finito?”
Silente si era avvicinato di un passo.
“Cerchiamo tutti delle certezze, Remus, ma è proprio il contrario a renderci così meravigliosamente vivi ed autentici. Se non sguazzassimo in mezzo a tante insicurezze per tutto il tempo non varrebbe la pena di essere certi di qualcosa così tanto da essere pronti a rischiare la nostra vita per esso. Allora anche l’amore, gli ideali, la morte, avrebbero meno valore.”

Vorrei sapere perché.
È una domanda stupida, perché. Ma ne ho bisogno lo stesso. Non può essere morto per nulla.




45.
Il giorno seguente, mentre tutti erano riuniti nella sala grande tra banchetti e rivelazioni era sopraggiunto Lupin spalancando di colpo una porta interna e precipitandosi verso il tavolo degli insegnanti. Alcuni studenti, riconoscendolo, l’avevano salutato sorpresi, altri si erano ritirati con ribrezzo: Draco Malfoy era fra questi. Lui aveva risposto con dei cenni gentili a tutti ma aveva proseguito di fretta, raggiungendo il tavolo e bisbigliando qualcosa con aria preoccupata.
“Che COSA?” aveva tuonato la McGrannitt “Come sarebbe a dire che è scomparsa?
Nell’inevitabile agitazione che era scaturita tutt’intorno molti professori avevano preso a parlare contemporaneamente, allarmati, e pure gli studenti borbottavano tra di loro, ancora scossi dalle parole di Silente su Voldemort. Curiosi e timorosi per quel nuovo problema a loro ignoto, si sporgevano per carpire informazioni o creavano teorie su teorie. In tutto quel caos avevano faticato non poco ad accorgersi della vocina che giungeva da un cornicione altissimo (appena sotto il soffitto del salone), mitigata dalla grande distanza dal suolo. Bessie si era resa di nuovo visibile, abbarbicata lì sopra, ed alcuni studenti avevano preso ad indicarla con la mano.
“Sono… sono qui--”
“Sei lì? Scendi IMMEDIATAMENTE, per tutti i goblin!” le aveva ingiunto la McGrannitt appena prima di aiutarla con un Locomotor che però, avevano notato i ragazzi, sembrava realizzato con estrema delicatezza. Nessuno fra gli studenti, a parte un piccolo gruppetto ben noto ed altrettanto sorpreso, era riuscito a riconoscere quella ragazza e soprattutto a sapere cosa ci facesse ad Hogwarts -- in un punto tanto pericoloso poi. Erano rimasti in religioso silenzio ad ascoltare lo sfogo della professoressa contro di lei, sperando di capirci qualcosa.
“Benedetta ragazza,” gracchiava la McGrannitt con voce stranamente stridula e strozzata, “cosa credevi di fare --romperti l’osso del collo?! Dovresti essere in infermeria!!!” strillava, finché lei in lacrime aveva mormorato qualcosa.
“Mi scusi professoressa, avevo solo voglia… di rivedere--” aveva indicato gli studenti nella sala, che nel frattempo allungavano il collo.
Silente le aveva posato una grossa mano sulla testa, concludendo la questione. “Va bene così, Minerva.”
“Mi dispiace” aveva mormorato Bessie al suo indirizzo. “Mi dispiace.”
“Non va bene affatto,” aveva protestato la donna tornando a sedersi e permettendosi solo in quel momento di dimostrare la sua preoccupazione.
Silente le aveva sorriso. “E’ tutto a posto. Ora però torna di là. Remus…?” l’aveva cercato con lo sguardo.
“Certo, Albus. L’accompagno io.” Così dicendo Lupin l’aveva raggiunta e stretta a sé cingendole le spalle con un braccio; poi l’aveva guidata lungo la sala, proteggendola più fisicamente che poteva da tutte quelle presenze ben poco discrete.

Mentre avanzavano si erano spalancate le porte della sala: Gazza aveva fatto automaticamente per accorrere e poi si era bloccato a fissarle atterrito, senza comprendere cosa fosse successo. Piton istintivamente aveva estratto la bacchetta, stringendola nel pugno; era stato seguito a ruota dalla McGrannitt, ma prima che qualcuno potesse agire era entrato un grosso gufo scuro con un pacco legato alle zampe. Aveva proseguito fino al centro della sala, lasciandolo cadere davanti a Bessie con un tonfo che si era propagato fino a far vibrare le pareti. Alcuni ragazzi si erano tappati le orecchie con le mani.
Lupin si era fatto avanti: liberandolo dalla carta che lo ricopriva aveva visto che era una specie di armadietto abbastanza piccolo. Con una strana sensazione aveva cercato di coprirlo con il proprio corpo mentre si accingeva ad aprirlo; Bessie, tuttavia, si era avvicinata per vedere di cosa si trattasse, circondata dai respiri trattenuti dai presenti.
Una volta aperto, Lupin aveva appena fatto in tempo a capire che si trattava di un molliccio che si era parato davanti con più decisione, nascondendolo dietro le spalle. Aveva urlato a Bessie di non guardare, spingendola di lato e cercando di eliminarlo il prima possibile senza che i ragazzi potessero capire. Lo spostamento d’aria, però, aveva fatto volare un biglietto che evidentemente accompagnava lo sgradito pensiero, e Bessie lo aveva afferrato con due dita.

*Dividilo pure col piccolo Potter, Lovelace. I ricordi si godono meglio in compagnia. B.L.*



Si era lasciata sfuggire un urlo angosciato che non era proprio un urlo, era come un rumore di sabbia che gratta dentro la gola, come se qualcuno le si fosse arrampicato su per il collo. Piton, che si stava avvicinando per coadiuvare Lupin, l’aveva afferrata al volo come temendo che potesse crollare o sbriciolarsi da un momento all’altro davanti ai suoi occhi. “Che diavolo--” aveva imprecato.
Lupin gli aveva indicato con la bacchetta il globo argenteo che era appena comparso davanti ai suoi occhi, poi aveva esclamato chiaramente: “Riddikulus!”
“Ieri,” aveva ringhiato tra i denti Piton mentre Lupin annuiva. “Capisco.”
Silente li aveva raggiunti imponendo a tutti di restare seduti e tranquillizzandoli perché non andassero nel panico, dal momento che non capivano cosa stesse succedendo. Avevano letto il biglietto facendosi seri. Silente l’aveva intascato raccomandando a Lupin di riportare Bessie in infermeria il prima possibile e lui, senza ascoltare le proteste della ragazza, l’aveva presa tra le braccia trasportandola con cautela infinita.
Poco prima di riprendere posto al tavolo Silente aveva incrociato gli sguardi di Ron ed Hermione. Aveva fatto loro un cenno brevissimo per tranquillizzarli.



46.
Il giorno seguente Harry era in stazione in compagnia dei fratelli Weasley e di Hermione. Gli sembrava tutto così strano, la sua vita era radicalmente mutata in poche ore! Credeva di poter andare a vivere con Sirius e invece Sirius non c’era più, e lui era venuto a conoscenza di un segreto che non gli avrebbe mai più permesso di sentirsi solo un ragazzo, mai più. Si era dedicato al controllo dei bagagli con cura minuziosa, contando e ricontando le sue due valigie. Si era assicurato che la gabbia di Edvige fosse ben chiusa e che il gufo fosse provvisto di acqua e cibo a sufficienza. Cercava di non pensare al fatto che niente sarebbe stato più lo stesso, e che in ogni caso sarebbe dovuto tornare dai Dursley. Improvvisamente, però, davanti a lui c’erano Lupin e Moody ed i signori Weasley e Bessie.
C’era qualcosa di buffo nel modo di Malocchio di posargli una mano sulla spalla con aria concentrata, come controllando di non lasciarla lì per troppo tempo. Almeno, aveva pensato Harry, nessuno di loro gli aveva chiesto come stava. E poi il modo che aveva Moody di mettere una mano sulla spalla non era male, non era come Mettere La Mano Sulla Spalla Perché--. Quel loro modo di salutarlo gli aveva provocato un moto di gratitudine. L’avevano abbracciato, incoraggiato. Avevano parlato con i suoi zii.
Erano lì per lui. Soltanto per lui.
Proprio mentre stavano ormai per andarsene Bessie, che non aveva parlato e si era a malapena guardata intorno fino a quel momento, si era staccata dal gruppo avvicinandosi; aveva studiato per un attimo il livido viola che colorava il viso di Harry come una melanzana, e lui era arrossito riflettendo su come doveva apparire anche a chi fingeva ostinatamente che non fosse successo nulla. Gli aveva rigirato il colletto della maglietta nascondendo una piccola macchia giallina, poco eroica e poco tragica e poco adatta. “Ecco,” aveva mormorato emettendo un tenue suono soddisfatto. A Harry era sembrato che la sua mano tremasse. “Ci sono degli incantesimi, per quando -- sporcizie. Basta un momento. Molti incantesimi, io, ah -- non sono poi così brava come crede Tonks,” aveva concluso con un’ultima spolveratina.
Lui si era sciolto i muscoli della schiena con una scrollata. Hermione e Ron lo aspettavano in treno. “Magari non sarà così brutto,” aveva mormorato per dire qualcosa. Si era reso conto che quella frase non aveva nessun senso, non aveva proprio nessun senso. Avrebbe potuto dire “Mettiamoci a mangiare una giraffa,” o “Ecco qua la sedia,” e non sarebbe cambiato molto.
“Se stringi così tanto schizzerà fuori,” lo aveva messo in guardia Bessie, e per un incredibile istante Harry aveva creduto che parlasse del suo cuore o del suo cervello prima di notare che indicava la cioccolata che teneva in mano -- e in realtà anche questo non aveva proprio nessun senso e allora era incredibilmente bizzarro che lui riuscisse a sentirsi confortato da quelle parole; da quelle inutili, patetiche parole su del cioccolato mezzo sciolto. E improvvisamente il cioccolato era al centro dei suoi pensieri, a dispetto di Sirius, a dispetto di Voldemort, a dispetto di una notevole dose di buon senso.
“Di sicuro ti finirebbe, avresti--” aveva mimato un’esplosione di cacao addosso alla ragazza, “faccia. Sai, l’isola. C’era -- ti ricordi.”
“Mi ricordo.”
L’aveva fatto sentire meglio. Gli sarebbe piaciuto che anche lei si fosse sentita meglio, che non parlasse così piano tutto il tempo. Non l’aveva mai sentita parlare così piano. Ora dovrei smetterla di fissare qualcosa oltre le tue spalle e salutarti, aveva pensato. Si era schiarito la gola cercando le parole giuste. Lei aveva spostato il peso del corpo da un piede all’altro e Harry improvvisamente si era reso conto che questo di salutarla era la cosa più difficile che avesse cercato di fare in tutta la sua vita. Sapeva che erano entrambi zitti da troppo tempo e che Ron e Hermione lo aspettavano e l’espresso stava per partire, ed era impressionante come un punto oltre le spalle di una persona potesse focalizzare così tenacemente la tua attenzione da impedirti di agire come un essere umano qualunque.
“Possiamo -- possiamo continuare a tacere ogni volta che ci vediamo,” aveva interrotto lei il corso dei suoi pensieri. “La trovo un’opzione piacevole, se giuriamo di non darci mai pacche sulle spalle, sai -- quel tipo di cose. Quelle che si fanno quando qualcuno, uh, quando perdi -- lo sai. Anche perché non credo che l’opzione ‘cancella ciò che è successo’ sia compresa nel nostro ventaglio di possibilità,” aveva concluso, e a Harry era sembrato che si accasciasse subitaneamente sotto il peso di qualcosa. Voleva talmente tanto parlarle per smuoverla che pur di non restare zitto stava per arrendersi a un Non sarà sempre così terrificante o Facciamoci una partita a Quidditch, che poi avevano lo stesso grado di probabilità -- ma poi un tocco insperato di buon senso l’aveva fatto risolvere in ficcarsi le mani in tasca. Anche la lingua, aveva pensato. Bessie si era schiacciata contro il pilone del binario come se sperasse di entrare a farne parte. Aveva emesso un sospiro piccolo piccolo e strano, era un respiro debole e irriconoscibile e Harry, chissà perché, ne era stato terrorizzato più che da tutto il resto.
“Bessie,” aveva detto. E stupefatto si era reso conto che era l’unica cosa giusta da dire.
Lei l’aveva stretto così forte che Harry aveva temuto di soffocare. Poi, nello staccarsi, un attimo prima di voltargli le spalle gli aveva sussurrato all’orecchio “Scrivimi…”







Goodbye my lover
Goodbye my friend
You have been the one,
You have been the one for me.


James Blunt – Goodbye My lover





  
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