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Autore: atlanta    02/08/2011    0 recensioni
Uomini e donne, nel loro viaggio, scopriranno di essere molto più simili di quanto essi stessi non credano.
- Walter di Gemma
Secondo racconto di una raccolta che ho in progetto di scrivere (e quando io dico progetto..intendo che probabilmente non verrà mai ultimata!)sull'amore e sul rapporto uomini e donne.
Ognuno di questi vedrà protagonista una coppia (di nome e/o di fatto) vissuta e descritta con gli occhi della componente femminile. Tutti i racconti avranno inizio con una citazione o un aforisma che possa aiutare a "incuriosire" inizialmente e a "tirare le somme" una volta conclusa la lettura.
Enjoy.
{Spero di riuscire a rendere al meglio la personalità di ognuna delle donne di cui, metaforicamente, sarò la voce e la penna, a voi l'ardua sentenza!}
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io e te'
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Ho conosciuto Roberto quando io avevo sei anni. Lui ne aveva otto.
All’epoca ero una bambina strana. Giocavo solo con i maschi e non avevo paura di sporcarmi o di sbucciarmi le ginocchia.
Proprio per questo motivo forse trovai in Roberto l’amico ideale. Lui era come me.

Ci conoscemmo in un campeggio, in vacanza. Per tutta l’estate fummo inseparabili: castelli di sabbia, caccia alle lucertole, gelato, bagni nel mare torbido che è l’Adriatico e lotta.
Ricordo che questo copione si ripeté ogni anno per lungo tempo. Qualcosa si ruppe quando io, appena dodicenne e lui, quattordicenne, ci rendemmo conto che non eravamo più solo dei bambini.
O meglio, se ne accorse lui. A dodici anni io vivevo ancora in un mondo totalmente diverso da quello degli adolescenti. Quando quell’estate rividi Roberto non mi accorsi subito che c’era qualcosa di diverso. E invece c’era. Cazzo se c’era.

I rapporti si sciolsero, per fortuna forse, abbastanza rapidamente. L’anno successivo i miei genitori decisero di cambiare meta per le vacanze estive e ci perdemmo di vista.
Non avevo il suo numero di telefono, sapevo che abitava in una cittadina dell’Emilia Romagna, ma poco altro.
Non avrei mai immaginato di incontrarlo, di nuovo, qualche anno dopo.
 
Uomini e donne, nel loro viaggio, scopriranno di essere molto più simili di quanto essi stessi non credano.
  • Walter di Gemma
Sono Laura. All’epoca diciannove anni. Mi ero appena diplomata e subito dopo mi ero iscritta alla facoltà di Psicologia dell’università di Milano, alla Bicocca.
Quel giorno avevo avuto una giornata impegnativa e quindi avevo deciso di uscire con un’amica per rilassarmi. Telefonai a Silvia e neanche una quarto d’ora dopo entravamo in un piccolo locale poco lontano dall’università.

Silvia ha qualche anno più di me, tre o quattro, ma non abbiamo mai avuto problemi a relazionarci. Era fidanzata da una vita con Andrea e, anche se conosceva la mia opinione in merito, non faceva altro che parlarmi di matrimonio e progetti per il futuro. Ero molto contenta per lei, Andrea è il ragazzo giusto, ma non riuscivo a fare a meno di pensare che io probabilmente non mi sarei mai sposata.

Durante l’adolescenza ho avuto solo qualche storia poco importante con ragazzi più o meno della mia età. Li ho trovati sempre troppo poco soddisfacenti. Troppo bambini.
Ho tentato qualche volta ad allacciare i rapporti con qualche ragazzo più grande di me, ma con poco successo. Mi sono spesso chiesta il perché. Sono brutta?
Ok, forse non sarò una bellezza rara, ma, obbiettivamente parlando, se mi guardo allo specchio vedo una ragazza carina e relativamente nella norma.
E allora perché?

Con il tempo sono arrivata ad una conclusione: uomini e donne sono troppo diversi. Gli uomini che sanno capire le donne sono come mosche bianche, tutti gli altri scappano, o meglio, sono attirati, come degli stupidi, dalla luce delle lampadine di donne rifatte, bionde e generalmente stupide. Anzi, diciamolo pure: puttane.
In duemila, tremila anni di storia ed evoluzione non hanno ancora capito che il fuoco scotta e a giocarci ci si fa male.

Insomma, c’è da dire una cosa a difesa delle mosche: le lampadine sono un’invenzione relativamente recente. Le stronze sono sempre esistite.

Per cui, secondo me, gli uomini non sanno niente delle donne. Pensano di capire tutto con un’occhiata, ma sono decisamente fuori strada. E non è nemmeno colpa loro, sono troppo diversi. E se la donna è intelligente, l’uomo è per forza stupido.

Roberto era un ricordo nella mia mente, l’ennesima prova che non è questione di maturità o innocenza: gli uomini sono degli idioti a qualsiasi età e in qualsiasi situazione. Dopotutto, la domanda che mi frullava in testa era molto semplice: io e Roberto ci conoscevamo ormai da molto tempo, cosa gli aveva impedito di continuare ad essere mio amico? Mi conosceva bene e non vedevo il motivo per cui avrebbe dovuto allontanarsi da me così tempestivamente.

Silvia mi raccontò un po’ dei suoi progetti e poi mi chiese come procedevano le cose. Feci spallucce. Cosa dovevo dire?
“Niente di nuovo all’orizzonte?”.
“Se parli di quello che sto pensando, no.”.
Aggrottò la fronte “Ti ho fatto conoscere Giorgio. Vi siete più sentiti?”.
Scossi la testa “No, non abbiamo nulla da dirci, tutto qui.”.
“Beh, ma non siete nemmeno usciti?”.
“No.”.
La sentii sospirare e mi sfuggii un sorriso “Ma sì, non importa, tu piuttosto? Questo grande passo? Quando dovrò cercare di acchiappare il buquet?”.
La vidi arrossire “Non lo so ancora, ma guarda!” mi mostrò l’anello di fidanzamento. Oro bianco con un brillante incastonato al centro. Molto carino.
Sorrisi “Perfetto!” mormorai. Ero veramente felice per lei, ma nella mia mente si stava insinuando il dubbio che io avrei dovuto sempre limitarmi a fare da spettatrice.
Silvia colse al volo “Non senti la mancanza di tutto questo?”.
“Silvia! Ho diciannove anni! Ti sembro così messa male?” la rimbeccai ridendo.
Lei annuì “Hai ragione, hai ragione, scusa!”.
La serata era iniziata in modo abbastanza piacevole, trovarsi con un’amica era sempre una buona occasione per scambiare quattro chiacchiere e parlare di qualcosa di più delle solite stronzate.
Fu quando decidemmo di ordinare due drink che cominciarono i guai.

Appena guardai in faccia il cameriere lo riconobbi subito, erano passati quasi otto anni, ma lo riconobbi istantaneamente. Il mio primo pensiero fu: che cazzo ci fa qui?
Spalancai gli occhi ed evidentemente avevo un’espressione sconvolta perché Roberto mi chiese “Tutto bene signorina?”.
Annuii rapidamente e mi affrettai ad ordinare un cosmopolitan. Appena lo vidi sparire dietro al bancone guardai Silvia. “E’ Roberto!” mormorai.
“Roberto…quel Roberto?”.
“Certo.”.
Scoppiammo a ridere tutte e due. Incredibile che non mi avesse nemmeno riconosciuta! Ero cambiata così tanto?

Ci fu un momento di imbarazzo quando lo vidi tornare con le nostre ordinazioni.
Si era fatto carino, all’epoca, verso i quattordici anni appunto, lo avevo visto parecchio irrobustito e, da quel che mi ricordavo, non era mai stato molto alto.
Ora invece era diventato almeno un metro e settantacinque, non tantissimo, ma abbastanza perché fosse proporzionato, aveva un fisico asciutto e spalle larghe. Il viso però era quello di sempre.
Decisi comunque di non dargli la mancia.
Presa da un’improvvisa preoccupazione cercai con gli occhi il vetro delle finestre e mi ispezionai il volto. Mi vedevo identica, la stessa di sempre. Possibile che non mi riconoscesse?

Stavamo ancora sorseggiando i nostri cocktail quando il telefono di Silvia squillò. Era Andrea.
Pochi minuti dopo schizzò via profondendosi in mille scuse. Sorrisi e le dissi di non preoccuparsi, che tanto tra qualche minuto sarei andata via anche io e che avevo dietro la macchina.

Era una bugia. La macchina era a casa. E comunque rimasi lì molto più di qualche minuto.
Non sono abituata a bere, o meglio, l’alcool lo reggo proprio male, quindi bastarono un paio di bicchierini per lanciarmi in uno stato di profonda depressione. Come si dice? Sbronza triste, mi sembra.
Ecco, mi ero beccata una bella sbronza triste.
Saranno state circa le due quando Roberto si avvicinò al mio tavolo. Il locale era quasi vuoto e quindi sicuramente non c’erano molte ordinazioni da prendere.
Lo guardai negli occhi. Verdi e grandi. Come me li ricordavo.

Lui ricambiò lo sguardo e accennò un sorriso “Tutto bene?”.
Annuii e con un gesto lo invitai ad andarsene. Lui si sedette accanto a me.
Ecco, ancora! Possibile che gli uomini non sappiano capire proprio nulla?
“Scusa, non hai del lavoro da fare?” borbottai come un rimprovero.
“Al momento no. Mi chiedevo come stessi tu. Cioè come è andata in questi sette anni?”.
Mi scappò una risata “Ah, allora mi hai riconosciuta.”.
“Mi sembra ovvio.” rispose tempestivamente lui.
Aggrottai le sopracciglia. Era un complimento o un’offesa? Contando che avevo diciannove anni, forse era da prenderla come un insulto.
“Quindi stronzo eri e stronzo sei rimasto!”. Non era una domanda.
Roberto fece spallucce “Mi sembrava giusto aspettare che la tua amica se ne fosse andata. Non volevo metterti in imbarazzo.”.
Risi “O forse aspettavi che mi fossi ubriacata?”.
“Non pensavo che bastassero due bicchieri per buttarti giù così. E’ successo qualcosa?”.
Scossi la testa “No, la mia vita negli ultimi sette anni è stata totalmente piatta. Secondo te?”.
Questa volta fu lui ad aggrottare le sopracciglia e vidi l’ombra di un sorriso. Quel sorriso. Quello complice, quello che ci scambiavamo quando stavamo per combinare qualche pasticcio.
Sospirai, presa dai ricordi e mi alzai barcollando leggermente “Torno a casa. Ciao.”.

Le sue sopracciglia sembrarono quasi sparire tra i capelli “Non mi sembra proprio il caso. Sei in macchina?”.
“No.”.
“Bene, ora sì.”.
Mi lasciai cadere nuovamente sulla seggiola e sventolai la mano con un gesto stanco fingendo di inchinarmi “Come vuole lei mio signore!”.
“Stacco tra poco, ti riporto a casa.”.
“Cosa ti fa pensare che, dopo essere sparito per tutto questo tempo io mi lasci dare ordini da te?”.
“Ei aspetta, non abbiamo mai firmato un contratto che ci vincolava per sempre! E comunque confido che tu abbia il buon senso di non tornare a casa a piedi, ubriaca a quest’ora. Qui a Milano poi.”.
Beh aveva ragione anche lui “Milano! Vero…te vieni da quel buco…giù là, in Romagna! Chissà come ti senti piccolo qui. No?”.
“In realtà no. Ma mi dispiacerebbe se ti succedesse qualcosa la sera stessa che cominciamo a frequentarci.”.
Mi sfuggì di nuovo una risata “Frequentarci? Sei pazzo? Non hai mai capito nulla di me, non comincerai sicuramente stasera!”.
Sorrise “Ci vediamo dopo.”.

Quella sera mi accompagnò a casa. Mi raccontò un po’ di come aveva funzionato la sua vita negli ultimi anni: suo padre era morto e la madre aveva trovato un nuovo compagno.
Sua sorella era partita per l’America e non si era quasi più fatta sentire e lui, beh lui aveva sentito fortissimo il bisogno di evadere e di scappare dai ricordi e dalle ceneri di un passato che non gli apparteneva più.
Si era trasferito a Milano ormai da un paio di mesi, ma nonostante ciò non ci eravamo mai incontrati.
E forse, se il destino avesse deciso diversamente da come poi andarono le cose, non ci saremmo mai più rivisti.

La sua storia mi ricordò come, a volte, andando in giro per la mia città mi ero sentita soffocare. Milano è una metropoli tentacolare, la New York italiana: è molto facile conoscere nuova gente, ogni volta puoi essere una persona diversa, puoi vivere in modo differente le relazioni, perché tanto, girato l’angolo incontri persone che ancora non ti conoscono e per le quali potresti essere chiunque.
Tuttavia, in tutto questo affrettarsi, in tutto questo vivere viaggiando in quinta…io mi sentivo soffocare.
Avevo pochi amici e la mia vita ruotava intorno a pochi punti fissi. Casa, scuola, sempre i soliti locali.
Dopotutto la mia Milano non era molto diversa dal paesino di Roberto.

Accadde ancora qualche volta. Sì, insomma, che mi riaccompagnasse a casa e che servisse il mio tavolo. Poi cominciammo ad uscire insieme, solo io e lui.
Ci siamo baciati per la prima volta in macchina, una sera, sotto casa mia. Le sue labbra avevano il sapore di tutti i momenti trascorsi insieme, nella sua lingua trovai il passato, il presente e una promessa per il futuro.

Ora siamo sposati da cinque anni, la crisi italiana ci ha messi in ginocchio, abbiamo un mutuo che ci strangola, ma siamo felici. Ci siamo trovati.
Sento di aver catturato la mia mosca. L’ho presa con le mani, come facevamo quando eravamo bambini. Ma questa volta non le strapperò le ali.
  
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