Il fatto che
Antonello si fosse allontanato da me, mi dispiaceva. Non era un cattivo
ragazzo, gli piaceva soltanto fare il farfallone e riuscire a conquistare più
gente possibile. Avevo già tentato di avvicinarlo in un paio di occasioni, ma
lui si era fatto sbrigativo e inavvicinabile. Un giorno, però, mi arrivò un suo
messaggio sul cellulare.
“Vediamoci alla
caffetteria” diceva il testo.
Velocemente, senza
nemmeno prendere i libri dall’aula, andai lì. Era ancora vuota, perché a
ridosso dell’inverno, lavorava ad orari differenti. Però rimaneva aperta, per
quei pochi coraggiosi che volevano andare lì e studiare ai tavolini. L’unico
difetto era che dovevano aspettare per essere serviti, in quanto il personale
sarebbe arrivato soltanto alcune ore dopo.
Spinsi la porta a
doppio battente che conduceva nel grande salone della caffetteria. Lì, in
fondo, c’era Lello, in piedi, che mi guardava attentamente. Non chiedetemi
come, non chiedetemi perché, sentivo una certa carica negativa nell’aria. I
fatti accaduti dopo non mi avrebbero smentito.
Lello stazionava là,
senza dire una parola. Io mi avvicinai lentamente, salutandolo – Ciao Lello –
dissi, piano. – Come va’? –
Dopo una lunga pausa
spesa a guardarmi in cagnesco, lui rispose – Lo sai benissimo come va. – disse,
asciutto. – Me l’hai portato via. –
Soltanto due mesi
prima, non avrei mai immaginato che Lello Scaravalli, il simpaticone insegnante
che insegnava a progettare le storie dei fumetti, quello che dava una
possibilità a tutti, si sarebbe trasformato in un uomo rancoroso come quello
che stavo vedendo io quella mattina. Vi dirò anche che non avrei mai immaginato
di doverlo tenere a distanza di sicurezza. Infatti, mi fermai ad una distanza
di tre metri da lui, timoroso di non sapevo nemmeno io cosa.
- Io, Antonello
Scaravalli, bello e aitante, che tutti i ragazzi dovrebbero volere, sono stato
scavalcato da te… un insulso ragazzino obeso e brutto. – le sue parole furono
come pietre per me.
- D… di cosa stai
parlando, Antonello? – balbettai. Tremavo dalla testa ai piedi.
- Fai lo gnorri, eh?
– mi incalzò lui, con gli occhi iniettati di sangue. – Sto parlando di Manuel.
Ti ho visto, quella sera in discoteca. E ti ci avevo portato io! Speravo che me
lo portassi da me e lui m’invitasse a ballare, e invece… invece è rimasto lì
avvinghiato a te. Stronzo. Fai schifo. – Mentre diceva queste parole, si
scrocchiava le nocche. In quel momento ebbi paura.
- Siamo… siamo
soltanto amici. Non l’ho sfiorato con un dito, il tuo Manuel… - dissi, sulle
prime. Poi però ebbi un’illuminazione. – E poi se ci tieni a saperlo, lui non
ti vuole. Non gli piaci! Non sei un tipo affidabile, e lui non è uno di quei
ragazzini ventenni che ti fai ogni giorno. Ha una testa, lui! È diverso dagli
altri! – Parole, affermazioni, aggettivi. Fu tutto quello che riuscii a sparare
in quegli attimi, dove l’adrenalina scorreva insieme al mio sangue ad una
velocità supersonica, ed il cuore mi batteva forte nel petto dall’emozione
mista a paura.
- Balle! Lo so che te
lo sei fatto, lo so benissimo! Uno dei ragazzi mi ha detto che ieri sei stato a
casa sua! non negarlo!!! – urlò.
Visto che urlava lui,
urlai anch’io.
- Sì, è vero! Sono
stato a casa sua, ma non ho fatto niente. Abbiamo soltanto parlato come due
buoni amici! E comunque non sono affari tuoi! Tu sicuramente non l’avresti
rispettato! Gli saresti saltato addosso come il lupo con Cappuccetto Rosso! –
vi confesserò che stavo per scoppiare a ridere, a quell’affermazione, ma il mio
senso di protezione verso Manuel mi frenò. Istintivamente, allungai le mani
dietro di me, presagendo che stava per succedere qualcosa.
- Mi hai veramente
deluso, Donatello. Ma adesso te la farò pagare. – disse, e venne avanti,
mettendomi le mani addosso.
Con una rapidità che
non mi riconoscevo, scartai di lato tra due tavolini, facendone cadere uno.
Agile come un gatto, Antonello li scavalcò, cercando di agguantarmi il braccio.
Io corsi verso un angolo della stanza, guardandolo come un topo avrebbe
guardato il gatto.
- Non ti servirà a
nulla fuggire, Donatello. Regoliamola da uomini, questa faccenda. Chi rimane
vivo, vince. Come si faceva ai vecchi tempi. –
- Non… non siamo più
negli anni settanta. Siamo nel 2010. – Nel frattempo, vidi con la coda
dell’occhio che fuori dalla caffetteria si era formata una piccola folla di curiosi.
Andate a chiamare qualcuno, imbecilli!
Andate, prima che questo mi riempia di botte! Pensai, ma nessuno si mosse.
E fu allora che
Antonello mi sorprese. Mi tirò uno schiaffone talmente forte da farmi volare
via gli occhiali. Io barcollai su un tavolino, finendoci seduto sopra. Lui
venne avanti, incazzato e ghignante, ed io reagii malissimo al suo violento
tentativo di sopraffarmi: La mia gamba si mosse e partì all’attacco,
calciandogli uno stinco.
- Ahhhh! – gemette –
Figlio di …!!! – esclamò, zoppicando. Io cercai di andare via, ma lui mi
trattenne per un braccio. Io lo acchiappai per quel braccio e lo tirai,
facendolo barcollare e finire su un mucchio di tavolini. Cadde rovinosamente,
ma non abbastanza da impedirgli di afferrarmi una caviglia e farmi cadere a mia
volta. Sbattei la testa contro una sedia lì vicino, il colpo mi stordii per un
attimo. Come una belva affamata, Antonello mi trascinò a sé, senza che io
avessi la possibilità di ribellarmi, e in un attimo mi fu addosso. Mi riempì di
sberle, mentre io cercavo di levarmelo di dosso. Le sue ginocchia sul mio
stomaco mi stavano facendo un male atroce, tanto che urlai. Con le mie dita
cercai di artigliargli la faccia, ma a causa della mia onicofagia (mi mangiavo
le unghie), non gli feci male più di tanto.
- Bastardo! Pezzo di
merda! Te la faccio pagare!!! – disse, e prese a sbattermi la testa sul
pavimento talmente forte che per un attimo vidi le stelle. Quella testa che non
mi ero rotto con l'incidente, voleva scassarmela lui, a suon di craniate
sul pavimento. Urlai fortissimo dal dolore, ma ciò non mi impedì di reagire.
Con quell’ultimo briciolo di lucidità rimasta, gli afferrai un polso e me lo
misi in bocca, iniziando a mordere.
I miei denti
affondarono nella sua carne, e lui lanciò un urlo di sorpresa. E più mordevo,
più lui si dimenava dal dolore.
- Ahhh!! Lasciami,
figlio d’un cane!!! –
Ma io non smisi
finché lui non mi scaraventò su un altro tavolino dove battei un’altra volta la
testa. Qui il colpo fu un po’ più forte.
Nel frattempo, nella
sala entrarono il direttore della Fondazione e un paio di altri insegnanti
anziani, appena arrivati. Insieme a loro c’era Manuel, che cacciò un grido di
sorpresa nel vedermi accasciato a terra, con la testa sanguinante.
- Che sta succedendo
qui, in nome di Dio?!? – tuonò il direttore. Due insegnanti mi soccorsero,
chiedendomi se stavo bene. Insieme a loro sopraggiunse Manuel, che mi prese la
mano nelle sue e mi domandò cosa fosse successo.
Con un filo di voce,
risposi – Antonello.. mi… mi ha picchiato. –
- Cristo – bestemmiò
Manuel, alzando lo sguardo verso Antonello, che stava massaggiandosi il polso
che io gli avevo morso.
- Signor Scaravalli,
vuole spiegarmi cos’è successo? – domandò il direttore, furente.
Antonello non
rispose. E fu lì che ebbi la convinzione che non avrei mai più rivisto la
faccia di Antonello Scaravalli lì alla Fondazione.
Due giorni dopo, il
ventitré dicembre, seppi che Antonello era stato espulso dal Centro. Normalmente
una cosa del genere non si sarebbe risolta con una soluzione così drastica, ma
il Consiglio di Fondazione non approvava la violenza, in nessuna forma.
Dopotutto quella era una fabbrica di sogni, non un ricettacolo di picchiatori.
Ovviamente mi chiesero di spiegare l’accaduto, ed io risposi che il signor
Scaravalli mi aveva picchiato per gelosia nei miei confronti. Dopo il mio
interrogatorio, il caso fu archiviato.
Visto che avevo avuto
occasione di essere ricoverato all’ospedale di Pavia soltanto sei mesi prima,
non poteva mancare occasione per visitare quello di Roma. Questa volta mi
fasciarono la testa, applicando due punti di sutura al sopracciglio destro, che
si era aperto durante l’incontro-scontro con il tavolino. Dovevo forse
aspettarmi di visitare un altro ospedale, dopo sei mesi a quella parte?
L’unica cosa positiva
fu Manuel. Non mi biasimò per aver usato violenza contro Antonello, anzi fu
contento che venne licenziato. Ed io che lo credevo una brava persona! Dopo il
suo sfogo, questa mia credenza fu smantellata totalmente, perché era fin troppo
chiaro che lui cercava una persona meno bella di lui perché voleva primeggiare…
Patetico e puerile. Ecco gli aggettivi giusti per descriverlo.
Tuttavia, prima che
Antonello raccogliesse le sue cose e sparisse per sempre dalla mia vita, così
rapidamente come era apparso, ebbi l’occasione di assistere ad un colloquio che
ebbe con lo stesso Manuel.
Ero appena tornato
dall’ospedale, e volevo aggiornare Manuel sulla mia situazione. Così andai
nella sua aula, sperando di trovarlo. E lo trovai, però non era solo.
Insieme a lui c’era Antonello, e stavano parlando abbastanza animatamente.
Mi acquattai accanto
alla porta per non essere visto, ma non riuscii a cogliere granché della
conversazione. Capii soltanto che Manuel si stava difendendo, che non voleva
più saperne di lui e che trovava riprovevole il modo in cui voleva sistemare la
questione con me. Disse anche, il bel Manuel, che se c’era stata qualche
possibilità di preferire Antonello a me, quell’infima possibilità si era spenta
quando mi aveva visto accasciato a terra, sanguinante e tumefatto. Decisi che
avevo sentito abbastanza, e mi allontanai. Poco dopo, ricevetti un sms sul
cellulare. “Buona fortuna con lui. Ne avrai bisogno. Addio.” Era di Antonello.
Non gli risposi, non capendo a cosa si riferisse. L’avrei scoperto il giorno
dopo, il ventiquattro dicembre.