So here I am,
once again!
Sono contenta che
alle persone
che hanno letto il primo capitolo sia piaciuta l’idea.
Eccomi col secondo capitolo, che spero vi piacerà ugualmente
e vi permetterà di
conoscere meglio Nicolas e Dafne.
Come vedete si stanno cominciando a conoscere ed il rapporto fra Evan e
Dafne
sembra essere sul punto di giungere al capolinea.
Ma andrà veramente così?
Aspetto con ansia le vostre impressioni!
Un abbraccio e ... alla prossima!
J
Shine On
Capitolo
Secondo
I'm so scared to lose you now
So
easy to lose you now
Because there calling at my door
So I'm locking up my door
(Be Mine – The Kooks)
Quando quella mattina Dafne aprì gli
occhi e fissò il soffitto del proprio
appartamento, si domandò se il giorno precedente fosse stato
solamente un
sogno. Aveva veramente parlato con Nicolas? E, soprattutto, Nicolas
aveva avuto
veramente quell’effetto devastante su di lei. Sembrava essere
passato uno
tsunami nella sua vita, un terremoto dalle conseguenze irriversibili.
Tutto ciò
era stato causato da un semplice ragazzo, un semplice cameriere dello
Starbucks, un semplice studente di economia.
Guardò la sveglia: erano le dieci e venti di sabato, lo
stesso sabato della
festa di Valerie e Ben. Si sedette sul letto, sbuffando. Non aveva
voglia di
andare a festeggiare, di andarsi ad ubriacare, di divertirsi fino a
notte
fonda. Evan amava quel tipo di serata, Claudia anche... Lei non
centrava nulla
in quell’ambiente, lei era totalmente estranea al fenomeno di
massa del sabato
sera di uscire fuori di testa. Il
cellulare, lasciato sul comodino di fianco alla sveglia
suonò ad alto volume.
Il nome di Evan apparve sullo schermo ad intermittenza.
-Amore, buongiorno.- La dolce voce di Evan la fece sorridere, anche se
il
sorriso era l’ultimo ad essere desiderato dalle labbra della
ragazza.
-Buongiorno. Oggi ci vediamo a pranzo, vero?- Una abitudine che Dafne
aveva
sempre amato della sua routine quotidiana con Evan era sicuramente il
pranzo di
sabato e la successiva passeggiata ad Hyde Park con Lyla, il golden
retriever
di Evan. Il ragazzo rimase un attimo in silenzio, sospirando poi.
-Mi dispiace, amore, ma oggi non posso.- Disse con totale apatia. Il
sorriso si
spense immediatamente sulle labbra di Dafne, che scostò le
coperte e si alzò
dal letto, cominciando a camminare per la propria stanza, nervosa.
-E’ il terzo sabato di fila che saltiamo il pranzo.-
Protestò in un misto di
delusione e di rabbia. –Che hai da fare questa volta?-
-Devo vedermi con mia madre.- Rispose secco.
-Ma anche lo scorso sabato dovevi vederti con tua madre ed anche quello
prima!-
Sentiva puzza di menzogna. Ma perché avrebbe mai dovuto
mentirle? Scosse la
testa, scacciando quell’orrida prospettiva dalla propria
immaginazione. –Possiamo
andare insieme a casa dei tuoi, se ti va.- Propose, cercando di
addolcire il
proprio tono.
-Amore, tranquilla, è solo che mia madre non si sente molto
bene. Faccio
velocemente e ci vediamo a casa tua prima di andare alla festa. Ti
passo a
prendere io.- La liquidò velocemente. Talmente velocemente
che Dafne riuscì
solo a rispondere con un paio di monosillabi. “Ah”,
“ok”, “sì”.
–Ti chiamo più
tardi. Ti amo.-
-Già.- Mormorò Dafne, fissando lo schermo che
indicava che la telefonata era
realmente terminata. –Anche io.- Mentre diceva quelle due
parole si fissava
allo specchio, tutt’altro che convinta dell’essere
convincente. Nella penombra
della stanza il suo viso appariva stanco, appesantito da problemi ma
detti, mai
affrontati, appesantito da quella quotidianità che, sempre
più, le stava
stretta. Troppo stretta.
Aprì bruscamente le tende, non facendo una piega per
l’esagerata quantità di
luce che entrò nella sua stanza. Sistemò
frettolosamente il letto, si buttò
sotto la doccia e si vestì ad una velocità non
concepibile per una esponente
del sesso femminile. Trucco e parrucco le rubarono pochissimo tempo e,
altrettanti pochi minuti, furono sprecati per preparare la borsa con un
paio di
libri ed il computer. Aveva intenzione di andare alla biblioteca
universitaria
per provare a scrivere quel dannato saggio breve per il professor
Collins
eppure non appena si trovò a Oxford Street, il suo pensiero
volò alla sera
precedente, a Nicolas, al caffé che le aveva promesso. Si
impossessò di lei il
desiderio di vendicarsi, di far capire ad Evan che lei aveva una vita
al di
fuori di lui, di Claudia, che anche lei poteva vivere senza chiudersi
perennemente in biblioteca a studiare...e Nicolas era la vita che le
era venuta
a bussare alla porta, era la vita che la spingeva a provare qualcosa di
nuovo,
a rischiare, anche se solo da un punto di vista puramente psicologico,
puramente emozionale.
Così in un tempo record si trovò davanti al
bancone dello Starbucks, nuovamente
svuotato visto l’orario, davanti il volto di Nicolas che si
illuminò in uno
splendido sorriso non appena la vide lì, le mani incrociate
sotto il seno per
l’imbarazzo, una strana espressione sul viso.
-Non credevo saresti venuta.- Disse, mentre segnava su un biglietto
l’ordine
che ormai aveva imparato a memoria.
-Le tue movenze da maniaco non mi hanno spaventata. Il tuo piano di
allontanarmi non è riuscito.- Non sapeva dove aveva preso
quella confidenza, ma
la voglia di ridere, di rischiare si era impossessata da lei dopo un
lunghissimo tempo. Lui spalancò leggermente gli occhi,
scoppiando poi a ridere.
-Ho detto che te lo avrei offerto.- Con un gesto le disse di mettere
nuovamente
il portafoglio che Dafne aveva appena sfoderato nella borsa.
–Verrò pur
sabotato nei miei diabolici piani ma mantengo sempre la mia parola,
sappilo.-
-Sono indecisa se prendere queste parole come una promessa o come una
minaccia.- Si sorrisero e Dafne abbassò lo sguardo, tornando
a rintanarsi nel
suo guscio da ragazza timida.
-Ecco il tuo doppio caffé macchiato alla vaniglia.- Lo
ringraziò
silenziosamente per aver spezzato quell’imbarazzo e prese la
tazza.
-Grazie.- Mormorò con dolcezza e lui sorrise.
–Grazie per il caffé.-
Puntualizzò.
-Di niente, Dafne.- Nuovamente il suo nome era stato pronunciato in
quella
maniera divina. Lei chinò leggermente il capo e fece per
voltarsi, quando lui
la afferrò per un gomito. Era la prima volta che i loro
corpi si sfiorarono e
lei si sentì sciogliere come ghiaccio al sole. –Io
stacco per l’ora di pranzo,
ti va di mangiare qualcosa insieme?- Inconsapevolmente, senza
rifletterci,
Dafne annuì con decisione, accompagnando quel gesto con un
ampio sorriso.
Quando Nicolas comparve davanti a Dafne vestito in jeans, camicia e
maglioncino,
la ragazza rimase interdetta per l’alone di mistero, di
fascino che lasciava
trapelare in ogni suo movimento. I capelli neri erano leggermente
spettinati e
perfettamente ordinati in quel disordine, i suoi occhi neri come i
capelli
brillavano e il suo sorriso sembrava dirle “Vieni con me,
vedrai cose mai
viste!”. Dafne scosse leggermente la testa e si
alzò, indossando a propria
volta il maglione e sistemando la borsa a tracolla. Uscirono in
silenzio dal
locale, fermandosi poi davanti l’entrata, entrambi
indaffarati ad accendersi
una sigaretta, e scoppiarono a ridere contemporaneamente per la
sincronizzazione con la quale fecero quel gesto.
-Cosa hai voglia di mangiare?- Domandò Nicolas dopo quelle
innocenti risate.
-Hai proposto tu di pranzare insieme, conseguemente sta a te la
scelta.-
Rispose prontamente Dafne.
-Quando ti sciogli sei un bel peperino, eh!- Dafne arrossì
immediatamente, abbassando
lo sguardo. –Guarda che è un complimento. Non sai
quante ragazze sfacciate
conosco ogni giorno. Piene di sé e piene di coraggio, ci
scambi due parole e
sono vuote e sconclusionate come un’arancia spremuta.- Le
sorrise, indicandole
la direzione verso la quale avrebbero dovuto camminare. –Tu
invece sembri dire
“Prova a scoprirmi, se puoi” ed è
proprio questo che mi incuriosce di te, anche
quando ordini solamente un doppio caffé macchiato.- Dafne si
fermò per un
istante, si trovavano all’altezza di Piccadilly Circus.
-Hey, farmi arrossire non era nei piani. Dobbiamo pranzare, o no?- Lui
scoppiò
a ridere e, facendole passare un braccio intorno alle spalle, la fece
continuare a camminare. Un nuovo contatto, dei nuovi brividi. Forse che
anche
lui esercitava quel fascino su di lei perché era diverso,
perché sembrava
essere un forziere pieno di sorprese, pieno di meraviglie. Gli sorrise,
come
inebetita e continuò a camminare al suo fianco, senza
neanche pensare a
spostare quel suo braccio dalle proprie spalle.
-Che te ne pare di un ristorante cinese?- Propose Nicolas e Dafne si
rese conto
che erano giunti proprio nei pressi di Chinatown. –Ti piace
il cinese, vero?
Altrimenti potrei disconoscerti e bandirti da ogni Starbucks del
paese...
Niente più doppio caffé macchiato alla vaniglia!-
Alzò il dito a mo’ di
minaccia e Dafne scoppiò a ridere, portando una mano a
stringere il dito di
Nicolas e facendogli abbassare il braccio. Solo dopo aver compiuto quel
gesto
si rese conto di averlo preso effettivamente per mano, ma ugualmente
decise di
non desidestere, di non scappare come sempre dalla realtà.
-Mi piace moltissimo in cinese, probabilmente è la mia
cucina estera preferita,
dopo quella italiana.- Rispose con dolcezza e lui sorrise, non
interrompendo
quell’improvviso contatto fra le loro mani, senza muoversi di
un centimetro.
Sotto la luce del sole di mezzogiorno era più bello del
solito, il volto
radioso, quel sorriso energico, quella testa apparentemente piena di
obbiettivi, piena di sogni. Le sembrava una persona che conosceva da
secoli, le
sembrava così perfetto, le sembrava una persona che sapeva
tutto di lei, molto
più di quante le sembrasse tale Evan dopo sei anni di
relazione.
Solo dopo che si furono seduti al tavolo ed ebbero ordinato delle
specialità
cinesi consigliate vivamente da Nicolas stesso, il ragazzo
raccontò delle sue
origini orientali. Era nato a Shangai, dove il padre francese, un uomo
a sua
volta di origini africane, aveva conosciuto la madre, cinese, e se ne
era
perdutamente innamorato, portandola via dopo la nascita del primogenito
dalla
Cina e dal suo duro regime. Dafne scoprì in quella stessa
occasione che il nome
del ragazzo non si pronunciava rudemente con la ‘S’
finale, tipicamente
all’inglese quindi, ma alla francese, con una pronuncia da
far venire i brividi
per la sensualità di cui era impregnata.
-Quindi ora vivi con i tuoi?- Domandò curiosamente Dafne
dopo aver sentito
l’epopea della sua famiglia. Nel frattempo erano arrivati
degli strani
involtini di gamberi che ricopersero entrambi abbondandemente con salsa
di
soia. A quella domanda tuttavia fu il sorriso di Nicolas a spegnersi,
mentre
giocherellava con le bacchette. Alzò gli occhi dal piatto ed
irrigidì ogni
singolo muscolo, guardando cupemente la ragazza.
-No, diciamo che non ho più alcun rapporto con i miei
genitori.- Disse secco,
portando poi un involtino alla bocca e mandandolo giù dopo
averlo masticato
appena. Dafne si sentì nuovamente in imbarazzo e
osservò il cibo con talmente
tanto interesse da farlo sembrare una scoperta degna di Nobel. Non
riuscì
neanche a mormorare un “mi dispiace”, immersa
com’era nei sensi di colpa e
nella vergogna di aver tirato nuovamente in ballo un argomento off
limits, come
la sera prima riguardo Cambridge e la UCL. Improvvisamente Nicolas
allungò la
propria mano sul tavolo, andando a prendere quella di Dafne, che
immediatamente
si irrigidì. La ragazza alzò gli occhi e si
sentì sprofondare negli occhi neri
di Nicolas, nelle migliaia di emozioni che trasmettevano e
abbozzò un
leggerissimo sorriso. –Non ti devi sentire in colpa,
né imbarazzata. Non potevi
saperne nulla.- Dafne annuì leggermente e lui non si
mostrò propenso a scostare
la propria mano. Ogni millimetro di pelle interessato dal contatto con
la mano
elegante di Nicolas sembrava bruciare, ardere come una foresta appena
incendiata in piena estate e pregava inconsapevolmente che quel
contatto non
venisse mai interrotto.
-Buoni questi involtini.- Quelle tre, stupide parole furono le uniche
che
uscirono dalle labbra leggermente tremanti di Dafne. Sorrisero entrambi
prima
di scoppiare a ridere e tornare a dedicare la propria attenzione a quel
pranzo,
senza privarsi di qualche fugace occhiata mirata a guardare
l’uno il
comportamento dell’altro. Dafne non si era mai sentita
così fresca, così
leggera... Sembravano essere passati secoli dall’ultima volta
in cui il suo
cuore aveva battuto in quel modo per un tocco, per un gesto.
Dafne si stava guardando e riguardando allo specchio. Indossava
l’abito
monospalla nero che aveva acquistato il giorno prima insieme a Claudia,
abbastanza soddisfatto del risultato. I capelli castani erano lasciati
cadere
liberi e leggermente mossi, l’abito arrivava fino alla
metà delle cosce e ai
piedi portava delle eleganti scarpe nere lucide. Fece un paio di giri
su se
stessa, rifinendosi poi il mascara. Nel frattempo la porta di casa si
aprì ed
entrò Evan, che aveva citofonato pochi minuti prima. Si
avvicinò allo specchio
e si posizionò dietro le spalle di Dafne, baciandole con
dolcezza il collo. La
guardò dal riflesso.
-Come sta tua madre, amore?- Domandò dolcemente Dafne,
sistemandosi una ciocca
di capelli qua e là.
-Si sta riprendendo.- Disse sbrigativo. –Non sarà
troppo da donna di basso
borgo questo abito?- Aggiunse a sorpresa e Dafne spalancò
gli occhi indignata.
-Che problemi hai?- Si voltò di scatto, furente. Non era
abituata a sentirsi
criticare per gli abiti che portava, odiava mettersi in mostra ma ogni
tanto le
piace farsi un po’ più carina ed apprezzabile.
-Ho problemi dal momento che la mia fidanzata sembra debba rimorchiare
qualcuno.- Le fece notare la non lunghezza dell’abito e la
spalla lasciata
scoperta.
-Io sto con te e lo sanno tutti. Non posso più neanche
vestirmi decentemente a
vent’anni?- Sbottò, allontanandosi da lui e
andando a preparare la borsa.
-Ci sono vestiti e vestiti.- Evan si sedette sul letto, anzi per dirla
tutta si
stese comodamente.
-Sembri un marito cinquantenne che ha paura che la sua donna scappi,
santo
cielo!- Era nervosa, anche troppo.
-Di sicuro se fossi tuo marito non andrei in giro con una moglie che
sembra una
puttana!- Lo schiaffo che Dafne tirò a Nicolas fu
estremamente veloce,
perfettamente indirizzato alla guancia destra.
-Non ti devi permettere, stronzo.- Buttò la borsa sul letto
e con le lacrime
agli occhi andò in bagno. –Vacci da solo a quella
schifosa festa.- Sbatté la
porta del bagno e si sedette su una sedia, portandosi le mani fra i
capelli.
Era sempre così. Geloso, stramaledettamente geloso di lei.
Eppure lei non poteva essere gelosa. Se lei faceva o provava solamente
a fare
una scenata di quel tipo lui si offendeva, non le parlava.
Lei doveva essere perfetta, imperturbabile, l’ideale di
moglie perfetta
dell’ottocento.
Sempre pronta ad accogliere fra le proprie braccia il peggior esemplare
di
uomo.
Evan bussò con un tocco leggero alla porta e Dafne
alzò gli occhi, passandosi
le mani fra i capelli.
-Cosa vuoi?- Domandò con la voce leggermente rotta.
-Amore, aprimi. Ti voglio chiedere scusa. Il malessere di mia madre mi
rende
estremamente nervoso. Non me la dovrei prendere con te.- Dafne
restò per
qualche istante seduta su quella sedia, deglutì e si
alzò, andando ad aprire la
porta. Evan entrò, le portò le mani al viso e la
tirò verso di sé,
abbracciandola. Lei si lasciò stringere, immobile, incapace
di parlare e
respirare, piena di rancore, piena di noia, piena di esasperazione.
-Andiamo, sennò facciamo tardi.- Disse ancora stizzita e si
incamminò verso
l’uscita, prendendo il cappotto e specchiandosi
un’ultima volta.
Il tragitto fino al locale avvenne nel più completo
silenzio. Dafne poggiò la
fronte al finestrino ed osservò la città, mentre
Evan guidava, avendo
rinunciato ad instaurare una conversazione con la ragazza dopo un paio
di
risposte fredde di lei.
Le sembrava insopportabile stare in quella macchina con lui.
Le sembrava così chiuso, così limitato,
così incapace di qualsiasi sentimento,
di qualsiasi rivoluzione.
Le sembrava piatto.
Le sembrava di aver conosciuto tutto ormai di lui e che non ci fosse
più nulla
di esplorare nella sua mente.
Non era come Nicolas.
Quel pranzo con Nicolas sembrava averle aperto un mondo, un mondo di
sensazioni, di possibilità.
Come poteva vivere la sua relazione con Evan sapendo che lì
fuori, nel mondo,
c’erano ancora infinite possibilità?
Forse era sopravvissuta in quella opprimente relazione solo
perché non aveva
avuto mai il coraggio di conoscere altro.
Era sempre stata troppo ancora a loro, alla loro storia, alla loro
adolescenza
e non si era resa conto che nel frattempo il tempo era trascorso.
Aveva bisogno di aria.
Aveva bisogno di vita.
Sì, forse aveva bisogno di Nicolas.
Ma non fisicamente di Nicolas, ma dell’idea di Nicolas,
dell’idea di libertà,
di novità.
Guardò Evan e sentì il gelo nel proprio corpo,
nella propria anima, se esisteva
realmente un’anima negli esseri umani.
Quando Evan e Dafne entrarono nel locale, tutti gli invitati erano
quasi
arrivati; a occhio e croce c’era almeno un centinaio di
persone presente a
quella festa. Evan e Dafne camminavano l’uno affianco
all’altra nel più
completo silenzio; lui non aveva fatto nulla per avvicinare la ragazza
a sé,
per chiederle cosa non andasse e lei, di certo, non aveva fatto nessun
passo
nella direzione di lui, ferita com’era
nell’orgoglio e piena di dubbi e
problemi.
Si diressero sempre silenziosamente verso il bancone, scambiandosi un
paio di
sguardi ogni tanto solo per concordare se stesso camminando nella
stessa e
giusta direzione. Quando furono arrivati all’elegante bar di
legno scuro, Evan
ordinò per entrambi, come sempre, e si limitò a
porgere il bicchiere di
Cosmopolitan a Dafne, che a sua volta ringraziò incurvando
leggermente il lato
destro della bocca.
-Eccovi, siete finalmente arrivati!- Ben e Valerie arrivarono come una
furia
verso di loro: il classico esempio di coppia felice nonostante dieci
anni di
storia, con i loro bellissimi sorrisi impressi sulle labbra e sui denti
resi
perfetti da anni ed anni di dentista. Lui indossava un
abito blu notte con una camicia bianca sotto
e delle scarpe di pelle tirate a lucido; lei un vestito lungo verde
smeraldo,
probabilmente della miglior fattura, e delle splendide scarpe dorate
dal tacco
vertiginoso. Anche esteriormente trasmettevano equilibrio e perfezione.
-Tantissimi auguri, Val.- Dafne abbracciò l’amica
e poi salutò con due cordiali
baci sulle guance Ben, mentre Evan faceva lo stesso e porgeva il
pacchetto con
il proprio regalo a Valerie. Lei sorrise raggiante, probabilmente
soddisfatta
dell’importante firma letta sulla bustina e si
dileguò insieme al fidanzato
alla ricerca di nuovi ospiti da salutare. Dafne notò che
sfoggiava a destra e a
manca un enorme e stupendo anello che portava sulla mano sinistra: che
forse
Ben le avesse fatto una proposta ufficiale? Fece spallucce, tornando a
sorseggiare il proprio drink, con Evan sempre accanto a lei, come una
presenza
inevitabile e, soprattutto, insopportabile.
-Non ho visto ancora Claudia.- Disse ad un certo punto Evan, che aveva
affondato le mani nelle tasche dei pantaloni e si stava guardando
curiosamente
intorno. Dafne lo seguì nella sua ricerca ma non
riuscì a scorgere da nessuna
parte la chioma dorata dell’amica. Fece nuovamente spallucce,
sospirando.
-Avrà fatto tardi con la sua nuova fiamma. Sai
com’è fatta Claudia.- Si limitò
a dire.
-Eccome.- Mormorò semplicemente Evan, lanciando una fugace
occhiata alla
propria ragazza. Si andarono a sedere su dei divanetti in pelle bianca
ai lati
di quella che si stava trasformando in una pista da ballo, mentre i
camerieri
portavano bottiglie su bottiglie di champagne per scaldare la serata.
Dafne
pensò che per scaldare la sua di
serata ed il suo cuore ci sarebbe voluta come minimo una fiamma
ossidrica.
-Cos’ha tua madre?- Domandò Dafne nel tentativo di
fare un po’ di conversazione
e nel tentativo di schiarirsi le idee sulle programmate scomparse di
Evan.
-Polmonite. Non la vuole proprio smettere di fumare.- La
guardò, inarcando un
sopracciglio. –E’ un vizio comune.- Dafne colse la
frecciatina e sbuffò.
-Non ricominciamo per cortesia. Lei ha cinquant’anni, io ne
ho venti. Lasciami
in pace con le tue paternali almeno questa sera, Evan, non sei proprio
nelle
condizioni di farle.- Fu molto secca nel liquidarlo. Evan fece per
aprir bocca
ma la squillante voce di Claudia e la sua appariscente presenza
occuparono
interamente la visuale di entrambi.
-Buona sera, coppietta felice!- C’era un qualcosa di sadico
nella sua voce. In
una mano stringeva un calice di champagne e nell’altra la
mano di un ragazzo,
nascosto dalla penombra. Solo quando egli si avvicinò
maggiormente, venendo
illuminato da una luce che si trovava perfettamente sopra le loro
teste, Dafne
riconobbe Nicolas e per poco non le andò di traverso lo
champagne che stava
sorseggiando da qualche minuto. –Vi presento Nicolas.-
Guardò il ben noto a
Dafne ragazzo, sorridendo melliflua. –Nicky, questi sono
Dafne ed Evan,
prossimi al matrimonio.-
Prima che Dafne riuscisse a formulare un qualsiasi pensiero, riuscisse
a
decifrare lo sguardo di Nicolas e le emozioni che aveva provato nel
sapere che
lei era “prossima al matrimonio”, nonostante questa
fosse una totale menzogna,
e nel cercare di capire perché fosse talmente scombussalata
e gelosa per aver
visto Nicolas e Claudia insieme, Evan si alzò di scatto, i
muscoli del collo
tesi e lo sguardo decisamente furente. Sembrava essere totalmente fuori
di sé.
-Mi pareva di averti detto di non farti più vedere in giro,
Bermejo.- Ringhiò,
dando una spinta a Nicolas per allonarlo da sé. Nicolas si
limitò ad accennare
un sorriso ed affondare le mani nelle tasche dei pantaloni
dell’abito. –Quale
parte del nostro discorso non ti è stata chiara
all’epoca?-
-Forse dovrei fartela io questa domanda, Evan.- Nicolas parlava calmo e
Dafne
non capiva come loro due facessero a conosceri. Che problemi avevano,
soprattutto? Evan non le aveva mai accennato di litigi, di scontri con
un
qualche Nicolas Bermejo. –Quale parte del discorso non
è stata chiara? E quale
parte delle botte che hai preso non ti ha schiarito un po’ le
idee che hai in
quella testa bacata?-
-Non ti devi permettere.- Un’altra spinta. Nessuna reazione
da parte di
Nicolas. –Claudia, da quand’è che
frequenti questa feccia della società?-
Guardò la bionda che, intimorita, abbassò lo
sguardo e si avvicinò a Dafne,
lasciando Nicolas solo a fronteggiare Evan.
-Da quand’è che hai problemi con la gente?
Lascialo in pace e andiamocene.-
Dafne si intromise, afferrando Evan per un braccio e tentando di
allontanarlo
da Nicolas. Quest’ultimo la guardò in un misto di
dolcezza, comprensione e
gratitudine.
-Tu devi stare zitta e farti gli affari tuoi, stupida!- La spinse via
con
violenza, scaricando poi la rabbia accumulata sul volto di Nicolas con
un pugno
preciso. Claudia corse via a cercare qualcuno della sicurezza, mentre
Dafne
guardava attonita il proprio ragazzo e il labbro spaccato di Nicolas
che,
tuttavia, continuava a non reagire. Sapeva che Evan si stava
arrabbiando perché
Nicolas non gli stava dando di occasione di sfogarsi, non reagendo in
alcun
modo.
-Vedo che
non hai migliorato la qualità dei tuoi pugni, Evan.-
Sentì un
tono irrisorio nelle parole di Nicolas. –Ricordo che ti
consigliai una palestra
dove fare pratica, forse hai perso l’indirizzo.- Fece una
pausa, avvicinandosi
ad Evan sempre con le mani in tasca. –Forse vuoi che io te lo
risegni?- Fece
appena in tempo a terminare la frase che Evan si scagliò
nuovamente su di lui.
Dafne si intromise nuovamente, afferrando Evan per un braccio e
spingendolo
via.
-Lascialo
perdere, stai facendo una pessima figura.- Mormorò al suo
orecchio,
mentre la gente smetteva di ballare e li osservava perplessa. In tutta
risposta
Evan reagì a quella presa muovendosi con tanta energia e
violenza da far
schiantare un forte colpo della propria mano direttamente sul viso di
Dafne. La
ragazza barcollò, indietreggiando, e non fece in tempo ad
aprire bocca per
offenderlo, per fargli capire cosa aveva fatto, che Nicolas
colpì il volto di
Evan, prima di essere trascinato fuori da un buttafuori. Claudia aveva
detto
che era stato lui e non Evan a cominciare tutto. Chissà
perché.
-Amore,
scusami...- Improvvisamente Evan parve rinsavire e si voltò
verso
Dafne, ancora immobile con le mani sul proprio viso.
Indietreggiò
istintivamente.
-Lasciami
stare. Non mi devi toccare, maiale.- Con quelle parole si
allontanò
in fretta, gli occhi che bruciavano per le lacrime che volevano uscire,
il
cuore spezzato che quel colpo ricevuto fisicamente e moralmente.
-Allora
tornaci a piedi a casa!- Fu l’unica risposta che
sentì. Quando si voltò
per guardando in pieno volto, vide un occhio arrossato ed un labbro
leggermente
spaccato. Claudia al suo fianco che lo teneva per un braccio e una
folla di
invitati attonita che la guardava andare via. Camminò con
passo più deciso,
come trasportata in una dimensione parallela. Ritirò il
cappotto dal
guardaroba, sistemò la sciarpa intorno al proprio collo ed
uscì all’aria
aperta.
Cosa
diamine era successo?
Il
gelo della notte londinese sembrava acuire il suo dolore, sembrava
immobilizzarla all’interno di quel vortice di emozioni
contrastanti, di domande
senza risposta.
-Ti
porto io a casa.- Una voce calda, estremamente confortante la fece
voltare.
Nicolas Bermejo era lì in piedi affianco a lei, che le
tendeva la propria mano
e la guardava con dolcezza. Notò solo in
quell’istante che aveva il volto
sporco di sangue a causa del labbro e del sopracciglio spaccato.
Fortunatamente
non sembravano necessitare di punti e di cure ospedaliere quelle due
ferite. Dafne annuì inconsapevolmente,
come quando l’aveva invitata a pranzo quella mattina e prese
la sua mano. Lui
sigillò quel contatto con decisione e la tirò
verso di sé, accogliendola fra le
proprie braccia in un caldo e lungo abbraccio.
Quando
Dafne aprì nuovamente gli occhi, si ritrovò stesa
su un divano. Guardò
il soffitto e vide che era in legno, lei non aveva un soffitto in
legno. Si
sedette di scatto, guardandosi spaventata intorno e rendendosi conto
che si
trovava in una mansarda sicuramente non di sua conoscenza. Solo qualche
istante
dopo sbucò da una porta la conosciuta figura di Nicolas con
nelle mani due
grosse tazze fumanti.
-Dove
sono?- Domandò immediatamente Dafne, sentendosi
improvvisamente gelare.
-Siamo
a casa mia. Appena siamo saliti in macchina ti sei addormentata e non
sapevo dove portarti e non volevo svegliarti.- Fece una pausa,
sedendosi
affianco a lei. –Quindi ti ho portata qui. Mi dispiace se ti
ho creato un
qualche disagio, ma mi è parsa l’unica soluzione.
Hai dormito quattro ore
circa.- Le porse la grande tazza e lei la prese, ancora tremante. Era
té caldo,
talmente caldo da scaldarla solo tramite il contatto con le sue mani.
-Grazie.-
Mormorò, soffiando poi leggermente sulla bevanda.
–Per tutto.-
Aggiunse, sempre volenterosa di puntualizzare.
-Ti
senti bene?- Domandò, accennando un sorriso. Dafne
annuì, spostando poi lo
sguardo sul suo labbro e sul sopracciglio: le ferite erano state
ripulite dal
sangue in quelle ore. Lui allungò la mano a sistemarle una
ciocca di capelli
dietro le orecchio e a quel contatto rabbrividì per il
dolore. Si ricordò
improvvisamente del colpo di Evan e le salì la rabbia, la
tristezza, tutto il
rancore, tutti i dubbi. Nicolas parve comprendere il mix di emozioni
che si
fece spazio nell’animo della ragazza e chinò
leggermente il volto. –Hai un
brutto livido, mentre dormivi ci ho messo del ghiaccio ma non
è migliorato
molto.- Dafne si alzò in silenzio e si avvicinò
alla prima superficie
riflettente che vide. Il riflesso che vide la fece inorridire: il suo
viso di
per sé smunto e chiaro, era arrossato e tutta la gote destra
del viso era
leggermente violacea: lì si sarebbe creato un livido di
dimensioni e colori
biblici. Si passò le mani fra i capelli e guardò
Nicolas, tornando a sedersi
sul letto senza proferire parola. –A proposito,...- Si
alzò, cercando qualcosa
che Dafne non riusciva a vedere dietro il divano. -...Questo continua a
vibrare
da un bel po’.-
-Oh...-
Dafne prese il proprio cellulare fra le mani: venticinque chiamate
senza risposta di Evan. Continuava a suonare e Dafne sentì
il proprio cuore
stringersi violentemente. Guardò Nicolas e posò
il telefono a terra con un
sospiro.
In
quell’istante Dafne colse l’occasione per guardarsi
intorno mentre
continuava a bere il proprio té caldo. Si trovavano in una
mansarda di
dimensioni modeste: in quello che doveva essere il soggiorno
c’era il divano
dove si trovava, un televisore, la scrivania ed un letto a due piazze.
Scorgeva
la cucina, da dove prima era sbucato Nicolas ed un bagno. Viveva
lì allora? Da
solo? I suoi genitori dov’erano? Eppure quelle domande si
aggiunsero
all’innumerevole fila di quesiti che si era andata a creare
dopo
l’incontro-scontro con Evan alla festa di Valerie e Ben.
Guardò
Nicolas, affogando nei suoi occhi neri, e si domandò
mentalmente come
facesse a conoscere Evan e cosa li aveva accomunati in passato per
rendere così
aspro il solo vedersi. Lui ricambiò il suo sguardo, con quei
fantastici occhi a
mandorla che trasmettevano dolcezza, quei capelli neri leggermente
scompigliati
che ricadevano sulla fronte, il naso dritto, le labbra schiuse e
leggermente
gonfie per l’impatto con le nocche di Evan.
All’improvviso Nicolas le sorrise,
illuminando quasi la stanza con i suoi denti dritti, perfettamente
bianchi come
se appena usciti da una pubblicità di dentifrici.
-So
di doverti molte spiegazioni.- Disse ad un certo punto quasi leggendo
nella
mente della ragazza. Dafne si limitò ad annuire leggermente,
totalmente
ipnotizzata dalle sue movenze, dalle sue dita che le carezzavano
delicatamente
i capelli sciolti e scomposti. –Ma ora sei stanca e credo tu
debba riposarti.-
Continuò, mordendosi leggermente il labbro inferiore.
–Vorrei che tu rimanessi
qui questa notte ed anche domani, finché non ti sarai
ripresa ed il tuo viso
non sarà migliorato. Ok?-
-Come
farai con il lavoro?- Domandò sinceramente interessata,
sentendosi quasi
un peso per lui, che infondo era un completo sconosciuto.
-Domani
ho il turno fino a mezzogiorno. Se quando ti svegli stai male o hai
bisogno di qualcosa, chiamami senza farti problemi e torno subito a
casa.- Le
sorrise con dolcezza. –L’importante è
che tu stia bene.- A quelle parole il
cuore di Dafne fu sul punto di esplodere, di liquefarsi.
-Grazie.-
Mormorò, rendendosi solo in quel momento della loro
vicinanza.
Entrambi seduti sul divano con una tazza bollente fra le mani, la mano
di
Nicolas fra i suoi capelli.
-Ora
ti chiederei di spostarti sul letto.- Disse e Dafne avvampò
improvvisamente. Nicolas scosse la testa e ridacchiò.
–Io dormo sul divano
ovviamente.-
-Non
potrei mai chiederti tanto...-
-Infatti
te lo sto chiedendo, no ordinando,
io.- Dafne capì dal suo tono e dal suo sguardo che non
avrebbe accettato
repliche. Si alzò lentamente, posando la tazza sulla
scrivania, e si avvicinò
al letto.
-Ti
porto dei pantaloni della tuta ed una maglietta, così stai a
tuo agio.-
Fece per andare verso l’armadio ma si fermò,
tornando a due passi da Dafne,
troppo vicino. –Senti, vorrei solo dirti che quando dicevo
che tu eri diversa
dalle altre e che le solite sgallettate non mi interessano, lo dicevo
seriamente.- In quel momento Dafne ricordò il proprio
sconforto nell’averlo
visto con Claudia. –La tua amica, Claudia, mi ha attratto a
sé con i soliti
mezzi sfacciati, non saprei neanche dirti che tipo è per
quanto poco abbiamo
parlato...- Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata al ricordo
dei dettagli
prettamente sessuali del loro incontro. Nicolas portò le
dita sotto il mento di
Dafne, costringendola a guardarlo negli occhi. –Tu hai quel quid in
più, quel qualcosa che mi spinge
a cercarti, a voler passare del tempo con te anche se so che per il
momento tu
sei impegnata, anche se non saprei dire la stessa cosa del tuo
cuore...- Si
allontanò improvvisamente e il cuore di Dafne prese a
battere, mentre lo
guardava armeggiare con le ante dell’armadio. Le
portò una maglietta ed un paio
di pantaloni della tuta come promesso e la guardò
intensamente negli occhi.
–Abbiamo tutto il tempo del mondo infondo, no?- Con
quell’ultima,
sconclusionata frase, lasciò Dafne piena di dubbi accanto al
letto con i
vestiti fra le mani.
Su
una cosa aveva avuto decisamente ragione Nicolas: lei era impegnata, ma
il
suo cuore no.