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Autore: StephEnKing1985    30/08/2011    1 recensioni
Donatello è un ragazzo gay un po' in sovrappeso. A causa del suo aspetto fisico, si trova a dover fronteggiare in modo particolare la superficialità e meschinità del mondo gay sotto forma di delusioni che riceve puntualmente da ogni ragazzo che conosce. Per rifuggire al dolore, si diletta in ciò che sa fare meglio: Disegnare fumetti. Il suo personaggio preferito è Dandy Landy, un bellissimo ragazzo frizzante e dolce, in cui Donatello proietta il suo fidanzato ideale, innamorandosene. Ben presto il bel personaggio di carta incomincerà a vivere di vita propria, ma sarà una felicità per Donatello oppure sarà solo l'ennesima delusione?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo stesso punto indefinito fissai durante il viaggio di ritorno a Milano, con la differenza che i miei occhi erano chiusi per via del sonno. Dormii quasi ininterrottamente per tutto il tempo, mentre mio fratello Ermanno guidava e Chiara accanto a lui gli parlava di tante cose. Parlava a bassa voce, e la sentii dire che sembravo veramente un bimbo, mentre dormivo, e che presto o tardi avrebbe desiderato anche lei cullare tra le braccia un cucciolo d’uomo. Nel dormiveglia, sentii mio fratello mormorare che sì, avrebbero avuto anche loro un figlio, ma avrebbero prima dovuto sistemarsi per bene, in quanto il suo stipendio di impiegato tecnico alla società di informatica non sarebbe stato abbastanza congruo per coprire tutte le spese che sarebbero sopravvenute.

Messi da parte per un attimo i miei crucci riguardanti la dichiarazione espressa di Simone, pensai “che figlio di…” in riferimento a mio fratello, che avevo visto benissimo infrattarsi con quella bella ragazza bionda. Successivamente, durante una fermata in una stazione di servizio, mentre Chiara era in bagno, l’avevo chiaramente visto al telefono, tutto ingobbito che guardava per terra, come facevo io quando ero ancora a casa e chiamavo dei ragazzi… Patetico. Mi venne voglia di vomitare, ma dovetti resistere e continuare a recitare. Non potevo dire nulla a mio fratello, ma il colpo che avevo ricevuto faceva abbastanza male.

Cercai di pensare a Francesco, che ero sicuro, quando sarei tornato mi avrebbe accolto a braccia aperte e mi avrebbe raccontato di quanti bei ragazzi si era fatto durante la mia assenza, posto che non fosse in uno dei suoi periodi di stallo in cui si chiudeva in camera e chattava solamente… Il pensiero non mi rallegrò, ma fu comunque una distrazione.

A distrarmi ulteriormente, ci pensò il mio corpo. La mia vescica stava letteralmente esplodendo, essendo io stato per troppo tempo in stato catatonico da non riuscire a liberarmene…

 

Sostammo in un’area di servizio poco lontana da Bergamo, dove io scesi dall’auto e corsi in bagno. Mi rinchiusi in un gabinetto, mi slacciai la patta e tirai fuori il mio pene eretto non dall’eccitazione, bensì dal troppo trattenere l’urina. Strizzai gli occhi sforzandomi di espellere l’urina, che sprizzò fuori senza problemi dopo pochi secondi. Mi sentii molto sollevato.

Uscito, trovai di fronte a me la persona che meno mi aspettavo di trovare.

- Simone?!? – esclamai.

- Ciao – disse lui, neutro. – Come stai? –

Senza degnarlo di una risposta, lo scavalcai e andai al lavandino a sensori per lavarmi le mani. Misi le mani sotto il getto e le insaponai, mentre Simone mi guardava dallo specchio.

- Scusami. Non volevo dire quelle parole. Sono pentito. –

Io ancora non risposi, continuando a lavarmi le mani e ad infischiarmene delle sue parole.

Ad un tratto, lui scattò accanto a me e mi prese per il braccio, tirandomi via dalla mia pratica igienica.

-Ah! Simone cosa stai… - accennai, ma lui non mi lasciò il tempo di finire.

Mi trascinò di forza in un gabinetto, quindi mi sbatté sul muro e si avventò su di me, baciandomi le labbra con foga, come se l’indomani il mondo sarebbe dovuto finire.

- Mmmf! – mugugnai io, impossibilitato a proferire parola. Non sapevo se gioire o meno, ma lui mi zittì prontamente, sostituendo la sua bocca alla sua mano, che mi tappò le labbra.

- Shh. – sibilò lui - … Voglio chiederti scusa per essermi comportato da idiota. Voglio venire con te, il mio ex non conta più nulla, voglio venire con te a Bologna e restarci per sempre. Per sempre. Per sempre. –

Zittito com’ero dalla sua bocca, l’unico mezzo per comunicare con lui erano i miei occhi. Erano sgranati di sorpresa, come una vittima che ha paura del suo carnefice, ed erano gonfi di lacrime. Paura o felicità? Era forse l’ultimo sentimento quello preponderante.

- Lascia che io ripari al mio errore – disse poi Simone toccandomi la patta, dove il mio pene appena svuotato dall’urina era ancora un po’ inturgidito.

Sempre impedendomi di parlare, ma questa volta tornando a baciarmi, iniziò ad armeggiare con la zip dei miei pantaloni, fino a che non l’abbassò completamente e tirò fuori il mio membro ormai definitivamente turgido. Guardandomi poi negli occhi, si abbassò lentamente, e lo prese in bocca. Mi guardò ancora una volta, quindi si concentrò su quello che stava facendo.

Io chiusi gli occhi, e finalmente…

 

- Donatello? – una voce mi chiamò. Era una voce femminile. Socchiusi gli occhi. Nella penombra, riuscii a distinguere il visino dolce di mia cognata.

- Chiara…? Hmmm… Che … Che ore sono? – domandai, stiracchiandomi. Ero letteralmente anchilosato. Nonostante l’auto di mio fratello fosse una familiare molto comoda, dormire per così tanto tempo in una posizione innaturale, mi aveva causato un po’ di intorpidimento.

- E’ mezzanotte meno un quarto. Siamo arrivati in anticipo di un’oretta buona. – rispose lei sorridendo.

Io le sorrisi di rimando, ma fu un sorriso artato, in quanto ero consapevole di aver fatto un sogno. Un sogno molto realistico, ma pur sempre un sogno. Mio fratello era dietro l’auto, a scaricare i bagagli.

- Oh, si è svegliato il principino – esordì, scherzosamente. Io lo salutai con la mano, abbozzando un sorriso.

- Ciao bello – lo salutai – scusate se non vi ho tenuto compagnia durante il viaggio. –

- Figurati. Anche Chiara ti ha dato man forte, comunque… ha dormito come una marmotta in letargo anche lei! – rispose mio fratello ridacchiando, mentre Chiara gli mollava un buffetto sul braccio.

Io ridacchiai, dirigendomi verso il bagagliaio per prendere le mie cose. Mentre Ermanno si allontanava con la loro parte di bagagli, io mi toccai la patta. Mi accorsi che ero letteralmente bagnato. Il sogno che avevo fatto era stato molto più realistico di quanto avevo pensato, infatti il rapporto orale onirico che Simone mi aveva generosamente largito era bastato per farmi venire nelle mutande.

Arrossii, quindi presi di fretta le mie cose e chiusi il portellone della Laguna di mio fratello, che lampeggiò due volte e si chiuse ermeticamente. Raggiunsi Ermanno e Chiara che stavano già salendo al loro appartamento.

 

Quella notte non dormii, frastornato com’ero. Soltanto poche ore prima avevo ricevuto l’ennesimo calcio nei denti della mia vita, e ancora non riuscivo a capacitarmene. In più, Fiorella era in ferie, ed avrei dovuto aspettare fino a Settembre per poter parlare con lei. Settembre, di nuovo lui.

Quand’ero piccolo Settembre significava per me scuola, quindi dolore, compagni idioti e cattiveria assortita. Ora che ero adulto, sembrava che i ruoli del tempo si fossero invertiti: mai come ora bramavo l’arrivo di Settembre, che avrebbe fatto tornare Fiorella e che mi avrebbe detto come sarebbe andato il colloquio con quella Fondazione Rambaldi che mi aveva inviato l’invito a comparire per un colloquio. Un lavoro. Altra fonte di gioia… e di dubbi. Sarei mai stato un bravo insegnante? Oppure avrei fatto schifo come facevo schifo a tutti i ragazzi che incontravo? Decisi di non pensarci, e di pensare che in fondo Settembre non era poi così lontano. Restavano soltanto Luglio e Agosto da passare, ma per me che ero un ragazzo in gamba, sarebbero passati in fretta.

E come fare per far passare questi mesi?

Un obiettivo. Dovevo avere un obiettivo, qualcosa da fare che mi tenesse occupato per almeno due mesi. Dunque, cosa potevo fare…?

Ma era così ovvio, no? A Settembre avrei avuto quel colloquio, giusto? Giusto. E lì come minimo mi avrebbero richiesto di presentare qualcosa di mio, giusto? Giusto. Bene! Allora perché dannarsi tanto a cercare una soluzione?

Seguendo questo ragionamento avevo previsto che una volta tornato a Bologna avrei subito ricominciato a lavorare sui miei disegni, per presentare dei disegni di tal nome al colloquio. Sarebbe stata dura, ma in due mesi potevo farcela, se contavo sul mio impegno commisto alla mia bravura di disegnatore.

Sì. Li avrei stupiti.

Ne ero sicuro.

Il progetto mi stuzzicò abbastanza, ma non abbastanza da farmi dimenticare Simone. Infatti, passai la notte insonne a ricordare tutti i bei momenti passati con lui. Momenti nei quali io ero stato, anche se per poco, il fidanzato di qualcuno.

 

La mattina, il sole mi svegliò dolcemente, con la sua luce diafana filtrata dallo smog di Milano. Poi arrivò Ermanno. Era un po’ scuro in volto, come mai l’avevo visto. Io lo guardai sollevando un sopracciglio perplesso, ma lui si era già allontanato. Un po’ titubante, scesi dal letto e mi vestii, pronto a raggiungerlo.

- Ti sei divertito, allora? – mi domandò Ermanno. Stava spalmando del burro su una fetta biscottata.

Io posai la tazza di caffellatte che mi ero preparato e annuii, sorridendogli. Tuttavia il mio sorriso si spense subito dopo quando ripensai a Simone.

- Sai, ho notato che sei stato molto vicino a quel ragazzo… com’è che si chiama…? Ah sì. Simone… - in quel momento, le parole di mio fratello mi colpirono come una fucilata. Annuii, non sapendo bene cosa dire.

- Qualcuno dice che sia gay. – disse mio fratello, masticando la sua fetta biscottata imburrata e condita con marmellata di ciliegie.

Non sapendo cosa rispondere, io feci spallucce. Non era il tono di voce di mio fratello, prettamente indagatorio, a farmi impressione, quanto il pensiero di Simone, che mi aveva fatto così male.

Ermanno mi guardò attentamente, mentre con la mano destra prendeva un’altra fetta da imburrare e spalmare di marmellata – Dì la verità, ti sei divertito…? – mi chiese, con un tono abbastanza secco. Notai che aveva alzato un sopracciglio.

Per la prima volta in tanti anni che parlavo con mio fratello, mi sentii male. Sentivo il suo sguardo sopra di me, così carico di un sentimento che io non capivo… O forse la mia era solo paura, paura di ciò che avrebbe potuto dirmi se avesse saputo che…

- S… sì… - balbettai. Le mani mi tremavano, tanto che bevvi un ultimo sorso di caffellatte e allungai la mano verso il sacchetto dei biscotti. Ne presi uno, e me lo portai alla bocca, guardando verso la finestra. – E’… è veramente bello, quassù… si riesce a vedere tutto… proprio come… -

- Donatello. Non cambiare discorso. Ti sei divertito, oppure no? – disse Ermanno.

E fu in quel momento che il mondo mi crollò addosso. Non ce la feci più, ingollai il biscotto e mi alzai dalla tavola, andando verso la veranda. Lì mi portai le mani al viso ed incominciai a singhiozzare.

Immediatamente, Ermanno si alzò, venendomi vicino. Anziché consolarmi, mi prese per il braccio, e mi guardò intensamente negli occhi. Io faticai a sopportare il suo sguardo, le labbra mi tremavano, e così anche le ginocchia. Temevo che da un momento all’altro sarei potuto crollare.

- Devi dirmi qualcosa, Donatello?!? – disse lui alzando la voce.

- Io.. io sto.. sto male, Ermanno. Sto male. Sto molto male! –

- E non piangere come una femminuccia! L’ho capito che cosa hai combinato lassù con quel frocio, sai? – mi urlò in faccia. Io scoppiai a piangere, e lui per tutta risposta mi scacciò via.

Non capendo, io ebbi soltanto la forza di domandare – C… cosa…? Che vuoi … che vuoi dire? –

- Mi hanno telefonato. Una persona che conosce Simone, mi ha detto tutto. Ed io sono molto incazzato con te, Donatello. Parecchio. –

Sentire che una persona era incazzata con me, mi faceva male. Deglutii, ma la gola mi faceva male. Tutto mi faceva male, tutto il mio corpo. Ermanno si appoggiò al marmo della cucina, dandomi le spalle.

- Non puoi essere tu, mio fratello – disse, sibilando – non esiste che tu mi abbia fatto certe cose con… con un ragazzo! – Si portò una mano alla fronte, disperato.

A quel punto, io sbottai.

- Q… qual è il tuo problema? C… Che a me piaccia f…farmi i - i.. i.. ragazzi anziché le ragazze??? – balbettavo per il dolore e la tristezza. Ermanno non rispose, ma si limitò a voltarsi di scatto, come un cane rabbioso, e a venire verso di me, per prendermi per il colletto della camicia.

- Allora lo ammetti pure, eh? – mi sibilò contro il naso. Il suo alito sapeva di marmellata – Mi fai schifo. Mi fai solo schifo. – mi mollò di nuovo con veemenza, e lì io raccolsi i pezzi di me stesso e singhiozzando mi diressi verso la mia camera. Chiusi la porta e raccolsi le mie cose, piangendo e singhiozzando.

Giù nel cortile, buttai tutte le mie cose nella mia Audi che era rimasta lì ad aspettarmi per tutto quel tempo. Mi misi al posto di guida e girai la chiave nel quadro. Nella fretta, non mi accorsi che la marcia era inserita, quindi l’auto fece un balzo in avanti. Imprecai ad altissimo volume, e i condomini che mi videro si girarono stupefatti.

Mi diressi verso l’uscita, che era chiusa dal cancello. Imprecai nuovamente, presi il cellulare e composi il numero di mio fratello.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre.

Quattro.

Cinque.

Alla fine chiusi la comunicazione, e, furente ed amareggiato, mi attaccai al clacson.

Peeeee! Peeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Squillò la mia auto. Anche se al settimo piano, Ermanno avrebbe dovuto sentire ed aprirmi il cancello. Aspettai cinque secondi, poi altri cinque, poi riprovai.

Peeeeeeeeeeeeeeeeeee! Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Suonai nuovamente, e questa volta si affacciarono un bel po’ di condomini.

- La vuoi finire di scassare il cazzo??? Sono le otto del mattino, porca puttana! – mi apostrofò una donna sulla quarantina.

- Basta!!! Se non la piantate, chiamo i carabinieri!!! – disse un uomo da un balcone.

- E allora apritemi questo cazzo di cancello!!! – sbraitai io, e come per magia, il cancello si aprì. Guardai verso l’appartamento di mio fratello, e lui era lì, alla finestra, a guardare con occhio vitreo ciò che stava succedendo. Il suo sguardo era truce.

Io gli restituii lo stesso sguardo, finché lui non si voltò e non scomparve dietro la finestra che dava sulla veranda.

- Fanculo! – esclamai, sbattendo una mano sul volante e provocando un altro squillo di clacson.

Una volta che il cancello fu aperto del tutto, io schiacciai l’acceleratore e mollai la frizione tanto repentinamente che l’auto partii in sgommata. Tornavo a casa, ma ci tornavo più ferito di quanto già non fossi.

   
 
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