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Autore: thewhitelady    20/08/2011    4 recensioni
1993-2009
Come deve essere vivere la storia degli Oasis e della scena rock britannica dagli anni 90' ad oggi? Cassandra Walsh è forse l'unica persona al mondo a saperlo. In più in tutto il caos della sua vita di sex, drugs, and rock n roll sa solo una cosa, che a volte il posto migliore da cui godersi un concerto è da dietro il palco.
Per chi ama gli Oasis e quei due pazzi fratelli, ma anche solo per chi ha sentito una volta nella vita Wonderwall o Don't Look Back In Anger e vuole scoprire chi sono Liam e Noel Gallagher. Per chi ha nostalgia dell'atmosfera degli anni '90, e chi neppure l'ha vissuta davvero. Per chi ama gli aneddoti del rock e della musica. Una canzone per ogni capitolo. Cheers!!
Gruppi/Artisti che compariranno: Oasis, Blur, Pulp, Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Kasabian, Paul Weller, The Stone Roses, The Smiths, Travis, Arctic Monkeys (un po' tutti)
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Gallagher, Noel Gallagher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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What a life it would be
If you would come to mine for tea
I'll pick you up at half past three
And we'll have lasagne
I'll treat you like a Queen
I'll give you strawberries and cream
And then your friends will all go green
For my lasagne

These could be the best days of our lives
But I don't think we've been living very wise
Oh no! no!


 

Il sole estivo della Gran Bretagna è qualcosa di speciale, bisogna esserci nati per viverlo a pieno. Era quel caldo piacevole che ti fa venire subito la voglia di buttarti sul prato di un parco, con l’erba che ti trasmette l’umidità delle piogge passate, e in mano una birra gelata, gli occhi chiusi a sentire solo le risate degli amici. Tutto il resto tagliato fuori.
Finora la mia estate non era stata nulla di tutto ciò e mi rimaneva solo la luce che riflettendosi sul bianco del mio vestito m’accecava, mentre i miei occhi erano occupati a rincorrere spezzoni di immagini.
Fine giugno, la melma di Glastonbury sotto gli anfibi indossati appositamente per l’occasione, mi trovo impigliata nelle orecchie la melodia di una canzone che potrebbe essere I’d Like To Teach The World To Sing – quella della Coca Cola, insomma –, ma che in realtà si chiama Shakermaker. La voce di Liam è più sguaiata che mai – chissà che aveva ingurgitato quel giorno? – e mi fa venire i brividi quando canta “Shake along with me”.
Mi viene un po’ da ridere a vedere com’è vestito quando finalmente riesco a farmi largo tra la folla del festival in delirio, con quegli occhiali da bancarella che dovrebbero essere dei Wayfarer e il maglioncino blu da bravo ragazzo che in realtà non è. E di fatti ringrazia prima di prendere una sorsata di birra e riattaccare con la canzone successiva, Fade Away, sotto un muro di chitarre. Tiro una gomitata a un ciccione per riuscire a sgusciare un po’ più avanti e guadagnarmi una vista migliore su quel che cercavo, devo lottare con una bionda con la permanente sino a fine canzone prima di riuscirci. Mi spunta un ghigno quando vedo come sia impalato Noel mentre suona la sua Les Paul, la prova di un festival come Glasto devono superarla tutti, mio caro, e gli occhiali da sole scuri da duro non ti possono aiutare. Intanto Ourkid tira fuori un tamburello – a forma di stella, e ripeto, a forma di stella – mentre parte quella stupida canzone. Digsy Deary non so debba andare fiero o meno d’avere ispirato il brano più cazzone registrato per l’album. In ogni caso alzo la mia birra in alto, spruzzando un po’ tutti attorno a me – ma questa è ordinaria amministrazione da festival – e mi metto a cantare pure io.
- These could be the best days of our lives, but don’t think that we’ve been living very wise, oh no, no, no! -.
Cambio scena. Sono in prossimità del retro palco, i capelli bagnati e sudati incollati al collo dopo aver pogato per almeno tre ore, Dio quanto amo i festival rock. Gettò a terra la lattina di birra ormai vuotamente inutile e m’avvicinò ancora di un paio di metri, il massimo che possa fare d’essere notata e allontanata da qualcuno della sicurezza. Tra le mille persone affaccendate nel backstage scorgo una una zazzera di capelli mossi che incorniciano un viso un po’ paffuto, dove balugina un sorriso vagamente isterico.
- Guigs! – prima ancora che mi possa controllare, il grido è partito. Subito mi maledico mentre il bassista si volta verso di me, ammicca e subito dà di gomito al suo vicino.
Ourkid si tira giù gli occhiali da sole e con un cenno della testa mi saluta, automaticamente un nodo mi si forma nello stomaco, ci vorrebbe dell’altra birra per scioglierlo… rispondo al saluto meccanicamente, Liam forse non lo nota neppure dato che si è voltato di scatto, come se qualcuno l’avesse chiamato. E solo nei confronti di una persona William John Paul Gallagher reagisce con tale repentinità, d’altronde lo chiamavamo The Chief mica per niente. Distinguo appena il baluginare dorato di una Les Paul cherry e decido che prima che sia troppo tardi sia meglio fare dietrofront e m’avvio decisa dalla parte opposta al palco.
Metà Agosto, sono in casa da sola con i bambini e sto imboccando Sara, la più piccola dei figli di zia Beth – senza contare ovviamente Josh, che  ancora se ne stava nel pancione della sopracitata -. In realtà non sto facendo un gran lavoro dato che sono molto più interessata a ciò che trasmette il canale musicale, infatti metà dell’omogeneizzato si trova sulla bocca di Sara – e zone limitrofe - e non nella bocca. Arriva la Top Ten della settimana. Live Forever, decima posizione. Tiro un urlo così acuto che sono sicura non possa essere mio, lascio cadere il cucchiaio con gran disappunto di Sara. Nel mentre arrivano nella cucina Aaron e James che tanto per cambiare stanno litigando, dovrei farli smettere o quantomeno sgridarli, invece afferrò il più piccolo per le ascelle, Jimmy, e mi metto a volteggiare per la stanza in preda a un delirio da baccante.
Fissai gli anfibi, che ancora indossavo dal Festival di Glasto, cercando di riprendermi dalle memorie che così spesso mi assillavano. Audrey da dentro la mia testa mi diede l’occhiata più truce del suo repertorio. Sbuffai, ok, in effetti tornare qui a Manchester non era esattamente la cosa migliore da fare: era settembre e ormai non potevo più stare a casa di zia Beth, tanto più che ora avevano una bocca in più da sfamare…tentai di scusarmi con la mia stessa coscienza. Forse in realtà non era la cosa migliore, però era l’unica che mi venisse in mente, starsene al nord in Scozia non mi pareva neppure un opzione.
Magari avrei provato a cercare lavoro nuovamente nel negozio di strumenti musicali, infondo mi piaceva stare lì, mi dissi sentendo però l’amaro della menzogna. In tanto di sicuro però non stavo facendo nulla per trovarmi un lavoro, certo almeno che fissare un prato –il prato, per essere precisi - potesse aiutarmi nell’impresa, sogghignai tra me e me.Gettai a terra il mozzicone di sigaretta e lo schiacciai sotto la suola pronta ad andarmene… Per gli occhiali di John Lennon!
- Non volevo –
Il cuore mi batteva ancora all’impazzata. 
- Scusa – ribadì l’idea Noel, come se non fosse del tutto convinto che avessi afferrato. Io però ero solo scossa ancora dall’essermelo trovato davanti così all’improvviso, quando ero certa d’essere l’unica persona presente in strada a quell’ora del mattino.
- Non so esattamente come si dovrebbe annunciare la propria presenza a una persona di spalle – bofonchiò seriamente, dopo una pausa di silenzio.
Aggrottai le sopracciglia, mi concederete che era uno strano preambolo dopo che non vedi una persona da tre mesi. M’immaginai cos’avrebbe detto invece una persona normale
Allora… sei stata a Glasgow?
Già, a quanto pare! Bel posto, passaci se puoi
Be’ il tempo deve essere stato buono come qui, avrai avuto belle giornate
Oh sì, cambiato pannolini, dato retta a donne isteriche e imboccato lattanti. Uno spasso!
Anche noi non ce la siamo passata male. Un singolo nella Top Ten, non so se hai sentito…
…Ok, ripensandoci la versione gallagheriana mi piaceva di più, s’adattava meglio a persone come noi due, qualsiasi cosa questo volesse dire e in qualsiasi categoria umana rientrassimo.
All’improvviso m’accorsi che non avevo spiccicato ancora una parola, per cui cercai di rimediare con un sorriso debole ma sincero.
Noel era ancora però molto greve, o almeno era quello che dava a vedere, prese una boccata di fumo dalla sigaretta che aveva in mano – Stavo pensando… -, contrazione molto vistosa delle sopracciglia, - che vita sarebbe se venissi a casa mia per il tè –
Una parte di me avrebbe voluto ucciderlo, l’altra scoppiargli a ridere in faccia. Compromesso, un po’ di sarcasmo: - Il successo inizia a darti alla testa se già cominci a fare auto-citazionismo –
Non colse la sfida nella mia voce. – T’ho vista cantarla a Glastonbury, eri lì –
Va bene, questa cosa m’ha stupita, non pensavo m’avesse vista.
- E ti piaceva, da quanto potevo vedere –
Assottigliai lo sguardo, - Se lo dici a qualcuno poi dovrò ucciderti, sappilo –
- Correrò il rischio, per il cadavere chiedi aiuto a Ourkid, sarebbe felice di darti una mano -.
Lunga pausa. Era davvero così assurdo come sembrava ritrovarci a cercare di comportarci come una volta? Sì, decisamente, ma non importava. Gli sfilai di mano la  B&H, fumai. Mi mancava. Mi mancava quella marca di sigarette, mi mancava quel prato che avevo visto una volta sola, mi mancava Manchester, mi mancava Ourkid, Guigs, Bonehead, persino McCarroll – più precisamente, lo sfottere e litigare con McCarroll – e mi mancava…
Noel interruppe il mio flusso di pensieri. – Allora? – chiese.
- Allora… cosa? –
- Se non te ne fossi accorta – fece saccente come sapeva essere – t’ho invitata a casa, non per forza per il tè, ma…vieni o no? –
Avrei voluto essere stronza, dirgli di no, affermare il mio tronfio orgoglio ma… - Va bene -. Infondo che male poteva farmi un pranzo? – Però niente lasagne – lo ammonii lapidaria.
- Ok, allora da mia madre per le sei e un quarto –
Feci in tempo solo ad annuire che lui s’era già voltato e con le mani in tasca si allontanava di buon passo. Audrey nel frattempo scuoteva il suo bel testolino fresco di parrucchiere.
 
- Oh -.
Margaret Sweeny Gallagher sapeva esattamente come falciarti con una sola sillaba, e non aveva paura d’usare questa sua capacità neppure d’avanti un ospite che sfoderava, sulla soglia di casa, il proprio miglior sorriso a trentadue denti, a quanto pareva, inutilmente.
- Buongiorno – replicai comunque senza badarci. In realtà era la prima volta che incontravamo in un modo, come dire, ortodosso. Le altre due, in un caso stavo sgattaiolando via dalla finestra dopo una notte passata con Ourkid, che però non ci teneva ancora a presentarmi a sua madre, – il mio osso sacro doleva ancora al ricordo della caduta nel cortile posteriore dopo averla vista spuntare alla porta della stanza, con quello sguardo che dice precisamente fornicatrice finirai all’Inferno -; mentre nell’altro ero soltanto semisvenuta per effetto sbronza nel giardino anteriore dopo aver “accompagnato” a casa sempre Liam. Forse un po’ di quell’oh me lo meritavo.
- Non credevo saresti venuta per davvero –
- Siamo in due, allora -. In effetti avevo ancora qualche dubbio sul fatto d’aver preso la decisione giusta.
Peggy tirò su col naso e arretrando in casa mi esortò – Su, entra -, fece cenno con la mano, - però lascia fuori quei cosi -. Fissai i miei anfibi con aria contrita prima di toglierli, infondo non erano così sporchi.
- Spero saprai che quei due hanno litigato per causa tua -, altra occhiataccia.
Dovetti contenermi per non sorriderle di rimando, chissà perché, nonostante il tono aspro che mi riservava Peggy mi stava simpatica. Forse perché sapevo cosa aveva passato e stimavo la sua tempra o perché aveva infondo contribuito a formare quei diavoli dei suoi figli, o a pensarci già per l’aver dovuto tenere in riga Ourkid – più o meno con successo - si sarebbe meritata un monumento. E poi era così diversa da mia madre…
Entrammo nella sala da pranzo e subito venni travolta da Liam – Cassandra! –, ruggì mentre mi sollevava dal pavimento, andammo a sbattere contro un paio di mobili ma non ci fece caso e continuò a stritolarmi sino a che non dovetti pregare per un po’ d’ossigeno. Mi mise giù.
- Ho la vaga sensazione d’esserti mancata –
Liam si tirò dritto e strofinò il naso, cercando quella che forse era la sua aria di contegno. – Sono solo felice che sia tornato qualcuno che possa rimettere in riga quel coglione – e puntò dietro di sé.
Noel gli soffiò un “vaffanculo” di ringraziamento, infine riprese a studiarmi con aria pensierosa e assorta, senza salutarmi. Quando voleva, sapeva come mettermi a disagio.
Feci finta di niente e andai piuttosto a scambiare un paio di battute con Paul, il fratello maggiore, c’eravamo incrociati di tanto in tanto al Boardwalk ma nulla di più. Peggy chiamò intanto sia Ourkid che Noel per dare una mano a portare in tavola, potevo sentire che era in atto una qualche scaramuccia su chi dovesse portare cosa che terminò in un sonoro scappellotto per entrambi.
Eravamo tutti a tavola, di fianco avevo Paul. C’era da dire una cosa, nessuno sapeva cucinare i cornish pasties meglio di Peggy e forse era proprio perché ero tanto concentrata su quelle delizie – alla cucina di zia Beth avevo preferito una dieta ferrea, tanto che tra cibo e vita sociale azzerata, in Scozia mi sembrava d’aver scelto una vita claustrale – che non mi pesava il silenzio opprimente che come una cappa era posato su tutti i commensali. A interromperlo fu Peggy, con quello che – andate pure a controllare – è segnato nel libro del Guinness come il preambolo più inopportuno e inimmaginabile di sempre: - Fai ancora sesso coi miei figli? -.
Un pezzo di carne si incastrò con incredibile tempismo nella gola mia, di Ourkid e pure di Noel. L’unico illeso fu Paul.
- Mamma… - mormorò The Chief a denti stretti.
Lei lo ignorò bellamente, e ancora fissava me in attesa di risposta.
- A onor del vero mi sono fermata a uno solo –
- E’ tanto che non lo fate? –
Liam – codardo – beveva un bicchiere d’acqua che sembrava senza fine. – Mamma! – ripetè di nuovo Noel, sempre in un basso ringhio.
Peggy si voltò verso il figlio – Che c’è? Sesso, ti da fastidio se dico la parola sesso? -, fece serafica. Lui sbuffò, le sopracciglia che formavano un segmento austero.
Io nonostante l’assurdità della cosa mi stavo invece cominciando a divertire, - In effetti non so bene, che dici Ourkid? – domandai spalleggiando Peggy che nell’incredulità della propria prole ormai faceva lo spelling di “fornicazione”. La scena del tè di Alice nel Paese delle Meraviglie al confronto era un esempio di urbanità, buone maniere e compostezza.
- Non mettertici anche tu – mi intimò Noel, fissandomi con occhi glaciali – Per favore. E passami l’insalata -.
Mi irrigidii contro lo schienale, - Non mi hai neppure salutato, di certo non ti passerò la fottuta insalata –
Imprecò a bassa voce, quasi tra sé, - L’insalata, prego –
- Dimmi ciao, Noelie –
Si tirò più avanti sul tavolo, mi puntò un dito addosso – L’ho già fatto – disse serio, sembrava un’accusa e io in quel momento seppi che era vero che l’aveva fatto, - Se solo guardassi più in là del tuo cazzo d’orgoglio, magari l’avresti notato -.
Tutti al tavolo eravamo ghiacciati nei nostri posti, me compresa. Sapeva imporsi maledettamente bene quando voleva.
Dovevo dargli punto, questa volta. Gli passai l’insalata, cercando di mantenere comunque l’aria più sprezzata che riuscissi a racimolare.
- Grazie -.
Riprendemmo tutti a mangiare. Da lì in poi non vi furono più domande materne inerenti la mia vita sessuale né richieste di passaggio di verdure.
 
Andai a fumare in salotto mentre gli altri sparecchiavano, godendomi uno dei privilegi degli ospiti: fare niente – o al massimo offrirsi di fare qualcosa e poi desistere al primo invito ad andarsi a rilassare -. Avevo sollevato con fatica una delle finestre a ghigliottina e avevo già acceso una Chesterfield  quando notai un movimento dietro di me. Ok, avevo tre possibilità su quattro, mi poteva andare bene, no? Sbirciai l’ombra: troppo magro, troppo basso, troppo poco donna. Era Noel.
Dovevo fare qualcosa prima che lo facesse lui, adocchiai il sacchetto che mi ero portata dietro e avevo posato sulla poltrona, quando m’accorsi che stava per aprire bocca andai a prenderlo e ne estrassi un pacco regalo rettangolare. La carta era spiegazzata, in un paio di punti pure bucata e il fiocco, con cui mi ricordavo d’essermi pure tagliata un dito nel tentativo d’arricciarlo, era andato perso in un qualche punto della tratta Manchester-Glasgow. Lo tesi a Noel che lo fissò come se si trattasse di un alieno.
- Te l’avevo preso per il compleanno –, feci monotono, - prima di quella cosa –. Lui mi guardò in cerca forse di un sorriso di distensione, - Non l’ho dato indietro solo perché ho perso lo scontrino – aggiunsi quindi io rapida.
Mi fissava ancora, senza la parvenza di un’emozione, - Grazie -. Quanto odiavo quando faceva l’educato. Capivo che stava per dire qualcosa.
- La carta non è un granchè, non so fare pacchetti e la scatola è schiacciata, però dovresti già ringraziare che cogli ottocento chilometri che s’è fatto non sia andato disperso e ora non ti ritrovi con la gabbietta di un coniglio – dissi tutto d’un fiato.
- Ok, basta con le puttanate – mi zittì pacatamente lui, poi riprese – Perché non rispondevi quando ho provato a chiamarti? –
- T’avevo detto che mi serviva del tempo. E’ questo che fa la gente quando ha bisogno di prendersi una pausa da qualcuno, non risponde al telefono e cose così –
- Erano passati due mesi –
- A quanto pare non era sufficiente – dissi cercando d’ammiccare – avremo due cognizioni del tempo diverse –
- Però sei venuta a Glastonbury –
- Amo la musica -, amo gli Oasis, avrei voluto soggiungere, - Non devo rendere conto a nessuno dei miei spostamenti – dissi testarda.
Fece un sorriso cinico – Va bene, ora dimmi la verità –
- Ok, basta con le puttanate -, gli feci il verso.
- Ti rivoglio indietro, – disse conciso – come roadie -.
Ecco come era Noel Gallagher: elementare, sicuro di sé, certo che sarei tornata a un solo schioccare di dita. E aveva ragione, e lo detestavo per questo.
- Per poi mollarmi quando ti farà comodo? –
Lo osservai, mentre lui se ne stava in silenzio, di solito riuscivo a capire – seppure in minima parte – cosa si muovesse dietro quegli occhi, ma non mi riuscì, mi metteva a disagio.
Un muro, era esattamente così. Felice? Una scrollata di spalle. Arrabbiato? Una scrollata di spalle. Triste? Una scrollata di spalle. Era in momenti come quello in cui apprezzavo sino infondo la fisicità spontanea di Ourkid.
Vedevo come stesse masticando in bocca parole che non riusciva a sputare fuori, come se di tanto in tanto in momenti come questi gli si ripresentasse la balbuzie di quando era bambino.
- Non… -, quanto sforzo per una frase, aspettai – Ti posso dire che cercherò di non fare più lo stronzo, o di essere perlomeno leale nella mia stronzaggine. L’hai detto tu: gli Oasis… la mia musica, sono la cosa più importante. In assoluto. – asserì con quel tono definitivo. – Tu fai parte degli Oasis, per questo vorrei tu tornassi indietro -.
In quel momento piombò nella stanza Liam con quella sua aria da cucciolo agitato, e diciamolo, un po’ cocainomane, solo allora m’accorsi di quanto effettivamente fossimo vicini io e The Chief. Interruppi il contatto visivo con lui e andai a prendere per un gomito il fratello minore, mi voltai verso Noel – Affare fatto -, ghignai prima di trascinare Ourkid verso il cortile posteriore
 
Il sole di inizio Settembre alle sette e mezza di sera non era esattamente quello più estivo però la sensazione dell’erba sotto la schiena, la voce di Liam e l’odore di sigarette spente nell’umidità del prato era quello giusto. Restammo così con gli occhi chiusi a chiacchierare come era nostra consuetudine per un bel po’, almeno sino a quando non sentii qualcuno sdraiarsi alla mia sinistra. Tenni le palpebre sbarrate, il chiarore dei raggi di sole che permeava ugualmente.
- Ha chiamato Alan McGee –
- Bene – ribatté Liam, sentii dal tono della voce che stava aspirando da una canna.
- Ha detto che abbiamo battuto il Three Tenors In Concert 1994 in classifica –
- Ovvio, sono solo dei cazzoni –. Non sapeva neppure di chi stesse parlando, troppo preso a fumare.
- Era stato dato come favorito in prima posizione – soggiunsi io, perplessa.
- Siamo primi in classifica –
Aprii gli occhi, accecata dal sole che riverberava sulle Adidas bianche nuove di zecca di Noel, sorrisi.
La voce tradì l’emozione stavolta, un mattone cadde dal muro. – Siamo l’album di debutto venduto più velocemente nella storia della Gran Bretagna – mormorò quasi incredulo.
A quel punto eravamo tutti storditi dalla notizia, completamente pietrificati, persino Liam non aveva mosso un muscolo. Io avevo una paresi facciale, e continuavo a sorridere come un’ebete.
- Che c’è? – mi chiese Noel con tono divertito, l’euforia che stava iniziando a salirgli nelle vene.
Lo guardai ancora un paio di secondi. Era una domanda stupida alla luce delle cose che aveva appena detto. Insomma, primi in classifica. Però… riappoggiai la testa sull’erba, - Niente -, chiusi nuovamente gli occhi, - E’ solo che è estate -.

What a life it would be
If you would come to mine for tea
I'll pick you up at half past three
And we'll have lasagne

These could be the best days of our lives
But I don't think we've been living very wise
Oh no! no!

 

 
  

Sono tornata! Dopo millenni, ma sono tornata! Il capitolo è stato un osso duro, e non voleva farsi scrivere e anche per questo  penso che non sia uscito un granchè, per cui gli associo la canzone più stupida di Definitely Maybe: Digsy's Dinner! http://www.youtube.com/watch?v=Ut4iv4HAaZM  Il link è al video del Live di Glasto 94'
Nient'altro da aggiungere, a parte buone vacanze, non scioglietevi sotto il sole (non so da voi, ma qua si muore) e... domani esce il singolo di Noel!!! (Ok, scusate lo sfaso noelliano xD)
Un grazie particolare va a NoeLIAm per aver aggiunto la storia alle preferite, e soprattutto perchè è una vera Madferit u.u
Enjoy yourselves and cheers^^

   
 
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