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Autore: Iridia    20/08/2011    2 recensioni
Alhira, sedici anni, nessun passato. Solo un vecchio istinto la guida attraverso il mondo, soltanto dolci occhi ambrati vede nel suo riflesso, nessuna traccia di una vita dimenticata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stelle di Roccia




Un piacevole cinguettio nell'aura dell'alba la svegliò dolcemente. Il pugnale ancora in mano, il viso rigato da un pianto continuo, gli occhi rossi e le membra doloranti.
Il tronco dell'albero, inciso secoli prima, aveva mantenuto la memoria di una vita spentasi troppo presto, le lettere scure erano ancora ben visibili. Ogni volta che Alhira le fissava, sentiva i sentimenti di Ferah fondersi assieme a quelli per suo padre in un vortice di rabbia e dolore.
Sapeva di non potersi chiudere in una bolla e smettere di vivere, ma non aveva la forza per farsi tutte le domande che le balenavano in mente. Avrebbe preferito diventare parte della terra, fondendosi tra le radici, trasformandosi in foglie e vento.
Si levò a sedere. Perché aveva chiesto di dimenticare? Perché suo padre le aveva detto di combattere, che aveva il diritto di vivere? Che pericolo correva? E perché Calen l'aveva chiamata? Cosa le avevano fatto?
Appoggiò una mano tremante sulla corteccia e si diede la spinta. Le gambe la sorreggevano appena e la testa girava. Dopo qualche tentativo, riuscì ad infilare il pugnale nel fodero appeso alla cintura. Era tremendamente debole, fisicamente e moralmente. Non avrebbe sopportato un altro sogno, un'altra coltellata nel petto.
Ma era in piedi. Stava reggendo le proprie paure, poteva sopportare, e per provarlo doveva solo andare avanti. Andare dritto, seguire la costa, rifare la stessa strada. Quella via già percorsa da felino, senza avere sensi di colpa. La via per Emtia.
 
Il caldo torrido di un'estate nel fiore dei suoi giorni inondava la foresta, che con le sue rigogliose fronde smeraldine, bloccava la brezza fresca proveniente dal mare. Alhira viaggiava di notte e dormiva di giorno, mangiando ciò che trovava, digiunando quando la stanchezza prendeva il sopravvento. Anche l'acqua scarseggiava; pur non essendo troppo a meridione, la siccità si presentava sempre puntuale e prosciugava la gran parte dei corsi d'acqua della penisola. Asidi, come la tomba di Nefral, scomparve tra le piante centenarie lasciando il posto a miglia di latifoglie. Ogni tramonto era un nuovo giorno ed ogni alba una nuova notte. Avvolta nel suo mantello nero, Alhira si confondeva tra la vegetazione come un'ombra. Silenziosa, nemmeno gli animali si accorgevano del suo passaggio, non la sentivano, né sembravano vederla.
I giorni passavano, la ragazza marciava decisa verso il luogo dove si era risvegliata. Aveva bisogno di una persona, l'unica che avesse riposto in lei tanta fiducia, che avrebbe voluto che restasse. Allora lei lo aveva minacciato pur di scappare, ed ora, tornava sperando lui la accettasse. Non era ottimista a riguardo; lo aveva ferito, trattato come un essere senza sentimenti. Forse non avrebbe voluto vederla, forse si era trasferito in un luogo più grande, in qualche città brulicante di biblioteche e grandi maghi. Glielo aveva detto lei: "Torna a casa, torna da Gelil, studia quel poco che ti manca e dai l'esame. Non preoccuparti di ciò che farò, saprò cavarmela." Magari le aveva dato retta, l'aveva dimenticata.
 
Nel pieno dell'ottava notte, quando Alhira aveva già raggiunto la Via degli Zoccoli, un'enorme figura nera sotto la luce lunare sorvolò la baia di Emtia. Un drago di modeste dimensioni atterrò sulla costa, svegliando l'intero villaggio. Alhira cominciò a correre, la curiosità era troppa. Quel villaggio era un mondo a parte, isolato e privo di qualsiasi dittatura. La pace regnava sovrana e le poche persone che vivevano in quelle casette di legno potevano definirsi abitanti di un paradiso terrestre. Un drago scuro che vi arrivava nel mezzo della notte non poteva portare altro che cattive notizie.
La ragazza raggiunse presto l'entrata alla cittadina, così si acquattò dietro ad un'abitazione ancora addormentata.
Una figura ammantata scese dall'animale e si diresse nel centro sotto gli sguardi attoniti degli abitanti. Nessuno disse una parola, rimasero a fissare l'uomo che poco a poco si avvicinava alla capanna del saggio. Lui, un vecchio magro e alto, era sulla soglia, ad aspettarlo. Entrambi entrarono richiudendosi la porta alle spalle. 
La ragazza lo avrebbe seguito, si sarebbe nascosta come solo lei poteva vicino ad una finestra, ma qualcosa la bloccava. Invisibile tra le ombre, Alhira lo guardava.
Era uscito di casa svegliato dai ruggiti del drago ed ora era sulla soglia della porta. Quella stessa porta che l'aveva fatta entrare. Il cuore saltò un battito; i suoi capelli, forse troppo lunghi per un mago, rilucevano dorati sotto la pallida luce che uno spicchio di luna proiettava sulla terra, gli occhi, che di notte diventavano d'oscurità e di giorno di smeraldo, cercavano di scorgere i due uomini nella capanna poco distante.
-Iethan … - mormorò senza nemmeno volerlo.
Il giovane si voltò verso di lei, ma l'oscurità la celava perfettamente, nascondendola dagli occhi altrui. Eccolo, lo sguardo che l'aveva svegliata, la sua prima immagine. Eppure, negli stessi tratti qualcosa di diverso si era intrufolato nel suo viso, senza cambiarlo.
Una parola. Iethan alzò la mano ed un globo di luce azzurra comparve sul suo palmo rischiarando i lineamenti della ragazza. Alhira abbassò i suoi grandi occhi d'ambra, come se potesse nascondersi. Sentiva il suo sguardo addosso, la guardava, la trafiggeva.
-Iethan.- ripeté.
Non ottenne risposta.
Combatté la paura, e lentamente, lo guardò. Lui era immobile, sul viso un'espressione indecifrabile, tra l'indifferenza e la confusione. Dopo quello che era successo, dopo avergli detto addio, dopo averlo minacciato, quella era la sua reazione?
-A-Alhira?- balbettò.
-Sì.- disse lei, facendo un passo in avanti.
-Che ci fai qui?-
-Avevo bisogno … - di cosa? Di lui? Di qualcuno che non la facesse sentire sola al mondo?
Non poté finire, perché le era già corso incontro abbracciandola.
Quelle braccia attorno al suo corpo, quella sensazione di sicurezza. Quella notte in cui lei aveva pianto e lui le era stato vicino.
Alhira lo strinse a sé, sentendosi ancora umana, dimenticando per un attimo Asidi.
-Mi sei mancata.- disse Iethan sorridendo.
Lei non rispose; nel suo mondo, nella sua luce, quello era un attimo di pace. Quella frazione di secondo per cui aveva tanto sofferto, un momento di calma in una tempesta. Non voleva lasciarlo, non ora che era finalmente dove avrebbe dovuto restare.
Una luce calda invase il villaggio, propagandosi ovunque, cambiando i colori, investendo le costruzioni.
-Dannazione.- Iethan la allontanò. -E' un richiamo. Aspettami dentro.-
-E Gelil?-
-E' via. Non uscire finché non sarò di ritorno, capito?- Alhira annuì, aspettando che la sua figura scomparisse nella luce.
La casa era come l'aveva vista l'ultima notte. Mensole colme di libri, pozioni, mazzetti di erbe aromatiche secche erano appesi agli scaffali, piccoli armadietti in legno scolorito erano disposti lungo le pareti. Un focolare, un tavolo traballante e qualche seggiola completavano l'ambiente.
Alhira si sedette a terra, davanti alla porta, dove una volta giaceva Ren, aspettando.
 
-Silenzio!- l'urlo scosse le pareti della capanna. Il saggio, in piedi di fronte ad una decina di maghi tra i quali compariva anche Iethan, ridusse la luce fino a farla diventare un bagliore che rischiarava soltanto l'aria della camera.  
-E' arrivato un messaggero da Asidi. Faralwen sta cercando una giovane donna, occhi d'ambra, capelli corvini, sedici anni, il suo nome è Alhira.- Iethan sussultò impercettibilmente.
-La ragazza è stata avvistata nella città di cristallo otto giorni fa. E' probabile che arrivi al villaggio tra poco. Chiunque la veda è pregato di portarla qui, viva. Emtia non ha guerrieri, perciò affido questo compito a voi.-
-Perché Faralwen la sta cercando?- chiese Laglor.
-Il messaggero non ha dato altre informazioni, giovane mago, mi dispiace.-
Prima che qualcun altro potesse proferir parola, il saggio spense le luci della sala, lasciando accese soltanto le poche torce magiche appese alle pareti.
-Andate ora.-
 
Iethan piombò nella casetta chiudendosi rapido la porta alle spalle. Aveva il fiatone e gli occhi sbarrati.
-Cosa hai fatto?- le chiese, tenendo la voce bassa.
-Cosa?-
-Ti stanno cercando! Faralwen!- Alhira si alzò, rabbrividendo al suono di quel nome. -E' arrivato un messaggero da Asidi! Cosa hai combinato?-
-Maledizione … -
-Alhira!-
-E' una lunga storia.-
-Allora sbrigati.-
Come quella notte con Drevan, Alhira liberò i propri ricordi e raccontò di quel mese trascorso a palazzo. Gli disse di Calen, Thorpen, Ferah e Lauce, e l'uomo dal mantello rosso. Un bruciore agli occhi la colpì mentre raccontava di Ril, di Erwan e di suo padre. Iethan l'ascoltava senza dire nulla, rispettando i suoi silenzi ed immergendosi nelle parole della ragazza. Ogni vicenda celava una sofferenza, un mostro che Alhira teneva nascosto, cercando di ricacciare indietro le lacrime che insistenti volevano scappare. Iethan lo capiva. Lui poteva leggere quegli occhi, gli stessi che lo avevano fissato spaventati quando si era svegliata, quelli che gli avevano detto addio lasciando in lui una profonda ferita che ancora bruciava, cercando di rimarginarsi, assaporando quei momenti di solitudine.
-Tutto bene?- fece lui. Alhira si era bloccata, guardando l'alba che poco a poco colorava il cielo. Seduta a terra, le ginocchia strette al petto ed il viso diafano illuminato dalla poca luce dorata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile. Iethan la guardava, esaminandone l'espressione, beandosi di quel momento. Alhira non poteva aver abbastanza colpe per essere ricercata da Faralwen in persona. Si sentì uno sciocco, poco prima aveva dubitato di lei, aveva avuto paura. Risentì le proprie parole prendere un tono sempre più accusatorio. Cosa hai fatto?
Un tremendo impulso di prenderle la mano e dirle che sarebbe finito tutto, che avrebbe ricordato. Avrebbe voluto farla sorridere, svuotare quella mente dal dolore, vederla di nuovo come quella notte, una bambina che scopre la terra. Senza un mondo che la cerca, senza un passato che la tortura, circondata da luci e magia.
-Sì, tutto bene.- disse lei scuotendo la testa, come per risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti. Iethan la fissava, ma in quello sguardo non c'era nulla di sbagliato. Non era curiosità, né impazienza.
-Mi cercavano … anche prima che dimenticassi.-
-Alhira, tu non hai fatto nulla.-
-E se invece sì? E se lo scopo era proprio eliminare dalla mia memoria quello che ho fatto?-
-Cosa avresti potuto fare per attirare l'attenzione di Faralwen? Hai sedici anni maledizione!-
-E se fossi un'assassina?- Un silenzio pesante cadde improvvisamente nella stanza.
-Lu-lui non si scomoderebbe per un omicidio. Deve esserci un errore, ti hanno scambiata per un'altra.-
-Allora l'uomo che mi ha … sottoposto a chissà quale incantesimo, cosa ha fatto esattamente?-
-Non lo so …- Iethan aveva abbassato la testa, pensoso.
Aspettarono, in silenzio. Alhira percorreva con un dito le scanalature del pavimento mentre Iethan cercava un collegamento logico tra i ricordi della ragazza ed i fatti accaduti una settimana prima.
Passi, lontani braccia e braccia, giunsero alle orecchie di Alhira. Si avvicinavano nel silenzio della mattina.
-Hai sentito?- fece a Iethan, immerso nel suo mondo.
-Cosa?-
-Sta arrivando qualcuno.- come poteva saperlo? Le parole erano uscite istintivamente, le sue orecchie erano riuscite a cogliere un suono così distante.
Alhira si alzò ed aspettò che una figura bussasse alla porta; finora il suo istinto non aveva fallito, e se una voce dentro di lei le suggeriva cosa fare, lei le dava ascolto, riponendo una cieca fiducia in essa.
Le sue previsioni si rivelarono veritiere; pochi e timidi colpi si udirono provenire dalla porta.
-Nasconditi.- disse quasi senza voce Iethan per non farsi sentire. Alhira si rifugiò nella sua vecchia camera, rimanendo in ascolto.
-Iethan, apri. Ti devo parlare.-
-Chi è?-
-Laglor.- il ragazzo lo fece accomodare, guardandosi attorno per controllare che di Alhira non vi fosse nemmeno l'ombra. Sapeva che era agile e silenziosa; poteva star tranquillo.
-Cosa ti porta qui a quest'ora del mattino?-
-Iethan, devo chiederti una cosa.- disse il mago facendosi ancora più serio in volto. Le sue mani erano congiunte e gli occhi fissi su un punto indefinito del tavolo.
-Ricordi il plenilunio del mese scorso?-
-C-certo.- maledetta memoria allenata.
-Quella ragazza che era con te, quella che adesso è lontana da qui. Lei corrisponde alla descrizione.-
Iethan rimase pietrificato, incapace di trovare risposta.
Alhira sentì che la barriera sicura che Emtia creava attorno a lei cominciava a creparsi, preparandosi ad un imminente fragore di armi e di uomini che la cercano, che controllano ogni vicolo, per assicurarsi che innocenti occhi d'ambra e sedici anni di vuoto potessano finire tra le mani del Supremo. Si lasciò scivolare lentamente contro la parete, pensando a dove sarebbe andata questa volta.
-No, l-lei non può essere Laglor.- Cosa avrebbe dovuto fare? Mentire. -Lei aveva gli occhi neri, e … -
-Qual'era il suo nome?- l'uomo si sporse in avanti, sicuro delle proprie teorie.
Alhira pregò che Iethan le trovasse un nome fittizio, tanto per sviare le ipotesi di Laglor. Non sarebbe rimasta ancora molto in quel villaggio.
-Astra.- fece lui con un tono deciso, senza balbettare.
-E se fosse un nome falso che ti ha dato?-
-Laglor, capisco la tua voglia di svolgere al meglio il compito a noi affidato, ma lei … lei non c'entra. E' andata via ora, è tornata da dove era venuta.-
-Dove?-
-Non l'ha detto. Ora se non ti dispiace, vorrei chiudere qui questa faccenda. Vedrai, se la vera ricercata mai metterà piede ad Emtia, non farà nemmeno in tempo a dire una parola.-
-Io mi fido ti te, ragazzo.-
Alhira non volle sentire cosa si dissero dopo. Non voleva pensare ad un'altra fuga da un'altra caccia. Non ora. Lasciò che il sonno l'avvolgesse, lì, seduta contro la parete, stremata dal viaggio.
La pioggia cade pesante sulla terra, rumorosa ed imperterrita. Vento sconvolge le fronde, e fulmini squarciano le nubi. Una meravigliosa sensazione mi percorre, elettricità, energia. Entro nella stanzetta piccola e fredda. Quella vecchia, piena di ricordi, è stata ridotta a cenere nell'incendio. Ril ha messo qualche oggetto recuperato dal fuoco qua e là, cercando di riempire un vuoto che nulla, se non il passato, mai potrà colmare. Un libro annerito dal fumo, una piccola scultura in legno, tende di un colore spento che aveva pagato poco al mercato.
Ma era comunque meglio di niente.
Dalla finestra non si vede nulla se non una confusa macchia scura. Eppure un bagliore blu appare per un attimo sul vetro, scomparendo così come è arrivato.
Quindi, finisce così. Faralwen vince. Un essere umano lontano miglia e miglia è riuscito a rovinarmi, a spegnermi.
Un'ultima notte. Forse una notte solitaria, per pensare, piangere, e dire silenziosamente addio alla mia vita passata. Mi siedo sul giaciglio, sotto la finestra che ogni tanto getta lampi bianchi provenienti dalla tempesta. Rimango a fissare il vuoto, sentendomi più indifesa che mai, senza più la stessa potenza di un tempo, senza più nemmeno la voglia provarci.
Domattina, all'alba. E' così strano essere sicuri del momento, prefissarlo ed attendere. Fa male, più di quanto non lo faccia saperlo all'improvviso. Ma Erwan aveva bisogno di tempo, ed io gli ho lasciato tutte le ore di studio che mi ha chiesto. Vuole essere sicuro; se qualcosa andrà storto, Ril potrebbe non perdonarglielo. Ril non perdonerà neppure me.
Mi odierà per sempre, mi odierà perché ho scelto la via più facile; smettere di combattere, nascondersi e far finta di non essere mai esistiti. Cambiare il proprio aspetto, scappare, lasciare che Faralwen si arrenda all'idea della mia morte. Perché così deve essere, per lui dovrò morire. Ed in un certo senso, lo farò.
Da quello che lessi assieme ad Erwan, l'incantesimo dovrebbe spazzar via la mia memoria come un uragano, senza lasciare traccia, ma tutto ciò dipende dalla potenza del mago. Lui è bravo, ha studiato per quindici anni, ha talento, e soprattutto, ha la mia completa fiducia.
Eppure ho paura. Alhira, la ragazza che potrebbe ribaltare il mondo, è stata abbattuta, ed ora si rifugia nella sua cameretta a pensare alla propria vita. Ma se il prezzo per combattere è questo, perdere mio padre, mia madre, mettere in pericolo chi mi conosce, allora preferisco sparire, diventare un'altra persona per non permettere più a nessuno di ferire Ril ed Erwan.
Rimarrò qui. Aspettando l'alba, assaporando la mia ultima notte.
-Non è l'ultima.- disse Alhira, aprendo gli occhi.
-Ultima cosa?- chiese una voce.
La ragazza si alzò di colpo, confusa dalla presenza. I capelli, ancora più scompigliati del solito, erano una nuvola nera che le ricadeva sugli occhi. Qualcuno le liberò la vista con tocco angelico.
-Ciao.- sul viso di Iethan si era dipinto un sorriso, seduto sul letto, vestito con una vecchia tunica grigio scuro. -Come stai?-
-Meglio, in un certo senso.- Se fosse stata sincera gli avrebbe detto quanto male provava, quale sofferenza si celava sotto quel timido sorriso appena accennato. Eppure, i suoi occhi verdi irradiavano una rara serenità, qualcosa che Alhira non vedeva da troppo tempo. Le infondevano un senso di pace, erano una piacevole parentesi felice in un mare oscuro.
Iethan era entrato nella stanzetta appena dopo che Laglor ebbe lasciato la casa. L'aveva trovata addormentata, con due occhiaie violacee che segnavano la fatica e la stanchezza che l'avevano travolta. Così l'aveva posata sul letto, ed aveva aspettato.
-Hai fame? Scommetto che mangeresti volentieri qualcosa.-
-Sì.- disse Alhira massaggiandosi la fronte con una mano.
Quel sogno … era stato come rivedersi dall'alto. Come sentire i vecchi pensieri amplificati, come essere sé stessi ma allo stesso tempo essere lontani dal corpo. Si era sentita divisa, aveva guardato il ricordo da più angolazioni, e come in tutti gli altri, aveva aperto un'altra cella della sua prigione di immagini.
Seguì Iethan, che, indaffarato, cercava qualcosa da farle mangiare tra barattoli di spezie e piccoli manuali infilati nei posti più impensabili. Alhira si sedette e la seggiola scricchiolò pericolosamente.
-Ecco, spero possa essere abbastanza … non abbiamo molto.- fece lui, posandole davanti qualche mela, una pagnotta ed una fetta di formaggio giallino e maleodorante. A lei non importava; era da giorni che pativa la fame, avrebbe mangiato qualunque cosa le avesse dato.
Stava mordendo la lucida e scarlatta buccia di una mela, quando le venne in mente una domanda che la tormentava.-Dove andrò adesso?- la serenità sul viso di Iethan si spense come braci sotto un temporale.
-Puoi restare se vuoi.- lui per primo sapeva quanto stupida fosse quella affermazione, eppure era arrivata senza preavviso, uscendo dalle sue labbra quasi involontariamente.
Alhira sorrise amaramente. -Sai che non posso.-
-Ma io posso venire con te.- Iethan si sedette di fronte a lei.
-Non dire sciocchezze, mi danno la caccia. Saresti in pericolo.-
-Facciamo finta che non mi interessi quanto pericoloso sia, tu mi permetteresti di seguirti?-  
-No. Non se ne parla, ho dimenticato per non far del male alle persone che amavo. Se facessero del male a te …-
-Alhira, ora ti cercano soltanto qui e ad Asidi, ma presto la voce si diffonderà ovunque se Faralwen ti vuole così tanto. Avrai un mondo contro!-
-Combatterò contro il mondo, allora.-
-Non puoi. Finirai a passar la vita in cerca di un nascondiglio. Anche l'uomo più potente non riuscirà a scappare da migliaia di villaggi, a far cambiare direzione alla corrente.-
-Ma è solo Faralwen la corrente.-
-In primo luogo, non lo sai. Potrebbe essere soltanto lui oppure un intero territorio, e secondo, Faralwen regna in una città chiamata Draelia, non so se ne hai già sentito parlare …-
-Quareon. Sì lo so.- lo interruppe.
-Bene, allora saprai quanto sia facile entrare e come siano ospitali!- disse sarcastico.
-Cosa vuoi che faccia allora? Vuoi che stia qui, ad aspettare?-
-Non dipende da cosa voglio io, dipende da cosa è meglio per te. Non sai abbastanza di te stessa ancora, e non sei abbastanza forte da poter girovagare da sola.-
-Andrò a Nord, stanotte, da sola.-
-Sei testarda! Io voglio venire.- Iethan si sporse in avanti, negli occhi solo sincerità.
-Devo pensarci.- disse Alhira alzandosi. Il mago rimase a guardarla andarsene nella camera.
 
Durante il pomeriggio, Alhira dovette rimanere chiusa nella piccola stanza di Iethan mentre lui riceveva i pazienti. Aveva sfogliato decine di libri di incantesimi, in cerca di quello giusto, quello che le avrebbe detto come Erwan le aveva rimosso i ricordi. Ogni tomo che metteva via, nella pila di volumi sulla sua destra era un briciolo di speranza che si spegneva.
Intanto pensava; Iethan non poteva seguirla, non avrebbe potuto sopportare che gli succedesse qualcosa, era nato un legame con quel ragazzo, qualcosa che non sapeva definire, che in quel momento non avrebbe voluto si evolvesse. Era l'unica persona che aveva vicino e di cui si fidava ciecamente. Se lo avesse lasciato ad Emtia, assieme a lui sarebbe rimasto anche un pezzetto di lei, piccolo ma pulsante di vita.
Prese il pugnale, nel suo fodero decorato da disegni dorati, appariva un'arma innocua, una lama che nella mani di una ragazzina non avrebbe potuto mai far del male. Una delle pietre azzurre fu attraversata da un barlume di luce.
Iethan era entrato in silenzio. Il tramonto lasciava ormai il posto alla notte colorando le superfici di un indaco spento.
-Hai deciso?-
-Sì.- Iethan si mise a terra con le gambe incrociate, di fronte a lei, appoggiata al letto. -Andrò da sola.-
Lui sospirò. -Non è mai stata una decisione per te, vero? E' sempre stata l'unica via, fin dal primo incontro.-
-Non capisco.-
-Lasciati aiutare, pensi che non sappia a cosa vado incontro?- le prese una spalla ed abbassò il volto per incontrare i suoi occhi, fissi sul pavimento ligneo.
-Non voglio perdere più nessuno. Non voglio vedere soffrire, non posso andare avanti se ogni notte il passato ritorna ogni volta più doloroso. Non saprei come rialzarmi se succedesse qualcosa a te, o a Ril, o a Erwan.- disse lei, quasi in un mormorio.
-Sei più forte di quanto tu ora creda. Lascia che venga con te, ora sono un vero e proprio mago, per diventare guaritore dovrò far qualche anno di pratica, ma questo posso anche rimandarlo. Non sono legato qui in alcun modo.-
-E Gelil? Cosa penserà?-
-Io e Gelil non parliamo molto da quando è successo … beh, quello che è successo a Ren. Lei ha iniziato a frequentarlo, così ci vediamo ancora meno. Ultimamente viene una volta o due a settimana. Penso che se partissi la libererei di un peso.-
-Non dire così, lei ti vuole bene, insomma, ti ha cresciuto.-
-Già, e forse è arrivato il momento che lasci il nido, giusto? Meglio tardi che mai.-    
-Sappi che non te lo perdonerò.-
Sul viso di Iethan si dipinse un sorriso.
-Partiremo questa notte. Andrò io per prima, e dopo un'ora, mi raggiungerai.-
-Qual è la nostra meta?-     
-Sorpresa.-
 
Dopo aver consultato attentamente la mappa dei Territori d'Oriente, Alhira decise di muoversi verso Nord, puntando in direzione di Olniar, un villaggio posto sul limitare della foresta, laddove i terreni rocciosi incontravano la morbidezza della terra solcata da radici di alberi secolari. Iethan avrebbe portato con sé le provviste ed i propri oggetti personali, mentre lei avrebbe trasportato il resto, in modo da avere un carico più leggero che le permettesse più movimento. Era Alhira che, in caso di necessità, avrebbe dovuto combattere, e Iethan, essendo agile come un tronco, l'avrebbe aiutata con la magia.
-Hai avvertito Gelil?-
-Andrò da lei quando tu sarai già partita.- rispose lui mettendo via una lunga tunica nera.
-Mi dispiace.-
-Di cosa?-
-E' colpa mia se il vostro rapporto è cambiato. Se non avessi …-
-Non è vero, Alhira. Non l'avrei appoggiata comunque se avesse voluto iniziare un relazione con Ren, quell'uomo non mi è mai parso una persona di cui fidarsi. Da quando ha voluto aggredirti, beh, ha confermato tutte le mie ipotesi.- la interruppe.
Alhira non aggiunse altro e con grazia si avvolse nel mantello scuro come l'ombra.
-Tra un'ora, al salice. Ti aspetto, avventuriero.- gli fece l'occhiolino aprendo una finestra che dava su una zona poco visibile della strada, vicina ad un'altra parete priva di aperture di un'abitazione più grande.
-Fai attenzione.- gli sussurrò Iethan sorridendo.
-Questo dovrei dirlo io a te.- e come una folata di vento, scomparve tra le vie deserte del villaggio.
 
Iethan fu ancora solo, circondato dal silenzio che ultimamente era diventato quasi familiare. Le ultime settimane erano state orribili. Poi era arrivata lei. Un vento d'aria nuova, aveva portato la sua voce, le sue sofferenze e le sue paure in quella prigione. E lui non poteva fare a meno di guardarla, ammirare la forza che nascondeva sotto un velo di timidezza, scrutare quegli occhi di un colore così strano e vederne il riflesso di una vita passata che la tormentava.
Aspettò qualche minuto, e dopo aver controllato che nessuno lo potesse vedere, uscì, chiudendosi la porta alle spalle, la stessa che si era aperta per lui fin da piccolo.
Lei doveva essere a casa di Ren, forse tra le sue braccia, avvolta da un sonno privo d'incubi, accecata dall'amore.
Nessuna luce proveniva dall'interno della costruzione. Piccola e accogliente, era circondata da un giardinetto ricco di piante profumate che nel pieno dell'estate liberavano nell'aria dolci essenze fruttate. Iethan infilò una mano nella sacca e ne estrasse una busta ingiallita. Era in quell'involucro cartaceo che aveva rinchiuso il suo addio.
Rimase a fissarlo risentendo nella sua mente le parole che le aveva scritto con un groviglio di emozioni tra le dita, nel cuore. Spinse la lettera sotto la porta e rimase ad aspettare, come se qualcuno dovesse venire ad aprire.
Uno scricchiolio, piedi camminavano nudi sul legno di fronte all'entrata. Secondi di attesa. Iethan trattenne il respiro e, lentamente, indietreggiò, preso alla sprovvista.
La porta si dischiuse, ed una giovane donna comparve sulla soglia. I suoi lunghi capelli di un nero bluastro avvolgevano un viso pallido. Un paio di grandi occhi scuri si alzarono dalla busta a Iethan, fermo a qualche braccio da lei.
-Iethan? Cosa succede?-
-Me ne vado.-
Le carnose labbra scarlatte della giovane si dischiusero leggermente in un'espressione confusa. La morbidezza di quel corpo, avvolto da un leggero vestito cremisi che ne risaltava la sinuosità delle linee, era nuova al ragazzo.
-Perché?- anche la voce, prima acerba e acuta, ora matura e suadente, era diversa. -Mi avresti lasciata con una lettera?-
-Devo andarmene da qui.- abbassò gli occhi.
-Sei grande, puoi fare le tue scelte, sai che non ti ho mai obbligato a fare quello che non volevi. Almeno dimmi il perché.-
-Una missione.- non poteva dirle di Alhira, così era costretto a mentire.
Gelil capì; il suo vecchio istinto materno rinacque, rivelando la menzogna del mago, inesperto nell'arte dell'inganno. Con la busta ancora tra le mani, si avvicinò a lui, mentre timide lacrime le inumidivano le lunghe ciglia.
Le sue calde braccia lo avvolsero in un abbraccio colmo di dolcezza. Iethan rispose, sentendo vicino a lui la vera forma di colei che era stata sua madre, inebriandosi di quel profumo che l'aveva cresciuto, toccando quei capelli lunghi fino alla vita, ribelli e mossi.
-Fa attenzione.- gli disse lei, accarezzando i capelli dorati del suo unico figlio, di quel bambino che aveva preso sotto la sua ala protettiva da anni. -Inviami tue notizie appena puoi. Devi promettermelo.-
-Certo.- Disse Iethan, respingendo le lacrime, dimenticando gli scontri nati negli ultimi giorni.
Gelil lo lasciò, ed asciugandosi gli occhi, sorrise. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, che quel giovane non sarebbe potuto rimanere in un villaggio come Emtia. Così si era abituata all'idea, e aveva già pianto in silenzio, da sola, con la mente piena di quella tristezza, immaginando ciò che ora stava accadendo.
-Addio, Gelil.- La voce di Iethan era bassa, un po' tremante per l'emozione.
-Addio.-
 
"Non è difficile da raggiungere, si nota subito" le aveva detto Iethan mentre decidevano il loro punto d'incontro. Infatti era enorme; un salice piangente dal tronco largo ed inciso dal tempo si ergeva potente vicino alla costa, i rami, che scendevano sottili e leggeri dall'alto, si muovevano ai sospiri del vento. Era un luogo magico; davanti alla spiaggia fine e bianca sotto la funerea luce lunare, era protetto da arbusti ed altre piante che lo circondavano, lasciando però uno spiraglio di spazio, così che quell'essere antico potesse guardare il mare d'argento. La sabbia, trasportata dal dolce sussurrare dell'aria, ne circondava le radici, ricoprendo il terreno di un impalpabile strato di soffice polvere.
Alhira si sedette, intimorita dal pesante silenzio che gravava sulla natura quella notte. Si tolse il cappuccio ed appoggiò la testa alla ruvida corteccia, attendendo.
Qualcuno, dal passo pesante e dal respiro affannato, stava giungendo. Alhira non dovette nemmeno voltarsi per riconoscere Iethan che con scarsa grazia si sedeva stanco contro l'albero. Non disse nulla e si prese la testa tra le mani. Alhira, seduta verso il mare, si piegò di lato per guardarlo in viso, ma tutto ciò che vide furono lunghe dita che coprivano i suoi occhi.
-Tutto bene?- chiese lei, leggermente preoccupata.
-S-sì- disse, sulla pelle ancora il profumo della vera Gelil, quella senza strane pozioni che ne cambiavano l'aspetto o che ne modificavano l'età.
-Iethan, se non vuoi affrontare questo viaggio, non c'è bis …-
-E' tutto a posto, davvero.- la interruppe, senza muoversi.
Alhira posò una mano sul braccio del ragazzo e con un movimento rapido fu al suo fianco. Rimase a guardarlo.
Non aveva mai avuto né il tempo, né la forza per rievocare la sua immagine durante la permanenza ad Asidi. Così si trovava solamente ora, travolta da una sensazione così estranea e sconosciuta, a fare i conti con ciò che provava. Un dolce affetto, un'amicizia, qualcosa di più. Adesso però non c'era più nessun vecchio istinto, nessuna voce che le suggerisse cosa fare. Una sensazione di calore si diffuse dall'addome fino alla punta delle dita, ribollendo di confusione e paura. Era come spiccare il volo aggrappata alle scaglie di Lauce, eppure i suoi piedi toccavano terra.
Investita da un'onda di sicurezza, avvolse con l'altro braccio le spalle di Iethan, appoggiando la testa sulla sua tunica. Non sapeva cosa era giusto fare, cosa bisognava dire. Così rimase immobile, come aveva fatto lui quando si era risvegliata. I ruoli si erano invertiti, bilanciando la loro situazione, mettendoli sullo stesso piano.
Iethan, immobile, pensava. Cercava in qualche modo di realizzare ciò che era appena successo. Non avrebbe mai pensato fosse così difficile, terribilmente doloroso. Gelil era sua madre ormai, e da quando era piccolo aveva sempre rappresentato la figura materna che non aveva mai incontrato. Vederla in lacrime, vederla piangere per lui era qualcosa di straziante. Il dolore che nasce in un figlio nel vedere la propria madre piangere è enorme, e poco a poco distruggeva le barriere che lo separavano dalla crudeltà del mondo, dandogli la consapevolezza dei suoi anni, del suo corpo ormai diciottenne.
Il contatto con Alhira lo riscosse dal baratro di tristezza e nostalgia. Tremavano forse quelle mani che cercavano di consolarlo? Era timore quello che le faceva battere forte il cuore?
Iethan si scoprì il volto, rivelando un luccichio sulle sue iridi scure. Avvolse il suo braccio attorno alla vita della ragazza e si voltò verso di lei. Gli occhi ambrati, prima fissi su un punto indefinito sulla sabbia, incontrarono il suo sguardo, ritornato quello di sempre. Le sorrise e cancellò ogni traccia di lacrime dal volto con un rapido gesto della manica.
-Andiamo?- le chiese in un sussurro, come se non volesse svegliare il bosco attorno a loro.
-Sì.- disse Alhira, annuendo impercettibilmente. -Iethan, mi dispiace.-
-Non è successo nulla.- e sul suo volto si dipinse quell'espressione di serenità che calmava l'animo di chiunque, scaldando l'aria. Si alzarono insieme, la mano del ragazzo ancora attorno a lei.
Alhira la guardò, e Iethan, repentino, la lasciò, mascherando il gesto scrollandosi la sabbia di dosso. La ragazza arrossì, abbozzando sulla sua pelle diafana nuvole di un soffice color vermiglio.
-Verso Olniar?- chiese lei.
-Verso Olniar.- confermò il mago.
 
Seguendo il confine tra alberi e spiaggia, Alhira e Iethan procedevano verso nord uscendo dalla baia di Emtia. Poco a poco, la costa bassa e sabbiosa iniziava a farsi più frastagliata elevandosi dal livello del mare con alti promontori a picco. L'alba nacque quando ormai il ragazzo cominciava ad inciampare per la stanchezza.
-Iethan se vuoi riposare qualche minuto ci possiamo fermare.- gli continuava a dire lei vedendolo arrancare sulle salite.
-No, sto bene. Andiamo!- e subito riprendeva a camminare spedito, per poi fermarsi dopo una decina di minuti a riprendere fiato. Alhira continuava ad avanzare con il suo ritmo, felice di poter tenere impegnato il suo corpo con dell'esercizio. Per quanto il mago fosse fuori da ogni tipo di allenamento, però, non la fece mai aspettare, ed anche se a fatica, teneva il suo passo.
-Potremmo accamparci qui per questa notte ... giorno.-
Iethan si gettò sull'erba antistante una piccola rientranza nella roccia.
-Meraviglia!- disse, disteso a terra e sorridente.
-Farò io il primo turno di guardia, tu mangia e poi riposati.- disse lei sistemandosi all'interno della caverna.
Entrambi rimasero in silenzio, Alhira ascoltava il regolare respiro del compagno, sopportando il caldo estivo placato ogni tanto dalla dolce brezza marina. Il sole, cocente ed unico sovrano del cielo, compiva il suo corso, accorciando le ombre ed ardendo le rocce.
-Tocca a te.- disse dopo qualche ora Iethan sbadigliando rumorosamente.
-Se vuoi dormire fino al tramonto fai pure, non sono stanca.-
-Alhira.- la fissò con uno sguardo che non ammetteva obbiezioni, e lei sorrise, chiudendo finalmente gli occhi.
 
Qualcuno bussa alla porta. Sì, l'alba è qui, è il momento.
-Sei pronta?- no, non sono pronta, non voglio lasciare la mia vita, non voglio lasciare mia sorella, i ricordi di mio padre. Non voglio dimenticare come si vive quando si ha qualcuno vicino, non voglio diventare qualcun altro, voglio essere Alhira. Non so dove mi porterai, non so se Ril ci sarà, non so se farà male, se dovrò soffrire.
-Sì.- bugiarda. Bugiarda, ecco cosa sono. Ho paura, una paura che non ho mai provato. Sento le mie mani tremare, il mio cuore battere troppo velocemente. Lo guardo; i suoi occhi di un verde chiaro, quasi azzurro, mi fissano colmi di tristezza. Nella luce di un sole privo di colori, mi alzo.
Stupide gambe, stupide sensazioni umane. Guardo per un ultima volta quella stanzetta spoglia dipinta da lunghe ombre grigiastre. Erwan mi aspetta, sa che non è facile, che è forse una delle azioni più difficili da compiere. Andare verso la propria morte, verso il proprio oblio.
-Seguimi.- non è tempo per piangere, non è tempo per ripensarci.
I nostri passi, ovattati alle mie orecchie, sembrano gocce d'acqua sul tetto, cadono perpetue. Rivedo le scale, così simili a quelle della vecchia casa, il vento che sposta le tende, la luce, non più amica come un tempo, colpisce i miei occhi, quasi chiamasse vendetta.
Erwan prende un mazzo di chiavi, tintinnano dolcemente nelle sue mani, risplendono metalliche nell'aria. Cambia direzione, passa davanti allo studio fino a fermarsi davanti ad una porta scura. Bussa due volte, e lentamente la apre, lasciando che sia io ad entrare. Una ragazza, seduta verso la luminosa finestra, sussulta nell'udire i miei passi.
Ril si volta, il volto straziato dal pianto, gli occhi arrossati. Mi tende una mano e mi sorride, cercando di mascherare l'irrefrenabile voglia di versare altre lacrime.
Non c'è bisogno di parole, mi porta a sé, e con forza mi stringe. Per quell'attimo di paradiso, per quelle braccia, quelle mani, quel respiro, avrei rinunciato a tutto. Avrei solcato mari, distrutto monti, cancellato cielo e terra.
-Non mi dimenticare.- le mormoro.
-Non lo farò mai. Tu sarai sempre Alhira per me, sarai mia sorella, e nulla potrà cambiarlo. Anche quando non ricorderai più nulla, rimarrai con me, il tuo ricordo non svanirà assieme alla tua memoria.-
-Ho paura, Ril. Ho paura di quello che accadrà.-
-Andrà tutto bene. Tu sei forte.- mi sussurra. Il mio viso nell'incavo del suo collo, le mie braccia strette sulla sua schiena. Se solo potessi dimenticare qui, in questo istante, senza soffrire ulteriormente, senza doverla lasciare. Perché so che non ci sarà. Non sarebbe rimasta ad aspettarmi nella sua camera a piangere se avesse potuto seguirci.
Quello era un addio.
Sento una mano che, gentile, si appoggia sulla mia spalla.
Il nostro tempo è finito. Ril allenta la presa.
-Addio, Alhira.- con una dolcezza infinita mi bacia la fronte, lasciando che calde lacrime scorrano sulle sue guancie bianche come neve.
-Addio.- le dico, quasi senza voce, con il cuore stretto in una morsa di dolore.
La lascio, mentre dentro me, come uno specchio, il sangue diventa cristallo e si spezza, si frammenta in miriadi di schegge appuntite che mi trafiggono dall'interno.
Un ultimo sguardo, un'ultima lacrima.
Mi volto, seguendo Erwan, le chiavi tintinnanti ancora in mano.
Non sento il pavimento sotto i miei piedi nudi. Non sento la veste leggera e sottile che tocca la mia pelle. Non sento nemmeno lo scatto della serratura che si attiva. Scendiamo una lunga rampa di scalini di pietra mentre l'aria si raffredda. Erwan spinge con forza un'altra porta pesante in metallo e legno, mostrando una stanza circolare illuminata da un piccolo globo luminoso bianco. Il soffitto a cupola è fatto da pietre bianche, così come anche il ruvido pavimento. Pare una dimensione differente, dove la luce non contiene colori, dove ogni cosa è fredda, di ghiaccio.
Erwan espande la sfera luminosa facendola brillare più intensamente. Con un movimento della mano, alza il globo facendolo lievitare nel punto più alto della stanza.
Al centro, coperto da un lenzuolo bianco, vi è un lettino, più somigliante ad un lungo e stretto tavolo. Sulle pareti un'infinità di libri, piccoli armadietti, scaffali, erbe e piante, barattoli e scatole.
-Non è un ambiente molto accogliente, era il vecchio laboratorio del guaritore del villaggio.-
-Non fa niente, Erwan. Non importa.- cerco di sorridergli. E' stato fin troppo gentile, l'incantesimo è difficile, richiede un'enorme quantità di energia e lui si è preparato per giorni, soltanto per me.
Lo vedo dirigersi verso uno scaffale.
-Siediti.- mi dice.
Il legno è freddo, attraverso il lenzuolo ruvido ne sento l'umidità penetrarmi nelle ossa, raggelarmi i muscoli.
Nell'addome è come se avessi una ferita aperta, un'orribile sensazione di terrore mi morde le viscere e fa pressione sui polmoni. Stringo la stoffa, scaricando il nervosismo nei miei pugni tremanti.
Non posso pensare, non riesco a muovermi.
Erwan mi viene incontro, nella mano un coltellino dalla lama lucente. Il mio cuore smette di battere per un secondo.
-E' per i capelli. Vuoi farlo tu?- scuoto la testa facendo oscillare una lunga cascata di capelli rossi ed ondulati.
Chiudo gli occhi. Un brivido mi percorre quando con delicatezza raccoglie la chioma tra le sue dita. Pochi istanti. Sento i corti capelli che si disperdono dalla sua presa, la testa si alleggerisce ed anni già spariscono tra le ciocche cremisi che giacciono inerti nella sua mano.
Tengo gli occhi chiusi, non voglio vedere, non potrei sopportare.
-Sdraiati.- e lentamente, accompagna la mia schiena finché non viene contatto con il gelido lenzuolo.
-Devi tenere gli occhi aperti però, guardare dritto davanti a te.-  Quello che vedo è soltanto la luce abbagliante proveniente dal globo, immobile, sospeso in aria.
-Guarda la mia mano.- la figura nera ed in controluce del suo palmo riempie il mio campo visivo.
Erwan inizia a mormorare l'incantesimo che dovrebbe cambiarmi, cancellare ciò che mi distingue da tutti.
Un bruciore lieve si impadronisce delle mie iridi, un formicolio si propaga dalla fronte su tutta la nuca. La luce prende una tonalità sempre più fredda, diventa azzurra, e poi blu, come il cielo notturno visto dagli abissi.
Un cambiamento repentino; ora diventa fuoco, i capelli carbone.
L'ombra sparisce, e di nuovo tutto è avvolto da un bagliore bianco e sterile.
Mi alzo a sedere. Le dita corrono alla chioma e ne prendono una ciocca. Ora i miei capelli sono scuri, un comunissimo color ebano. Erwan si avvicina e lentamente mi solleva il volto.
-Di qualunque colore siano,  tuoi occhi sono stupendi.- sorrido, cercando di non pensare a cosa succederà.
-Ecco, ora devi bere questo, è un sonnifero molto potente. Non cadrai subito addormentata, ci mette qualche minuto per far effetto. Intanto potrò iniziare l'incantesimo per eliminare la memoria. Se c'è qualsiasi cosa che tu voglia dirmi, questo è il momento per farlo.-
-Ti volevo ringraziare, Erwan.-
-Non c'è bisogno, davvero, è il minimo che possa fare. Ti voglio bene Alhira.-
Mi abbraccia, per la prima volta da quando conosco il suo nome. E' così difficile vederlo in pena per me, scorgere nei suoi occhi il dolore che gli provoca fare tutto questo alla sorella di sua moglie, ad una ragazzina di quasi sedici anni. Appoggio la testa sul suo petto, ascoltando il calmante battito del suo cuore, così diverso dal mio, irregolare e frenetico.
Mi lascia, avvolgendo nella mia mano un bicchiere contenente un liquido azzurrino dal profumo dolciastro. Trattengo il respiro e con un unico sorso, bevo il sonnifero, lottando con il mio corpo che ormai non vuole più farsi toccare. Non vuole essere cambiato ulteriormente, si ribella lanciandomi fitte al petto, bruciando gli occhi, facendo tremare ogni mio muscolo.
-Addio.- gli sussurro sorridendo, come per consolare me stessa, per dirmi che non farà male, che non sentirò nulla.
-Addio, Alhira.- e come quelle tenere parole giungono a me, lascio che la mia schiena ritorni distesa sul tavolo, che le mie palpebre ricadano pesanti oscurando la luce, che il mio cuore decidesse da solo cosa fare, se calmarsi o se continuare a battere preso dal terrore.
Il suo mormorio lontano non è altro che una meravigliosa nenia, quasi musicale. Nel cielo stellato della mia mente, soltanto pace e silenzio regnano sovrani. Nemmeno una nuvola, neanche un solo squarcio di grigio infesta le galassie che in un infinità di colori continuano a muoversi, creando costellazioni sempre nuove. Ogni stella, ogni luna è un ricordo.
Eppure, all'orizzonte, un filo di luce azzurra si avvolge attorno ad ogni diamante, assorbendone ogni bagliore, privandolo di energia, per poi lasciarlo e passare ad un altro. Ciò che ne rimane è una dura pietra scura sospesa nel cielo, mimetizzata con lo sfondo, impossibile da vedere.
Guizzi di luce, stelle che vengono racchiuse in involucri rocciosi. Urlo, cerco di fermarli, ma io non esisto, sono soltanto una spettatrice di quel crudele spettacolo.
Quando anche la luna scompare nell'immensità di tenebra che si estende dentro di me, il mio corpo si placa, confuso da ciò che è successo.
Sento la pelle brillare, sento che la luce, come una consapevolezza, si rimpicciolisce, comprimendosi in un angolo.
Non fa male, non so cosa stia succedendo.
Non so chi sono. 






Eccomi con il capitolo pre-mare-ma-dovrei-fare-i-compiti-fà-niente-li-faccio-quando-torno-e-li-copio-da-qualcuno :D In ogni caso, non succede molto, è più un viaggio nelle sensazioni... in effetti è pieno di abbracci, addii e lacrime ç___ç Aw ma quanto è bella Gelil? LOL Comunque, ringrazio chiunque legga. Non importa se lo stai facendo solo per noia o se davvero questa storia ti piace, GRAZIE <3 Commentate, CRITICATE, ditemi tutto quello che vi passa per la testa ^^ Grazie ancora ed al prossimo capitolo =D
p.s. non scriverò per una settimana, il che significa che ci sarà un ritardo di un po' di giorni per il prossimo capitolo (anche se non sono mai stata regolare nel pubblicare ^^'''''')
   
 
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