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Autore: Moony3    29/08/2011    4 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo Quarto


L'importanza di chiamarsi Al




Londra, 7 aprile 1966 A.D.

Alphard lanciò la bacchetta magica sul tavolino e si lasciò cadere sul divano, fissando ancora incredulo il massiccio medaglione dorato che stringeva tra le mani.
Un oggetto banale, tutto sommato. Scovato in un anonimo, polveroso negozietto di Ipswich.
Alphard era sicuro che agli occhi di chiunque altro quell'oggetto sarebbe sembrato solo un bizzarro incrocio tra un grosso medaglione e un vecchio orologio da taschino. Antico, sì. Ma non particolarmente bello, anzi...
La sua pretenziosa sorella, ad esempio, non lo avrebbe neppure degnato di una seconda occhiata: troppo ordinario per i suoi gusti squisiti.
Certo non poteva competere con un'aggraziata testa di elfo impagliata o con un leggiadro portaombrelli ricavato da una zampa di troll, ammise obiettivamente l'uomo, ma per lui non avrebbe potuto esserci nulla di più bello al mondo. O quasi. Del resto, Alphard non era mai stato dotato di gusti squisiti e aveva sempre trovato terrificanti gli orpelli che deliziavano Walburga.
E ora era a dir poco euforico. Sprizzava entusiasmo da tutti i pori, mentre rimirava quel poco squisito medaglione.
Si sentiva come presumeva dovesse essersi sentito Flamel dopo avere creato la Pietra Filosofale.
Merlino! Stava stringendo tra le mani un oggetto leggendario!
Danneggiato, certo, ma pur sempre leggendario.
Non aveva dubbi in proposito: quella che stava rimirando ammaliato era sicuramente una delle Chiavi del Tempo.
Oh, nessuna fenice scarlatta vi era miniata. Solo un diafano alone serpeggiante occupava il centro del monile; un etereo, sinuoso serpente consumato dall'implacabile trascorrere dei secoli.
Era la Chiave del Tempo sbagliata, purtroppo. Quella non più funzionante.
Ma Alphard era euforico lo stesso: se era riuscito a trovare quella, sarebbe sicuramente riuscito a trovare anche la gemella.
Sorridendo risoluto, si chinò sull'antico baule di legno rossiccio che si trovava ai suoi piedi, tracciando con un dito le arzigogolate lettere intagliate sul coperchio: Al Black.
Era incredibile quanto quel vecchio, banale baule aveva segnato la sua vita.
Il ricordo di quell'incontro, per certi versi fatale, era tutt'ora impresso nella sua memoria, vivido come il giorno in cui era avvenuto.
Si rivedeva adolescente, un po' sperso tra i pittoreschi negozietti di Portobello Road, circondato, per la prima volta in vita sua, da una folla di Babbani; poteva ancora assaporare l'eccitante terrore che lo aveva assalito.
Oh, Alphard era sempre stato affascinato dai Babbani. Li osservava interessato, di nascosto, non amando essere costantemente ripreso da parenti di ogni ordine e grado per quello che veniva, con discrezione, definito l'Abominevole Vizio: un vero Black non poteva trovare affascinanti i Babbani. Davvero. Non era nemmeno pensabile una simile eventualità.
Di conseguenza, il giovane Alphard si era tenuto a ragionevole distanza dai Babbani per i primi diciotto anni della sua vita.
Fino a quel luminoso mattino di fine estate di ventun anni prima, insomma.
Ma una sfida era una sfida, che diamine! E una bella ragazza era una bella ragazza. E Artemisia Greengrass era decisamente una bella ragazza, valeva qualsiasi sfida. Anche quella di fingersi Babbano per un giorno, mischiandosi tra i Babbani e facendo le cose che facevano i Babbani. Alphard non aveva proprio potuto sottrarsi a quella che, tra l'altro, gli sembrava una nuova, meravigliosa avventura.
E lui non sapeva resistere alle nuove avventure - meravigliose o meno - quindi aveva accettato l'insolita sfida; vincendola alla grande.
Artemisia era rimasta ammirata dal versatile ardimento da lui sfoggiato in quell'occasione, e Alphard si era goduto con piacere tale incontenibile ammirazione...
Certo, non le aveva mai confessato di essersi divertito parecchio a mischiarsi tra i Babbani. Erano molto interessanti i Babbani di quell'epoca: vivevano circondati dalle macerie causate da quella terrificante follia nota come Seconda Guerra Mondiale, ma erano animati da una voglia di vivere assolutamente irresistibile, quasi fossero inebriati dalla pace appena ritrovata: facevano cose interessanti; i mezzi con cui si spostavano erano interessanti; per non parlare dell'interessantissimo Cinema... Alphard era rimasto ammaliato dal Cinema. Era molto meglio delle fotografie magiche! In un certo senso poteva essere paragonato a un Pensatoio. Molto più creativo, però. Non mostrava ricordi. Mostrava sogni.
E poi c'era stato l'incontro fatale con quel vecchio baule su cui era inciso il suo nome. Be', più o meno.
Il venditore - un allampanato, malinconico Babbano con capelli impomatati e spessi occhiali dalla buffa montatura - glielo aveva venduto per pochi spiccioli sostenendo che era bello, sì, e antico anche. Ma irrimediabilmente rotto. Non c'era verso di aprirlo. Pareva incollato. Ma forse con una sega...
Alphard non possedeva una sega. Possedeva una bacchetta magica, però.
E un Alhomora ben assestato era stato sufficiente per aprire il vecchio baule: non era né rotto né incollato. Era solo magico.
Era stato destabilizzante scoprire che antichi oggetti magici erano, solo Merlino sapeva come, finiti in mani Babbane. Ma ancora più destabilizzanti erano stati i due oggetti contenuti nel baule. All'apparenza sembravano innocui, ma avevano segnato profondamente la vita di Alphard: scoprire di essere il terzo Al Black non era stato privo di conseguenze.
L'antica pergamena scritta, usando impeccabili caratteri runici, da Aldebaran Black (o Al Primo, come lo chiamava scherzosamente Alphard) era stata un'intrigante rivelazione: le leggendarie Chiavi del Tempo - che Alphard aveva sempre creduto non più reali dei Doni della Morte - erano davvero esistite.
Il vecchio diario di Althea Black (Al seconda) era stato più ostico da apprezzare - non essendo Alphard particolarmente interessato alla preparazione di irresistibili dolcetti al miele o, men che meno, alla conquista di un riservato Grifondoro dagli occhi dolci e tristi come quelli di un randagio - ma lo sforzo della faticosa lettura era stato abbondantemente ripagato dalla parte scritta in caratteri runici, che rivelava parecchie altre cose interessanti sulle Chiavi del Tempo: come il fatto che, alla fine del quattordicesimo secolo, erano state allontanate dalla stirpe dei maghi e affidate a un ignaro orafo Babbano. Alphard, sapendo che non era una cosa semplice distruggere oggetti creati con la Magia, si era convinto che esistessero ancora.
E proprio su quella convinzione aveva basato la scelta della sua professione: sarebbe diventato un Rintracciatore. Avrebbe cioè cercato gli oggetti magici finiti in mani Babbane per riportarli nel mondo dei maghi.
Era qualificato, fortunatamente, visto che su espresso ordine del padre - fermamente intenzionato a guarirlo dall'Abominevole Vizio mostrandogli quanto noiosi e inferiori fossero i Babbani - Alphard aveva, unico tra i Black, seguito con profitto il corso di Babbanologia.
I parenti avevano persino approvato la sua scelta: lavorare per il Ministero della Magia era una cosa dignitosa e riportare tra i maghi degli oggetti magici, salvandoli dalle poco accorte cure di inetti Babbani, era senza ombra di dubbio una nobile missione.
Il più felice e soddisfatto, però, era proprio Alphard: aveva trovato un lavoro che amava e che gli permetteva di coltivare l'Abominevole Vizio - che non era affatto stato guarito dallo studio di Babbanologia - con il compiaciuto benestare dei parenti tutti.

Improvvisamente un ticchettio martellante distolse Alphard dai suoi ricordi.

Un sinistro gufo nero batteva con impazienza il becco bruno contro il vetro della finestra che si trovava alle spalle del mago.
Sospirando, Alphard ripose il medaglione nel baule e raggiunse la finestra: conosceva quel gufo luttuoso e impettito. Era Deimos, il degno pennuto di sua sorella Walburga.
Quando aprì la finestra, il rapace lo fissò con i suoi solenni occhi gialli, lasciò cadere un'inquietante busta scarlatta e se ne volò via.
Allibito, Alphard aprì la missiva che somigliava assurdamente a una Strillettera.
Forse perché era una Strillettera, realizzò incredulo quando quella gli sfuggì dalle mani e, posizionandosi davanti al suo naso, cominciò a urlare con la potente voce della sua diletta sorella maggiore, ricoprendolo di improperi e avvisandolo di non osare dimenticarsi la cena di famiglia in programma per quella sera.
Quando la lettera prese fuoco, accartocciandosi per poi annegarsi nel grande acquario posto accanto al divano, Alphard si sfregò sbigottito la fronte: era da più di vent'anni che non riceveva una Strillettera. Era fuori allenamento.
Sospettava, tra l'altro, che le Strillettere di sua madre non fossero terrificanti quanto quelle di Walburga. Nemmeno lontanamente.
Sembrava proprio che, questa volta, non avrebbe potuto inventarsi una dimenticanza per saltare il supplizio di una cena tra Black. Peccato.
Abbassando gli occhi guardò desolato i suoi vecchi jeans scoloriti, chiedendosi se fosse il caso di cambiarsi. Erano comodi quegli abiti e gli piacevano molto, ma a Walburga sarebbe probabilmente venuta una crisi isterica se si fosse presentato così.
Combattuto, Alphard si avvicinò alla credenza in stile coloniale ereditata da zio Marius - ufficialmente non era mai esistito uno zio Marius, ma ad Alphard era sempre piaciuto molto: aveva gli occhi grigi e un gusto non squisito in fatto di mobili - e lanciò un'occhiata critica allo specchio che la sormontava.
Gemette, scrutando i lunghi capelli neri che gli spiovevano ribelli sulla fronte. Oh, sì, a Walburga sarebbe decisamente venuta una crisi isterica vedendolo arrivare.
Stringendosi nelle spalle, si scostò le ciocche di capelli che gli coprivano gli occhi. Occhi grigi, come quelli di zio Marius. Sarebbero bastati loro a fare venire a Walburga una delle sue proverbiali crisi isteriche. Be', visto che a quello non poteva proprio porre rimedio, tanto valeva rassegnarsi e fare in modo che l'inevitabile crisi isterica fosse almeno motivata.
Guardando nervoso l'orologio che portava al polso, ripescò i resti carbonizzati della Strillettera dall'acquario - altro lascito di zio Marius - versò un po' di cibo ai pesci rossi che vi nuotavano tranquilli e, afferrata la bacchetta, si preparò a Smaterializzarsi.
Poi ci ripensò. Indossò sogghignando il giubbetto di pelle scura abbandonato sul divano, afferrò il mazzo di chiavi appoggiato sul mobile basso che si trovava accanto alla porta e uscì dall'appartamento, dirigendosi deciso nel cortiletto sul retro della casa.
Salutando cortese la sua anziana vicina, si concesse qualche secondo per ammirare la grossa moto scura e lucente posteggiata all'ombra di un vecchio ciliegio.
Scrutò quindi il cielo quasi limpido, osservando scettico le grosse nubi livide che si stagliavano all'orizzonte e salì sulla moto. L'accese, godendosi l'inebriante sensazione del motore che ruggiva potente e partì ridendo felice: oh, sì, il suo arrivo avrebbe sicuramente procurato a Walburga una crisi isterica memorabile!

Mentre si districava con abilità tra il traffico londinese, Alphard capì di avere sottovalutato le nubi temporalesche che si stavano ammassando, rapide e minacciose, sopra la sua testa.
Quando grosse gocce di acqua cominciarono a centrarlo con irritante frequenza, decise di aggiungere un'altra motivazione alla crisi isterica di Walburga e, parcheggiata la moto sotto una tettoia di metallo, entrò in un piccolo pub caratterizzato da una graziosa insegna blu decorata da una miriade di puntini bianchi che formavano una scritta un po' nebulosa: "The Galaxy".
Era il suo pub preferito, lo aveva scoperto alcuni anni prima e, trovandolo indiscutibilmente appropriato per qualcuno che si chiamava Alphard, ne era diventato un cliente affezionato.
Jordan O'Sullivan, il gioviale, Babbanissimo proprietario, conquistato dal suo originale nome astronomico, gli aveva subito offerto un'amicizia incondizionata e la solenne promessa di chiamare Alphard il primo figlio. Fortunatamente per tutti, l'unico rampollo maschio di Jordan aveva avuto il buon senso di nascere il 12 aprile del 1961 ed era stato chiamato Yuri, in onore di Gagarin, il primo uomo che, proprio quel giorno, aveva avuto il piacere di farsi un giretto nello Spazio.
E Jordan era ossessionato dallo Spazio.
Il "The Galaxy" ne era la prova più lampante, constatò Alphard, scrollandosi come un grosso cane e osservando affascinato le numerose immagini di pianeti, di navicelle spaziali e di astronauti che, dopo avere colonizzato ogni palmo di parete disponibile, stavano invadendo, inesorabili, anche il bancone.

«Alphard!»

Lo accolse allegro Jordan, brandendo un giornale un po' spiegazzato. «Ti davo per disperso, ormai! E' da un bel po' che non ti si vede da queste parti! Se cerchi Erin non c'è. Credo sia a Cambridge, per uno di quei noiosi seminari su quelle diroccate antichità che tanto ama».
Alphard sorrise e si avvicinò all'amico. «Lo so perfettamente. Tale noioso seminario era in programma da mesi e Erin ed io siamo soliti comunicare, di tanto in tanto, sai?»
Jordan lo scrutò in tralice e sbuffò. «Credimi, Al, è meglio per tutti se evito di soffermarmi troppo su cosa tu sia solito fare con la mia sorellina».
Alphard sogghignò divertito. «E' troppo presto per qualcosa di forte?»
Jordan sbirciò l'orologio da parete semi-sommerso da una gigantografia della luna e si strinse nelle spalle. «Direi proprio di no. Hai davvero bisogno di qualcosa di forte, amico, pare che tu abbia appena visto un marziano».
«Peggio, sono reduce da una... uh... telefonata... di mia sorella. E sono in procinto di affrontare una cena di famiglia».
Jordan annuì comprensivo - era il settimo di otto figli: Alphard non riusciva a spiegarsi come potesse essere ancora più o meno sano di mente - e gli allungò un bicchiere colmo della celebre specialità della casa.
Alphard si arrampicò su uno degli alti sgabelli di metallo che fronteggiavano il bancone e accettò grato la misteriosa bevanda opalescente. Nessuno sapeva cosa contenesse di preciso - Jordan non avrebbe svelato l'arcano neppure sotto tortura - ma era buona e forte al punto giusto. Sapeva vagamente di anice, decise Alphard sbirciando incuriosito il giornale abbandonato davanti ai suoi occhi.
«E' davvero terribile» esclamò, dopo avere scorso velocemente l'articolo che occupava la pagina su cui era aperto.
«Cosa?» chiese Jordan, guardando preoccupato il bicchiere di Alphard.
«Questo povero bambino assalito da un lupo in Cornovaglia. Ma non stavi leggendo questo, Jordy?»
«Ah, no. In realtà stavo leggendo quello» ammise il Babbano, indicando con malcelato entusiasmo il trafiletto vicino. «Non mi dire che ti sei perso tutta questa storia di Luna 10
Alphard lo scrutò sbigottito. «Luna... cosa?»
Jordan scosse il capo alzando gli occhi al cielo. «Luna 10. Sei senza speranze, Al. Sempre perso alla ricerca dei tuoi decrepiti gingilli invece di dedicarti alle faccende davvero importanti! Con un nome come il tuo non puoi non interessarti a questa cosa fantastica che è la conquista dello Spazio! Da quattro giorni nell'orbita della luna c'è un satellite artificiale attrezzato per studiarla: Luna 10, appunto. Non lo trovi grandioso? Sono sicuro che tra qualche anno riusciremo a spedirci un uomo, lassù! Non sarebbe fantastico?»
Alphard scrutò affascinato il viso lentigginoso di Jordan, trasfigurato da un'incontenibile eccitazione, e si strinse nelle spalle, dubbioso. «Ma che utilità avrebbe spedire un uomo sulla luna, Jordan?».
«Che utilità avrebbe? Be', scopriremmo finalmente cosa c'è davvero lassù! Noi...» esitò, in cerca delle parole adatte. «Noi impareremmo qualcosa di nuovo, quindi saremmo tutti un pochino migliori, non trovi?»
Alphard scosse il capo, divertito. E ammirato. Sotto alcuni aspetti invidiava Jordan. Invidiava i Babbani in generale. Invidiava quella loro inesauribile brama di sapere, di scoprire, di conoscere. Di migliorarsi. Una brama che aveva loro permesso di elevarsi al livello dei maghi, ormai. Erano riusciti a ovviare, con quella che chiamavano tecnologia, alla mancanza di poteri magici. Se non era ammirevole quello...
Jordan, sorridendo trasognato, ritagliò l'articolo che lo interessava, lo appese al bancone del pub con una puntina e sorrise alla giovane coppia appena entrata nel locale.
Notando che l'acquazzone era terminato, Alphard tentò di pagare ma Jordan affermò offeso che offriva lui, naturalmente, per festeggiare la buona riuscita della missione Luna 10.
Alphard, a malincuore, rinunciò a insistere oltre. Conosceva Jordan: quando si impuntava su qualcosa non c'era proprio verso di fargli cambiare idea. Somigliava un po' a Walburga in questo.
Merlino, Walburga!
Biascicando un ringraziamento e un saluto affrettato, scattò in piedi e uscì dal locale, ignorando ostinatamente il sorrisetto furbo di Jordan. Inforcata la moto, puntò quindi diritto a Grimmauld Place numero 12: con un po' di fortuna sarebbe arrivato in perfetto orario per la fantomatica cena di famiglia che non poteva azzardarsi a dimenticare.
Era anche abbastanza sicuro che avesse un motivo particolare, quella cena. Se solo fosse riuscito a ricordarsi quale...

Una manciata di minuti più tardi, Alphard spense la moto: l'Avita Dimora di Orion Black e famiglia si stagliava in tutto il suo squisito splendore davanti ai suoi occhi. Era in perfetto orario, constatò sollevato, osservando i Babbani che camminavano frettolosi, tentando di evitare le pozzanghere più profonde.
Alcuni di loro lanciavano occhiate bramose alla moto di Alphard - qualche esemplare di genere femminile le lanciava direttamente ad Alphard, a essere sinceri - ma nessuno sembrava notare l'edificio contrassegnato dal numero 12, malgrado fosse caratterizzato da particolari (il grosso battiporta d'argento a forma di serpente, ad esempio) piuttosto appariscenti: gli incantesimi Respingi-Babbani funzionavano alla perfezione.
Alphard smontò dalla moto e si avvicinò mesto all'Avita Dimora: non aveva mai amato quelle riunioni di famiglia. I suoi orgogliosi parenti riuscivano sempre a farlo sentire in qualche modo inadeguato.
La sua espressione corrucciata si addolcì un poco quando scorse il bambino dai capelli scuri che, standosene rannicchiato sugli scalini di pietra antistanti il portone laccato di lucida vernice nera, fissava assorto quattro ragazzini intenti a prendere a calci una malconcia palla arancione.
Intenerito, l'uomo si avvicinò al bambino e sussurrò con gentilezza: «Uno Zellino per i tuoi pensieri».
Il piccolo sussultò, balzando in piedi e inciampando nell'elegante tunica scura.
Alphard lo afferrò stringendolo in un abbraccio affettuoso e sorrise deliziato quando il bimbo gli gettò le braccia al collo urlando entusiasta: «Zio Al! Ti stavo giusto aspettando! Avevo paura che non venissi! Wow, sei venuto con la tua motoclicetta
«Mmm, motocicletta, per la precisione, Sirius, non mi sembravi tanto concentrato sul mio arrivo, però. Avrei potuto trasfigurarti in un serpente d'argento e appenderti al portone per fare compagnia al battiporta e tu non te ne saresti neppure accorto».
«Non è vero!» protestò il piccolo con veemenza.
«No? Va bene, fingerò di crederci. Ma secondo me eri più interessato a loro...» disse l'uomo, indicando con un cenno del capo i bambini Babbani.
Sirius corrugò la fronte, giocherellando distratto con la cerniera del giubbino di Alphard. «E' solo che mi annoio, zio. Non ho nulla da fare e mi tocca starmene tutto il giorno rinchiuso in quella casa».
«Non puoi giocare con Regulus?»
«Regulus? Mff, sta prendendo una brutta piega quello là, sai? Davvero. Sta diventando uguale ai nostri genitori. Ma proprio uguale-uguale» affermò il bimbo, stringendosi affranto nelle spalle.
Alphard trattenne un sogghigno - non voleva che Sirius pensasse stesse ridendo di lui - anche lui da bambino si era sentito così. E anche lui era rimasto deluso quando si era reso conto che Cygnus stava prendendo una brutta piega, diventando uguale-uguale ai loro genitori.
«Capisco» mormorò con dolcezza, posando il bimbo a terra e accovacciandosi davanti a lui per poterlo guardare comodamente negli occhi. Occhi grigi, come i suoi. Era davvero strana la genetica, a volte. Capricciosa. Sirius sembrava più figlio suo che di Walburga e Orion. Un bambino fortunato, insomma.
«Io vorrei tanto giocare con loro» affermò il bambino fortunato dopo un breve, meditabondo silenzio. «Mi sembrano simpatici. Ma mia madre dice che non posso. Ha fatto anche un incantesimo e loro non mi vedono neppure. Perché un Black non può giocare con i Babbani, secondo lei» tacque un istante, fissando imbronciato i ragazzini. «Zio, cosa sono i Babbani?»
«Oh. Sono... esseri umani, Sirius. Come noi. Solo che non possono fare magie».
«Nemmeno con una bacchetta magica?»
«Nemmeno con una bacchetta magica».
«Quindi è questo che li rende... uh... inferi di ori?»
Alphard lo guardò stranito. «Inferi di ori?»
«Sì, mio padre non fa che ripetere che i Babbani sono inferi di ori come gli elfi domestici. Vuole dire che sono poveri, zio? Che non hanno quelle cose luccicanti di cui si ricopre zia Druella?»
«Ah. No, non c'entrano gli ori. E neppure gli Inferi, Sirius. Credo che il termine appropriato sia inferiori, tutto attaccato. Vuole dire che valgono un po' meno di te, perché non possono fare qualcosa che tu sai fare».
«Oh. Mi pareva. Non è una cosa brutta non possedere ori. Anzi... zia Druella è un po' ridicola a volte: sembra un albero di Natale. Però, zio, io non so fare quello che fa quel bambino con la palla» osservò Sirius, indicando uno dei quattro ragazzini che palleggiava con grande maestria. «Quindi sono inferiore al Babbano?»

«Sirius!» un urlo degno di una Banshee infuriata li distolse dalla spinosa questione. «Allontanati subito da quel Babbano, come... oh, sei tu, Alphard».

Alphard si alzò di scatto e guardò preoccupato Walburga: faceva un certo effetto, tutta impettita, avvolta nella sua funerea tunica nera, e con la bacchetta minacciosamente puntata verso di lui.
«Ma come ti sei conciato? Ti pare il modo di presentarti a una cena di famiglia? Con quegli abominevoli abiti Babbani! E un Incantesimo Accorciante ai capelli ti avrebbe richiesto troppo sforzo, suppongo. E a proposito: ma quanto ci hai messo a Materializzarti!»
Alphard approfittò della provvidenziale pausa - evidentemente anche Walburga necessitava di respirare, di tanto in tanto - per tentare una difesa e indicò la moto. «Non mi sono Materializzato. Sono venuto con...»
«Con quell'Abominio? Con un mezzo di trasporto Babbano? Ma sei impazzito? E proprio in questo momento così delicato per la famiglia! Spero che non ti abbiano visto i Lestrange!»
Alphard la guardò un po' smarrito. Doveva essersi perso qualche punto fondamentale. Ma non se ne curò più di tanto, troppo divertito dalla scoperta che la voce di Walburga versione carne e ossa era uguale a quella versione Strillettera. Ma proprio uguale-uguale!
«E non restartene lì impalato come un elfo impagliato, per l'albero genealogico di Merlino! Siamo già in ritardo» sbraitò la strega, agitando la bacchetta e scostandosi per lasciare entrare Sirius e Alphard.
«Per l'albero genealogico di Merlino? Questa non l'avevo mai sentita, Walburga. Lo sai però che Merlino non aveva questo grande albero genealogico, vero? Lui era un nato Bab...»
«Sciocchezze!» tagliò corto la donna lucidando con uno stizzito colpo di bacchetta le scarpe un po' impolverate di Sirius. «Merlino era un Purosangue, senza ombra di dubbio. Sono stati i Babbanofili a mettere in giro quelle disdicevoli voci su sue presunte ascendenze Babbane. Figuriamoci! Un mago di quella potenza non poteva che essere Purosangue!» concluse, chinandosi su Sirius per allacciargli i bottoni della tunica che lui aveva lasciato negligentemente sbottonati.
Alphard scosse il capo, esasperato. «Il professor Silente è solito dire che...»
«Silente è, per l'appunto, un Babbanofilo della peggior specie. E non solo quello. Ha avuto il coraggio di dire a Bellatrix che i centauri meritano rispetto perché sono esseri intelligenti».
«Che assoluta mancanza di buonsenso, da parte sua» affermò ironico Alphard, strizzando l'occhio al nipotino. Il piccolo sorrise e, approfittando della distrazione dell'augusta genitrice, si slacciò nuovamente i bottoni.
«Già» convenne convinta Walburga, che non era mai stata molto brava a cogliere l'ironia. «La povera piccina ne è rimasta sconvolta».
Alphard ne dubitava seriamente, conoscendo bene la povera piccina, ma, affascinato da Sirius che, tenendosi cauto alle spalle della madre, ne imitava irriverente l'andatura marziale, decise di soprassedere.
«Oh, però potevi anche trovare il tempo di cambiarti, Alphard. Sei davvero impresentabile. Ti darei una tunica di Orion... ma sarebbe uno spettacolo forse ancora più disdicevole, considerato che ti arriverebbe appena a metà polpaccio. Mi chiedo da chi tu abbia preso. Nessuno in famiglia è così alto!» sbuffò la strega, indicando con un gesto vago la lunga teoria di ritratti di Black trapassati appesi alle pareti del corridoio che stavano attraversando.
«Zio Marius lo era».
La donna lo fulminò con un'occhiata e precisò a denti stretti: «Non c'è mai stato nessun Black con quel nome! Ti pregherei di ricordarlo, Alphard. No, deve essere un carattere ancestrale. Anche Sirius sembra avere ereditato la tua altezza oltre che il tuo singolare colore degli occhi».
«Singolare colore degli occhi?».
Walburga annuì ostinata. «Certo. E' una particolarissima tonalità, sospesa tra il nero chiaro e il blu scuro. Stranamente simile al colore delle nubi temporalesche».
«Definizione molto lirica, lo ammetto. Sono deliziato soprattutto dal nero chiaro, sì. Surreale ossimoro. Ma esiste una parola molto semplice per definire tale colore, sai Walburga? Grigio. Io e Sirius abbiamo semplicemente gli occhi grigi. Ci sono sempre stati Black dagli occhi grigi, seppure tendano ad essere ricordati con reticenza, in genere».
«Sciocchezze. I vostri occhi non sono affatto grigi! Il grigio è tutto un altro colore! Abraxas Malfoy ha gli occhi grigi. Non voi due. Ma ora sbrighiamoci! Cygnus è già arrivato da molto. E le ragazze sono affamate».
«Le ragazze?»
Walburga lo gratificò di un'occhiata omicida. «Bellatrix, Andromeda e Narcissa, naturalmente!»
«Sì, Walburga, conosco i nomi delle figlie di Cygnus. Ma Bellatrix e Andromeda non dovrebbero essere a Hogwarts?»
«Non durante le vacanze Pasquali, Alphard! Non durante queste, almeno».

Per la gioia di Alphard, la cena passò senza particolari incidenti.
Del resto, le persone ben educate non parlavano con la bocca piena. E i Black erano sicuramente persone ben educate.
Alphard passò tutto il tempo a escogitare una scusa plausibile per abbandonare la ben educata compagnia alla fine della cena, quando, complici le bocche desolatamente vuote, si sarebbe cominciato a parlare.
E Alphard non aveva nessuna voglia di partecipare a un'entusiasta incensatura di quell'opportunista dall'ego smisurato di Tom Riddle. Ultimamente tutte le conversazioni della famiglia Black finivano per essere entusiaste incensature di Tom Riddle. E Alphard non riusciva a parteciparvi con la necessaria convinzione. Conosceva Tom Riddle - o Lord Voldemort, come voleva essere chiamato al momento - meglio di tutti i suoi familiari, ci aveva condiviso il dormitorio a Hogwarts per sette anni, e non riusciva proprio ad avere tutta quella ammirazione per lui. Senza contare che, quella sera, desiderava solo tornarsene a casa per rimirarsi un po' la Chiave del Tempo ritrovata e dedicarsi alla ricerca della gemella.
Non ebbe fortuna, purtroppo.
Nessuna scusa sembrava abbastanza valida per abbandonare il campo. L'ordine del giorno non ammetteva defezioni, essendo di vitale importanza per la nobile e antichissima Casata dei Black al gran completo.
I Lestrange si erano detti interessati a unire le proprie fortune a quelle dei Black, proponendo il loro rampollo primogenito - il giovane Rodolphus - come aspirante fidanzato per la quindicenne Bellatrix.
E Bellatrix, assetata di potere e di purezza del sangue, pareva oltremodo compiaciuta.
Dell'opinione del giovane Rodolphus non era dato sapere. Ad Alphard faceva comunque un po' pena quel povero ragazzo.
Ma non osò proferire verbo, forse anche perché abbagliato dagli ori sfoggiati dalla bionda Druella che quella sera - bisognava dare ragione al piccolo Sirius - ricordava davvero un ricco albero di Natale.
Alphard reprimette uno sbadiglio molto poco opportuno. Quindi, approfittando del fatto che erano tutti troppo occupati a commentare le ottime conseguenze dell'offerta dei Lestrange per badare a lui, Appellò silenziosamente la copia della Gazzetta del Profeta abbandonata sullo squisito mobile scuro alle sue spalle e cominciò a leggerla, cullato dal brusio indistinto delle voci eccitate dei suoi parenti.
A un certo punto notò un articolo che lo colpì particolarmente.
Aveva già letto quella notizia sul giornale Babbano di Jordan: un bambino attaccato da un lupo in Cornovaglia. Peccato che le cose non fossero andate esattamente così, constatò, osservando raccapricciato la fotografia di un uomo distrutto che stringeva tra le braccia un bimbo dai capelli chiari quasi totalmente nascosto da spesse fasciature. Nell'articolo non comparivano nomi, ma Alphard conosceva quell'uomo.
Inorridito, balzò in piedi e, dimentico della fondamentale discussione di famiglia, esclamò: «Ma è terribile!»
Gli sguardi dei presenti si posarono sconcertati su di lui.
«Cosa ci sarebbe, di grazia, di terribile nell'unione della nostra fortuna con quella dei Lestrange, Alphard? E' vero, una loro trisavola è stata diseredata per quella brutta faccenda del Satiro ma, bisogna ammetterlo, anche noi abbiamo i nostri scheletri nell'armadio» lo riprese Cygnus con un certo pudico imbarazzo.
Alphard si riscosse. «Cosa? No, io... la brutta faccenda del Satiro? Ma non può essere che una leggenda, dai. Un'umana non può...» sbirciò con discrezione i suoi nipotini che ascoltavano affascinati e decise che nessun racconto riguardante un Satiro poteva essere adatto alle loro orecchie innocenti, così agitò il giornale e concluse: «Comunque, io mi riferivo a questo!»
«Ah, quello» rispose Orion con un'alzata di spalle. «Una brutta faccenda, sì. Dolohov mi ha raccontato che hanno passato un intero pomeriggio a modificare memorie di Babbani e a convincerli che nessun uomo si era trasformato in lupo davanti ai loro occhi per poi assalire un bambino. Ora sono tutti convinti che il ragazzino sia stato assalito da un banale lupo».
Cygnus annuì disgustato. «Già. Non ci si può proprio fidare di Greyback...»
«Greyback?» chiese Alphard pensoso. «E' uno degli amici di Riddle, giusto?»
Walburga negò oltraggiata: «Non dire assurdità, Alphard. Greyback è un licantropo! Un Abominio! Come si può essere amici di un Abominio? Diciamo che viene usato per lavori adatti a lui».
«Usato per lavori adatti a lui? Tipico di Riddle, sì. Ma che ci faceva un licantropo così vicino a una zona abitata da Babbani in una notte di plenilunio?» chiese Alphard confuso.
Druella accarezzò i capelli biondi di Narcissa e sussurrò, un lampo indecifrabile negli occhi blu: «Dicono fosse lì per il ragazzino».
Alphard sussultò: «Cosa? Per il ragazzino che ha morso? Lo ha morso di proposito?»
Il cognato sbuffò, agitando una mano annoiato. «Sembrerebbe di sì. Ma se lo era cercato».
«Se lo era cercato? Stiamo parlando di un bambino dell'età di Sirius! Come può esserselo cercato? Greyback lo ha morso volontariamente! Ha volontariamente rovinato la vita di quel bambino, Orion» urlò Alphard non riuscendo a trattenere lo sdegno.
«Oh, magari saranno fortunati e il bambino morirà. Non è ancora fuori pericolo» osservò con indifferenza Walburga.
Alphard la fissò sconvolto. «Oh, certo. Walburga, tu ti riterresti fortunata se uno dei tuoi figli morisse?»
«Sì, se si fosse trasformato in un immondo ibrido!»
Druella tossicchiò imbarazzata: «Cissy, tesoro, credo che Regulus stia crollando dal sonno, perché non lo porti in camera sua e gli leggi qualcosa? Sono sicura che gli piacerà. E porta anche Sirius con te, così ti mostrerà dove trovare un bel libro».
La ragazzina si alzò sorridendo e annuì, prese per mano i due bambini e affermò sognante: «Sì, così mi alleno. Anch'io da grande voglio sposare un mago ricco e Purosangue per perpetrare la stirpe».
Sirius si divincolò sdegnato. «Io no! Non so cosa farò da grande. Ma di sicuro non sposerò un mago ricco e Purosangue per pre... per per... insomma, per fare quella roba là alla stirpe! Proprio no!»
Narcissa scoppiò in una deliziosa risata argentina: «Mannò, sciocchino. Ovvio che a te non accadrà».
«Ah, ecco, volevo ben dire io» affermò sollevato il ragazzino.
«Tu sposerai una strega ricca e Purosangue per perpetrare la stirpe» rivelò paziente la bambina, quindi uscì dalla stanza tenendo per mano il piccolo Regulus che, assonnato, non oppose resistenza.
Sirius sgranò gli occhi e fece una smorfia di assoluto disgusto: «Cosa? Sposare una femmina? Ma così è ancora peggio! Almeno con un maschio avrei potuto giocare a Gobbiglie. Ma con una femmina... quelle non fanno altro che piagnucolare e sbaciucchiarti tutte umidicce!».
Malgrado tutto, Alphard non riuscì a trattenere una risata; Walburga la prese decisamente peggio, però, posò le mani sui fianchi e guardò il bimbo con un truce cipiglio: «Sirius!»
Il piccolo arretrò di un passo, ma sollevò fiero gli occhi grigi fissando il viso della madre.
Fu Andromeda a salvare la situazione, arruffando scherzosa i capelli al cuginetto ed esclamando: «Ehi! Come sarebbe che una femmina non può giocare con te a Gobbiglie? Ritieniti sfidato, nanerottolo, ho proprio voglia di mostrarti un paio di cose su noi inutili femmine!»
Il bambino la guardò un po' scettico, ma poi accettò, afferrando la mano della ragazza e trascinandola fuori dalla stanza.
Alphard aspettò che la porta si richiudesse per poi chiedere incredulo: «Preferiresti davvero vedere uno dei tuoi figli morto piuttosto che licantropo?"
Walburga annuì con gelida serietà. «Certamente. Preferirei vederli entrambi morti, Alphard, piuttosto che vederli disonorare la Casata. Sono sicura che Orion, Cygnus e Druella sono d'accordo con me».
Alphard scrutò inorridito i presenti. Druella sembrava un po' incerta, ma negli occhi dei veri Black c'era solo una terrificante sicurezza. Evidentemente lui era proprio un Black fallimentare. I suoi parenti non avevano mai mancato di farglielo notare, del resto. Sospirando mesto si massaggiò la fronte e chiese: «Come sarebbe a dire, comunque, che il figlio di John Lupin se l'è cercata?»
«Chi?» chiese Druella confusa.
«Il bambino aggredito dal licantropo che lavora per Riddle».
«Non è stato il bambino a cercarsela. E' stato il padre. Ha offeso Greyback» spiegò il cognato con insofferenza.
Alphard lo squadrò incredulo. «Conosco John, lavora al Ministero, nell'ufficio accanto al mio. E' l'uomo più gentile e disponibile di questo mondo, Orion. Non saprebbe offendere qualcuno neppure impegnandosi!»
«Non ha dato a Greyback quello che gli ha chiesto. Ma perché ti riscaldi tanto, Alphard. Quell'uomo è solo un Nato Babbano».
«Non gli ha dato... cosa voleva Greyback da John?»
Orion si strinse nelle spalle. «Non lo so. E non mi interessa particolarmente».
«Lo so io!» affermò Bellatrix, eccitata. «Rodolphus mi ha raccontato tutta la storia! Suo padre era presente quando Greyback ha fatto rapporto. Era furibondo, il mannaro, perché il Sanguesporco che lavora al Ministero non gli ha dato la lista».
Alphard si sentì fremere per la voglia di prendere a sculaccioni quella ragazzina irritante che usava termini tanto volgari e maleducati per indicare una persona piacevole come John, ma si trattenne - evidentemente a Cygnus e Druella andava bene così - e chiese: «La lista? Quale lista? Un momento... John si occupa di rintracciare i bambini dotati di poteri magici nati da genitori Babbani. Greyback voleva che gli consegnasse la lista con i loro nomi?»
La ragazzina annuì, entusiasta. «Sì, Rodolphus dice che Greyback voleva occuparsi di quei marmocchi. Il Sanguesporco non glielo ha permesso e lui ha deciso di occuparsi del marmocchio del Sanguesporco».
Alphard sgranò gli occhi, orripilato.
Cygnus sospirò avvicinandosi al fratello. «Alphard, bisogna pur fermarla questa invasione incontrollata di Nati Babbani. Sono sempre più numerosi, al contrario di noi Purosangue che diventiamo sempre meno. Non possiamo starcene buoni a guardare mentre i Babbani ci rubano la Magia».
«I Babbani non ci rubano la Magia! Non solo non possono, Cygnus, ma non ci pensano neppure. Non ne hanno bisogno. Ci hanno raggiunto. E superato, forse! Hanno creato un manufatto che ora ruota attorno alla luna studiandola, per Merlino! Noi, con la nostra Magia, siamo forse stati in grado di fare qualcosa del genere?»
«E perché mai avremmo dovuto?»
Alphard prese il giornale, ancora aperto sull'articolo del bambino aggredito dal licantropo, e lo piazzò sotto il naso del fratello. «Perché? Ma per scoprire cosa c'è davvero lassù, Cygnus, per diventare tutti un po' migliori. Sarebbe meraviglioso se la luna fosse il pretesto per miglioraci e non l'elemento che permette al sicario mannaro di un mago di eliminare bambini innocenti che hanno la sola colpa di essere nati nella famiglia sbagliata! Pensavo che quei tempi fossero finiti. Che l'Ordine di Merlino fosse stato sciolto perché ormai inutile. Ero convinto che i Babbani fossero protetti dal Ministero...»
«Ma lo sono! Sono sicura che Lord Voldemort non voleva affatto eliminare quei bambini. Probabilmente voleva solo conoscere i loro nomi per controllare che non ci nuocessero. E' stato di sicuro quell'ibrido disgustoso a fraintendere...» disse Druella.
Alphard la osservò scettico. Druella era davvero convinta di quello che aveva appena detto.
Druella non conosceva Riddle, però.
Ma lui sì. Ci aveva convissuto per sette anni. Era ambizioso Riddle, oh, sì. Un po' megalomane anche e opportunista. Ma non poteva essere un simile mostro...
No, doveva essere stata davvero un'idea di Greyback.

Sospirando inquieto, Alphard salutò i parenti che accettarono graziosamente il suo congedo. Troppo impazienti di ricominciare a elencare gli innumerevoli benefici di un'unione con i Lestrange per badare a lui, probabilmente, o solo seccati dalla sua vibrante arringa pro-Babbani.
Ad Alphard interessava poco il perché, era libero di andarsene e solo quello importava.
Voleva tornare a casa e dedicarsi alla ricerca della settima Chiave. Ma, soprattutto, voleva allontanarsi il più possibile da quei vuoti discorsi su potere, superiorità e purezza del sangue che lo avevano accompagnato fin da quando era bambino.
Un tempo aveva anche creduto a quei discorsi, forse... ma dopo ventun anni di quotidiane frequentazioni di Babbani, era sicuro che non avevano alcun fondamento.
Attraversò a passo sostenuto il lungo corridoio che portava all'uscita, ignorando gli austeri ritratti che ne ornavano le pareti e fermandosi solo davanti al portone d'ingresso tenuto socchiuso da un vecchio mattone sbrecciato.
Un po' sorpreso, Alphard uscì dall'edificio lasciando il mattone al suo posto, anche se non ne comprendeva l'utilità.
Respirò a pieni polmoni l'aria fresca della notte, sentendosi improvvisamente libero e leggero.
L'Avita Dimora aveva il misterioso potere di fargli mancare l'aria, di farlo sentire oppresso. Era felice che fosse stata Walburga, ad ereditarla.
Quando cercò con lo sguardo la moto comprese l'utilità del mattone fermaporta: non era il solo a volersi godere la pace della notte.
Sirius sembrava avere avuto la stessa idea e, non possedendo ancora una bacchetta, non avrebbe potuto aprire quell'infida porta priva di maniglia senza ricorrere al battiporta. E Walburga e Orion non avrebbero gradito particolarmente.
«Hai già terminato di giocare a Gobbiglie con Andromeda, noto» osservò con noncuranza il mago, avvicinandosi al nipote intento ad ammirare la grossa moto illuminata dalla luce giallastra di un lampione.
Il ragazzino alzò le spalle, lo sguardo fisso sulla motocicletta. «Mi fai fare un giro, zio Al? Mi piace sedermi su questa cosa mentre ruggisce. Sembra di cavalcare un drago! Se solo sapesse volare! Credi imparerà?»
Alphard rise, sorpreso. «Imparare a volare? Oh, no, non credo proprio. Non è viva, Sirius. E' solo un oggetto, come una scopa».
«Ma le scope sanno volare!».
«Sì, ma solo se vengono sottoposte a un particolare incantesimo».
«Oh. Perché allora non lo facciamo anche alla moto quell'incantesimo? Sarebbe fantastico volare lassù con questa!»
«Si potrebbe tentare, immagino».
Sirius annuì felice. «Allora, mi porti a fare un giro?»
«Non questa sera, piccoletto. E' tardi. Dovresti essere già a letto da un pezzo».
«Andromeda è convinta che lo sia, infatti».
«Ah, ecco. Come è andata la vostra partita di Gobbiglie?»
Sirius chinò il capo, abbattuto, poi sussurrò. «Mi ha stracciato. Andromeda non è male per essere una femmina».
«No, infatti. Andromeda è carina».
«Mmm. Zio, posso farti una domanda anche se è tardi?»
Alphard ridacchiò divertito, gli pareva che Sirius non facesse altro che tempestarlo di domande, ultimamente. Ma, ricompostosi, annuì con serietà: «Certo, Sirius, coraggio».
«Cos'è un licantropo?»
Alphard meditò un istante, poi sollevò il bimbo e lo fece sedere sul sedile della moto. «E' un essere umano, Sirius. Come noi. Solo che nel suo corpo ospita lo spirito di un lupo».
«Un lupo? Vuoi dire un lupo-lupo
«Sì, un lupo-lupo. E...» indicò con un dito la luna appena calante che brillava nel cielo terso. «Nelle notti di luna piena, lo spirito del lupo prende il sopravvento e l'essere umano, costretto a sottometterglisi, si trasforma per una manciata di ore in un lupo-lupo».
Sirius sgranò gli occhi, meravigliato. «Wow! Mi piacciono i lupi. Sono... eleganti».
Alphard corrugò la fronte, pensoso. «Eleganti? Sì, suppongo che lo siano».
«Lo sapevo che doveva essere una cosa fantastica un licantropo! Mia madre ha detto che è un Abominio...»
Alphard lo fissò stranito e il piccolo sbuffò, prima di spiegare come se stesse parlando con un bambino poco sveglio: «Per mia madre un sacco di cose sono un Abominio. Anche i tuoi vestiti lo sono. E la tua moto. E la tua capanna, anche...»
«La mia... capanna
Il ragazzino annuì serio. «Sì. E' uno degli Abomini di cui parla di più, la tua capanna. Sembra proprio che tu sia un po' tutto un Abominio, zio».
Alphard annuì serio. «Ne sono oltremodo lusingato».
«Ecco. Io non so proprio bene cos'è un Abominio, ma sembra che le cose che mi piacciono di più lo siano! Tu mi piaci. E anche i tuoi vestiti. E la tua moto... quindi anche i licantropi devono essere proprio belli!».
«Tua madre non sembra essere d'accordo».
«A mia madre piace questa stupida tunica. Mica ci si può fidare di quello che piace a lei...»
«Giusto. I licantropi devono essere proprio belli».
«Già. Eleganti come lupi. Mi piacerebbe essere un lupo, ogni tanto. Zio? Quel bambino... quello del giornale, è un licantropo?»
Alphard sospirò triste. «Sì, Sirius, è un licantropo anche lui, ora».
«Bene. Mi sa che quando andrò a Hogwarts lo cercherò e ci diventerò amico».
«Non credo che troverai quel bambino a Hogwarts, sai?»
«Io credo che sarà facile trovarlo, invece. Dovrò solo cercare il ragazzino elegante come un lupo».
«No, non intendevo questo... non credo che a quel bambino sarà permesso frequentare Hogwarts».
«Ma tutti i ragazzini frequentano Hogwarts».
«E' un licantropo, Sirius. La maggior parte della gente pensa che sia un mostro, non credo che il preside Dippet gli permetterà di frequentare la scuola».
«Oh, ma mi sa che a Hogwarts li prendono i mostri, zio! Davvero. Bellatrix l'hanno presa».
Alphard ridacchiò, stringendo il piccolo in un abbraccio serrato e, dopo avergli sfiorato la testa con un rapido bacio un po' goffo, lo posò a terra. «Potrebbe essere un precedente, sì. Staremo a vedere come si evolverà la cosa, ma ora fila a letto, è tardi e temo che tra non molto tua madre verrà a controllare se dormi. Non vorrai mettere nei guai Andromeda, vero?»
Il piccolo ci pensò un po', combattuto, poi scosse il capo: «No. Non è male Andromeda. E' la Black che preferisco. Dopo di te, è chiaro... lei mica è un Abominio... e poi è pure una femmina».
«Giusto» convenne serio Alphard. «Due grossi svantaggi, senza dubbio».
Sirius sorrise malandrino e, dopo un'ultima carezza alla moto, salì di corsa le scale di pietra spostando il mattone che teneva la porta socchiusa. Prima di scivolare all'interno si voltò verso Alphard e annunciò: «Ho scoperto cosa voglio fare da grande, sai zio Alphard? Voglio diventare uguale-uguale a te: dunque farò l'Abominio!»
Alphard fissò allibito il portone richiudersi alle spalle del nipote, quindi scoppiò in una risata allegra e irrefrenabile, che lo riappacificò con se stesso e con quel posto.
Quando si calmò avviò la moto, dirigendosi verso la sua capanna, pronto a cominciare la ricerca della settima Chiave del Tempo.
In fondo, non era affatto male fare l'Abominio.


Ed eccoci alla quinta tappa del nosto Viaggio.
Una tappa importante, perché apre una nuova fase di questa Storia.
La  fase alphardiana.
Per i prossimi capitoli sarà proprio Alphard la nostra "guida turistica". Con lui attraverseremo gli anni Sessanta e Settanta. Anni importanti per le Chiavi del Tempo... e anni importanti per la Saga di J.K. Rowling. Alphard ci mostrerà, infatti, la sua personale rilettura degli avvenimenti che accompagnarono l'ascesa di Voldemort... e ci mostrerà anche alcuni momenti particolari della famiglia Black a cui ha avuto la "fortuna" di assistere di persona. XD
In realtà, Alphard avrebbe dovuto fare una fugace apparizione in questa storia. Mai nella mia vita avrei pensato di scrivere di lui, infatti. Sono stata "costretta" a farlo (ne La Chiave del Tempo è stato lui a regalare l'oggetto in questione ad Andromeda, quindi non potevo evitare di farlo comparire in questa storia) e, invece di scriverci un capitoletto di sfuggita... mi sono trovata a eleggerlo mio protagonista di tutta la parte centrale.
Che volete, il giovanotto ha un indubbio fascino... non ho proprio saputo resistergli! ^^
Scherzi a parte, mi sono divertita tantissimo ad inventare un carattere e un passato per questo misterioso - ma simpatico - Black di cui J.K. ci ha detto solo il nome, che ha lasciato un'eredità a Sirius e che è stato cancellato dal famoso Arazzo di Famiglia.
Bene, io ho cercato di "costruirlo" tenendo presente questo minimo Canon (un'operazione che avevo già tentato con Teddy ne "La Chiave del Tempo") e mi è piaciuto moltissimo farlo (mi era piaciuto moltissimo fare una cosa del genere anche con Teddy... è un'operazione molto creativa e affascinante, se non l'avete mai provata ve la consiglio caldamente ^^) . Tra  l'altro l'avere lui come protagonista mi ha anche permesso di tentare di capire certi lati di altri personaggi della Rowling che mi hanno sempre incuriosito. Tipo: come mai Sirius, rampollo di un'antica famiglia fiera sostenitrice della superiorità del Sangue Puro ha accettato con tanta naturalezza di frequentare persone che, di sicuro, non avrebbero scatenato l'entusiasmo dei Black regolamentari?
E il rapporto con lo zio Alphard potrebbe essere una plausibile chiave di lettura.
Se sono riuscita nell'intento di creare un Alphard interessante e plausibile starà a voi dirlo, naturalmente. ;)
Per finire le solite "Note di Servizio":
Zio Marius è un personaggio presentatoci da J.K. Rowling. Compare nell'Arazzo di Famiglia (o meglio, non ci compare - in quanto fatto sparire perché Magonò - ma dovrebbe comparirvi).
Bellatrix sposerà davvero il giovane Lestrange, ma ovviamente la situazione da me descritta e l'epoca in cui l'ho piazzata, sono solo mie supposizioni.
Anche la spiegazione del motivo e della tempistica del morso di Remus sono solo mie congetture... ma del resto sappiamo solo che Remus venne morso da Grayback quando era un "bambino piccolo" (parole sue) e perché il padre aveva in qualche modo "offeso" il licantropo (sempre parole sue, Remus non parla molto di se stesso nei libri, ma quando lo fa racconta cose molto interessanti). Quindi la mia versione non stravolge troppo il Canon, tutto sommato.  ;)
Non so con esattezza se il papà di Remus fosse un nato Babbano... ma so che almeno uno dei suoi genitori lo era (la Rowling ha detto che Remus è un mezzosangue, quindi...) e, non comparendo il nome Lupin da nessuna parte (i maghi son praticamente tutti imparentati tra loro) ho optato per questa scelta.
Luna10 è una missione spaziale realmente avvenuta: il 3 aprile 1966, per la precisione, e mi piaceva molto sia dare un riferimento temporale ben preciso all'episodio, sia tentare un ardimentoso parallelismo tra mondo magico e mondo babbano e fare vedere le due... facce della Luna:  ispiratrice di progresso (Babbani alla Conquista dello Spazio) e di barbarie (il Sicario Mannaro di Voldemort).


  
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