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Autore: Mantheniel    21/07/2011    0 recensioni
Cosa sarebbe successo se i Volturi non avessero lasciato perdere la faccenda Renesmee dopo il finale di Breaking Dawn? In un ipotetico futuro Felix e Jane si presentano, al tramonto, in casa di Edward e Bella. Cosa vorranno?e come reagiranno i due vampiri?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Renesmee Cullen | Coppie: Bella/Edward
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Un vagito squarciò l’aria. Smisi di sbriciolare il masso che era accanto a me, o meglio era; da quando era iniziato quel masso era stato il mio antistress. Ora quel che rimaneva era delle dimensioni di una palla da bowling, mentre davanti a me c’era una piramide di sabbia grigia. Mi alzai di scatto e mi precipitai di corsa verso la casa. Avevo un gran tormento dentro;volevo che finisse, volevo vedere ed essere sicura che stesse bene. Arrivata sotto il portico della casa una figura mi bloccò l’entrata, proprio mentre stavo per varcare la soglia della porta. Jacob. Un ringhio sorse dal mio petto. “Voglio vedere Renesmee”, dissi con un tono che non ammetteva repliche; “Voglio vedere mia figlia”.
“Non ora”, mi rispose, “è molto stanca”.
“No, Jacob. Ora”, dissi irremovibile.
“Carlisle è con lei”, continuò lui, guardandomi dolcemente,”va tutto bene, deve solo riposare…”
“Jacob lasciami passare”, ringhiai di nuovo. Volevo solo andare da mia figlia, sentirla vicino a me, assicurarmi che stesse bene. Sarei anche stata disposta a lottare per poterla vedere. Anche contro Jacob.
Lui mi sbarrò la strada appoggiando la mano allo stipite della porta. Lo guardai, ma anziché mostrare uno sguardo minaccioso, mi ritrovai a guardarlo in modo in modo talmente pieno di straziante dolore che Jacob tremò.
“Bella…”, disse avvicinandosi verso di me. Le mie braccia erano penzoloni lungo i fianchi, e subii passivamente il suo abbraccio. “Jacob, per favore”, lo pregai di nuovo, con il viso appoggiato stancamente alla sua spalla. “Voglio vederla, non voglio perderla, lei è l’ultimo legame che ho con lui…”, dissi quasi sussurrando. Lui mi abbracciò ancora più forte.
“Bella?”, una voce maschile mi chiamò dall’interno della casa. Mi divincolai subito da Jacob. Carlisle stava uscendo dalla porta che si trovava in fondo al corridoio davanti all’ingresso. Mi trovavo nella casa di Renesmee e Jacob. Dopo il matrimonio si erano trasferiti in una casetta a La Push, vicino ad Emily e Sam. Ormai erano due anni che vivevano insieme, ed ora era nato il frutto del loro amore. Ero diventata nonna. Mi avvicinai esitante a Carlisle, tentando di decifrare la sua espressione; sorrideva mentre mi osservava. “Vai Bella”, mi disse, “Renesmee ti vuole vedere”. Mi battè una mano sulla spalla, rassicurante, poi si voltò andando da Jacob nel porticato. Presi la maniglia. Le mani mi tremavano dall’emozione. Inspirai un attimo prima di aprire la porta. Entrai. Mi voltai a sinistra e la vidi. Era stesa nel letto, la luce dell’alba che entrava dalla finestra alle sue spalle la illuminava di dorato, anche se lei brillava da sola della sua gioia personale. Era mamma. Lo sguardo pieno di felicità che mi lanciò sorridendo lo provava. In lei c’era ora qualcosa di diverso, di più maturo, di più morbido; anche se in fondo sarebbe stata sempre la mia bambina. Mi avvicinai al letto sorridendo, felice della sua felicità.”E’ un maschio”, mi disse orgogliosa. Guardai Renesmee; guardai mia figlia con tenerezza. La sua carnagione chiara risaltava come avorio rosato contro i riccioli rosso scuro che, tenuti indietro con una fascia bianca, le ricadevano sulle spalle. Era stupenda. Le sorrisi e le cinsi le spalle in un abbraccio. La baciai delicatamente sulla fronte. “Sono molto fiera di te”, le dissi. Lei si voltò e mi diede un bacio sul viso, poi tornò al piccolo. Il bimbo dormiva beatamente tra le braccia della madre. Perfetto in ogni particolare; aveva una folta testa di capelli nero corvino, eredità del padre ovviamente, ma la carnagione era chiara, anche se ancora arrossata dalla nascita. Mi ricordò la mia Renesmee tanto tempo fa. Bello come lei. Una delle manine era stretta in un pugno, mentre l’altra stringeva l’orlo della vestaglia della madre.
“L’abbiamo chiamato Heathcliff”, mi disse. Mi bloccai, e lei se ne accorse. “Si, come il personaggio di “Cime tempestose”, lui è il mio personaggio preferito. Jacob è d’accordo. Il secondo nome è Ephraim, in onore di suo nonno. Il nostro piccolo è il simbolo dell’unione delle nostre due stirpi, delle nostre culture.”. Lo baciò delicatamente, sfiorandogli la nuca con le labbra. “Lo vuoi prendere in braccio?”, mi chiese. Mi riscossi. “Certo”, risposi, e tesi le braccia per prendere quel piccolo fagottino. Il suo pesa era talmente lieve che mi pareva quasi di cullare una piuma. Appoggiai il suo corpicino tiepido al mio freddo petto, ed inspirai il suo profumo. Floreale e dolce era, pur con un sottofondo di amaro, di terra, muschio, che mi parve inizialmente sgradevole, e mi ricordò subito Jacob. Mi avvicinai con il viso alla sua testolina e mi misi a passeggiare per la stanza con gli occhi chiusi. Heathcliff…mi riportava indietro a tanti anni prima, quando era appena cominciata la mia storia con Edward, con il mio angelo. Quando avevo cominciato a vivere. Mi prendeva sempre in giro sul fatto che io rileggessi sempre “Cime tempestose”; io davo come giustificazione il fatto che mi piaceva l’amore tra Cathy e Heathcliff, che li rendeva inseparabili nonostante le avversità. Cathy ed Heathcliff, Bella ed Edward. Era questo il paragone che avevo sempre fatto. Dov’eri ora amore mio?Dopo così tanto tempo…ormai erano passati quarant’ anni da quel dorato pomeriggio in cui una parte di me se ne era andata. Heathcliff ed Ephraim; Edward e Jacob. Il mio angelo e il mio sole. Le due parti di me.
Qualcuno bussò alla porta, risvegliandomi dal flusso dei miei pensieri. Aprii gli occhi e mi voltai per veder chi fosse. Jacob. In tutti questi anni era cambiato di poco; solo una maggior profondità dello sguardo, e qualche segno intorno agli occhi, quando rideva, denotava in realtà quanto tempo fosse passato. Era arrivato il momento di andare. Lasciai il piccolo tra le braccia di Renesmee, le diedi un bacio dicendole che ci saremo riviste il giorno dopoe, sorridendo a Jacob, uscii dalla stanza. Il corridoio mi parve molto più buio rispetto alla camera illuminata dal mattino. All’ingresso, appoggiato al divano, con la valigetta sul tavolo, al lato opposto del salotto, c’era Carlisle. “Bella?”, mi guardò comprensivo. “Andiamo”, dissi annuendo. Prese la valigia e si avviò verso la porta al mio fianco. Quando mi voltai per chiuderla posai lo sguardo sulla fotografia che si trovava sul tavolino ad angolo subito all’entrata, sulla sinistra. Billy. Il padre di Jacob era morto l’anno precedente. Jacob l’aveva trovato morto nel suo letto una mattina che era andato da lui come ogni giorno, per aiutarlo a prepararsi. Aveva detto di averlo visto come se fosse stato profondamente addormentato, con l’ombra di un sorriso sul volto. Felice di aver visto suo figlio sposarsi ed avere una famiglia. Chiusi la porta e mi incamminai verso la macchina dove Carlisle mi attendeva.

Era notte. Ero stesa nel letto nella camera mia e di Edward, nella nostra casetta; supina con gli occhi chiusi mi cullavo nel silenzio notturno. Allungai il braccio al mio fianco, abbracciando il materasso. Quel posto che prima era stato occupato da Edward, poi da Renesmee, era ora freddo e vuoto, come me. Tutte le mie notti si svolgevano in questa sorta di realtà parallela; la quiete dell’universo mi cullava fino a che mi trovavo in uno stato in cui il presente si mescolava con il passato, e ciò che era si fondeva con ciò che era stato. Rivivevo la mia vita con lui, e forse il rivederlo nei ricordi acuiva e diminuiva contemporaneamente la mia sofferenza. Sola. Ora ero davvero sola. I miei giorni erano monotoni e piatti. Stavo con gli altri membri della famiglia, ma mi muovevo come un automa. Era solo il mio corpo che rispondeva agli stimoli esterni perché la mia anima se ne era volata via. Vedevo Rose ed Emmett, Alice e Jasper, Esme e Carlisle; vedevo loro e l’amore che li univa, vedevo quello che avevo avuto, quello che mi era stato rubato. Tutti capivano il mio dolore e tentavano di alleviarlo, inutilmente. All’inizio, quando la mia speranza era ancora viva, avevo chiesto ad Alice di tenermi informata sulle decisioni di Edward; perché lei avrebbe visto quello che lui avrebbe fatto, avrebbe saputo dirmi qualsiasi cosa, anche il minimo dettaglio che le sarebbe parso senza significato, ma che per me sarebbe stato fondamentale. Il muto silenzio era stata la risposta. Alice non era mai riuscita a vedere niente in tutti questi anni. Non sapevo se questo fosse attribuibile al dono di Isaac che occultava anche i pensieri, o perché lui stesso si fosse proposto di non decidere più, di rimanere passivo ai comandi che gli venivano imposti, di agire semplicemente senza alcuna volontà. Un guscio vuoto. Un’ombra di sé stesso. Come me. Improvvisamente sentii una fitta fortissima al petto, un urlo strozzato mi uscì dalla gola. Mi piegai su me stessa portando le ginocchia al petto, abbracciandomi forte. Era come se una lancia si fosse conficcata nella parte sinistra del mio petto, dove una volta stava il cuore, e mi perforasse in profondità. Fitte lancinanti mi stringevano in una morsa dolorosa, inimmaginabile. Il dolore aumentò fino a quando credetti di non poterlo più sopportare poi, improvvisamente, cessò di colpo. Edward. Aprii gli occhi. Respiravo affannosamente. Sentii una presenza accanto a me. “Bella stai bene?”, la voce di Alice mi arrivò vicinissima all’orecchio. Mi alzai voltandomi verso di lei. “Che c’è Alice?Cos’è successo?”, chiesi, tentando di calmarmi. Si sedette sul bordo del letto. “Ho visto”, mi disse. “Dimmi tutto”, risposi in un sussurro; non riuscivo a parlare più forte.”E’ strano”, mormorò lei, prendendosi la testa tra le mani, “Non capisco. E’ durato un secondo. Edward ha deciso di lasciare i Volturi. Non ha senso perché loro non lo lascerebbero mai andare. Lo sai bene. Solo che ho visto la sua decisione di ricongiungersi a te. Tu e lui insieme. Nient’altro. Non so proprio spiegarmelo”.
“Io si”, sussurrai di nuovo;”Alice, devo partire. Devo andare in Italia”. Lei mi guardò, e nel suo bel viso da folletto vi era sorpresa. “Cosa stai dicendo Bella?”, mi chiese. Risi. Tutto era più chiaro ora. Il momento che avevo aspettato per tutti questi anni era arrivato. Dovevo andare. Le spiegai della promessa mia e di Edward, fatta quel giorno lontano. Alla fine mi guardò; mi pareva che i suoi occhi luccicassero più del normale. Mi abbracciò senza dire una parola.
“Salutami gli altri. Dì loro che li ringrazio di tutto”, le dissi. Alice mi abbracciò di nuovo. “Addio Bella”, mi sussurrò, poi, in un batter d’occhio era sparita. Mi ributtai un attimo sul letto. Prima di partire dovevo fare solo due visite. Charlie e Renesmee. Il mio era un viaggio senza ritorno, ma prima dovevo separarmi da mio padre e mia figlia. Presi le cose essenziali ed uscii di casa. Dopo pochi minuti ero davanti alla casa di Charlie. In tutti gli anni passati niente era cambiato. Entrai prendendo la chiave da sotto lo zerbino, e salii le scale, silenziosamente, dirigendomi verso la camera di mio padre. Lo vidi disteso nel letto, illuminato dalla luce lunare. La candida e canuta chioma risplendeva sopra il cuscino. Mi avvicinai senza fare il minimo rumore, mi piegai sulle ginocchia accanto a lui, e gli accarezzai delicatamente il viso. Non volevo svegliarlo. “Addio papà”, sussurrai, e dopo avergli sfiorato la fronte con le labbra gli lasciai una lettera sul comodino vicino e me ne andai.
  
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