Roger stava passando in
rassegna i test che i ragazzini gli avevano consegnato. Spettava a lui
occuparsi della parte bassa della classifica. Non c’era molto di nuovo da
leggere in quelle pagine: bene o male erano tutti stazionari nella Wammy’s House, tranne qualche momento slittamento dovuto
agli eventi che avevano potuto sconvolgere la giornata di qualcuno degli
ospiti.
J era alle prese con i
due test a cui L era interessato. Non c’era molto da dire. Se si mettevano
insieme le varie spiegazioni trovate da Mello e Near, si apriva un ventaglio di soluzioni che varavano ogni
piccola possibilità di ottenere indizi efficaci. Se si provava a giudicare ogni
prova per sé stessa, Mello, come al solito, peccava
eccessivamente in capacità di calcolare i rischi relativi ad ogni azione. J
pensava che se mai avesse avuto tra le mani una pistola, quel ragazzo avrebbe
sparato senza esitazione. Faxò i due fogli a L e si preparò a ricevere il suo
giudizio.
Era appeso. L’elenco, la
classifica generale degli eredi di L era appesa in bacheca. I ragazzini si
accalcavano tutti intorno ad essa per leggere il proprio nome, la propria
posizione e il voto ottenuto. Un giudizio scritto era invece consegnato
personalmente da Roger; erano segnati dei consigli da seguire per migliorare i
propri risultati, quali erano i difetti e quali i pregi di ognuno e ognuno di
loro poteva decidere se renderli pubblici o no.
Near si avvicinò alla bacheca, provando a
mettersi sulle punte dei piedi. Allungò il collo, ma non vedeva ancora nulla. Mello, invece, preferiva restare incollato alla parete
opposta. La sua espressione era quella di uno che non sa se buttarsi dal ponte
oppure no. Temeva di leggere un meccanico “2” accanto al suo nome e di vedere
sopra il suo quello del rivale. Questa volta non era una delle prove sceme di
Roger, era qualcosa che aveva portato con sé la ragazza con i capelli neri,
quella che gli rivolgeva quei sorrisi irritanti.
Un fulmine squarciò il
cielo pomeridiano e illuminò il corridoio di una luce sinistra. Mello fece un respiro profondo: non aveva senso restare
ancora lì a valutare se era il caso o no di leggere il verdetto finale. Meglio
togliersi questo dente malato, piuttosto che cuocere ancora nel brodo
dell’incertezza.
Si avvicinò con fare
deciso e qualche bambino più piccolo si scansò in fretta. Era più alto degli
altri, quindi riusciva benissimo a vedere cosa c’era scritto.
< Mello,
non ci arrivo. Puoi leggere tu, per favore? > era la voce di Near, l’unica ad aver rotto il silenzio. Tutti si erano
zittiti nel momento in cui Mello aveva fatto qualche
passo verso il gruppo sotto la bacheca. Ma Near no,
lui non temeva le reazioni dell’altro.
Mello lanciò uno sguardo omicida verso
quella testa bianca. Non gli avrebbe mai risposto. Riportò lo sguardo verso la
lista e trattenne il fiato. Partì da sotto, scorgendo di sfuggita i nomi degli
altri: Linda, Samuel, Kit, Matt, Gun, Tula, Terence…
“2. Mello”
Strinse i pugni, tanto da ficcarsi le
unghie nei palmi. Lanciò uno sguardo terrificante a Near
e lo odiò ancora di più per l’occhiata consapevole che gli lanciò di rimando.
< Oh … > disse il ragazzino,
intuendo quale potesse essere il risultato del test e che di conseguenza ancora
una volta Mello fosse arrivato secondo. La reazione
di Near sarebbe stata analoga se avessero parlato del
tempo, come se qualcuno gli avesse comunicato che pioveva e che quindi non
potevano uscire per una passeggiata. La storia della rivalità non aveva grande
effetto su di lui.
Mello, invece, sentì l’impulso di
strozzarlo, di fargli male, ma riusciva ancora a pensare, nonostante le
emozioni gli facessero girare la testa. Sentiva di non riuscire a reggere
ancora per molto, voleva urlare la sua frustrazione, voleva prendere a calci
qualcosa o qualcuno e, se solo uno dei presenti avesse fatto o detto qualcosa di
sbagliato, sarebbe diventato il sua capro espiatorio.
Non era il caso di rendersi la vita
difficile nell’istituto per una reazione eccessiva, quindi, con quel po’ di
razionalità che gli era rimasta, si fiondò verso la porta di servizio e finì in
giardino.
Pioveva
a dirotto ormai. I fulmini squarciavano il cielo sopra la sua testa e la sua
rabbia era diventata molesta. Iniziò a correre più veloce che poteva, sforzando
i muscoli, tirandoli, mettendoli in pesante tensione. Superando la cancellata
del giardino, finì nei campi. Era scalzo, ma poco gli importava. Corse, lasciò
che i polmoni bruciassero con l’aria fredda dell’autunno e che la pioggia
torrenziale lo schiaffeggiasse. La sua maglia nera gli si incollò al petto
soffocandolo, ma non era importante. Voleva scappare, voleva smettere di
sentirsi così inferiore a quel ragazzino irritante, voleva essere il migliore,
ma volerlo non bastava.
La rabbia si trasformò in lacrime, ma
era impossibile riconoscerle su quel volto bagnato. Provò a ricacciarle indietro
mordendosi il labbro, ma ricavò solo una ferita che gli inondò la bocca di
sapore ferroso. La corsa sarebbe stata inarrestabile se un ramo spezzato,
nascosto tra l’erba alta, non gli avesse ferito un piede. Cadde rotolando
vicino al bordo dello stagno. Qualche rana saltellò in acqua, spaventata dalla
sua irruzione. Mello urlò il suo dolore, il dolore
dell’anima che si agitava nella frustrazione, sicuro che nessuno lo avrebbe
sentito.
J
lo aveva visto correre via dalla finestra dell’ufficio di Roger. Sapeva che a Mello non sarebbe andato giù quel giudizio, ma non si
poteva fare altrimenti: in ballo c’era molto più di loro, dei loro desideri e
dei loro sentimenti. A decidere era stato L e niente era fatto a caso da lui. Niente
era giusto in quel meccanismo, lo sapeva molto bene. Mello
era uno di quei ragazzi che soffriva troppo per quella pressione e per la
pressione che si infliggeva da solo.
J aveva lasciato cadere i fogli che
aveva in mano e gli era andata dietro. Sapeva che non si sarebbe mai accorto di
lei, per quanto era preso da sé stesso. Purtroppo J non era mai stata molto
veloce nella corsa e ad un certo punto aveva temuto di averlo perso, poi, un
urlo angoscioso le aveva indicato la direzione da prendere.
Lo
vide lì, rannicchiato su sé stesso, perso in un pianto convulso. Stava subendo
le sue emozioni, le stava pagando una ad una con stille di sangue dall’animo. Mello si chiedeva perché non era capace di superare
quell’ostacolo, si chiedeva in cosa era carente. Quel dolore gli stava dando un
indizio, ma non riusciva a coglierlo. Era stanco, spossato, svuotato nella
mente e nell’anima. Non sapeva più cosa fosse giusto o sbagliato. Non aveva
appigli. Stringeva le sue braccia conficcando le unghie in profondità; la testa
era piegata sul terreno e i capelli sparsi sul terreno a raccogliere il fango.
Lei
lo trovò così. Prostrato, abbattuto, tra le lacrime. Si avvicinò con cautela.
Era un animale ferito, naturalmente aggressivo, con un pessimo carattere quando
stava bene, ora, distrutto, era un grumo di carne e nervi troppo tesi.
< LASCIAMI! > l’aveva urlato
forte quando J si era chinata su di lui per provare a tirarlo su. Gli occhi
rabbiosi, le iridi azzurre lampeggianti e il petto percorso da singulti che non
gli permettevano di pronunciare più di una parola per volta.
< Mello,
lascia che … > provò.
< NON … VOGLIO … LA TUA … P-PIETA’!
> era un messaggio chiaro e condivisibile, ma non poteva lasciarlo in quelle
condizioni, era solo un ragazzo, solo e disperato.
Tentò di avvicinarsi ancora e questa
volta Mello reagì fisicamente spingendola via. Il
sangue gli colava dalla bocca sul mento e dava di lui un’immagine ancora più
patetica. J allungò una mano ad asciugargli quel liquido cremisi, rischiando di
essere morsa e, nello stato in cui era Mello, non era
una cosa improbabile. Non staccò gli occhi dai suoi, si lasciò avvolgere
dall’azzurro tagliente del suo sguardo, dalla sua rabbia e dal suo dolore.
Dal canto suo, Mello
avvertì il calore della mano di lei e fu uno strano balsamo per il suo corpo
intirizzito. Calore: era qualcosa che aveva scordato da tempo. Il calore di un
abbraccio, il tepore di una persona vicino a lui. Da quando era iniziata quella
stupida guerra su chi dovesse essere il successore di L, aveva dimenticato
tutto questo. Maledisse nella sua mente quella ragazza che lo guardava
preoccupata, maledisse la sua vicinanza, maledisse l’incavo del suo collo che
accolse il suo volto, maledisse le braccia calde che lo avvolsero, maledisse il
suo profumo dolce e maledisse la sua voce delicata. Eppure si strinse a lei.
< N-non
è giusto … > riuscì a malapena a sussurrare. Non ebbe nessuna risposta, se
non una mano che si posò sulla testa. Lo accarezzava lenta, senza alcuna
fretta. Erano gesti inaspettati e il ragazzo ne fu stupito e allo stesso tempo
grato, abbandonandosi al torpore mentale.
J
lasciò che buttasse fuori quel concentrato di emozioni negative che si portava
dentro da troppo tempo. Lo avevano portato allo stremo ed era solo un ragazzo:
non aveva neanche quindici anni, eppure sembrava che il suo spirito ne avesse
incredibilmente di più. Si caricava di pesi difficili da sostenere per le sue
esili spalle e aveva preso quella strana sfida con Near
nel modo peggiore possibile.
Passarono parecchio tempo
sotto la pioggia scrosciante. Ormai erano immersi nel fango; gli abiti
incollati al loro corpo rendevano difficili i movimenti. Mello
tremava già da un po’, sia per le emozioni che per il freddo, ma J non era
riuscita a convincerlo a tornare dentro. Aveva bisogno ancora di un po’ di
tempo. Poi anche lei iniziò a tremare per il freddo. La pioggia non accennava a
smettere. Bisognava tornare indietro. La ragazza si rese conto che difficilmente
Mello avrebbe potuto rifare quella strada con quel
taglio sotto il piede, così, senza ormai la minima protesta per quanto fosse
spossato, se lo caricò sulle spalle.
Lungo la strada non
parlarono. Mello si era totalmente abbandonato sulla
sua schiena con lo sguardo perso nel vuoto. J non pensava che lo avrebbe mai
visto in quello stato, forse non lo avrebbe voluto mai vedere così: quel
ragazzino le piaceva, aveva uno sguardo magnetico e una parlantina spiazzante,
le piaceva la sua irruenza, solo non aveva mai realmente capito quanto potesse
essere dannosa.
Roger era sulla soglia
dell’orfanotrofio con lo sguardo verso i campi, sperando di veder tornare i due
ragazzi. Quando J era partita di tutta fretta, non aveva immaginato quello che
poteva essere successo. Fu Near a dargli la notizia
della reazione di Mello. Sospirò sollevato quando la
testa mora di J sbucò tra la pioggia e la vegetazione.
<
Roger porta asciugamani e un paio di coperte in infermeria. > J diede queste
indicazioni, appena ebbe varcato il portone dell’orfanotrofio e aveva visto il
direttore con un’espressione sollevata e preoccupata allo stesso tempo. Non
c’era nessun’altro all’ingresso. Meglio così, Mello
non si sarebbe perdonato facilmente un atto di debolezza pubblico. Roger fece
strada, poi sparì alla ricerca degli oggetti richiesti.
L’infermeria
era un posto stranamente colorato. La maggior parte degli ospiti erano solo dei
bambini, di conseguenza era ovvio non spaventarli troppo con un ambiente
immacolato e piastrellato di bianco. Funghi e fiori colorati sporgevano
sorridenti dalle pareti.
J si avvicinò al lettino e posò Mello con delicatezza. Si era totalmente ammutolito, lo sguardo
era basso, la testa china, ormai pareva una bambola senz’anima. Roger tornò.
< Posso fare qualcos’altro? >
chiese, ma J fece cenno di no con la testa e chiuse la porta dietro di lui. Era
meglio se una sola persona si occupasse del ragazzo.
Lei posò un asciugamano sulla
sua testa, strofinando un po’ per togliere l’acqua in eccesso. Non ci furono
proteste, nemmeno quando gli sfilò la maglietta. Lo avvolse in una coperta di
lana e si dedicò al suo labbro. Imbevette un po’ di cotone al disinfettante e
medicò la ferita senza che il ragazzo pronunciasse verbo. Si era morso con
violenza, ma in pochi giorni la ferita si sarebbe rimarginata. Il taglio sotto
il piede era un tantino più grave, tanto che, immaginava, avrebbe dovuto usare
le stampelle per più di una settimana. Era già tanto che non ci fosse bisogno
di punti.
< Dovresti provare a controllarti.
> esordì J, guardandolo di sottecchi < Lo dico solo perché finisci col
farti male. > e non era solo dolore fisico.
Mello sembrava totalmente assente e remissivo.
L’asciugamano era rimasto sulla sua testa e ne copriva in parte il volto. Aveva
perso completamente le lacrime ed era caduto in una sorta di catalessi emotiva:
né dolore né rabbia lo stavano attraversando, ma solo insoddisfazione di sé
stesso. La sua vita gli era indifferente: era vuota ormai, senza significato,
senza obiettivi. Sentiva le mani di J sulla sua pelle. Erano tornate calde,
nonostante il clima di fine ottobre non era dei migliori e avesse preso talmente
tanta acqua per lui … già, per lui. Ancora una volta riceveva questo
trattamento di favore, ma ora non aveva la forza di pensare e tantomeno di
rifiutarlo. La ragazza aveva avvolto una benda bianca intorno alla ferita sul
suo piede e aveva sistemato anche del celophan, per
proteggerla dell’acqua. Da un armadio di metallo in fondo alla stanza J prese
un paio di stampelle.
< E’ meglio se usi queste per un
po’. Non devi sforzare il piede. > le posò accanto a lui < Ce la fai ad
andare da solo a farti una doccia calda? > chiese speranzosa. Se si fosse
riscaldato, si sarebbe sentito meglio.
Per tutta risposta Mello prese le stampelle e si diresse lentamente fuori
dall’infermeria. J lo guardò allontanarsi preoccupata, ma appena lui aprì la
porta, un ragazzino suo coetaneo con i capelli rossi apparve sulla soglia. Era
in buone mani.
Note dell’Autore:
Anche questo capitolo è finito. Il povero Mello
deve fare i conti con le sue debolezze e sappiamo che non ci riuscirà mai,
queste vinceranno sempre.
Ringrazio orihime02 della
recensione: Mello è uno dei miei personaggi preferiti
e, per quanto folle, adoro il suo modo di fare, perché ha messo un po’ di
azione in Death Note, che, senza di lui, sarebbe molto più statica.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Attendo recensioni, vorrei
sapere cosa ne pensate, se c’è qualcosa che cambiereste.