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Autore: My Pride    21/08/2011    8 recensioni
«C'è qualcosa. Qualcosa d'oscuro, in me, che non comprendo. Ma quando ci riuscirò, forse capirò anche perché mi hanno risparmiato, perché non ho fatto la stessa fine di molti che li hanno incontrati tempo addietro»
«Roy... ti supplico» riprovò Hughes, sentendo le lacrime minacciare di rigargli il volto.
«Non supplicarmi, Maes», disse sorridendo. «Non sono Dio»
[ Seguito de «Il bacio del vampiro» ]
[ INCOMPIUTA - Un giorno verrà aggiornata (forse) ]
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire's Story ~ Il Bacio del Vampiro'
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Il figlio delle Tenebre_Act 10
ATTO DECIMO. ANIME IN TUMULTO


    Gli occhi scuri di Roy scattarono serpentini sui volti di tutti i presenti, sondandoli ad uno ad uno con saccente distacco.
    Avanzò verso Edward a zanne snudate, con i lunghi capelli d'ebano che fluttuavano intorno a lui, aiutati sia dal vento che filtrava da fuori sia dall'energia sprigionata dal suo stesso corpo. Il rombo d'un ringhio imperversava nella sua gola ad ogni passo, mentre un sinistro crepitio vibrava nell'atmosfera circostante, come avvisaglia d'un temporale carico di lampi. Emanava inverosimilmente calore, tanto che più d'un vampiro si ritrovò ad indietreggiare quando fu ad una distanza abbastanza considerevole.
    Un movimento veloce, uno scintillio; scattò rapido in avanti come una freccia scoccata da un arco, afferrando il biondo per il vestiario che indossava prima di issarlo da terra, con una forza maggiore di quanto lui stesso ricordasse. Più d'un'esclamazione sorpresa si levò intorno a lui, prima che lo accerchiassero. Qualcuno gli artigliò persino una spalla nuda, forse nel tentativo di fargli mollare la presa.
    «
Sta al tuo posto, schiavo!» ringhiò al suo orecchio uno dei vampiri, strattonandolo all'indietro; ma il moro lo spintonò via facendo scattare il braccio libero, incurante del dolore che serpeggiò in lui e che si estese dalla spalla ferita. Si limitò solo a far vagare lo sguardo sui vampiri che lo circondavano, distante. Spalancò maggiormente la bocca allungando le zanne, poi, come per provare ad intimorirli. Sembrava quasi incutere un referenziale timore, in quel momento. Difatti quasi tutti indietreggiarono di poco, senza però perderlo di vista.
    Roy perse ben presto interesse per loro, riappuntando l'attenzione dei suoi occhi d'onice sul volto diafano del vampiro biondo che, fino a quel momento, non aveva praticamente aperto bocca. Era solo rimasto ad osservarlo con quelle due perle d'ambra imperscrutabili.
    Edward alzò di poco una mano come per interrompere la nuova avanzata degli altri vampiri, continuando a fissare gli abissi oscuri del moro prima di stirare le labbra in un sorriso, a metà tra l'amaro e il sarcastico.
«Ti consiglio vivamente di lasciarmi, Roy», gli disse con voce pacata e calma, ma quelle parole e quel sorriso ebbero solo l'effetto contrario. Venne maggiormente issato da terra, quasi ad osservare il moro dall'alto. Il ringhio che vibrava nella sua gola si accentuò, divenendo assordante.
    «Spiegami che cosa mi sta succedendo!» esclamò in un impeto violento. «Spiegamelo, maledizione!» Lo scosse con forza, quasi volesse costringerlo a parlare. Quando fu sul punto d'attaccarlo, però, altre mani lo strattonarono malamente all'indietro, costringendolo stavolta ad allentare la presa al collo del biondo, che ricadde a terra in ginocchio.
    «Mo bhràthair!» lo soccorse subito Alphonse, chinandosi su di lui per aiutarlo ad alzarsi, ma fu delicatamente allontanato da una mano di lui, che sembrava un po' respirare a fatica. Si portò l'altra al collo, dove si potevano vagamente scorgere i segni d'ustioni. Il corpo lo sentiva riarso, inaridito. Gli occhi, divenuti parzialmente scuri, si appuntarono prima sul volto preoccupato del fratello che osservava la pelle della sua gola, poi su quello del moro, preso di mira dagli altri vampiri lì presenti.
    Quello che accade poi fu confuso. Tra loro e Roy iniziò una battaglia fatta di zanne e artigli; uno dei vampiri s'avventò in un moto famelico contro di lui, riuscendo ad artigliargli la schiena prima di provare a colpirlo anche al petto, forse nel tentativo di strappargli il cuore.
Con un balzo felino, però, il moro schivò il colpo, atterrandolo, per poi issarlo di peso e scaraventarlo con inaudita forza al di là della vasta sala, facendo lo stesso con altri due o tre vampiri, perfettamente consci che lui fosse in preda ad una furia omicida e incontrollata. Ringhiò ancora una volta facendo scattare lo sguardo dall'altro lato della sala, nel fugace tentativo di capire in quanti erano rimasti.
    Non perse altro tempo a rifletterci; fece un salto all'indietro venendo però colpito ad un fianco prima di avventarsi poi contro la gola di uno e squarciargliela quasi voracemente, sentendo il sangue colargli abbondantemente lungo il collo. Se lo ripulì con la manica della camicia leccandoselo poi via dalle labbra, tornando rapido all'attacco nel tentativo di prendere di mira Edward, ancora in ginocchio accanto al fratello minore.
Fletté il corpo spiccando un balzo nella sua direzione, venendo però bloccato da un altro vampiro che gli artigliò le spalle. Si divincolò come poté, colpendolo ad un braccio, facendo lo stesso con un altro che si era appena slanciato verso di lui centrando l'addome, quasi esportandogli gli organi interni per la furia dell'attacco. Lanciò un'occhiata al viso di marmo registrando le punte dei suoi canini scintillare per un attimo, prima che scomparisse nuovamente in quell'Inferno.
    Contro di lui, s'avventò la donna dagli occhi color rubino, che con uno scatto felino gli artigliò il petto, strappandogli un urlo di dolore; ma, prima che potesse terminare la sua opera, vide quegli occhi d'onice dilatarsi appena per poi ridursi a due fessure, e Roy fletté 
il corpo con un movimento felino e aggraziato per balzare dall'altro lato della stanza, accovacciandosi fra una delle arcate del maniero immerso nella penombra. Gli si lanciò contro afferrandolo per il collo, gettandolo nuovamente nel bel mezzo della sala, in balia dei vampiri restanti. Quello dagli occhi ametista gli strinse le mani attorno alla gola, inchiodandolo al pavimento. Lo osservò con un sorriso sardonico dipinto in volto, pronto ad azzannarlo.
    «Basta così!» tuonò una voce e, quasi in simultanea, ogni vampiro si voltò nella sua direzione, interrompendo per quel breve attimo ogni ostilità. Gli occhi di Edward erano ardenti d'ira, e fulminò con lo sguardo ognuno dei presenti. Li ammonì a zanne snudate di non muovere un muscolo, avanzando con la sua solita cadenza aggraziata verso il corpo del moro, riverso a terra. A cavalcioni su di lui, si trovava il vampiro dagli occhi ametista che continuava a sibilare ad una spanna dal suo viso, come se si stesse trattenendo dal morderlo.
    «Lascialo, Envy», ordinò imperativo Edward, ottenendo però solo un grugnito sommesso. Assottigliò lo sguardo, continuando ad avanzare, vedendo il moro afferrare i polsi dell'altro per tentare di allontanare le mani dal suo collo. Stringeva gli occhi e boccheggiava, ma non per mancanza d'aria. Cercava di avvicinare il viso a quello del vampiro sopra di sé, così da poterlo attaccare con le sue zanne e squarciargli la gola. «Lascialo», ripeté con voce più gutturale. «Non fartelo ripetere una terza volta».
    Forse grazie al tono utilizzato riuscì a farsi ubbidire, tanto che l'Invidia mollò la presa e si rialzò in piedi, togliendosi però la soddisfazione di dare un ultimo calcio tra le costole del moro riverso a terra prima di allontanarsi. Si voltò verso il padrone, chinandosi a mezzo busto e abbassando nel contempo il capo. La mano era abbandonata sul petto, come al solito.
«Perdoni la mia irruenza e la mia condotta, Signorino», s'affrettò a dire, senza alzare in nessun modo lo sguardo. «Nella foga del momento non...»
    La frase fu troncata proprio da Edward, che agitò distratto una mano come se la cosa per lui non avesse la minima importanza. Senza dargli più peso si avvicinò ancor di più al moro, annaspante e ferito. Il petto mostrava tre profondi solchi che stavano guarendo con inaudita lentezza, a differenza di quelli presenti su una spalla e dietro la schiena. Pressoché illeso a parte qualche macchia di sangue non suo, il viso mostrava una maschera vagamente sofferente e disgustata. All'avvicinarsi del biondo alzò di poco gli occhi scuri su di lui, non avendo però la forza di fronteggiarlo in qualche modo. Prima che qualcuno potesse aprir bocca si presentò, in tutta la sua maestosità, il vampiro più anziano che, con i suoi occhi color topazio, duri e perfetti come la pietra, sondò con lo sguardo ogni anfratto del salone semi distrutto. Inarcò con scetticismo un biondo sopracciglio qualche momento dopo, soffermandosi di poco sul volto del figlio maggiore prima di spostarsi su quelli degli altri vampiri lì presenti e su quello del figlio minore.
    «Cos'è successo qui?» domandò con blanda curiosità, vagamente cortese e accondiscendente, come un padre che beccava il figlio a compiere qualche marachella.
    Più d'uno sguardo si cercò, concentrandosi poi senza proferir parola sulla causa di quel disastro: il moro che, incrociati a fatica gli occhi del più anziano, sgranò per un motivo a lui sconosciuto i suoi. Quello sguardo distaccato e freddo, senza che ne capisse la ragione, sembrava tormentarlo.
    In un primo momento, Roy cercò di capire la provenienza della bizzarra emozione che si era impadronita del suo animo, non trovandola; ma bastò quello sguardo ad inondarlo d'un profondo sentimento d'ira nei confronti di quell'antico vampiro. Tutto ciò che imperversava in lui era vago e confuso, ma fu necessario per riaccendere l'odio sopito qualche istante prima.
Qualcosa, in quegli occhi, non lo rendeva affatto tranquillo. Si levò un altro ringhio dalla sua gola mentre cercava di alzarsi in piedi e di schiarire nel contempo i pensieri. Quelle polle dorate non lo abbandonarono nemmeno per un attimo, squadrandolo con quel cipiglio distante e superiore.
    «Ci scusi per il frastuono, mio Signore». La voce d'uno dei vampiri  presenti lo richiamò alla realtà, cancellandogli parzialmente quell'insano desiderio di vendetta che si era stranamente annidato in lui, mentre ricadeva all'indietro sul pavimento bagnato e crepato.
    «Che non si ripeta mai più», sentì dire dall'anziano con voce quasi soffusa prima che abbassasse le palpebre.
    Qualcuno lo issò da terra come se fosse una piuma, e quasi avrebbe giurato di sentire il lieve ma possente battito d'un cuore. Dei passi veloci, uno scalpiccio insistente.
    «Dove credi di portarlo?» Ancora la voce del più antico dei vampiri, ma in risposta si sentì un breve ringhio.
    «Il suo riposo lo attende». Una risposta sussurrata con voce spietata, come se stesse sfidando il suo interlocutore a contraddirlo in qualche modo.
    Qualche altro passo risuonò nel grande salone, due presenze s'accostarono lottando.
 «Non affezionarti troppo a questo cucciolo, Edward».
    Stavolta non ci fu risposta, ma solo il rumore di stivali sul marmo. Riecheggiarono contro le pareti di pietra quando l'aria divenne densa e carica d'umidità, simbolo che erano scesi entrambi nei sotterranei. Pochi istanti dopo una porta venne aperta con malagrazia, prima che il corpo del moro venisse adagiato su una morbida consistenza, forse apparentemente all'interno d'un feretro o su un materasso. Alzò debolmente le palpebre, scorgendo la sagoma sfocata del biondo accanto a due bare, realizzando solo in un secondo momento che una di quelle apparteneva a lui. Era tornato al maniero, vero. Come aveva fatto a dimenticarlo?
    Con lentezza, Roy si issò a sedere, toccandosi i tagli quasi cicatrizzati sul suo petto, proprio nell'esatto momento il cui Edward si voltò verso di lui. Si perse in quelle iridi color miele, cercando di capire cosa fosse successo. Doveva trovarsi in Chiesa, se ben ricordava. Doveva trovarsi al villaggio. La testa gli scoppiava. Si portò la mano insanguinata alla tempia, socchiudendo nuovamente gli occhi. Sentì subito dopo il peso d'un altro corpo sul materasso, venendo poi sfiorato da dita ghiacciate che parvero in qualche modo calde. Una strana nostalgia lo colse, e fu quasi inconsciamente che portò l'altra mano su quella del biondo, stringendola forte. E un piccolo sussulto percorse il corpo di quest'ultimo come una scossa elettrica, quasi non s'aspettasse un simile contatto. Avrebbe tanto voluto lasciarsi andare a quelle sensazioni umane. Avrebbe voluto piangere, stringerlo a sé, fare mille altre cose... ma non fece nulla. Se ne restò solo immobile in quell'attimo d'etereo passato.
    «Io non dovrei essere qui», sussurrò il vampiro moro, distraendolo, e appuntò l'attenzione dei suoi occhi su di lui, vedendolo ancora con le palpebre semi abbassate. Tremavano appena, come le livide labbra. Gliele sfiorò gentilmente, il biondo, sentendo scaturire da lui un fremito.
    «Non dovremmo esserci entrambi, mo dubh [1]», mormorò a sua volta senza trattenersi, sentendosi precipitare addosso come un macigno la consapevolezza di quei secoli. Non ci faceva i conti da tanto, ormai. Era strano che si ritrovasse a pensarci proprio in quel mentre. Ricevette finalmente un'occhiata da quegli oscuri oblii che appartenevano al moro. Non irosa come quella che fin'ora gli aveva rivolto. Ma spaventata, terrorizzata. Proprio come la prima volta.
    «Perché io?» chiese, il vampiro ora sostituito dal prete. «Perché proprio io?»
    Un'altra carezza gli sfiorò il viso mentre un sospiro aleggiava fra loro. Le labbra che osservava si sollevarono appena per dar vita ad un sorriso. Ma Edward non parlò. Gli scostò solo i lunghi capelli scuri dalla fronte, cingendogli i fianchi con le braccia prima di poggiare la fronte contro la sua spalla insanguinata sulla quale la ferita era scomparsa. Inspirò a fondo il suo odore di morte e sangue, sentendo lui fare lo stesso. Era quel gesto a portare il nome d'affetto? Nemmeno se lo ricordava più. Vagamente, forse, ma non del tutto. Cos'era però l'altro sentimento che gli stava straziando senza ritegno quel misero cuore immortale che possedeva? Rassomigliava al dolore, alla tristezza, ad un qualcosa di soffocante. Nostalgia, forse? O semplicemente amore? Dirlo sarebbe stato difficile, per uno come lui.
    Roy inspirò maggiormente l'odore del moro, inondando a fondo le narici dell'inebriante e peccaminoso profumo del suo sangue. Si leccò inconsciamente le labbra, sentendo da parte dell'altro un gemito. Il dopo fu tutto così sfocato e rapido che quasi lo colse alla sprovvista.
Pur senza volerlo davvero, i canini palpitarono e si allungarono, affondando nel collo del vampiro moro, nella carne sopra l'arteria. Cominciò a berne il sangue mentre stringeva la mano del moro tra la sua, che si lasciava sfuggire appena qualche gemito. La strinse ancor più forte ritrovandosi in ginocchio sul materasso, il lenzuolo leggero che lo copriva scivolò via cadendo sul pavimento impolverato.
    Alle orecchie di Edward, giunsero gemiti sempre più crescenti, mentre continuava a inghiottire e deglutire quel sangue. La necessità di nutrirsi stava però lentamente lasciando posto ad altro, i muscoli dell'addome presero ad attanagliarsi in spire. Solo quando sentì un altro doloroso gemito s'allontanò piano, sfiorando quel collo diafano macchiato di sangue. Era sul punto di leccarlo via quando fu il moro a chinarsi verso di lui, facendo guizzare la lingua fra le labbra. Accarezzò con colpetti delicati la mascella sporca di sangue, la giugulare, succhiandogli la pelle come un bambino che si attaccava al seno della madre.
    L'espressione di Edward divenne indecifrabile, a quelle attenzioni. Persino quando, simile a fuoco vivo sulla sua pelle, le mani marmoree e delicate dell'altro vampiro cominciarono a prendere in rassegna il suo corpo non si mosse, inarcando inconsapevolmente la schiena e abbandonandosi completamente ai suoi tocchi sempre più insistenti.
Troppo preso da quella novità, nemmeno si accorse che le zanne del moro gli stavano mordicchiando piano la pelle del collo, torturandoglielo con dolce rudezza. Come due lame acuminate, poi, affondarono nel suo collo facendogli sgranare gli occhi dorati. Il risucchio insistente che invase la stanza quasi sembrò lasciarlo senza fiato. Sempre di più, sempre più rumoroso, come se il moro volesse prosciugarlo.
    Roy si allontanò da lui, 
con il sangue che rendeva traslucide le sue labbra livide, scivolando lentamente lungo il collo. E quando incontrò gli occhi del biondo capì ciò che aveva fatto. Un guaito gli sfuggì dalle labbra tinte di sangue mentre indietreggiava, impaurito e allarmato, ma Edward lo attirò nuovamente a sé, intrappolandolo in una stretta possessiva.
    «Continui a fuggire da ciò che sei, per questo sei tormentato», gli sussurrò, pacato ma con la solita cadenza mielosa. «Basterebbe affrontare la tua natura per porre fine una volta per tutte alla sofferenza che senti». Lui stesso aveva dovuto farlo secoli addietro. Vi era stato costretto.
    L'altro cercò di sciogliersi dalla presa, forse per fuggire ancora.
«Non ne ho il coraggio», fu la sua risposta, prima che riuscisse a liberarsi e si alzasse in piedi. Osservò il biondo con uno sguardo sofferente, come se ciò lo facesse star male. Tagliare i ponti con il suo passato equivaleva tagliare i ponti con tutto. E, anche se una parte di lui cercava di fare in modo che non accadesse, certe volte non poteva assolutamente evitarlo. «Non forzatemi più di così», mormorò ancora, venendo subito interrotto prima che potesse proferire ancora parola.
    «Ti disgusto?» Una domanda posta a bruciapelo, un argomento totalmente diverso dal precedente.
    Per qualche istante il moro sbatté le palpebre, allontanandosi di più. Qualcosa si stava però agitando in lui, qualcosa che non capiva.
«Dovresti... sei un vampiro», rispose, come se quello spiegasse tutto.
    Amaro, però, Edward sorrise. 
«Anche tu», fece ovvio, ma Roy scosse con impeto la testa, indietreggiando ancora.
    «Nay, io non...
»
    «...non sai cosa sei», concluse per lui l'altro con ovvietà.
    «Smettila di confondermi».
    Edward rise sonoramente nonostante la sua risata suonasse aspra, arida. Come se fosse solo uno scoppio d'ilarità di circostanza.
«Stai facendo tutto da solo», ribatté, divertito adesso dall'espressione che si era dipinta sul volto diafano del moro. Il viso si era contratto in una smorfia mentre si intrecciava le dita fra i capelli d'ebano.
    Roy scosse ancora la testa, come se non capisse o non se ne capacitasse.
«Non dovevo tornare qui», mormorò, più rivolto a se stesso che a terzi. «Sarei dovuto restare al villaggio... Maes doveva uccidermi».
    Un'espressione trionfante comparve sul volto di Edward, a quella confessione. Si alzò a sua volta, avvicinandosi a passi felpati.
«Ora capisco», disse, enfatizzando ogni parola. «Sei il prete, adesso», asserì, ricevendo uno sguardo velato e spento.
    «Non so di cosa parli».
    «Och, lo sai bene, invece», riprese gorgogliante. «Colui che cerco è davvero lì... ma sei tu ad ostacolarlo con la tua presenza e la tua fede».
    «Cosa stai...» Non poté concludere la frase che le labbra del vampiro bloccarono le sue. Sgranando gli occhi tentò di allontanarsi, ma gli fu impedito. Quel bacio divenne ben presto un qualcosa di furente e passionale, uno scambio di morsi sanguinosi e zanne acuminate finché, consumato in quel lasso di tempo quell'attimo di lussuria, si divisero guardandosi entrambi negli occhi. Il moro distolse i suoi, sentendo un qualcosa attanagliargli il petto. Ma l'altro lo costrinse ad alzare il viso, sorridendogli.
    «Non temere, mo brèagha dubh [2]». Un sussurro, il suo, prima che lascivo gli accarezzasse il viso.  «Ci vendicheremo».


ATTO DECIMO. FINE





[1] Moro (Nero) mio [ Gaelico scozzese ]
[2] Mio bellissimo moro [ Gaelico scozzese ]




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