Questo capitolo è melassa pura, perdonate l'eccesso zuccherino...ma si inizia ad accennare a qualcosa che Andrè ha in mente.
CAPITOLO 3
Il colonnello D'Agoult entrò
educatamente nell'ufficio di Oscar.
“Lieto di vedervi così presto
tra noi, comandante. Non vi aspettavo per oggi e ho quindi provveduto
personalmente alle consegne dei turni e delle ronde”
“Parigi è diventata davvero
una polveriera... raccomandate agli uomini la massima prudenza”
“Certamente, comandante. Ah, a
proposito: il soldato Grandier è rientrato 3 giorni fa, ho
firmato al vostro posto la sua riammissione, ma ho preferito
assegnarlo a servizi interni, mi è sembrato ancora debilitato
dall'incidente” Tacque in attesa di un commento, infine concluse
“Si è offerto di occuparsi dei cavalli”
“Avete adempiuto a tutto
perfettamente, colonnello, vi ringrazio per il vostro impeccabile
servizio”
“Credo fareste meglio a non uscire di
ronda per oggi, comandante”
Oscar lo guardò e gli sorrise.
Il colonnello D'Agoult aveva dei modi quasi paterni nei suoi
confronti, più di quanti ne avesse il suo vero padre.
“Grazie, colonnello -lo rassicurò- seguirò
il vostro consiglio”.
Si salutarono velocemente e Oscar fu di
nuovo sola.
Avrebbe di gran lunga preferito uscire per le strade di
Parigi, dove la sua attenzione sarebbe stata occupata a perlustrare
la situazione, piuttosto che rimanere in caserma a far niente. Dopo
aver firmato gli ultimi documenti che il colonnello le aveva lasciato
sulla scrivania, si avviò con lo sguardo diritto a fare un
giro all'armeria e ai posti di sentinella. Al suo arrivo i soldati
si irrigidivano nel saluto militare.
Era una giornata tiepida, con un sole
caldo ed una leggera brezza, tipica della stagione primaverile.
Oscar
chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Sentiva il vento
sospingerle dolcemente i capelli, l'aria era fresca e pulita, dopo
le prolungate piogge dei giorni precedenti, e si sentiva, quasi
impercettibile, il profumo dei fiori di lillà provenire dai
piccoli cespugli selvatici, cresciuti negli angoli più
trascurati della caserma .
Il silenzio di quel momento, l'aria tra i capelli e il delicato profumo dei fiori la portarono con la
mente lontano da Parigi, ai giorni spensierati in cui si prendeva
una pausa e con il suo attendente raggiungeva la sua tenuta di
Arras. Ricordò la sua risata sincera ed allegra, era così
reale, le sembrava di sentirla veramente...
Spalancò gli occhi. Udiva
davvero la risata di un uomo, ed era quella di Andrè,
mescolata ad un vociare infantile. Dio, da quanto non sentiva Andrè
ridere così! Non potè resistere alla curiosità
di capire cosa lo divertisse e seguì quei suoni.
Davanti alle stalle della caserma
c'era un'ampia fontana, non elegante come quella di Palazzo Jarjayes,
una grossolana vasca rettangolare, scrostata. Andrè si trovava
lì dentro con un cavallo dal pelo scuro, e lo spazzolava
ritmicamente, dandole le spalle.
Ma non era solo. Cinque o sei
ragazzini dall'età indecifrabile, tutti di piccola statura,
dall'aria smunta ed emaciata, coperti di vestiti logori, gli
stavano attorno, imitando i suoi gesti. Il più piccolo era
sulle sue spalle, anche lui con una spazzola, e strigliava goffamente
la criniera del cavallo.
Andrè dava indicazioni su come
compiere il lavoro e i ragazzini lo seguivano con attenzione.
Dovevano essere i figli dei soldati, venuti insieme alle madri a
trovare i genitori.
Ad un certo punto Andrè condusse
fuori dalla vasca il cavallo e lo riportò nella stalla. Tornò
con la sua borsa ed estrasse alcune mele rosse. Oscar immaginò
le avesse portate lì dopo il suo breve rientro a Palazzo. I
bambini gridarono di gioia come di fronte al più inestimabile
dei tesori. Andrè calcolò che non ne aveva una per
tutti e per evitare discussioni, estrasse un piccolo coltello e le tagliò
a metà. Adesso erano tutti seduti attorno a lui, sul bordo
della vasca, e si godevano un piccolo momento di felicità,
nella loro vita fatta di stenti.
Oscar guardava la scena seminascosta
all'ombra di una colonna. Si sentiva una ladra colta a spiare
qualcuno, ma ne era come rapita e non riusciva ad allontanarsi.
Senza accorgersene, stava sorridendo. Andrè era così
dolce, sembrava perfettamente a suo agio con quei bambini e lei era
estasiata a guardarlo in un ruolo che non aveva mai immaginato per
lui. Era bellissimo, questo le disse il suo cuore. E lei non lo mise
a tacere, ascoltò le dolci parole che le sussurrava e guardò
l'uomo che conosceva da sempre, con la camicia bagnata aderente alla
pelle, i capelli arruffati e quella meravigliosa risata, in mezzo ad
un nugolo di mocciosi adoranti. Allora il suo cuore la condusse più
lontano, altrove, in un'immagine dove c'era anche lei, e i bambini
erano bellissimi, con i capelli scuri e profondi occhi verdi, come i
suoi...
“Ciao, Oscar” la sua voce la
risvegliò come uno schiaffo e la riportò alla realtà.
I bambini si stavano allontanando con le madri verso l'uscita
della caserma e lui si stava asciugando le mani, mentre le si era
avvicinato di qualche passo.
Oscar si sentì avvampare le
guance, come se lui le avesse letto nel pensiero. Gli sorrise, quasi
timidamente.
Andrè pensò che era incantevole, che non
la vedeva così serena e dolce con lui da tanto tempo. Ricambiò
il suo sorriso, poi considerò che probabilmente era felice per
la visita di Fersen, forse il loro era stato un incontro di
riconciliazione, magari con buone prospettive per il futuro. E lui,
lui era solo un povero illuso, destinato alla miseria e alla cecità,
inabile ormai anche a fare il soldato semplice. Ma questa era la
realtà, inutile continuare a negarlo. Era giunto il momento
di affrontarla e anche di mantenere la sua promessa. In fondo,
pensare che potesse essere felice almeno lei, era quasi una
consolazione.
Con un passo si fece più vicino.
Adesso, nonostante le pessime condizioni del suo occhio destro,
poteva vederla nitidamente, in pieno sole. I riflessi dorati dei suoi
capelli, mossi dal vento, il blu trasparente dei suoi occhi, la sua
pelle diafana, con le guance lievemente arrossate...Riconobbe in quei
lineamenti la sua Oscar,
quella che era sempre stata, fin da quando l'aveva conosciuta,
bambina. E controllando un dolore sordo ma profondo, suo compagno
ormai da una vita, le disse piano “Rientro nei miei alloggi, per
sistemarmi...”
Oscar teneva i suoi
occhi inchiodati nello sguardo profondo di Andrè, quasi
ipnotizzata. L'uomo esitò un istante, poi, con un movimento leggero
della mano, le sistemò una ciocca sfuggita alla sua chioma e
trattenuta sulle sue labbra e le sussurrò
“Sii felice,
Oscar”
Rimase
sconcertata da quelle parole, ma non fece in tempo a replicare che
Andrè si era già diretto alla sua camerata.
Nonostante l'intensità di quel breve incontro, Oscar
percepiva un fondo di definitiva tristezza nelle parole dell'amico e
una stretta allo stomaco che aveva il sapore di un addio.