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Autore: StephEnKing1985    28/08/2011    1 recensioni
Donatello è un ragazzo gay un po' in sovrappeso. A causa del suo aspetto fisico, si trova a dover fronteggiare in modo particolare la superficialità e meschinità del mondo gay sotto forma di delusioni che riceve puntualmente da ogni ragazzo che conosce. Per rifuggire al dolore, si diletta in ciò che sa fare meglio: Disegnare fumetti. Il suo personaggio preferito è Dandy Landy, un bellissimo ragazzo frizzante e dolce, in cui Donatello proietta il suo fidanzato ideale, innamorandosene. Ben presto il bel personaggio di carta incomincerà a vivere di vita propria, ma sarà una felicità per Donatello oppure sarà solo l'ennesima delusione?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sulle note de Arrivano i superboys, un vecchissimo cartone animato giapponese, creavo i miei scenari. Il ritmo incalzante della sigla, accompagnata dal gentile fruscio del giradischi della mia stanza, generava in me una carica di creatività che forse era il mio piccolo segreto per creare ciò che creavo. Ovviamente non solo le musiche allegre erano per me fonte di ispirazione; anche le note di una classica sonata di Beethoven o una canzone di Fabrizio De André potevano essere ispiratrici di nuove visioni, che prontamente trasferivo sui grandi fogli A3. Ed ogni volta era una sensazione diversa, uno scenario allegro o triste, a seconda della colonna sonora che mi sceglievo.

La musica mi diceva qualcosa, ed io creavo in funzione di essa.

Quando c’era silenzio, creavo lo stesso, ma cose più asettiche, tipo nuovi personaggi.

Non ricordo come nacque Dandy Landy, ricordo soltanto che stavo ascoltando una canzone di Ronan Keating, When you say nothing at all. Mi venne fuori un ragazzotto di circa ventisei anni, alto e slanciato (calcolavo nella mia mente che potesse essere alto circa un metro e novanta, ma non ne ero mai sicuro del tutto), bello come il peccato che non avresti mai commesso e talvolta anche un po’ stronzo. Come la gran parte dei belli che popolano questo piccolo, strano mondo. A tutt’oggi non so nemmeno perché avesse scelto di chiamarsi così, con un nome al tempo stesso spaccone ma buffo. So solo che come personaggio mi piaceva, e non solo perché l’avevo creato io.

Questa volta lui e i suoi compari stavano esplorando un mondo magico. Una foresta incantata, per dirla tutta, dove dagli alberi multicolori pendevano stranissimi frutti di forme diverse. Chissà perché erano giunti là? Sembravano chiedersi i personaggi stessi, con le loro espressioni tormentate. La verità era che non lo sapevo nemmeno io. Non pianificavo mai una storia seria, vale a dire con sceneggiature e story-board. Mi mettevo al tavolo da disegno e creavo, senza una direzione precisa, più o meno come un regista che filma qualcosa, poi prende dei pezzi a caso e poi li incolla creando dei videoclip.

Inquadratura di tre quarti sul suo viso. Una ciocca di capelli biondi gli solleticava la guancia, i suoi occhi guardavano verso l’obiettivo. Per un attimo ci fissammo, io dal mondo reale, lui dal suo mondo di cartone. Fui quasi ipnotizzato da quel sorriso, tanto che rimasi a guardarlo un bel po’. Lentamente, il quadro incominciò ad ingrandirsi, poco alla volta, ma sempre di più. Mi sembrava quasi di poterci entrare dentro, ed effettivamente fu così. Mi ritrovai nel mondo di Dandy Landy, una foresta tutta bianca (non avevo ancora colorato quelle sequenze) e nera, dove Dandy Landy era lì e mi tendeva la mano. Sorrideva, e anche dopo che mi fui rialzato continuò a tenermi la mano, facendomi il gesto di seguirlo. Non sarei comunque andato da nessuna parte, quindi perché cavolo continuava a tenermi la mano? La cosa non mi infastidiva, anzi…

Giungemmo ad un ruscello, questo era colorato. E anche Dandy Landy acquistò colore man mano che avanzavamo. Sempre spigliato ed allegro, si tolse le scarpe calciandole via, poi fu la volta della maglietta (che lasciava intravedere un fisico magro ma definito) e dei pantaloni. Sotto era totalmente nudo.

L’ultima volta che ero stato con un ragazzo, questi mi aveva pregato di girarmi e non guardarlo mentre si spogliava, quindi capirete l’imbarazzo che provai nel vedermi un pezzo di adone come Dandy Landy spogliarmisi davanti agli occhi. Mi girai imbarazzato e rosso come un peperone, ma lui mi venne gentilmente vicino e mi tolse la mano dagli occhi, offrendomi ancora una volta in visione quegli occhi azzurri che io stesso avevo colorato.

Gli sorrisi gentilmente, e lui interpretò questo mio sorriso come un “via libera” allo spogliarmi. Mi sbottonò la camicia, ed io la riabbottonai, lui la sbottonò di nuovo. Io di nuovo la riabbottonai. Sbuffando, mise le mani sui fianchi e mi guardò stufato.

- Non … Non capisco, che cosa…? – ebbi solo il tempo di proferire, prima che Dandy mi spingesse nelle fresche acque sorgive, bagnandomi da capo a piedi. Quando riemersi, vidi lui che se la rideva come un bambino.

- Ah sì, eh? Non è divertente! – dissi, alzando il tono della voce. Ma fu come acqua fresca contro un mal di testa, in quanto lui spiccò un balzo e mi raggiunse in acqua. Intanto, i compari di Dandy si erano riuniti, e ridevano di mute risate. Erano tutti ragazzi molto carini, e divertenti proprio come lui. I loro sorrisi non tradivano la benché minima ombra di invidia, ma solo felicità. Intanto Dandy mi era sopraggiunto da dietro e mi si aggrappò al collo, a mo’ di koala.

Mentre tutti gli altri si spogliavano ed entravano in acqua anch’essi, giocando e scherzando tra di loro, Dandy, ormai calmo, mi baciò la guancia e mi sussurrò all’orecchio le sue prime parole.

Vieni a giocare con me.

Non era una domanda.

Era un ordine in piena regola.

Per farmi capire che non scherzava, girò intorno a me fino a che non fummo faccia a faccia, si riagganciò a me come un koala e mi strinse forte, tanto forte che potei sentire le sue caviglie contro la mia schiena, e le sue braccia che quasi mi strizzavano. Impossibilitato a muovere le gambe per mantenermi a galla, finimmo a fondo, e lì…

 

Bussarono alla porta della mia stanza. Sicuramente era il mio coinquilino, con il quale dividevo l’appartamento dei miei genitori. Con molto acume constatai che mi ero addormentato sul tavolo da disegno, e per una sfiga del destino avevo versato il colore blu su tutte le tavole.

- Porca vacca! – strepitai, prendendo in tutta fretta un bel po’ di fogli di carta assorbente, con la quale tamponare il disastro che avevo combinato.

- Donatello? Tutto bene? – domandò Francesco dall’altro lato. Io imprecai sottovoce, rispondendo – Sì, sì… va tutto bene! – e poi aggiunsi, di nuovo sottovoce – Porca puttana… - mentre asciugavo tutti i fogli dal colore semidenso che aveva rovinato tutte le mie tavole, l’intero lavoro di due giorni.

 

- Dimmi – dissi, brusco, appena mi trovai davanti il mio coinquilino. Era tutto in tiro, ed io sapevo già che cosa mi avrebbe chiesto.

- Ehi, che bella maglietta – disse, ridacchiando. – quest’anno vanno di moda le macchie blu su fondo bianco? –

- Spiritoso… - risposi io – Ho soltanto combinato un pasticcio coi colori. –

- Certo. – tagliò corto lui, lanciandomi poi la sua proposta. – Io sto andando al Red, ti va di venire? –

Francesco era più piccolo di me di cinque anni. Nonostante il bell’aspetto, si circondava di “brutti” come me. Ancora oggi non capisco se lo facesse per non avere rivali di bellezza, o perché si sentisse veramente a suo agio con i brutti, ma dopotutto a me importava che mi bonificasse i trecentocinquanta euro che mi doveva ogni mese, ed ero a posto. Di quello che pensasse o facesse, poco m’importava.

Il che non era del tutto vero, perché sentivo che lui ogni sera tornava a casa con un ragazzo diverso, mentre io… o mi chiudevo in camera ad ascoltare musica oppure mi sfogavo disegnando o dandomi alla lettura. Chi lo voleva, un grassone creativo? I suoi incontri a casa mia erano per me motivo di invidia, grandissima invidia.

- Hai di nuovo problemi di auto, vero? – domandai, per punzecchiarlo un po’. Francesco mi sorrise e annuì mestamente, allargando le braccia in una comica espressione di mi dispiace signora, non si può fare altrimenti.

- Ok – concessi, guardando l’orologio a muro della mia stanza da letto – Se mi dai tre quarti d’ora, un’oretta al massimo, ce la faccio. Non hai fretta, vero? –

- Assolutamente no. Fai con calma, basta che non dimentichi che entro le 11 dobbiamo essere là. –

- Cazzo, bello sforzo. Sono le nove e mezza. Hai qualcuno che ti aspetta, lì? –

Francesco scrollò le spalle – I soliti – concluse, allontanandosi dalla porta. Il suo sedere era definito da tutte le ore di palestra che faceva quando non studiava. – Ti aspetto. –

Chiusi la porta, mormorando – E certo che mi aspetti, se non ci sono io rimani a casa anche tu… -

Mi fermai a guardare il casino che c’era sul tavolo da disegno, sospirando. Adesso come avrei fatto a riprodurre tutte le tavole che avevo irrimediabilmente rovinato?

Decisi di non pensarci, e le lasciai lì fino a nuova decisione.

   
 
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