Cap.1 – Tutto l’amore che c’è
“Non domandate che cosa sono.
Nulla sono, a nulla anelo.
So soltanto della mia felicità.
Non domandate se la merito, sappiate che è grande e
profonda.”
Paul Klee
“La felicità non è avere ciò
che si desidera. E’ desiderare ciò che si ha.”
Oscar Wilde
Il sole splendeva alto e giocoso nel caldo pomeriggio di Giugno, ed una
fresca brezza spazzava la ridente campagna ai confini di Saint Germain.
Estelle sedeva in veranda, con
in grembo il consueto lavoro di cucito. L’ago ed il filo scorrevano veloci
nella trama della stoffa grazie all’abilità delle sue dita, e ben presto
l’abito di Madame Jordy sarebbe stato pronto.
Ogni tanto alzava lo sguardo
per dare un’occhiata a suo figlio che giocava tranquillo in mezzo al prato.
Gabriel aveva da poco compiuto due anni, ed era la copia esatta di suo padre;
più cresceva, e più la somiglianza con Erik si faceva impressionante: aveva gli
stessi capelli scuri, i lineamenti perfetti anche se ancora dolci e rotondi, e
gli occhi color della giada, grandi ed intensi. Estelle ricordava ancora il
giorno in cui aveva annunciato ad Erik che sarebbe diventato padre: nel suo
sguardo aveva visto stupore, felicità e paura, paura che la sua progenie
portasse sul viso lo stesso terribile marchio che lo aveva condannato ad anni
di oscurità e disperazione. Ma Estelle lo aveva abbracciato stretto stretto ed
aveva scacciato le sue paure con un bacio:
“Sarà un maschio, ed avrà la
tua bellezza ed il tuo genio. Lo sento. E sarà il bambino più amato del mondo,
te lo prometto.”
Per nove mesi Erik aveva
tentato di celare il timore che continuava ad insinuarsi subdolo nel suo animo.
Finchè arrivò il grande giorno. La partoriente si era barricata in casa con
Constance, che era ostetrica, e la piccola Colette che, da brava bambina qual
era, voleva a tutti costi aiutare Maman a far nascere il fratellino, mentre il
povero Erik era confinato in veranda in preda al nervosismo più sfrenato. Non
si era sentito così impotente nemmeno quando era stato imprigionato da una
tribù di predoni in Persia.
“Andiamo Erik, calmati! Se
continui a camminare avanti ed indietro in quel modo consumerai le assi della
veranda” gli aveva detto Pierre, il marito di Constance, nel tentativo di
calmare l’amico.
Erik era rimasto in silenzio,
la mascella serrata e la fronte imperlata di sudore.
“Stai tranquillo…..Constance ha
tirato fuori dal forno decine di pagnotte perfettamente riuscite! Però ti
capisco, io ci sono passato tre volte…. E la prima ho abbattuto un albero a
colpi d’ascia per il nervosismo!”
Erik stava considerando l’idea
di prendere anche lui ad asciate un tronco per sfogare la tensione, quando
dall’interno dell’abitazione si era sentito gridare e poi piangere a
squarciagola. Aveva quasi sfondato la porta per precipitarsi in casa, per poi
fermarsi bruscamente davanti a Constance che teneva in braccio un fagotto
urlante.
“E’ un maschio…..ed è sano e
forte!” gli aveva detto trionfante.
Erik con mani tremanti aveva
preso in braccio il piccolo, il quale improvvisamente aveva smesso di piangere;
padre e figlio si guardarono per un lungo istante, gli occhi dell’uno riflessi
in quelli dell’altro. Poi quelli di Erik si erano riempiti di lacrime alla
vista del viso perfetto del bambino.
“E’………è meraviglioso….”aveva
sussurrato tra le lacrime.
Estelle ricordava ancora
commossa come Erik era entrato in camera sua sorridente e le aveva porto il
bambino, per poi sdraiarsi accanto a lei sul letto abbracciandola e
ricoprendola di teneri baci nonostante fosse esausta e sudata.
“Grazie…..grazie amore mio……”
Le calde lacrime di lui sul suo
viso le avevano fatto dimenticare subito il dolore e la stanchezza.
Poi erano stati raggiunti sul
lettone da Coco, felice come non mai, la quale aveva dichiarato solenne:
“Il mio fratellino è il più
bello del mondo. Sembra un angioletto come quelli che hai dipinto in camera
mia, non è vero papà?”
Erik ed Estelle non potevano
essere più d’accordo. Per questo il bambino fu battezzato Gabriel Alexandre
Johanson: il nome di un angelo, il nome del padre di Estelle, ed il vero
cognome di Erik.
Gabriel era un bambino dal
carattere dolcissimo e dall’intelligenza precoce: nonostante avesse solo due
anni aveva già manifestato un notevole interesse per la musica: adorava
presenziare alle lezioni da canto che Erik impartiva a Coco, la quale, grazie
ad un innato talento e ad un Maestro d’eccezione, prometteva di diventare una
superba cantante d’opera. Estelle si sentiva scaldare il cuore di fronte
all’orgoglio di Erik per i suoi due bambini. Era un padre tenero ed affettuoso,
ma sapeva anche essere severo al momento giusto; tutto ciò aveva lasciato
Estelle piacevolmente stupita: era a conoscenza della terribile e dolorosa
infanzia del suo amato e dei lunghi
anni vissuti in solitudine, e non avrebbe mai creduto che potesse adattarsi
così facilmente ad un ruolo tanto difficile ed importante….ma per Erik sembrava
naturale, ed Estelle ringraziava Dio ogni giorno per averle fatto incontrare
quell’uomo.
Una vocetta limpida ed allegra
la distolse dai suoi pensieri: era Coco che era andata a raccogliere fiori
sulla riva del fiume ed ora ritornava cantando allegramente la canzoncina che
Erik aveva composto apposta per lei:
Risplende la tua luce
Nel buio della via
Non so di dove vieni
Neppure chi tu sia
Sembri così vicina
E sei tanto lontana
Non conosco il tuo nome
So solo che sei bella
Ed ovunque ti trovi
E chiunque tu sia
Scintilla scintilla
Piccola stella!
La testolina bionda di Colette comparve dal folto degli alberi: indossava
un delizioso abito verde, e tra le braccia aveva un enorme mazzo di fiori di
campo….sembrava davvero una fatina dei boschi.
Si fermò per dare un bacio al
fratellino e poi appoggiò i fiori sul tavolo della veranda.
“E’ ora, Maman! Andiamo a
prendere papà? Avrà quasi finito di lavorare, ormai!”
“Il tempo di finire quest’orlo,
Coco, poi potremo andare. Intanto metti i fiori in un bel vaso sulla tavola.”
La bambina obbedì prontamente
ed entrò in casa.
Dopo qualche minuto Estelle,
Colette e Gabriel, saldamente aggrappato al collo della sua mamma,
s’incamminarono verso la fattoria di Pierre e Constance Vaillant.
Il fienile della fattoria era
stato distrutto alcuni anni prima in un incendio nel quale Pierre era rimasto
gravemente ustionato, dopodiché non era più stato ricostruito. Erik ne aveva
progettato uno nuovo ed ora i lavori erano quasi al termine: la nuova
costruzione era così armoniosa a vedersi che pareva una abitazione signorile
invece di un semplice fienile.
Mentre si avvicinavano, Estelle
notò Erik intento a montare alcune assi, ed il suo cuore fece un balzo: Dio,
com’era bello, suo marito. Si era tolto la camicia a causa del il caldo
eccessivo, e gocce di sudore imperlavano la pelle abbronzata dal sole ed il
petto scolpito dal duro lavoro. Alzò lo sguardo su di loro e li accolse con un
bellissimo sorriso: da quando lui ed Estelle si erano sposati non portava più
la maschera, e senza quella copertura opprimente la pelle piagata del lato
destro del suo viso era molto migliorata, grazie anche al sole ed ad un
unguento miracoloso che Constance aveva preparato apposta per lui, secondo una
delle sue segretissime ricette erboristiche. Era lo stesso medicamento che
aveva usato per curare le ustioni di Pierre, ed Erik ne aveva tratto grande
giovamento: la piaga sotto l’occhio destro era guarita, ed ora la palpebra si
chiudeva normalmente. La pelle era diventata più morbida e aveva acquistato un
colore più uniforme, anche se le cicatrici sulla guancia e l’alopecia erano
rimaste. Tuttavia Erik aveva preso l’abitudine di portare i capelli non più
lisciati all’indietro, ma più liberi e “spettinati”, con un ciuffo sul davanti
a mascherare l’area calva e la mancanza del sopracciglio. Quest’acconciatura lo
faceva sembrare persino più giovane e gli dava un’aria da “poeta ribelle”, come
diceva Estelle, che nulla toglieva al suo fascino misterioso.
“Hei Erik, è arrivata la tua
allegra famigliola!” esclamò Pierre che usciva in quel momento dal fienile insieme
al suo figlio maggiore Didier, e salutò affettuosamente i bambini che si
gettarono subito tra le braccia di “zio Pierre”.
Erik si asciugò il viso con la
propria camicia, poi si avvicinò ad Estelle: le sollevò il mento con una mano,
e posò un morbido bacio sulle sue labbra. Lei si perdette per un attimo
nell’immensità dei suoi occhi di giada poi gli sorrise dolcemente.
“Devi aver faticato molto
oggi!”
Lui la guardò con ironia:
“E cosa te lo fa pensare? Non
vedi come sono fresco e riposato?”
Estelle aggrottò la fronte:
“Già, già. A casa ti aspetta un
bel bagno. Sappi che stasera non ti permetterò di venire a letto finchè non
sarai pulito e profumato!”
Erik assunse un’aria ferita.
“Ma come? Pensavo ti piacerti
così, in tutta la mia verace mascolinità!”
Tentò di abbracciarla, ma
Estelle fu lesta a scappare, ridendo come una ragazzina.
Erik sfoderò il suo sguardo più
minaccioso e dichiarò:
“Scappa pure….tanto prima o poi
riuscirò a prederti, ed allora vedrai….”
Estelle si finse terrorizzata,
poi Erik fu raggiunto in pieno viso dalla sua camicia appallottolata.
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Giunse la sera.
Erik terminò di cantare la
dolce ninnananna di sua composizione, e si fermò ad osservare i suoi bimbi
addormentati nei loro lettini: il piccolo Gabriel a pancia in su con i pugnetti
chiusi e Coco sdraiata sul fianco, i capelli sparsi sul cuscino in una cascata
d’oro. La sua principessa aveva ormai sette anni, e diventava ogni giorno più
bella. In lei Erik aveva trovato non solo la figlia che aveva sempre
desiderato, ma anche un’allieva estremamente talentuosa. Coco adorava il suo
padre adottivo, e faceva di tutto per compiacerlo: avevano due caratteri molto
simili, e nonostante fossero entrambi estremamente testardi, andavano d’accordo
su tutto. Erik avrebbe fatto qualunque cosa pur di renderla felice, e pensava
con una punta di preoccupazione al giorno in cui un baldo giovane l’avrebbe
portata via. Sperava solo che i suoi due adorati figli, una volta divenuti
adulti, trovassero il vero amore come era capitato a lui, perché come diceva
sempre Estelle “non c’è benedizione più grande”.
“Buona notte, miei angeli.”
mormorò. Li baciò sulla fronte ed uscì.
Estelle era seduta sul bordo
del letto e si pettinava la lunga chioma . Erik entrò in camera ed iniziò a
spogliarsi per la notte, con movimenti lenti ed inconsapevolmente sensuali.
Estelle lo guardava di sottecchi: sarebbe rimasta ad osservarlo per ore…..amava
particolarmente il morbido solco tra i forti muscoli della sua schiena, in
corrispondenza della colonna vertebrale. Lo trovava particolarmente….attraente.
Si morse il labbro inferiore, arrossendo per l’audacia dei propri pensieri, e
volse lo sguardo altrove.
Indossati i pantaloni del
pigiama, Erik si sedette dietro di lei, le prese il pettine dalle mani e, come
faceva ogni sera, cominciò a passarlo delicatamente tra i capelli di seta della
sua amata alternando i colpi si pettine a piccoli baci.
Estelle chiuse gli occhi e
sospirò di piacere.
“Domani mattina devo andare a
Saint Germain a prendere del materiale, ma sarò di ritorno nel primo
pomeriggio” disse Erik.
Estelle annuì senza aprire gli
occhi.
Dopo il matrimonio, Erik aveva
ristrutturato la casetta di Estelle costruendo una dependànce nella quale aveva
ricavato il suo laboratorio. Vi erano un pianoforte, regalo di nozze di sua
moglie, ed un tavolo enorme ricoperto di attrezzi di ogni tipo con i quali
realizzava le sue creazioni artistiche. Infatti, sebbene Erik e la sua famiglia
potessero vivere tranquillamente di rendita (durante i tristi anni come
Fantasma dell’Opera Erik aveva accumulato una vera fortuna grazie allo
“stipendio” mensile elargitogli dal patron) sia lui che Estelle intendevano
continuare con la loro professione: lei col suo lavoro di couturière ed
Erik con quello di artista. I suoi balocchi erano ormai conosciuti in tutta la
Francia: realizzava carillon e scatole magiche così perfetti ed originali da
sembrare magici. Tuttavia Estelle avrebbe preferito che continuasse a dedicarsi
al suo vero grande amore: la musica. Ma sebbene si ritrovasse a comporre di
tanto in tanto, Erik aveva praticamente abbandonato pentagramma e calamaio.
“Quando non ero che un
Fantasma, la Musica era tutto ciò che avevo per sentirmi vivo. Ne ero quasi
ossessionato, era una droga per colmare l’immenso vuoto del mio animo. Ma,
anche se resterà sempre la mia linfa vitale, ora il mio cuore è talmente pieno
d’amore e di felicità che quel fuoco creativo ed insieme distruttivo si è
spento. Adesso la mia più grande gioia è cantare insieme a te, Estelle, od
insegnare a Coco.”
Estelle aveva accettato la sua
scelta, ma dentro di se pensava che fosse ingiusto che tanto genio venisse
sprecato. Tuttavia Erik ora era il ritratto della felicità, e lei non poteva
desiderare di più.
Erik appoggiò il pettine sul
comodino, ed iniziò ad accarezzare dolcemente le spalle di sua moglie.
“Sei stanca?”
Estelle aprì gli occhi. Il
malcelato desiderio nella voce di Erik aveva improvvisamente risvegliato tutti
i suoi sensi.
“Non particolarmente……tu invece
devi essere esausto, dopo il duro lavoro di oggi…..”
Erik spostò i capelli di
Estelle da una parte.
“Ora non più.”
Abbassò il capo, e le sue
labbra si posarono dolcemente sulla spalla di lei. Estelle richiuse gli occhi e
chinò la testa da un lato per consentirgli migliore accesso.
Le labbra di Erik iniziarono a
danzare sulla sua spalla, sul suo collo, fino alla sensibile area dietro
l’orecchio. Le sue mani l’accarezzarono gentili ma avide, accendendo di
desiderio il suo corpo.
Dopo un minuto Estelle si girò
verso di lui, cingendogli il collo con le braccia, ed i loro sguardi si
incontrarono. Erik chinò il viso, ed Estelle chiuse gli occhi: quello era il
momento che amava di più, quell’attimo prima che le loro bocche si
sfiorassero……..era solo un istante, ma per lei comprendeva tutta l’eternità.
Estelle dischiuse le labbra ed Erik accolse l’invito approfondendo il bacio con
tale trasporto da toglierle il respiro. Estelle riusciva ancora a stupirsi di
quanta passione a quanta tenerezza Erik riuscisse a mettere in ogni bacio,
anche dopo tre anni dal loro primo incontro: con lui era come se fosse sempre
la prima volta. Più passava il tempo e più la passione tra di loro cresceva;
non riuscivano a saziarsi l’uno dell’altra, e non solo dal punto di vista
fisico: ogni nuovo giorno insieme era per entrambi una scoperta ed un’immensa
gioia, fatta di piccole e grandi cose.
Si interruppero per prendere
fiato. Estelle ne approfittò per liberarsi della camicia da notte, dopodiché
Erik la prese tra le braccia e la fece sdraiare sul letto. Frenò il proprio
impeto per ammirare il corpo stupendo della sua amante: Dio, era così bella da
fare male. Le due gravidanze non avevano minimamente scalfito la sua
perfezione, degna di una dea. Estelle si sentì incendiare sotto quello sguardo
di fuoco, e dalle sue labbra uscì un sussurro implorante:
“Erik….”
Erik si chinò su di lei e la
baciò dappertutto. Le sue mani scorrevano sul suo corpo come carezzevoli onde
marine indugiando sui punti più sensibili che ormai conosceva a memoria. Infine
le sue dita sfiorarono il bocciolo segreto tra le sue gambe, ed Estelle emise
un gemito. Le sue mani si mossero freneticamente per slacciare i pantaloni di
Erik, ed eliminare così l’ultimo ostacolo alla loro passione.
Gemettero entrambi quando i
loro corpi si unirono. Erik iniziò a muoversi lentamente dentro di lei, lo
sguardo fisso sul suo bellissimo viso per non perdersi neanche un attimo del
suo crescente percorso verso il sommo piacere. Il respiro di Estelle si fece
accelerato e si aggrappò disperatamente a lui: gli cinse la vita con le gambe,
e la diversa angolazione impose al corpo di Erik di muoversi più rapidamente.
Dopo pochi istanti, l’estasi travolse Estelle con ondate di piacere
intensissimo, e presto Erik la raggiunse, soffocando un grido ed affondando il
viso nella curva del collo di lei.
Estelle gli accarezzò
teneramente i capelli, incollati alla a nuca a causa dell’intenso calore
sprigionato dai loro corpi. Erik sollevò il capo e la guardò intensamente negli
occhi, quegli occhi blu come il cielo nelle notti di primavera.
“Mio Dio Estelle, quanto ti
amo……”
Estelle sentì lacrime di gioia
salirle agli occhi, come ogni volta che Erik le diceva così.
“Baciami Erik. E giurami che
non smetterai mai di baciarmi come fai ora.”
Erik avvicinò il viso al suo, a
sfiorare appena le labbra di lei con le proprie.
“Te lo giuro, Estelle”.