Sulle note de Arrivano i superboys, un vecchissimo
cartone animato giapponese, creavo i miei scenari. Il ritmo incalzante della
sigla, accompagnata dal gentile fruscio del giradischi della mia stanza,
generava in me una carica di creatività che forse era il mio piccolo segreto
per creare ciò che creavo. Ovviamente non solo le musiche allegre erano per me
fonte di ispirazione; anche le note di una classica sonata di Beethoven o una
canzone di Fabrizio De André potevano essere ispiratrici di nuove visioni, che
prontamente trasferivo sui grandi fogli A3. Ed ogni volta era una sensazione
diversa, uno scenario allegro o triste, a seconda della colonna sonora che mi
sceglievo.
La musica mi diceva
qualcosa, ed io creavo in funzione di essa.
Quando c’era
silenzio, creavo lo stesso, ma cose più asettiche, tipo nuovi personaggi.
Non ricordo come
nacque Dandy Landy, ricordo soltanto che stavo ascoltando una canzone di Ronan
Keating, When you say nothing at all.
Mi venne fuori un ragazzotto di circa ventisei anni, alto e slanciato
(calcolavo nella mia mente che potesse essere alto circa un metro e novanta, ma
non ne ero mai sicuro del tutto), bello come il peccato che non avresti mai
commesso e talvolta anche un po’ stronzo. Come la gran parte dei belli che
popolano questo piccolo, strano mondo. A tutt’oggi non so nemmeno perché avesse
scelto di chiamarsi così, con un nome al tempo stesso spaccone ma buffo. So
solo che come personaggio mi piaceva, e non solo perché l’avevo creato io.
Questa
volta lui e i suoi compari stavano esplorando un mondo magico. Una foresta
incantata, per dirla tutta, dove dagli alberi multicolori pendevano stranissimi
frutti di forme diverse. Chissà perché erano giunti là? Sembravano chiedersi i
personaggi stessi, con le loro espressioni tormentate. La verità era che non lo
sapevo nemmeno io. Non pianificavo mai una storia seria, vale a dire con sceneggiature
e story-board. Mi mettevo al tavolo da disegno e creavo, senza una direzione
precisa, più o meno come un regista che filma qualcosa, poi prende dei pezzi a
caso e poi li incolla creando dei videoclip.
Inquadratura
di tre quarti sul suo viso. Una ciocca di capelli biondi gli solleticava la
guancia, i suoi occhi guardavano verso l’obiettivo. Per un attimo ci fissammo,
io dal mondo reale, lui dal suo mondo di cartone. Fui quasi ipnotizzato da quel
sorriso, tanto che rimasi a guardarlo un bel po’. Lentamente, il quadro
incominciò ad ingrandirsi, poco alla volta, ma sempre di più. Mi sembrava quasi
di poterci entrare dentro, ed effettivamente fu così. Mi ritrovai nel mondo di
Dandy Landy, una foresta tutta bianca (non avevo ancora colorato quelle sequenze)
e nera, dove Dandy Landy era lì e mi tendeva la mano. Sorrideva, e anche dopo
che mi fui rialzato continuò a tenermi la mano, facendomi il gesto di seguirlo.
Non sarei comunque andato da nessuna parte, quindi perché cavolo continuava a
tenermi la mano? La cosa non mi infastidiva, anzi…
Giungemmo
ad un ruscello, questo era colorato. E anche Dandy Landy acquistò colore man
mano che avanzavamo. Sempre spigliato ed allegro, si tolse le scarpe
calciandole via, poi fu la volta della maglietta (che lasciava intravedere un
fisico magro ma definito) e dei pantaloni. Sotto era totalmente nudo.
L’ultima
volta che ero stato con un ragazzo, questi mi aveva pregato di girarmi e non
guardarlo mentre si spogliava, quindi capirete l’imbarazzo che provai nel
vedermi un pezzo di adone come Dandy Landy spogliarmisi davanti agli occhi. Mi
girai imbarazzato e rosso come un peperone, ma lui mi venne gentilmente vicino
e mi tolse la mano dagli occhi, offrendomi ancora una volta in visione quegli
occhi azzurri che io stesso avevo colorato.
Gli
sorrisi gentilmente, e lui interpretò questo mio sorriso come un “via libera”
allo spogliarmi. Mi sbottonò la camicia, ed io la riabbottonai, lui la sbottonò
di nuovo. Io di nuovo la riabbottonai. Sbuffando, mise le mani sui fianchi e mi
guardò stufato.
- Non … Non capisco,
che cosa…? – ebbi solo il tempo di proferire, prima che Dandy mi spingesse
nelle fresche acque sorgive, bagnandomi da capo a piedi. Quando riemersi, vidi
lui che se la rideva come un bambino.
- Ah sì, eh? Non è
divertente! – dissi, alzando il tono della voce. Ma fu come acqua fresca contro
un mal di testa, in quanto lui spiccò un balzo e mi raggiunse in acqua.
Intanto, i compari di Dandy si erano riuniti, e ridevano di mute risate. Erano
tutti ragazzi molto carini, e divertenti proprio come lui. I loro sorrisi non
tradivano la benché minima ombra di invidia, ma solo felicità. Intanto Dandy mi
era sopraggiunto da dietro e mi si aggrappò al collo, a mo’ di koala.
Mentre tutti gli
altri si spogliavano ed entravano in acqua anch’essi, giocando e scherzando tra
di loro, Dandy, ormai calmo, mi baciò la guancia e mi sussurrò all’orecchio le
sue prime parole.
Vieni
a giocare con me.
Non era una domanda.
Era un ordine in
piena regola.
Per farmi capire che
non scherzava, girò intorno a me fino a che non fummo faccia a faccia, si
riagganciò a me come un koala e mi strinse forte, tanto forte che potei sentire
le sue caviglie contro la mia schiena, e le sue braccia che quasi mi
strizzavano. Impossibilitato a muovere le gambe per mantenermi a galla, finimmo
a fondo, e lì…
Bussarono alla porta
della mia stanza. Sicuramente era il mio coinquilino, con il quale dividevo
l’appartamento dei miei genitori. Con molto acume constatai che mi ero
addormentato sul tavolo da disegno, e per una sfiga del destino avevo versato
il colore blu su tutte le tavole.
- Porca vacca! –
strepitai, prendendo in tutta fretta un bel po’ di fogli di carta assorbente,
con la quale tamponare il disastro che avevo combinato.
- Donatello? Tutto
bene? – domandò Francesco dall’altro lato. Io imprecai sottovoce, rispondendo –
Sì, sì… va tutto bene! – e poi aggiunsi, di nuovo sottovoce – Porca puttana… -
mentre asciugavo tutti i fogli dal colore semidenso che aveva rovinato tutte le
mie tavole, l’intero lavoro di due giorni.
- Dimmi – dissi,
brusco, appena mi trovai davanti il mio coinquilino. Era tutto in tiro, ed io
sapevo già che cosa mi avrebbe chiesto.
- Ehi, che bella
maglietta – disse, ridacchiando. – quest’anno vanno di moda le macchie blu su
fondo bianco? –
- Spiritoso… -
risposi io – Ho soltanto combinato un pasticcio coi colori. –
- Certo. – tagliò
corto lui, lanciandomi poi la sua proposta. – Io sto andando al Red, ti va di
venire? –
Francesco era più
piccolo di me di cinque anni. Nonostante il bell’aspetto, si circondava di
“brutti” come me. Ancora oggi non capisco se lo facesse per non avere rivali di
bellezza, o perché si sentisse veramente a suo agio con i brutti, ma dopotutto
a me importava che mi bonificasse i trecentocinquanta euro che mi doveva ogni
mese, ed ero a posto. Di quello che pensasse o facesse, poco m’importava.
Il che non era del
tutto vero, perché sentivo che lui ogni sera tornava a casa con un ragazzo
diverso, mentre io… o mi chiudevo in camera ad ascoltare musica oppure mi
sfogavo disegnando o dandomi alla lettura. Chi lo voleva, un grassone creativo?
I suoi incontri a casa mia erano per me motivo di invidia, grandissima invidia.
- Hai di nuovo
problemi di auto, vero? – domandai, per punzecchiarlo un po’. Francesco mi
sorrise e annuì mestamente, allargando le braccia in una comica espressione di mi dispiace signora, non si può fare
altrimenti.
- Ok – concessi,
guardando l’orologio a muro della mia stanza da letto – Se mi dai tre quarti
d’ora, un’oretta al massimo, ce la faccio. Non hai fretta, vero? –
- Assolutamente no.
Fai con calma, basta che non dimentichi che entro le 11 dobbiamo essere là. –
- Cazzo, bello
sforzo. Sono le nove e mezza. Hai qualcuno che ti aspetta, lì? –
Francesco scrollò le
spalle – I soliti – concluse, allontanandosi dalla porta. Il suo sedere era
definito da tutte le ore di palestra che faceva quando non studiava. – Ti
aspetto. –
Chiusi la porta,
mormorando – E certo che mi aspetti, se non ci sono io rimani a casa anche tu…
-
Mi fermai a guardare
il casino che c’era sul tavolo da disegno, sospirando. Adesso come avrei fatto
a riprodurre tutte le tavole che avevo irrimediabilmente rovinato?
Decisi di non
pensarci, e le lasciai lì fino a nuova decisione.