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Autore: abby_morns    03/09/2011    3 recensioni
Le cose cambiano.Mutano forma,s'ingrandiscano,si rimpiccioliscano,si allargano e tanto altro.
E' come la nascita di una nuova vita.Può cambiare la tua,di
vita.E tu devi prenderti cura di quell'esserino che nasce da
te,perchè è compito tuo.Sta a te cambiargli la
vita.E non potrai mai sapere se lo stai facendo bene o male.(tratto dal prologo).
Il destino sembrava aver regalato a Gail tutto quello che voleva e desiderava fin da quando è nata: una famiglia, una casa, qualcuno da amare. Ma le sorprese della vita sono infinite; l'arrivo di una piccola creatura le sconvolgerà la vita, e non in meglio...
Dopo Justice*,continuano le avventure della diciassettene Gail.Che, per una come lei, non potranno mai avere fine...
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Justice*: la serie completa'
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Con uno sbattere di ciglia, un altro mese avanzò; come fosse una pagina che avevo deciso di voltare di un libro. Arrivai alla fine dell’ottavo mese di gravidanza senza nemmeno accorgermene: la data che da tanto attendevo con trepidazione di stava avvicinando.
Il pancione non era cresciuto poi granché, e mi rassegnai al fatto che il mio bambino sarebbe stato esattamente come me: minuto. Però, i numerosi esami e le ecografie mi tranquillizzavano: mio figlio era sano, forte. Solo un po’ piccolo.
Continuai a non vedere molto Daniel: talvolta lo incontravo a casa sua, quando andavo da Hilly per studiare, oppure in centro, insieme a Jamie e Lukas. Ci salutavamo sempre educatamente, ma le occhiate che mi lanciava erano infuocate, e mi facevano arrossire. Negarlo non serviva più: ero ancora follemente innamorata di lui. E, a quanto diceva, anche lui lo era di me. Hillari ci dava dei cretini. “Ma insomma, cosa aspettate a rimettervi insieme? Che vostro figlio abbia centocinquant’anni, per caso?”. A suo parere, l’imminente nascita del nostro “frugoletto” non avrebbe fatto altro che unirci di nuovo. Evitai accuratamente di dirle che era l’ultima cosa che speravo.
Era l’orgoglio il problema? Forse. In realtà c’era una motivazione più grande: lui mi aveva lasciata e, adesso, pretendeva di tornare insieme a me; era un comportamento da spaccone. Faceva parte di lui, era sempre stato così, fin dall’inizio. Inoltre, non avevo nessuna targhetta che dicesse “proprietà di Daniel Healt”. Insomma, era questa sua sicurezza del fatto che le cose si sarebbero sistemate che mi dava letteralmente sui nervi. E poi ero sempre stata un po’ lunatica.
Per non parlare del dilemma “Mirko”. Nelle ultime settimane si era insinuata nella mia testa la consapevolezza che, probabilmente, avevo usato il ragazzo per dimenticare il mio dolore. Se quello che provavo verso di lui stava mutando prima del ritorno di Daniel, adesso, quando mi baciava e mi abbracciava, sentivo l’esigenza di scappare, di andarmi a rifugiare tra un altro paio di braccia. Era terribilmente meschino, da parte mia. Lo sapevo, ma non potevo farci niente.
Il mio cervello stava andando in fumo. Avrei fatto bene a procurarmene uno nuovo.
 
Come dicevo, si avvicinava la data del parto. Ero stramaledettamente eccitata: finalmente avrei potuto abbracciare il mio bambino, l’unico essere che era sempre stato con me in quei mesi così duri.
Tra qualche giorno avrei dovuto affrontare l’ultima ecografia, ed ero abbastanza decisa ad andarci da sola. Volevo parlare un’ultima volta con la dottoressa Wesley, ringraziarla, magari raccontarle di Mirko e di Daniel. Si era creato uno strano legame d’amicizia, e mi fidavo di quella donna.
Hillari insistette molto per venire con me, ma rifiutai. Ci rimase un po’ male, e mise il broncio.
- Andiamo, Hill, non essere testarda – sbuffai. Entrammo in casa sua, e io tirai un sospiro di sollievo. Il caldo primaverile era arrivato, sostituendo alla svelta il mite clima di marzo.
- E’ l’ultima ecografia, uffa! – piagnucolò. – E’ una cosa importante.
- Cos’è importante? – domandò Daniel, spuntando dalla cucina. Istintivamente, arrossii. Oddio, era così bello. I suoi occhi scuri incontrarono i miei; sorrise, ed io decollai.
- Gail si rifiuta si essere accompagnata all’ultima visita. E’ davvero una stronza quando fa così – dichiarò la mia amica. Sospirai, riprendendomi in fretta. – Oddio, Hilly.
- Mmm, se vuoi vengo io – si offrì lui, avvicinandosi. Arrossii di nuovo. Oh no, dovevo sembrare un pomodoro a reazione.
Sua sorella si illuminò, voltandosi verso di me. – E’ un’ottima idea!
- Ho detto che vado da sola – mormorai, decisa.
- Non ti è consigliabile guidare nelle tue condizioni – osservò Daniel. Mi scostò una ciocca di capelli dal viso, ed io tremai. – E a me farebbe davvero piacere accompagnarti.
- Io… ehm… cioè… -. Perfetto, ero andata in tilt.
- Beh, allora è fatta – affermò la biondina, guadagnandosi un’occhiataccia di fuoco da parte mia. – La visita è domani alle tre.
- Sarò da te alle due e mezzo, va bene?
- Io… Io…
- E’ un sì – rispose Hillari per me. – Beh, vado a portare le mie cose in camera.
Si defilò prima che potessi farla a pezzettini. Grrr, maledetta Hillari.
- Non stare ad ascoltare mia sorella – fece Daniel. Mi prese per mano e mi guidò fino al divano. Quel contatto scatenò in me una vera tempesta d’emozioni. – Se non vuoi che venga con te…
- No… No dai. Va bene. Dopotutto è anche tuo figlio.
Il suo viso si illuminò. Vederlo così stranamente felice per una cosa che, otto mesi prima, l’aveva fatto scappare via da me, mi faceva quasi imbestialire… Se non fosse stato così bello. – Grazie, Gail.
Si mise a sedere e, a tradimento, mi trascinò sulle sue ginocchia.
- Mollami! – ordinai.
- E dai, non ti faccio niente – rise lui.
- Mmm… Non ne sono sicura. Non mi fido di te – mi lamentai. In realtà non mi fidavo di me. Era strano sentirlo così vicino a me.
- Perché? – mi chiese, sfiorandomi il viso con le dita.
- Uhm… Credo che… Insomma…
- Ho capito, ti faccio andare in palla. Giusto? – mormorò. Dolcemente, mi baciò una guancia.
Mi spostai in fretta, alzandomi e lasciandomi cadere dall’altra parte del divano.
- Per favore, Daniel – lo pregai. – Io non…
Sembrò deluso. – Gail, senti, io cerco di capirti, ma… Non ci riesco. Non ce la faccio a trattenermi, quando sei così vicina a me. Mi viene una voglia pazza di baciarti.
- Tutto quello che dici… Mi suona falso, Daniel. Falso.
- Tu sai benissimo che sto dicendo la verità.
Sì, lo sapevo. Lo vedevo nei suoi occhi, quei meravigliosi occhi nocciola, vedevo la scintilla che ben conoscevo luccicarvi dentro, quando mi guardava.
- Devo andare da Hillari. Dobbiamo studiare.
Annuì, ma non mi guardava più.
- Daniel… Allora mi accompagni tu, domani?
Si voltò. – Certo, Gail.
Annuii, come aveva fatto lui poco prima, e filai al piano superiore.
 
Quella sera, dovevo uscire a cena con Mirko. La mattina dopo sarebbe dovuto tornare a Jacksonville; non sapevo dire se la cosa mi dispiacesse o mi facesse piacere.
Non mi curai molto del mio aspetto. All’ora stabilita, uscii di casa e trovai il ragazzo già lì, ad aspettarmi appoggiato alla sua amata moto. Senza dire niente, salii dietro di lui e partimmo. Mi godetti la sensazione che mi dava il vento sul viso, senza pensare a niente. Forse quello mi sarebbe mancato.
La cena si svolse in un silenzio imbarazzato. Non era la prima volta: già da qualche giorno i nostri rapporti si erano fatti più tesi.
- Ti dispiace che vada via? Tranquilla, sarò qui prima che tu possa sentire la mia mancanza – mi rassicurò lui, accarezzandomi la mano. Pensai alla scossa elettrica che il minimo contatto con Daniel mi aveva dato, quel pomeriggio. Adesso, non sentivo assolutamente niente.
- Mmm, ne sono felice.
- Spero di tornare in tempo per la nascita del bimbo. Mi dispiace di non poterti accompagnare, domani.
Per poco il boccone non mi andò di traverso. Tossii, sperando che non notasse il rossore che mi si era formato sulle guance.
Bevvi un po’ d’acqua, evitando il suo sguardo.
Mirko si schiarì la voce. – Gail…
Posai il bicchiere e lo guardai negli occhi.
- Non so, ma mi pare che, da quando sia tornato quell’idiot… cioè, Daniel, tu sia un po’…
- Confusa? Vorrei vedere te al posto mio.
Scosse la testa. – Senti, capisco che tu… Lui è il padre di tuo figlio, e l’hai amato tanto, ma... Pensavo fossi riuscita ad andare avanti.
- Non è così semplice. Lui è determinato quanto te a stare con me.
- Se n’è andato – sibilò. – Non ha l’esclusiva.
- Ma adesso è tornato! – dissi, a voce un po’ troppo alta. Qualche cliente si voltò, scocciato. Abbassai il tono. – E’ tornato, ed è pentito.
- Sei davvero una cretina, se gli credi.
Senza pensarci, gli mollai un ceffone. Rimase interdetto, il segno rosso delle mie dita sulla sua guancia. Sperai facesse male.
Mi alzai, presi la borsa e la giacca. – Grazie della magnifica serata.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, uscii dal locale.
Strada facendo, cominciai a pensare che forse la mia reazione era stata un po’ esagerata. Beh, magari poteva evitare di darmi della cretina, però lui voleva solo proteggermi.
Però aveva ragione. Anch’io pensavo di essere riuscita ad andare avanti, ma…
Camminai spedita per il marciapiede, diretta verso la fermata della metro. Scesi le scale quasi correndo, e mi fermai in piedi sulla banchina. Per essere sera, c’era una discreta folla.
Incrociai le braccia e mi appoggiai al muro. Cominciai a piangere, senza un motivo vero e proprio. Sperai fosse colpa della gravidanza e dei cambiamenti di umore ad essa legati.
Nella mia borsa il cellulare trillò. Lo ripescai. Un nuovo sms.
Scusami. Ho agito d’impulso. M.
Fissai lo schermo in cagnesco, cercando di calmarmi. Digitai in fretta la risposta.
Fa niente. Scusa per lo schiaffo. Fai buon viaggio, domani.
Aspettai che mi rispondesse – Grazie. Ti amo, scusa ancora – poi cancellai e ributtai il telefonino in fondo alla borsa. Salii sul treno e mi sedetti, appoggiando la testa al vetro. Avrei voluto sbattervela, la testa. Oppure strapparmi via il cuore, che continuava a battere frenetico non appena ripensavo al tocco di Daniel.
Era uno schifo. Non avrei dovuto essere così emozionata alla prospettiva di domani. Eppure lo ero, lo ero perché forse Mirko aveva ragione. Ero una cretina.
Arrivai alla mia fermata più in fretta del previsto. Con calma, uscii dal treno e risalii le scale.
La metro non era molto lontana da casa Baggie, ma era molto più vicina a casa Healt. Riuscii a scorgerla, quella casina color pesca, all’orizzonte. Erano solo le nove di sera, eppure c’erano solo due luci accese. Una in salotto, e una in camera di Daniel.
Mi fermai sotto la sua finestra. Chissà cosa stava facendo. Cercai di resistere alla tentazione di tirare un sasso sul vetro. All’improvviso, questo si aprì di scatto. Mi accucciai veloce dietro la siepe, il cuore in gola.
- Mamma stasera era davvero nervosa – osservò una voce femminile. Intuii fosse quella di Hillari. Nessuno le rispose. – Forse non avresti dovuto nominare Gail.
- E’ un problema suo. Anche se non capisco questa sua avversione verso di lei – fece Daniel.
- Nemmeno io. L’hai notato? E’ da quando vi siete… messi insieme che ha questo strano comportamento nei suoi confronti.
Ci fu un rumore di passi. Alzai lo sguardo, e vidi il ragazzo moro affacciato alla finestra, che fumava.
- Dio mio, Dan. Che cazzo di abitudine che ti sei preso – tossì sua sorella, raggiungendolo. Gli strappò  di mano la sigaretta e la gettò nella ghiaia del vialetto, vicino a me. Trattenni il respiro per evitare di farmi scoprire.
- Uffa. Sto cercando di smettere – brontolò lui. – E’ solo che… è difficile, quando si parla di lei.
Silenzio.
- Hilly, Gail è… cambiata tanto. E’ sempre meravigliosa, però… i suoi occhi sono spenti. Non la riconosco quasi più, sembra solo il fantasma della ragazza che amo.
- L’hai ridotta tu così. E ti assicuro che prima era anche peggio.
- L’ho fatta davvero stare tanto male?
Non udii nessuna risposta, quindi immaginai che Hillari stesse annuendo.
- Sono un vero idiota. Cazzo – ammise Daniel. – Ci credo che non vuole nemmeno che la sfiori.
- Oh, andiamo, questa è una cazzata. Lo vedi come arrossisce quando le sei vicino – lo tranquillizzò Hillari. Sentii le guance bruciare. – Senti, è sempre la solita Gail. E’ solo… depressa.
- Ed è tutta colpa mia.
- Questo è vero.
- Ma tu da che parte stai?
Sentii la voce di Hillari lontana. Probabilmente era rientrata. – Io ti voglio tanto bene, Dan. Sei mio fratello. Ma sei un vero cretino. E voglio bene anche a Gail. E non posso vedervi soffrire, nessuno dei due.
- Io la amo da impazzire – sospirò lui. Il mio cuore cominciò a battere forte, a volare. – E quando… Quando quel giorno in ospedale mi ha rifiutato in quel modo, mi si è spezzato il cuore. Però ha ragione.
- Per il suo bene, ti direi di starle lontano. Non la meriti, Dan – disse Hilly, e io le mandai un grazie col pensiero. – Però, so che da quando sei tornato, le cose con Mirko non le vanno bene. L’hai scombussolata, di nuovo.
Sospirai.
- Hillari… Ti ha detto niente? E’ ancora innamorata di me?
- Non sarebbe giusto nei suoi confronti se te lo dicessi io, no?
- Lei non me lo dirà mai – si lamentò lui. – E’… troppo orgogliosa.
- Forse hai ragione.
Ci fu di nuovo silenzio. Sembrava che la conversazione fosse finita, quindi, mi alzai.
In quel momento, la porta della casa sbatté. Daniel si voltò proprio mentre spuntavo da dietro la siepe.
Oh cazzo.
- Gail?! Che diavolo di fai qua?
Inventaunascusainventaunascusainventaunascusa, ORA.
- Mi erano cadute le chiavi! – mentii. Mi chinai di nuovo e le presi dalla borsa. Poi gliele mostrai. – Vedi?
Lo vidi nei suoi occhi, non credeva nemmeno a mezza parola. – Hai sentito tutto?
Che scusa potevo inventare adesso? No, sai com’è, avevo dei tappi nelle orecchie che però, ops, mi sono caduti insieme alle chiavi.
Tanto più che come bugiarda facevo schifo.
Annuii.
Sospirò, si avviò lungo il vialetto e mi raggiunse sul marciapiede. – Non dovevi essere a cena con… Mirko?
Uh, certo che quei due non facevano nessuno sforzo per mascherare quanto poco si sopportassero.
- Abbiamo avuto un diverbio, e sono tornata a casa.
- Ah.
Rimanemmo in silenzio, gli sguardi a terra, io imbarazzata per essermi fatta trovare lì come un’idiota, e lui per quello che aveva detto.
- Stavo uscendo a fare una passeggiata. Se vuoi ti riaccompagno – si offrì. Senza proferire parola, mi avvicinai a lui e ci avviammo per la strada.
Le nostre mani, mentre camminavamo, si sfiorarono. Ad un certo punto lui afferrò la mia, senza esitare, e mi attirò a sé.
- Daniel…
- Shhh, stai zitta, almeno per una volta – mi pregò. Mi abbracciò stretta. Una sensazione di benessere mi riscaldò il cuore.
- Gail. Ti prego. Ti prego. Io…
Mi voltai e gli posai l’indice sulle labbra. I suoi occhi erano lucidi.
- Mi dispiace davvero tanto di averti fatta soffrire. Non avrei mai voluto farti del male. Pensavo che, andandomene così ti avrei ferita di meno…
- Beh, tutti possiamo sbagliare – bisbigliai, sorridendogli. Ricambiò, cercando di non piangere.
- Cavolo, mi sento una bambino di cinque anni.
- Ho sempre pensato che tu fossi un po’ infantile.
Si riprese in fretta e mi lanciò un’occhiataccia. Io lo presi per mano ed insieme ricominciammo a camminare.
- Quindi le cose col biondino non vanno bene.
- Dobbiamo proprio parlarne?
- Allora vanno male – affermò lui, sogghignando. Okay, era davvero moooolto infantile.
- Mmm, gli ho tirato un ceffone.
- Allora sei innamorata pazza. Anch’io me ne sono beccati parecchi, l’anno scorso – ridacchiò. Oh santo signore! Che idiota totale.
- Ma smettila, razza di cretino – sbottai. Per fortuna, eravamo in vista di casa Baggie. Lasciai la sua mano e affrettai il passo, fino ad arrivare davanti al cancelletto. Lo aprii e dissi alla svelta: – Beh, ci vediamo domani pomeriggio.
Lui mi afferrò la manica della felpa. – Non mi dai nemmeno un bacio?
Oh, ecco lo spirito da spaccone. Certo, bastava sorridergli una volta e credeva di avermi di nuovo ai suoi piedi.
- Nemmeno per sogno -. Lo strattonai, rischiando di farlo cadere. – Buonanotte, Daniel.
Lui rise. – Sei sempre la solita – osservò. Mi fece una carezza veloce, e il mio cuore sussultò.
- Buonanotte, Abigail.
 
 
- Eri lì?! Seriamente? Oh mamma – rise Hillari la mattina dopo, a mensa.
- Almeno potevi darti alla fuga qualche minuto prima – sentenziò Andrea, mentre Asia e Celeste faticavano a trattenere le risate.
- Brave, brave, ridete di me. Ahahah, ma com’è divertente la vecchia cara Gail.
- Uh, siamo scontrosi oggi – osservò la mia migliore amica. – Va bene, parleremo di qualcos’altro. Com’è andata con Mirko?
- Ehm, beh, l’ho lasciato lì a metà cena dopo averlo schiaffeggiato. Forte no?
- Certo, il tipico appuntamento da sogno – ammise Celeste.
- Che razza di idiota, però. Perché continui ad uscire con lui, se ti piace ancora Daniel? – domandò Asia, dando di gomito ad Andrea che rischiò di strozzarsi con l’aranciata.
- Non so cosa aspettate a rimettervi insieme. Io non avrei perso tempo, seriamente – fece la rossa, sporgendosi sul tavolo e rubando il budino al cioccolato che se ne stava nell’angolo del mio vassoio, e che io non avevo nemmeno guardato.
- Lo sappiamo, Cele – rise Hillari. La ragazza arrossì, diventando dello stesso colore dei suoi capelli.
Sapevamo tutte quante che Daniel le piaceva ancora. Però, per dirlo con parole sue, “tu e Daniel siete fatti l’uno per l’altra e non ho intenzione di intromettermi di nuovo”.
- Ma stasera hanno un appuntamentooooo – canticchiò Hilly, prendendomi in giro.
- Hillari, una visita dal dottore non la definirei esattamente un appuntamento.
- Ah, io sto zitta – fece lei. La guardai di soppiatto. Mi stava nascondendo qualcosa?
- Sputa il rospo – le ordinai. Lei rise, e mi rispose con la bocca piena. – Non ci penso neanche. Mio fratello ha detto che ti rovino sempre tutte le sue sorprese. Quindi, silenzio assoluto. Ecco, ho già detto troppo.
Mi sentii sbiancare. – Quale sorpresa, scusa?
- NIENTE – disse. Poi si passò due dita unite sulla bocca, facendomi capire che non avrebbe detto altro.
Mi accasciai sulla sedia. Una sorpresa? Oh no. Cosa diavolo si era messo in testa, quell’idiota del cavolo?
Passai il resto del pomeriggio nella più totale ansia. Quando, alle due e mezzo, uscii da scuola e lo ritrovai nel parcheggio con l’auto di suo padre, arrossii, come mio solito, e poi sbiancai.
- All’ospedale? – chiese, quando fui salita al posto del passeggero. Lanciai cartella e giacca sul sedile posteriore. – No, alla clinica Kennedy, qua dietro.
Lui annuì e ingranò la retromarcia. Uscimmo dal parcheggio della scuola e imboccammo la strada principale.
Fissai fuori dal finestrino e, senza accorgermene, cominciai a canticchiare. Lo facevo spesso, quando ero in auto. Scelsi la canzone sbagliata.
- L’amore è la nostra resistenza, loro ci separeranno e non smetteranno di buttarci giù. Stringimi, le nostre labbra devono sempre rimanere serrate …
- Hillari mi aveva detto che non ascoltavi più musica – osservò lui, interrompendomi.
Lo guardai. Indossava un paio di jeans e una t – shirt bianca leggera, anche se quel giorno era più freddo del solito. Io infatti avevo una delle mie felpe più pesanti e un paio di jeans. Però mi sentii inadeguata, soprattutto dopo quello che mi aveva detto Hilly.
- E’ così. Mi dà sui nervi.
- Però ora stavi cantando Resistance.
Scossi le spalle. – E’ un’abitudine che ho, quella di canticchiare in macchina.
- Lui è la canzone che in macchina continuo a cantare, non so perché lo faccio – cantò lui, e riconobbi i versi di una canzone di una nota cantate country. Arrossii.
- Da quant’è che non ascolti i Muse?
- Beh, sono stata ad un concerto di una cover band qualche tempo fa e…
- Dove sono finiti i tuoi CD? Hilly mi ha detto anche che sono spariti – chiese.
Deglutii. – Sono in una buca in giardino, a casa mia.
- Che bella fine che hanno fatto – osservò, fermandosi davanti alla clinica.
Non dissi niente. Scendemmo dall’auto ed entrammo. La segretaria mi salutò, come al solito.
- Vai pure, Margaret ti aspetta.
Mi incamminai per il corridoio, e solo dopo un po’ mi accorsi che Daniel mi aveva seguita.
- Ehm, grazie. Posso andare da sola.
- Voglio vedere mio figlio – si giustificò lui. Mi prese di nuovo la mano, come la sera prima. Questa volta la tolsi. Le parole di sua sorella mi avevano innervosita.
Però non potevo impedire ad un padre di vedere il suo bambino, no? Sospirando, entrai nella stanza. La dottoressa Wesley alzò gli occhi dal suo computer e mi sorrise. – Ciao, Gail. E questa è l’ultima davvero.
- Già. Ehm, oggi abbiamo un ospite.
Lei annuì. – Certo, fallo entrare pure.
Deglutii e trascinai Daniel dentro. Richiusi la porta dietro di noi e feci le dovute presentazioni. – Dottoressa Wesley, Daniel. Daniel, lei è la dottoressa che mi ha seguita fino ad oggi.
La donna si alzò e strinse la mano al ragazzo. – Piacere di conoscerti, giovanotto. Sei un amico di Gail?
- Una specie – disse lui, sorridendo. – Mi sono offerto di accompagnarla, oggi.
- Beh, è bello vedere come ci si aiuta tra amici – disse lei. Se solo avesse saputo! – Vieni Gail, distenditi pure. Cominciamo subito.
La visita si svolse come al solito. La dottoressa controllò che tutti i parametri fossero a posto, e come al solito, lo erano. Daniel se ne stette tutto il tempo in un angolo, osservandomi apprensivo.
Solo quando la visita era quasi finita, si azzardò a dire. – Potrei vedere, per cortesia?
- Certo, ragazzo.
Chiusi gli occhi e sospirai. Sentii i passi di lui avvicinarsi, e mi azzardai a schiudere un occhio.
Daniel fissava con interesse lo schermo. – E’ davvero un bambino timido. Non si è mai fatto vedere, nemmeno una volta.
Qualcosa luccicò negli occhi di Daniel. Una lacrima?
- Gail? – mi chiamò. – Posso…?
Avvicinò una mano alla pancia, ed io annuii.
Lui la posò con delicatezza. Sentii il bimbo scalciare, e muoversi. Feci una smorfia. Cominciava a stare stretto.
- Ma… accidenti! Si è voltato! – esclamò la Wesley, osservando il monitor. – Adesso si vede benissimo il profilo. Oh, ma è delizioso.
- Gail, ha il tuo naso – scherzò Daniel, ma la sua voce si ruppe. Stava piangendo?
Rimasi colpita. Stava davvero piangendo? O me l’ero solo immaginato?
Come se mi leggesse nel pensiero, alzò gli occhi e una lacrima gli rigò la guancia.
Sì, stava piangendo.
Concludemmo in fretta l’ecografia e poi la dottoressa scacciò il ragazzo fuori dalla stanza. Oh oh. Voleva farmi un altro discorsetto?
- Puoi raccontarmi quante balle vuoi, Gail, ma ho capito benissimo che quel ragazzo è il padre del bimbo – disse, arrivando subito alla conclusione. Mi sentii in imbarazzo. – Quando ha visto suo figlio, si è messo a piangere. Sono abituata a scene del genere.
Abbassai lo sguardo.
- Un bel bocconcino, devo dire – scherzò. – E mi sembra anche dolcissimo e… molto innamorato.
- Sì, è così – ammisi.
- E allora perché non state insieme? Perché è la prima volta che viene? Non mi hai mai voluto parlare di lui. Eppure mi sembra che ci tenga moltissimo a te.
- Dottoressa, lei non può capire – sospirai. – Lui se n’era andato. Appena ha saputo che ero incinta, è scappato via. Adesso, che stavo provando a riprendermi, lui ritorna, dice di essere innamorato, di essere pentito. Come faccio a fidarmi?
Il silenzio calò nella stanza. Mi lanciò un’occhiata. – Lo ami?
Mi morsi un labbro.
- Gail, avanti. Lo ami?
Annuii.
Sì, sì, sì. Lo amo. LO AMO, esultò il mio cuore. Eh certo, lo avevo finalmente ammesso a me stessa.
- Allora va di là, bacialo, fai quello che cavolo ti pare, ma per favore, tornate insieme. E’ questa la cosa giusta – fece lei. Mi spinse verso la porta. – L’amore è amore. Nient’altro.
L’amore è amore, nient’altro.
 
 
 
 
 
Daniel non svoltò verso casa, quando uscimmo dalla clinica. Si diresse verso il centro, e io non dissi niente. La conversazione con la Wesley mi aveva aperto il cuore, l’anima. Lo fissai.
Lo amavo, semplicemente.
Attraversammo le vie di Boston, animate quel pomeriggio. Era più tardi di quanto pensassi. Il cielo cominciava già ad imbrunire, e il sole stava diventando rosso.
Si diresse verso il mare. Chissà perché me lo aspettavo. Il mare, era lì che era iniziato davvero tutto.
Parcheggiò vicino alla passeggiata principale. Parecchie coppie, famiglie con bambini e ragazzi camminavano lungo quel stradicciola affacciata sul mare.
- Vieni – fece Daniel, prendendomi per mano. Evitammo i ragazzini in skate e ci avvicinammo al muretto. Lui mi sollevò e io lanciai un urletto, mentre mi appoggiava con grazia sulla pietra fredda. Si arrampicò e si sistemò accanto a me.
Il tramonto era esattamente davanti a noi. Fuoco, luce, un’esplosione di tonalità di rosso, arancione, giallo. Era fantastico.
- Scommetto che Hillari non è riuscita a mantenere il segreto. L’ho capito quando, durante la strada, non mi hai chiesto niente – disse lui ad un certo punto. Gran parte del sole era sparito dietro l’azzurro del mare.
- Quando mai ci riesce? E’ Asia quella dei segreti – osservai. Ridemmo insieme.
Mi sembrava così normale essere lì con lui. Non pensavo a Mirko, lontano già chilometri, sia nella realtà che nel mio cuore. Non pensavo a Will, nell’Aldilà, e nemmeno a Hillari, Haley. Pensavo solo a lui.
- Gail, ti ho portata qui per parlare – disse poi. Mi prese la mano.
- Abbiamo iniziato già questo discorso, ma non siamo mai riusciti a finirlo.
- Daniel…
- Shhh, per favore. Fammi parlare – mi ordinò. – Gail, come ben sai, dalla prima vola che ti ho vista, ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra. Lasciamo perdere che poi tu mi hai dato del cretino. Quello ormai è secondario.
Ridacchiai. Lui mi zittì. – Oggi, vedere quel bambino, mio figlio, mi ha fatto capire quanto davvero io abbia sbagliato ad andarmene. Ero insicuro e lo sono anche ora, però non voglio più scappare. Voglio stare con te. E con lui.
Potrà essere difficile, ma se siamo insieme ce la faremo.
Un po’ di orgoglio spuntò dal profondo della mia mente. – Pensi davvero che sia così facile abbindolarmi di nuovo? Non sono convinta di voler fare di nuovo la figura dell’idiota abbandonata.
- Non ho nessuna intenzione di andarmene – fece. – Gail, non voglio obbligarti a fare niente. Però, se torniamo insieme, prometto che non ti lascerò più. Ad ogni problema, ad ogni gioia, io ci sarò. Se invece non mi vuoi più, prometto che non interferirò più.
Però devi dirmelo tu. Devi dire “non ti voglio più, Daniel”. Oppure devi ammettere di essere ancora innamorata di me.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi come migliaia di spilli. Era un ultimatum. L’orgoglio lottava per comandarmi di nuovo. Avevo intenzione di dirgli di andarsene? Di non farsi più vedere?
Davvero lo volevo?
Cercando di autoconvincermi, lanciai l'ultima carta. L’ultima: - Mirko è il sole, Daniel, lui è il ragazzo di cui dovrei innamorarmi, il ragazzo perfetto e la mia vita sarà piena di certezze, con lui. E tu? Tu sei il buio, l'oblio, l'inaspettato. Non saprò mai con sicurezza quali sono i tuoi pensieri, le tue intenzioni e ogni giorno sarà un ma. Al posto mio tu cosa sceglieresti?
Lui puntò quei suoi profondi occhi nocciola nei miei, e in qualche modo seppi già la risposta. - Io avrei scelto te, Abigail. Io sceglierò sempre te. Ho accettato il fatto che tu non fossi una ragazza normale, ho accettato le tue specialità, ho accettato il tuo passato e tutto quello che ne potrà derivare, per il semplice fatto che non potrei fare a meno di starti lontano. Me ne sono andato e abbiamo sofferto entrambi. Non posso vivere senza di te. Io ti amo. E lo sai meglio di me.
A quelle parole, dai miei occhi si sprigionarono scie argentee sulle mie guance. Scoppiai a piangere, e Daniel allargò le braccia. Mi ci tuffai dentro, appoggiando il viso sul suo petto, e lui mi strinse a sé, lasciò che bagnassi col mio pianto la sua maglietta. Mormorai: - Ti amo.
E in quelle parole c’era nascosta una vita intera.
Fu inevitabile
Si chinò su di me e mi baciò, un bacio terribilmente dolce, un contatto che le mie labbra desideravano da quando l'avevo rivisto la prima volta dopo che era fuggito.
Il mio cervello mi urlò di allontanarmi. Per un momento gli diedi ascolto: cercai di resistergli, serrai le labbra, strinsi i pugni e li picchiai sul suo petto. Ma per lui erano come piume sulla pelle, non si spostò di un millimetro e continuò a stringermi forte.
Mise più enfasi nel bacio che mi stava dando, come se fosse un ultimo gesto disperato.
Tutte le barriere che mi ero faticosamente costruita caddero. Tutta la mia resistenza si frantumò con loro. Gli lanciai le braccia al collo e risposi anch'io al bacio, prima timidamente, poi con passione. E odio.
Lo odiavo, perché mi aveva abbandonata mentre aspettavo nostro figlio, suo figlio. Lo odiavo perché aveva il coraggio di ripresentarsi qualche mese dopo e pretendere che tutto fosse come lo aveva lasciato. Io pronta ad accoglierlo con un sorriso, nessun Mirko in giro.
Lo odiavo, eppure lo amavo. Come aveva detto la Wesley, l’amore è amore, nient’altro. Il mio cuore ridotto ad un fantasma batteva di nuovo, solo per lui, per Daniel.
Lo amavo.
E dentro di me, seppi che avrei sempre e soltanto scelto il buio.

AAAAAAAAAAngolo AAAAAAAAAAAAAutrice
Muahahahahhahaha! Eccomi u.u con un nuovo capitolo *-* che mi piace taaaaanto ahahahhah c'è il cervello sta urlando "EEEEEH VIVA DANIEL". Un momento questo non l'ho scritto io D:
Cooooomunque, immagino che molti di voi siano in vacanza u.u allora vi aspetterà una bella sopresa quando tornerete.
Non vi dimenticate che vi adooooooro <3
Vostra Abby 
  
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