Film > X-men (film)
Segui la storia  |       
Autore: suzako    07/08/2011    2 recensioni
La Germania vince la guerra. (Erik/Charles, WWII, AU)
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Blood and Honour

 



Capitolo II

 
 
“Death is a master from Germany”






 
 
 
 
 
Novembre 1940
Auschwitz, Polonia
 
 
Camminavano sotto la pioggia incessante, bagnati fino al midollo.
Erik teneva lo sguardo basso, cercando di non ascoltare i ruggiti dei soldati nazisti attorno a lui, tentando di non fissare le loro uniformi e i loro stivali e i bastoni che tenevano stretti in una morsa d’acciaio.
 
L’acqua gli colava da sotto il berretto, rendendo i contorni delle baracche e dei volti attorno a lui indistinti e sfocati. Anche la mano di sua madre era fredda e bagnata.
 
Camminavano, una lunga colonna di persone pressate l’una contro l’altra, ed Erik si strinse ancora di più la mano di sua madre. Suo padre era alla sua destra.
 
Finché fossero rimasti uniti, sarebbe andato tutto bene.
 
<< Muovetevi! Continuate a camminare! Muovetevi! >>
 
Arrivarono al cancello, cinto da filo spinato. Attraverso il muro d’acqua, Erik faticava a distinguerne i contorni.
 
Improvvisamente qualcuno lo tirò per un braccio, mentre sua madre e suo padre venivano forzati nell’altra direzione, e prima che potesse fare alcunché, la sua mano fredda e bagnata era vuota.
 
<< No! >> urlò con voce roca, lottando per liberarsi dalla stretta del soldato.
 
<< Tu devi andare da quella parte >> sibilò l’ufficiale che l’aveva preso, spostandolo con decisione verso sinistra.
 
<< No! Mamma! >>
 
<< Erik! Erik! >>
 
<< Sta’ calma, per carità, fai silenzio, ci fucileranno! >> suo padre cercava di calmarla posandole una mano sulle labbra, ma lei continuava a gridare, a gridare, e c’erano urla ovunque ed Erik si accorse che stava gridando anche lui.
 
Un altro soldato lo stringeva per le spalle, facendogli male. Il cancello di metallo si chiuse davanti a lui.
 
Era chiuso.
 
Li avevano separati.
 
No.
 
No.
 
<< No! No, lasciatemi! >>
 
Non potevano farlo. Non l’avrebbero fatto.
Erik utilizzò tutte le sue forze per raggiungere il metallo: spingere doveva spingere, il metallo lo chiamava perché oltre quel metallo c’erano i suoi genitori, e loro lo chiamavano, lo chiamavano.
 
Erik chiamava il metallo, e il metallo rispondeva.
 
No no no no no no no no
 
Sentì un rumore, come di una catena che si spezzava, e un bruciore terribile gli si diffuse per tutto il corpo e lui si tendeva, si tendeva, e si sarebbe presto spezzato ma mancava così poco.
 
Un colpo alla nuca, e poi tutto divenne buio.
 

 
*

 
 
<< No! >>
 
Si svegliò di soprassalto, con un grido strozzato. Sbatté negli occhi nel buio, cercando franticamente una luce nel buio, una qualsiasiluce, prima di ricordarsi della lampada sul suo comodino. Allungò una mano nel buio e tastò fino a trovare l’interruttore, e quando la stanza si rischiarò poté finalmente respirare.
 
Guardò le sue mani, che stringevano le lenzuola spasmodicamente. Non se n’era accorto.
 
Rilassò i palmi e flesse un paio di volte le dita, contemplando le vene azzurre e grigie sul dorso bianco della mano. Lentamente, cauto, si tastò i contorni del volto, i capelli, le orecchie.
 
Va tutto bene. Sono io, sono sempre io. Va tutto bene.
 
Non è che avesse paura del buio, perché quello francamente sarebbe stato ridicolo.
 
Il buio era una cosa a cui era perfettamente abituato.
 
Era semplicemente che dopo queisogni doveva assicurarsi in qualche modo di essere ancora in sé. Non sapeva spiegarlo, ma forse era una non tanto celata paura di essere inghiottito nella coscienza di qualcun altro, o che questo qualcun altro fosse il vero sé stesso, e che lui non fosse altro che un sogno. Un’illusione.
 
Si ributtò contro il cuscino, cercando di calmare la propria mente.
 
Da quando si era trasferito in città, verso la fine della guerra, era capitato spesso che i sogni e le memorie altrui si infilassero nei suoi. Doveva ancora imparare a bloccarli perfettamente, ma nel sonno era molto più difficile.
 
(ed era peggiorato da quando Raven era andata via)
 
Dopotutto, si diceva, era normale. Con tutte le esperienze traumatiche che la gente aveva vissuto durante la guerra, e a che a lui erano state risparmiate, gli sembrava quasi di meritarlo.
 
Il sogno era stato particolarmente vivido, e Charles lasciò che svanisse dalla sua mente senza alcun rimorso. Non ci teneva a ricordare. Sfregò i palmi delle mani contro le coperte, sentendoseli umidi e freddi.
 
Campo di concentramento
 
La parola era ormai impressa a fuoco nella sua mente, e non se ne sarebbe liberato per un po’.
 
Gli tornarono alla mente alcune leggende metropolitane di cui parlavano gli ex-soldati più giovani, quelli che erano sopravvissuti. Con ogni probabilità quei misteriosi “campi” neanche esistevano, e se così fosse stato, non potevano essere la metà terribili di quanto si vociferasse.
 
Con un ultimo sospiro, Charles spense la lampada, si girò e riprese a dormire.
 
Alles ist gud, si ricordò prima di cadere fra le braccia di Morfeo.
 
 
 
Ottobre 1946
Berlino, Germania
 
<< Doktor! Herr Doktor! >>
 
I corridoi del Centro di Ricerca e Sviluppo erano, contrariamente agli altri laboratori in cui Hank aveva “collaborato” nel corso della sua carriera, rivestiti da grandi pannelli di mogano scuro, e illuminati da una luce calda e accogliente. Le finestre erano perennemente oscurate da lunghi drappi neri e rossi, bordati di oro, dove la svastica troneggiava imponente e minacciosa.
 
I suoi passi risuonavano appena, attutiti dai tappeti.
 
<< Doktor, aspetti! >>
 
Schmidt, il direttore del progetto di Perfezionamento dell’Uomo, si fermò quasi immediatamente, con un amabile sorriso che gli piegava gli angoli della bocca.
 
<< Hank McCoy, il mio più giovane e brillante ricercatore. Dimmi tutto >>
 
Il ragazzo si schiarì la voce nervosamente, prima di sistemarsi gli occhiali sul naso.
 
<< Stavamo facendo alcuni test su Cerebro, Dottore, e credo che abbiamo trovato qualcosa >>
 
<< Te, e chi altro? >> domandò Schmidt, sempre sorridento.
 
<< M-Miss Frost, signore >>
 
<< Chiaramente. La telepatia è sicuramente un dono incredibile, non trovi? >> Hank non seppe cosa rispondere, limitandosi a tentare un sorriso incoraggiande. Schmidt non si preoccupò di ricevere una risposta e andò avanti << Forza, fammi strada e vediamo cos’avete scoperto >>
 
I piani sotterranei erano completamente diversi dalla facciata rassicurante che offriva il livello superiore del centro.
 
Inoltrandosi nelle viscere dell’edificio, seguito dal Dottore, Hank si fece strada tra le rampe di scale metalliche e porte completamente in vetro, fino a giungere al suo laboratorio, situato vicino all’Hangar.
 
Finalmente, raggiunsero la stanza di Cerebro.
 
Hank aprì la pesante porta di metallo, e subito vennero investiti da una forte luce bianca. Nonostante ciò poté vedere chiaramente il sorriso di Schmidt allargarsi a dismisura, i suoi occhi fissi sul macchinario, non affetto dalla luce accecante.
 
<< Ah! E’ sempre una spettacolo così affascinante >>
 
<< Grazie, signore >>
 
Al centro della stanza, circondata dalla ringhiera protettiva e all’interno del cilindro catalizzatore, stava Emma Frost, gli occhi chiusi, immobile come una statua di ghiaccio.
 
Il monitor segnalava una piena attività.
 
<< Ecco, vede >> mormorò il ragazzo avvicinadosi a uno schermo che visualizzava la mappa del Terzo Impero Germanico. Incominciò a digitare sulla tastiera, facendo apparire un ingrandimento della Gran Bretagna, precisamente Londra.
 
<< Durante i test continuavamo a scontrarci su questa zona, e utilizzando uno scanner basato sui sistemi radio inglesi sono riuscito ad isolare la zona, e abbiamo trovato… questo >>
 
Hank premette un’altra combinazione di tasti, e lo schermo si riempì di numeri.
 
Schmidt si avvicinò a leggere, un sopracciglio alzato.
 
<< Il livello di energia atomica è stranamente alto. Ma non è così sorprendente, dopotutto. Abbiamo fatto aprire centri di ricerca nucleare in tutte le zone dell’Impero… >>
 
<< Non c’è nessuna centrale nucleare nel pieno centro di Londra >>
 
La voce chiara e cristallina di Emma tagliò tra di loro come il diamante. Schimdt si voltò verso di lei, e sorrise.
 
<< E’ qualcosa di completamente diverso… Sebastian >>
 
Il Dottore spalancò gli occhi, improvvisamente interessato.
 
<< …Ora capisco. Sarà meglio mandare qualcuno a dare un’occhiata allora, non credi? La situazione potrebbe essere interessante >>
 
<< E pericolosa, signore >> ci tenne a precisare McCoy.
 
Schmidt gli rispose con un altro dei suoi freddi sorrisi.
 
<< Allora dobbiamo essere grati di avere la migliore armadel mondo dalla nostra parte, no? >>
 
Emma si lasciò sfuggire un sorrisetto, mentre lo guardava dal cilindro trasparente, con le mani sui fianchi.
 
<< Vuoi mandare quel ragazzo? Da solo? E’ troppo giovane, non è credibile >>
 
<< Ma è appunto per questo, mio cara, che è il più adatto. Se non sbaglio una delle aree dove si registra maggiore attività è Oxford >> digitò alcune combinazioni sulla tastiera prima di continuare con tono soddisfatto << Ah sì, vedete? Vicino a questa università >>
 
Hank ed Emma si scambiarono un’occhiata.
 
<< Ma signore, Londra è sempre stata il centro dell’attività politica e l’ultima roccaforte della resistenza, quindi pensavamo che Ch-
 
<< Sciocchezze. Londra è stata la città più bombardata su suolo inglese, ed è per la cecità del nostro sublime comando che non si è riusciti a sradicare completamente qualsiasi focolaio di resistenza. E’ troppo palese. E’ fumo negli occhi. >>
 
Schimdt rimase in silenzio alcuni secondi.
 
<< Tuttavia vale la pena indagare. Hank, mettiti in contatto con Angel immediatamente e mandala da me >>
 
Hank annuì ossequiosamente, e si voltò nuovamente verso i macchinari prima di interrompersi e chiedere:
 
<< E per quanto riguarda…? >>
 
Schimdt sorrise.
 
<< Ad Erik ci penserò io >>
 
 


Novembre 1946
Oxford, Inghilterra

 
 
<< Charles! Charles! Ma mi ascolti? >>
 
Charles Xavier alzò gli occhi dal foglio di appunti: una ragazza gli stava parlando. Anja, si ricordò mentalmente. Quello era il suo nome.
 
<< Scusami, ero distratto >> rispose immediatamente con un sorriso << Cosa stavi dicendo? >>
 
<< Senti, lo vedi quel tizio là? Quello seduto in seconda fila, il più lontano dalla cattedra? >>
 
Charles girò la testa senza preoccuparsi di sembrare circospetto. La lezione di Inegneria Genetica era più noiosa del solito, e lui si limitava a scrivere i risultati degli esercizi prima ancora che il professore avesse tempo di scriverli alla lavagna, solo per passare il tempo.
 
Finse di scrutare l’aula, ma per comodità cercò direttamente il volto in questione nella mente di Anja.
Vide un ragazzo, più grande di lui, lineamenti marcati e tipicamente teutonici, occhi chiari e sopracciglia corrugate.
 
<< Ah, sì, lo vedo. Chi è? >>
 
<< Non lo so, speravo potessi dirmelo tu >>
 
Charles le rivolse la migliore versione del suo sopracciglio all’inglese per esprimere tutta la sua perplessità.
 
<< Non ti seguo >>
 
<< Te conosci tutti Charles, magari potevi presentarmi. Sembra un tipo interessante >>
 
<< Non so sicuro di voler sapere cosa ti interessi di lui, Anja >> replicò Charles con tono pieno di malizia.
 
La ragazza arrossì furiosamente e si limitò a sbuffare, prima di girarsi verso il professore e lasciarlo il pace.
 
Charles ritornò volentieri al proprio foglio.
 
Si accorse solo in quel momento di aver continuato a scrivere gli esercizi anche durante la conversazione.
 
 

*

 
 
Raven se ne era andata, e la cosa peggiore era che tutto sembrava esattamente come prima.
 
Charles si svegliava, arrivava a lezione in ritardo, parlava con persone di cui a malapena ricordava il nome, beveva, a volte tornava a casa e lavorava sulla sua tesi, altri volte il silenzio era insopportabile e allora usciva e bevevadi nuovo, poi beveva ancora, infine barcollava fino a casa per poi ricominciare da capo.
 
La verità era che Raven era la sua unica amica. E adesso era rimasto solo.
 
Erano passate due settimane. Non l’aveva cercata, convinto che entro qualche giorno sarebbe ritornata da lui.
Si era reso conto troppo tardi dell’errore.
 
Si dava altre due settimane, e poi avrebbe iniziato a cercarla veramente, anche se così avrebbe spezzato la propria promessa.
 
Ma Raven aveva rotto per prima la sua.
 
Si diresse verso il pub. Non sarebbe arrivato alla fine di quella giornata senza una birra.
La prima persona che riconobbe, seduto alla tavolata che occupavano di solito, fu Sean, i suoi capelli rossi inconfondibili anche nella folla delle cinque di sera.
 
E poi, ancora prima di visualizzare i volti degli altri presenti, riconobbe qualcun altro. Qualcuno che neanche conosceva, in realtà.
 
Occhi chiari, lineamenti marcati, capelli biondo scuro pettinati all’indietro.
 
Si avvicinò al tavolo improvvisamente cauto, come se temesse che lo sconosciuto si lanciasse contro di lui per attaccarlo da un momento all’altro. Il che era ridicolo, non aveva nemmeno mai parlato con quel ragazzo, eppure…
 
C’era qualcosa in lui, nei suoi occhi chiari e freddi, nella postura, mai rilassata, anche mentre chiacchierava amabilmente con Anthony, che gli diceva di stare all’erta. Che quel ragazzo era pericoloso, e che avrebbe fatto molto meglio a girare i tacchi e andarsene in quel preciso istante.
 
Ma era troppo tardi, e l’istante era già passato.
 
<< Charles! Che ci fai lì impalato? Siediti con noi! >>
 
Sean l’aveva visto.
 
Senza esitare, con passo tranquillo e sicuro e un sorriso per piantato sulla faccia, Charles si avvicinò al tavolo, salutando tutti i presenti. Poi il suo sguardo si posò sullo sconosciuto.
 
<< Charles, ti presento Erik. E’ arrivato a Oxford da poco, ha fatto uno scambio con la sua università, Berlino vero? O era Monaco? In realtà non ho capito, la cosa importante è che stavamo per fare il terzo giro: ti unisci a noi, ovviamente >>
 
Charles non aveva smesso un attimo di sorridere.
 
<< Ovviamente >>
 
Si voltò nuovamente verso il ragazzo, Eriksi chiamava. Gli porse la mano destra:
 
<< Molto piacere di conoserti. Charles Xavier >>
 
<< Erik. Erik Lenssher >>
 
Il sorriso di Charles si allargò impercettibilmente, e decise in quel momento di approfittarne per cercare di scoprire se i suoi sospetti fossero fondati o no. Gli sarebbe bastato un attimo, non voleva di certo violare la privacy di Erik. Si concentrò.
 
Vide pioggia.
 
Pioggia freddissima, che penetrava sin nelle ossa.
 
E poi un lampo, senza il tuono, e vide lame e metallo e un volto inquietante, Herr Doktor, pensò con una mente che non era la sua, e sentì dolore, e rabbia, e ogni oggetto metallico della stanza era eco del suo dolore.
 
Uno sparo.
 
Charles si ritrovò circondato da sbarre di metallo, intrappolato, e poi sentì una voce che non riconobbe, e una sola parola.
 
Fuori.
 
La stretta durò pochi secondi, forse solo un istante più del normale.
 
Terminate le presentazioni, si sedette tranquillamente su uno sgabello, di fianco a Sean, ordinò la sua birra, alternando sorsi e conversazione.
 
Tutto perfettamente normale.
 
In realtà, non poteva fare a meno di notare con una certa apprensione, che ogni qualvolta alzava gli occhi dal suo bicchiere, lo sguardo freddo di Lenssher incrociava il suo, e i suoi occhi si indurivano ulteriormente.
 
Non capitava spesso che Charles fosse preoccupato.
 
E ormai non poteva fare a meno di osservare Lenssher a sua volta, lui ed ogni sua mossa, sicuro più che mai che stesse solo aspettando il momento giusto per fare qualcosa.
 
Il modo in cui sorrideva, affilato e con un’incredibile quantità di denti bianchissimi, non lo rassicurava affatto.
 
Buttando giù con velocità inusuale la sua birra scura, Charles chiarì dentro di sé tre punti molto importanti rispetto alla sua breve incursione nella mente di Erik Lenssher.
 
Il primo, era che i suoi sospetti erano perfettamente fondati.
 
Il secondo, che Erik si era reso conto di ciò che era successo, e si era difeso.
 
Il terzo e più importante punto: essenzialmente, era fottuto.
 
 

*

 
 
Due ore più tardi, Charles decise che aveva sopportato abbastanza sguardi omicidi per un’intera settimana, e e non era sufficientemente ubriaco per reggere oltre la situazione.
 
Per un momento ponderò se prendere un’altra birra.
 
Fu in quel momento che si rese conto che, no, l’alcool non era la soluzione a tutti i problemi.
 
<< Signori e signorine, vi annuncio che è arrivato il momento del mio ritiro >> proclamò Charles alzandosi in piedi, con un tono di esagerata solennità.
 
I suoi compagni di tavolo esplosero in un boato di disapprovazione.
 
<< Un ultimo brindisi, Charles! >> interruppe Sean alzando il bicchiere. Charles abbassò gli occhi sul fondo scuro del suo boccale. Il terzo? Il quarto? Non ebbe risposta.
 
<< A cosa brindiamo? >> domandò accomodante, girandosi verso Sean.
 
<< Alla guerra! Sola igiene del mondo! >> gridò Hank Pym, un ragazzo biondo con un genio per le scienze che Charles conosceva abbastanza bene.
 
Si sforzò di sorridere e di mostrare lo stesso entusiasmo degli altri ragazzi alla tavola.
 
<< Sì, alla guerra! E a un futuro di vittorie per l’Inghilterra e il Terzo Reich! >> aggiunse qualcun altro.
 
Charles strinse impercettibilmente le mani attorno al bicchiere.
 
Erik, pur ridendo con gli altri, lo stava guardando, notò.
 
Doveva andarsene. Doveva andarsene il prima possibile.
 
Vuotò il boccale e una volta concluso il brindisi girò i tacchi e si diresse verso la porta il più in fretta possibile. Voleva solo arrivare a casa e dimenticare quello che era appena accaduto, la guerra e i nazisti e ignorare il fatto che non sarebbero mai, mai più stati liberi.
 
Era buio pesto e il vicolo isolato. Charles affrettò il passo. Odiava stare da solo, ma da quando Raven se ne era andata, non aveva scelta se non abituarvisi.
 
Immerso nell’autocommiserazione, gli ci volle un po’ prima di accorgersi che i suoi passi non erano gli unici a risuonare sul selciato.
 
Si fermò bruscamente.
 
<< Non sei silenzioso come credi, temo >>
 
Si girò. Il volto di Lenssher completamente oscurato dalla fedora, ma Charles lo aveva riconosciuto ancora prima di voltarsi.
 
Fece alcuni passi in avanti. Charles non si mosse.
 
<< Che senso ha cercare di nascondersi da un telepate? >> rispose Erik con tutta tranquillità, come se le sue parole non avessero alcun peso.
 
Come se in quel preciso momento non lo stesso condannando.
 
<< Non so di cosa tu stia parlando >>
 
<< Il trucchetto di prima… Non avresti dovuto farlo, Charles. Ci tengo alla mia privacy >>
 
<< Non avevo la benché minima intenzione di-
 
<< Non mi interessa, stai fuori dalla mia testa>>
 
C’era una nota di chiara minaccia nella sua voce, e non del tipo che sarebbe caduta a vuoto.
 
<< Va bene >>
 
Erik aprì la bocca come per rispondere, ma non ne uscì alcun suono. Sembrava sorpreso, come se non fosse quella la risposta che si aspettava.
 
<< Ho sbagliato. Mi dispiace. So che non è giusto frugare nelle menti altrui senza il loro permesso, è che è difficile per me… >> si interruppe. Dubitava che Lenssher fosse interessato ai suoi problemi << Comunque, ti assicuro che non avevo cattive intenzioni. Mi scuso, e ti prometto che non succederà più >>
 
Erik annuì lentamente.
 
<< Allora siamo d’accordo >>
 
Fece per voltarsi, ma Charles lo fermò prima che potesse anche solo fare un passo.
 
<< Aspetta! >>
 
Erik si fermò, girando la testa per lanciargli uno sguardo dalla coda dell’occhio.
 
<< Cosa c’è? >>
 
<< Tu sei… Sei come me, non è così? >>
 
<< Sì >>
 
Charles non poté fare a meno di sorridere. Istintivamente, si avvicinò a lui. Erik si voltò completamente, la sua espressione illeggibile.
 
<< Lo sapevo! Ho sentito qualcosa, prima, sapevo che c’era… Dimmi per caso è qualcosa che ha a che fare con il metallo? >>
 
Invece di rispondere, accennò un sorriso ed estrasse la mano destra dalla tasca. Nella penombra del vicolo, Charles vide una moneta luccicare fra le sue dita, sospesa a mezz’aria.
 
<< Puoi controllare il metallo >>  non era una domanda.
 
<< E’ così >> confermò Erik.
 
<< E’ incredibile! Seiincredibile! E’ fortissimacome mutazione, veramente! >>
 
<< mutazione?>> ripeté aggrottando le sopracciglia.
 
Charles sorrise.
 
<< Sì, perdonami, è un termine che ho iniziato ad utilizzare nel corso dei miei studi di genetica, e penso che sia appropriato, diciamo, ad indicare le nostre abilità >>
 
<< Sì… Sì, lo so >> mormorò Erik distrattamente.
 
Mi chiedo come faccia a saperlo tu.
 
Il modo in cui Charles parlava, la sua terminologia e la naturalezza con cui giudicava tutto come un fenomeno naturale e scientifico, gli avevano ricordato vividamente Hank McCoy, il ragazzino che Schmidt teneva chiuso nel laboratorio del centro di ricerche.
 
Calò il silenzio, ed Erik sentì la necessità di porre fine il prima possibile a quella conversazione. La situazione gli era improvvisamente sfuggita di mano. Era lì per trovare mutanti, possibilmente un’organizzazione, ma questo Charles Xavier per quanto rientrasse nella prima ipotesi, non sembrava neanche lontanamente essere a conoscenza della seconda.
 
Quando Erik lo aveva seguito in quel vicolo, si era aspettato un combattimento, non un’amichevole conversazione.
 
A meno che non fosse stato tutto un diversivo.
 
Erik smise di pensare appena si rese conto che aveva iniziato a farlo. Dopo, si ricordò. Non era sicuro farlo nei pressi di un telepate, anche se Charles sembrava completamente e sinceramente ignaro rispetto a ciò che gli stava passando per la testa, altrimenti sicuramente avrebbe cercato di smentirlo, o di ucciderlo.
 
<< E’ stato un piacere >> Erik gli rivolse il suo sorriso più disarmante e porse la mano a mo’ di commiato.
 
Charles rispose alla stretta senza esitazione e dissi con tono amichevole << Altrettanto. Mi dispiace per il malinteso >>
 
<< Nessun problema. Arrivederci, Charles >>
 
<< Buonanotte >>
 
Erik si voltò, questa volta definitivamente, e prese a camminare verso il proprio alloggio.
 
Doveva contattare Schmidt al più presto possibile.
 







  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > X-men (film) / Vai alla pagina dell'autore: suzako