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Autore: RiViRo    30/03/2006    3 recensioni
"E una sera, la quattordicesima, lei gli spiegò perché era successo. E il perché, molto più del come, gli cambiò la vita… e anche la mia…"
Genere: Fantasy, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alberto il contafrottole

 

E quattordici… erano quattordici giorni che andava lì, ogni sera. Due settimane.

 

Erano due settimane che si alzava nel cuore della notte, indossava i vestiti più pesanti che aveva, percorreva tre chilometri in bicicletta e arrivava in quel campo, appena fuori città.

E arrivato lì, la vedeva…

 

… sottile, eterea, quasi evanescente, con lunghissimi capelli argentei che ricadevano come una cascata sul masso su cui era seduta, e poi giù, giù fino alla terra morbida e fertile, madre di miriadi di fili d’erba…

 

Cascate d’acqua. Era così che l’immaginava quando solo, in casa sua ripensava a quello che accadeva di notte. Cascate d’acqua, fresca, limpida, sfuggente…

 

Soprattutto sfuggente, come i suoi occhi grigi. Grigio ghiaccio, quasi celeste, quasi glaciale.

 

E sempre all’acqua paragonava la sua voce. Sottile, delicata e allegra, come un ruscello appena sgorgato dalla roccia, in montagna, dove nulla è stato contaminato.

 

Acqua. Acqua che sgorga, che fluisce, che modella, che trascina, che corrode…

 

Corrode.

 

Era così che era iniziata.

 

Corroso. Era corroso dalla vita, dalla sua vita. Corroso dal suo lavoro monotono, dalle sue conoscenze superficiali, dalla sua completa incapacità di provare emozioni. E così una bella sera si era alzato nel cuore della notte, aveva indossato i vestiti più pesanti che aveva, aveva percorso tre chilometri in bicicletta e aveva scoperto quel campo, poco fuori città. Si era seduto su un grosso masso e aveva cominciato ad osservare la luna.

 

Non pensava a nulla. Osservava semplicemente la luna.

E lei era andata da lui.

 

Aveva più volte cercato di ricordarsi come era successo, ma non vi era mai riuscito… Non ricordava quando l’aveva vista per la prima volta, e non ricordava perché o come avessero cominciato a parlare. Ricordava però il suo aspetto, evanescente, e ricordava la sensazione che gli aveva trasmesso, serenità.

 

Per la prima volta in vita sua si era sentito sereno. Per la prima volta la sua vita non gli sembrava così vuota e priva di senso.

 

Era tutto così bello, così tranquillo, così… naturale.

 

Sì… naturale. Non fosse stato per quelle piccole alucce argentate che le spuntavano dietro le spalle.

 

Me le ha descritte spesso… lo avevano colpito. Piccolissime ali, come quelle delle farfalle, cos’ sottili che aveva autentico terrore di toccarle. Era così goffo che le avrebbe sicuramente rotte, e lei non sarebbe più riuscita a volare.

 

E una sera, la quattordicesima, lei gli spiegò perché era successo. e il perché, molto più del come, gli cambiò la vita… e anche la mia…

 

-         Non mi hai mai chiesto chi io sia

-        

-         Io sono le tue speranze e i tuoi sogni.

-         Impossibile.

-         Perché?

-         I sogni non hanno corpo, e anche se lo avessero i miei non sarebbero così belli come te.

-         Hai sempre creduto a quello che ti ho detto, perché oggi no?

-         Perché se mi stai dicendo questo vuol dire che te ne andrai, allora se non ti credo sarai costretta a rimanere per convincermi.

-         Non rimarrò… non come speri tu. E poi, in fondo, tu mi credi. Non è vero?

 

Gli occhi che lo avevano fuggito per tredici giorni quella volta lo incatenarono. E lui comprese. Comprese che per quattordici sere consecutive si era alzato nel cuore della notte, aveva indossato i vestiti più pesanti che aveva, aveva percorso tra chilometri in bicicletta, era arrivato in quel campo poco fuori città, si era seduto su quel grosso masso e… aveva osservato la luna.

 

E dopo aver compreso questo si voltò e lei… e lei stava volando verso il cielo, verso la luna. E la luna era così luminosa che rimase abbagliato. Si coprì gli occhi per un attimo e quando li riaprì era esattamente dove doveva essere: affacciato al balcone di casa, ad osservare un cielo nuvoloso, senza luna.

 

Sospirò e si voltò per tornare a letto. Faceva freddo e lui indossava solo il pigiama. E quando si voltò… la trovò. Meglio… mi trovò.

 

Sono passati molti anni da allora. La gente del quartiere ha sempre parlato male di mio padre. Dicono che è un pazzo, un visionario, un “contafrottole”. Però nessuno è mai stato capace, dopo aver sentito dalla sua bocca la nostra storia, di guardarlo negli occhi e dirgli che non ci credeva. Perché dopo, riflettendoci con calma, a casa, al sicuro tra quattro mura, che chiudono fuori le stranezze del mondo, puoi riderci sopra e scherzare su “Alberto il contafrottole”. Ma in quel momento, quando ti guarda con quello sguardo scuro e caldo, quando leggi nel profondo del suo animo che quella storia è vera, allora, in quel momento, non puoi dubitare.

 

Così come non puoi dubitare a casa tua, mentre guardi la televisione e ripensi ridendo a quel povero visionario di Alberto.

 

I dubbi arrivano in giorno dopo, quando dopo aver riflettuto e riso, “Alberto il contafrottole” ti rincontra per la strada e ti presenta sua figlia, che poi sarei io. I dubbi ti vengono il giorno dopo, quando vedi i miei occhi di ghiaccio e i miei capelli argentati, che ricadono a terra come cascata d’acqua.

 

Solo allora dubiterai, e aspetterai il giorno in cui anche i tuoi sogni diventeranno realtà e ti verranno affidati come bambini indifesi, affinché tu li protegga e li faccia crescere.

  
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