Sorella
Morte
Sembri
ancora lontana ed
estranea,
sorella
morte,
sovrasti
come stella
gelida
al
mio destino
Il
viandante alla morte, Hermann
Hesse
Prologo
I: quattordici anni prima (1972)
Un
altro
dì stava lentamente volgendo al termine, al Santuario di Atene; i
raggi del sole
calante illuminavano l’intera vallata, donando ai Templi e alle cose
una vaga
sfumatura dorata.
Maia,
seduta
su un muretto di mattoni, ammirava rapita tale spettacolo, gli occhi
non
ancora abituati a osservare tanta bellezza concentrata tutta insieme.
«Vedrai,
ti
piacerà!» erano state le parole di sua nonna, il giorno in
cui
l’aveva condotta al Grande Tempio per la prima volta «Sarà come
entrare in
un luogo incantato. Un luogo delle fiabe».
Ma,
nonostante
fosse passato solo poco tempo da allora, lei già pensava che
l’universo di cui era entrata a far parte fosse migliore di una fiaba
– perché,
a differenza di questa, era reale.
«Maia!
Maiaaaaa!»
Il
richiamo
sguaiato la colse di sorpresa, facendola sobbalzare; quando vide Milo
comparire in cima al sentiero, sorrise di gioia.
«Maia!
Finalmente
ti ho trovato! Ti sto cercando da un’eternità!» esclamò il bambino
biondo in tono quasi scandalizzato, una volta percorsa con velocità
sorprendente la distanza che li separava.
«Da
un’eternità…
esagerato! Saranno neanche dieci minuti che hai finito gli
allenamenti!»
«Ti
dico
che è vero! Oggi abbiamo terminato prima» rispose lui, indispettito
dall’accondiscendenza dell’amichetta.
«Devi
venire
con me, subito!» riprese poi, fattosi nuovamente gaio «Alzati, dai!»
Maia
sospirò,
spazientita: a volte l’entusiasmo di Milo era davvero duro da
sopportare.
«Non
posso:
mia nonna mi ha detto di attenderla qui. E poi, dov’è che vuoi andare?
E
a fare cosa?»
«All’Arena:
Aiolia
ci sta aspettando là. Spicciati, è una sorpresa!»
Giusto,
Aiolia.
Come aveva fatto a dimenticarsi di lui? Qualunque cosa riguardasse
l’uno, in qualche modo includeva anche l’altro.
Alla
fine,
vinta dalla curiosità, la bambina cedette alle insistenze dell’amico e
si
lasciò letteralmente trascinare da questo lungo tutta la strada che
portava
all’Arena dei Tornei.
«M-milo,
non
correre così!» ansimò a metà tragitto, incapace di competere con la
resistenza innata del futuro cavaliere di nonsiricordavacosa «Non
riesco a starti dietro!»
Richiesta
che,
ovviamente, fu del tutto ignorata.
«Cosa
diamine
sarà mai questa sorpresa che pare eccitarlo tanto?» si chiese
Maia,
arrancando per la salita «Speriamo che ne valga la pena, almeno…»
«Milo!
Perché
ci hai messo tanto?! Il tuo amico qui non ne vuol sapere di spiccicare
parola, e io mi sto annoiando!»
La
voce
irritata di Aiolia si levò da un piccolo spiazzo erboso adiacente la
loro meta;
il ragazzino stava seduto sul prato, accanto a un bambino che Maia non
aveva
mai visto.
Al
loro
arrivo lo sconosciuto non alzò nemmeno gli occhi, limitandosi a
raddrizzare la
schiena – già dritta in modo inverosimile – e a scostarsi un sottile
ciuffo di
capelli rossi dal viso, senza degnarli di uno sguardo. Come se non
esistessero.
«Che
maleducato».
«É
perché
non parla bene la nostra lingua, stupido!» abbaiò Milo ad Aiolia il
quale, in
risposta, gli spedì una sonora linguaccia.
«Maia,»
riprese
quindi il biondo «ti presento Didier. È arrivato da poche ore dalla
Francia, ed è il predestinato all’armatura dell’Acquario. Adesso siamo
al
completo!» esclamò felice, facendo una piroetta.
Una
gioia
che nessuno dei suoi due compagni sembrò condividere, men che meno
Maia; a
essere sincera, era anzi piuttosto delusa.
Si
era
aspettata un’incursione nei Templi sacri a cui solo i cavalieri già
ordinati
avevano accesso, oppure un duello fra i santi dorati più grandi; un
qualcosa di
divertente, insomma.
Invece
si
trattava solo di una nuova recluta, forse meno interessante di tutte
quelle che
i suoi amici gli avevano fatto conoscere nel corso delle precedenti
settimane,
e per giunta antipatica: quando Milo li aveva presentati, lui aveva
continuato
ostinatamente a fissare l’erba, in silenzio.
E
poi,
che razza di nome era Didier?!
«Ma
che
razza di nome è Didier?» esordì quindi, dando voce al proprio pensiero
«Sembra
il nome di un gatto da compagnia».
«Si
dice
“Didiér”, non “Didièr”».
La
frase,
pronunciata con buffo accento in un greco stentato, lasciò tutti
quanti a bocca
aperta: finalmente l’oggetto di tanta attenzione aveva parlato.
«Ah,
ma
questo cambia tutto!» sbuffò stizzito Aiolia, più a se stesso che al
resto del
gruppo.
«Non
mi
interessa come si pronuncia il tuo nome. Sempre un gran maleducato
rimani»
decretò Maia, le braccia incrociate a sottolineare l’affermazione «Ti
pare
questo il modo di comportarsi? Non mi hai nemmeno salutata!»
Sentendosi
rivolgere
quelle parole dure, Didier sollevò la testa e lanciò a Maia
un’occhiata penetrante, che la trapassò da parte a parte.
Incredibile
come
degli occhi di quel colore – «dorato. Mai visti, occhi del genere» –
così caldo risultassero
invece
tanto freddi. Per non parlare dei capelli: ora che li guardava meglio,
la loro
particolare sfumatura fiammeggiante le appariva meravigliosa.
Poteva
il
loro possessore, al contrario, essere talmente gelido?
«Je
suis
désolé, j’ai été impoli» disse allora lui, sorridendo appena «Donc, tu
t'appelles comment?»
L’evidente
presa
in giro infastidì la bambina fino all’inverosimile, soprattutto perché
non
aveva capito un accidente di ciò che le era stato chiesto.
Milo,
che
fino a quel momento era rimasto incredibilmente silenzioso, si sporse
per
sussurrarle all’orecchio: «Credo che ti abbia domandato come ti
chiami».
«Mi
chiamo
Maia. Comunque, casomai non te ne fossi accorto, siamo in Grecia. E in
Grecia si parla greco, non francese!»
«Maia?
Trés
joli» commentò Didier, lasciando cadere la provocazione; poi, sempre
con lo
stesso irritante sorrisetto sulle labbra, si alzò in piedi e iniziò ad
allontanarsi.
«Sai
cosa
sei, tu? Sei la persona più cafona, antipatica e arrogante che abbia
mai avuto
il dispiacere di incontrare! Dove stai andando? Torna subito qui!» gli
urlò
dietro Maia, paonazza in viso per la rabbia «Non te la caverai così
facilmente!
Un giorno te la farò pagare!»
«Alors,
j'attendrai
ce jour là avec trépidation!» gridò egli di rimando senza voltarsi,
mentre il vento gli scompigliava i corti capelli rossi che sembravano
confondersi con gli ultimi riflessi del sole ormai giunto al tramonto.
Note
dell'autore
Salve
a tutti!
Per chi già seguiva Sorella Morte: il presente prologo è rimasto
pressoché
inalterato – salvo, come specificato appena sotto, il nome di Camus. Per
coloro
i quali, invece, si approcciano a questa storia per la prima volta
(benvenuti, a
proposito!): gli avvenimenti qui narrati sono ambientati in un
ipotetico"pre-reclutamento" dei futuri cavalieri d'oro.
Esso
dura circa
6 mesi e ha lo scopo di fornire loro i primi rudimenti, in attesa che
raggiungano
il definitivo luogo di addestramento. Al momento dei fatti Milo, Aiolia,
Maia
e Camus/Didier hanno più o meno 7 anni.
Come
avrete
certamente intuito, ho deciso di battezzare Camus col nome"Didier" –
che, in francese, letteralmente significa "Senza astri"; di converso,
può essere anche letto come"Protetto, favorito dalle stelle" –; nei
capitoli successivi verranno spiegati tutti i dettagli inerenti questo
aspetto.
-
"Je
suis desolé. J'ai été impoli. Donc, tu t'appelles comment?" : "Mi
dispiace, sono stato maleducato. Dunque, com'è che ti chiami?". La
formula
"Tu t'appelles comment?" è più informale rispetto allo
scolastico "Comment t'appelles tu?";
-
"Maia?
Trés joli" : "Maia? Molto carino";
-
“Alors,
j'attendrai ce jour là avec trépidation!" : "Allora attenderò
quel giorno con impazienza!
***
Avvertenze:
il prologo sottostante, in termini
temporali, si colloca a metà strada fra il precedente e il primo
capitolo; è
dunque ambientato 7 anni prima degli eventi che poi sfoceranno nella
battaglia
delle Dodici Case. Devo avvisarvi che sull’età dei singoli personaggi,
sugli
anni di inizio e fine dell'addestramento e sui meccanismi che presiedono
l'assegnazione delle armature mi sono presa qualche licenza poetica
utile a
rendere la trama più lineare e verosimile possibile: del resto, ritengo
che la
confusione tuttora esistente in materia legittimi l'adozione di simili
accorgimenti.
A
tal
proposito, segnalo altresì che, nello scrivere, mi rifarò solamente alla
serie
classica – perlopiù all'anime, ma con qualche elemento del manga –, non
prendendo dunque in considerazione gli eventuali spin-off, missing
moments et
similia che negli anni sono stati pubblicati dagli autori della serie.
Orbene,
a voi.
Per ulteriori chiarimenti, ci vediamo dabbasso!
Prologo
II: sette anni prima (1979)
«Questo
sarà
un anno fantastico!» decretò Milo, infilzando quel che rimaneva della
sua
patata al vapore «Ma ci pensate? Fra qualche mese verremo ordinati
cavalieri.
Cavalieri di Atena!»
«Sì,
splendido.
Davvero splendido» commentò Aiolia con una smorfia, mentre si toglieva
dalla guancia lo schizzo di salsa che il troppo entusiasmo del suo
amico aveva
spedito sin lì «Spero solo che, da qui all’otto di novembre, ti darai
una
calmata. Non credo che sopravvivrei, altrimenti».
Maia
sorrise
del suo finto sarcasmo: nonostante facesse di tutto per dissimularlo,
anche Aiolia era emozionato all’idea di ricevere la tanto agognata
armatura.
La
ragazzina
si mise a fissare i due, troppo occupati a tirarsi addosso briciole di
pita per
badare ad altro.
Nei
rari
momenti come quello parevano proprio dei tredicenni, in tutto e per
tutto uguali
ai compagni che lei frequentava sui banchi di scuola, fuori di lì;
ma
bastava abbassare appena lo sguardo sui loro bicipiti troppo
sviluppati per
spezzare l’illusione di avere dinanzi due normali adolescenti.
Da
quando
era stata introdotta in quel mondo, aveva notato che la maggior parte
dei
cavalieri a servizio di Atena, oltre a non essere greci di nascita,
spendevano
la propria attività in luoghi molto distanti da Atene, tornandovi solo
saltuariamente.
Questo
riguardava
soprattutto i Bronze e i Silver saints, ma anche il grosso della
schiera dei futuri custodi dorati aveva svolto l’addestramento in
altri Paesi;
persino i Gold saints attualmente già in carica erano stati tutti
iniziati nella
loro terra natia, che avevano lasciato solo per il periodo di
preparazione
previsto prima dell’inizio della formazione vera e propria.
Milo
e
Aiolia, nati entrambi in Grecia – a Milos il primo, a Rodorio il
secondo –,
erano invece stati assegnati a maestri operanti dentro il Santuario,
dove
quindi avevano sempre vissuto.
Li
aveva,
insomma, affiancati in quel percorso straordinario, senza mai riuscire
a capire
davvero come fosse possibile essere bambini e, al contempo, allenarsi
tutti i
giorni per imparare ad uccidere.
Dal
canto
loro, i due l’avevano sempre considerata come una sorellina un po’
avventata da
proteggere e, se qualche volta gli era capitato di trattarla con
sufficienza,
per il resto del tempo avevano – fin dove possibile – tentato di
includerla
nella loro vita, meravigliandosi che appena fuori i confini di Rodorio
si
potesse condurre un’esistenza tanto diversa da quella di Santo; uno
stupore che
era andato stemperandosi coll’avanzare dell’età, ma la cui ombra gli
si
riaffacciava negli occhi ogni volta che riuscivano a trascorrere
qualche misera
ora lontani dal Tempio.
Le
faceva
quasi impressione pensarli ammantati d’oro, belli e letali come gli
eroi dei
canti epici; per loro l’investitura avrebbe rappresentato il
definitivo
passaggio dalla giovinezza alla maturità, e Maia temeva che, in
seguito a essa,
nulla sarebbe stato più come prima.
Eccezion
fatta
per Shaka di Virgo – la cui peculiarità era stata evidente sin dal
primo
istante –, gli altri cavalieri d’oro presenti al Santuario le
incutevano una
soggezione assolutamente incompatibile col rapporto intercorrente fra
lei e i
futuri Leo e Scorpio.
Non
avrebbe
sopportato di scorgere in Milo la stessa gravità che leggeva nello
sguardo di Shura di Capricorn, così come non poteva pensare che Aiolia, una volta
ottenuta
l’armatura, prendesse le stesse bieche abitudini di Death Mask di
Cancer, al
cospetto del quale non c’era sottoposto che non chinasse intimorito la
testa; lo
stesso Aphrodite, nonostante accostasse alla sua sfolgorante beltà dei
modi
altrettanto garbati, le trasmetteva una sgradevole sensazione di
artifizio che
non avrebbe affatto voluto riconoscere nei propri amici.
Piuttosto,
sarebbe
stata ben felice di ritrovare in loro il calore e la grazia che, da
piccola, aveva scorto nel fratello maggiore di Aiolia; benché fossero
passati
tanti anni, ricordava perfettamente il senso di pace e sicurezza che
emanava la
figura di Aiolos di Sagitter.
Dopo
quanto
accaduto, tuttavia, forse non era un bene augurarsi che Milo ed Aiolia
assomigliassero a un soggetto accusato di tradimento… anzi,
riflettendoci
meglio, era decisamente una pessima idea.
«A
che
stai pensando, Maia? Ti vedo assente».
Al
repentino
richiamo di Aiolia, Maia trasalì colpevolmente, quasi che il ragazzino
avesse indovinato la natura delle sue cogitazioni e gliene stesse
chiedendo
conto; per fortuna non ebbe il tempo materiale di rispondere, giacché
un lembo
di conversazione altrui catturò inesorabilmente l’attenzione di tutti
e tre.
«Ancora
non
capisco il motivo per cui mangiare in questo tugurio ti piaccia tanto.
È
sporco, sovraffollato, maleodorante di cibo e sentori umani… fa
passare la
fame».
«Primo:
perché
il vitto della mensa è molto più buono e abbondante dei tuoi fottuti
toast al salmone affumicato – quelli sì che puzzano, tra parentesi.
Secondo:
perché salire dall’Arena fino alla Dodicesima è sempre una
scocciatura,
figurarsi poi a stomaco vuoto. E, da qui in avanti, lo sarà ancora di
più,
vista l’imminente invasione dei marmocchi dorati; il tuo vicino di
Tempio è
arrivato proprio stamani, no?»
Se
le
schermaglie sulla qualità della mensa del Santuario fra il cavaliere
dei Pesci e
quello del Cancro erano all’ordine del giorno, l’ultima frase
pronunciata da
Death Mask rappresentava invece un’assoluta novità.
«Ehi,
Death!»
berciò Milo, chiamando a gran voce il proprio futuro camerata «Ho
sentito bene? Stamani è arrivato il pretendente all’armatura
dell’Acquario?!»
Il
maggiore,
interdetto dall’uso di quell’appellativo un po’ troppo familiare,
tornò rapidamente sui propri passi, per poi piazzarsi a due centimetri
dal naso
del più giovane.
«Stammi
a
sentire, Milo quasidiScorpio:» scandì, fissando il suo
interlocutore
dritto negli occhi «per te, al momento, sono Death Mask. Non “Death”.
Assolutamente, non “Death”. Intesi?»
«Guarda
che
non mi fai paura» rispose l’altro, sostenendo il suo sguardo rosso –
lo
stesso che le vecchie di Rodorio sussurravano fosse dovuto alla
cattiveria, più
che all’albinismo. «Non sono più un bambino, ma un tuo pari».
Di
fronte
alla sfrontatezza di Milo, Cancer non poté che scoppiare a ridere.
«Non
ancora,
piccolo aracnide. Non ancora. E non lo sarai nemmeno con l’armatura
indosso, fidati di me: ne hai, di sangue da sputare» ghignò, le
braccia
incrociate dietro la testa.
«Comunque,
riguardo
la tua domanda: sì, Rosso Malpelo è arrivato questa mattina.
Ma non mi
chiedere dove sia andato a nascondersi: non lo so, e neppure mi
interessa»
concluse, allontanandosi nuovamente indirezione di Aphrodite.
«Quello
è
pazzo, lo sostengo da sempre. Eravamo rimasti ad Aquarius; chi sarebbe
questo
Rosso Malpelo?» domandò Aiolia contrito, una volta che
Death Mask fu
uscito dal suo campo visivo. Non si aspettava veramente che qualcuno
rispondesse, per cui Maia lo colse di sorpresa: «È un
personaggio
di una novella italiana. Death Mask è siciliano come l’autore; anche
se non ce
lo vedo con un libro in mano, magari ha avuto occasione di leggerla
durante gli
anni di addestramento».
«Eh?
E tu
che ne sai, di letteratura italiana?»
«I
parenti
di mio padre vengono dalla Sicilia, non ti ricordi? Ci sono anche
sta-»
«Oh,
insomma!»
sbottò Milo, al quale la piega che stava prendendo la conversazione
non interessava affatto «Sappiamo bene quanto tu sia secchiona, Maia,
non c’è
bisogno che lo sottolinei. Piuttost-»
«Non
sono
una secchiona! Sei tu che non tocchi mai libro, neppure quando
dovresti!»
«Piuttosto,»
continuò
quello, ignorando platealmente le – fondate – proteste dell’amica «non
è pazzesco? Didier è qui! È tornato al Santuario!»
Aiolia
lo
guardò dubbioso, non capendo l’origine di tanta allegria.
«A
dire
il vero, non ci trovo nulla di pazzesco. Siamo a metà gennaio, e
stiamo per
entrare nel segno dell’Acquario. È più che logico che il suo cavaliere
si stia
preparando a ricevere l’investitura».
Così
come
Leo pareva non comprendere la reazione del compagno, allo stesso modo
questi
appariva del tutto ignaro del motivo per cui entrambi i suoi
commensali
stessero mostrando così poco entusiasmo.
«M-ma
lui
non è uno qualsiasi! Lui è Didier!»
«E
allora?»
intervenne Maia, sprezzante «Didier non è forse quel damerino con
l’accento
francese e la puzza sotto il naso che non parlava quasi mai? Tuttora
non mi
spiego il perché tu ci fossi tanto attaccato, Milo. Io lo vedevo di
rado, ma
ricordo bene che, quando accadeva, la sola cosa che mi veniva voglia
di fare
era prenderlo a schiaffi».
Rammentava
alla
perfezione quel ragazzino dai capelli di un rosso impossibile
e l’espressione eternamente corrucciata, che l’aveva presa in giro non
appena si
erano conosciuti. In
realtà,
dopo quell’episodio, l’apparente atteggiamento scanzonato di Didier –
se
mai era esistito – sembrava si fosse del tutto volatilizzato; nei mesi
successivi ben raramente l’aveva sorpreso a ridere, e men che meno a
fare
battute.
Sì,
dopo
gli allenamenti partecipava sovente ai giochi dei suoi compagni, ma ne
rimaneva
sempre un po’ in disparte, come se non riuscisse mai a farsi
coinvolgere
davvero; pareva interagire volentieri soltanto con Milo, e qualche
volta neppure
con lui, giacché spesso gli preferiva il silenzio della biblioteca del
Santuario – piena di libri che all’epoca non era neanche in grado di
leggere
bene.
Maia
non
sapeva dire il perché, ma nello sguardo serio di Didier ci aveva
sempre letto un
qualcosa di così simile al disprezzo da renderglielo irrimediabilmente
antipatico.
«E
adesso, dopo tanti anni in mezzo ai ghiacci della Siberia e la
promessa di
un’armatura d’oro alle porte, la cosa non potrà che essersi acuita».
«Nah…
all’inizio
la pensavo come te, ma poi mi sono dovuto ricredere: a conoscerlo
meglio, quel tipetto con le lentiggini non era poi tanto male» ammise
Aiolia,
passandosi una mano fra i ricci spettinati.
«Tuttavia,»
continuò
poi, rivolto a Milo «questo non giustifica tutta la tua esaltazione.
Io
sarò molto più contento di rivedere Paulo e Ariun… anche se presumo
che non
potrò più chiamarli così».
In
quel
momento la Meridiana dello Zodiaco, il cui rintocco si poteva udire
distintamente all’interno di ogni parte del Santuario, batté le due
del
pomeriggio.
«Accidenti,
sono
già le due!» esclamò Maia, abbandonando di colpo il dolcetto che stava
sbocconcellando da più di mezz’ora «Scusatemi, ma ho un sacco di cose
da fare
prima di rientrare a Rodorio. Devo prepararmi per una ricerca da
esporre a
scuola, e-»
Milo
la
interruppe con un gesto annoiato della mano: «Torno a ripetere quello
che ho
detto prima: sappiamo che sei una secchiona. Vai pure, tanto anche noi
abbiamo
da fare. L’aver concluso l’addestramento non significa che non
dobbiamo
continuare ad allenarci».
«E
la
cosa mi sta benissimo!» esclamò Aiolia, saltando su dalla panca in
modo fulmineo
«Avanti, Scorpio, muovi le chiappe: ti sfido ad arrivare all’Arena
prima del
sottoscritto! Ci vediamo, Maia!»
«Ehi,
ma
così non vale!» protestò l’altro, mentre guardava il compagno
guadagnare l’uscita
della mensa in un battibaleno.
«Ti
saluto,
Maia: c’è qualcuno a cui devo far mangiare la polvere!»
Maia
non
fece in tempo a replicare, che già quello era sparito al di là
dell’androne;
probabilmente adesso si stava scapicollando su per i gradini a una
velocità
impensabile per qualsiasi altro essere umano “normale”.
Rimasta
sola,
a lei non restò che ripulire il proprio vassoio – nonché quelli di
Milo e
Aiolia – e avviarsi nella zona antistante la scalinata delle Dodici
Case, ove
sorgeva l’antica e immensa biblioteca del Grande Tempio.
Benché
Maia
amasse incondizionatamente qualunque luogo contenente un agglomerato
di
libri più o meno ampio, la biblioteca del Santuario esercitava su di
lei
un’attrattiva impareggiabile: edificata quasi contestualmente alla
realizzazione
di quest’ultimo, in origine era servita soprattutto come spazio di
raccolta e
consultazione dei testi sacri relativi al culto di Atena; in seguito,
essa era
stata arricchita di opere di stampo naturalistico, filosofico ed
epico.
Si
vociferava
persino che Omero, servitore del Grande Tempio, avesse lavorato
proprio lì alla stesura dell’Odissea, ispirandosi alle gesta di un
cavaliere
legato alla Dea. Si trattava soltanto di leggende, certo, ma pensare
che
avessero un seppur minimo fondo di verità a lei faceva quasi girare la
testa.
Attualmente
l’imponente
edificio ospitava diverse aree, adibite a differenti scopi: mentre
all’ala più antica potevano accedere solo il Gran Sacerdote e i suoi
stretti
collaboratori, la maggior parte delle restanti sale era invece aperta
a chiunque
avesse necessità di consultare il materiale ivi custodito, essendo
persino
presenti delle apposite zone adibite a studio e lettura.
Fu
proprio
in direzione di una di esse che Maia si incamminò, immergendosi nel
quieto silenzio degli scaffali colmi di libri e nell’odore di polvere
e carta
stampata che le piaceva respirare apieni polmoni.
Giacché
l’anziano
bibliotecario Xanthippe era momentaneamente assente, procedette da
sola alla ricerca del manuale di storia greca che le serviva; non era
la prima
volta che le capitava, per cui possedeva una certa dimestichezza
nell’individuare ciò di cui aveva bisogno.
Stava
girovagando
fra i ripiani col naso per aria, quando si accorse di non essere
sola; in fondo al corridoio del settore in cui si trovava c’era
qualcuno seduto
a terra, che pareva immerso nella lettura di un grosso tomo.
Essendo
la
zona leggermente in penombra, non riusciva a capire bene di chi si
trattasse;
neppure l’abbigliamento era troppo indicativo, poiché consisteva nella
classica
tenuta da viaggio in uso fra gli accoliti del Grande Tempio.
Non
appena
mosse un passo nella sua direzione, il tizio alzò lo sguardo dal
libro,
per poi fissarlo repentinamente su di lei.
Il
colore
dei suoi occhi – «dorato. Mai visti, occhi del genere. Eccetto una
volta» –
fu la prima cosa che
Maia notò,
rimanendone come folgorata: gli anni e la fatica non ne avevano
alterato
minimamente i toni, che erano rimasti intessuti d’oro esattamente come
allora.
«Ero
sicura
che li avrei trovati ancora più freddi. E invece… »
«Didier…
?»
«Non
mi
chiamo più così da molto tempo» disse lui, mentre si faceva scivolare
il
cappuccio dalla testa e i capelli, divenuti lunghissimi, gli
ricadevano sulle
spalle «Adesso sono Camus».
Note
dell'autore
Con
la storia
ferma da anni, c'era davvero bisogno di aggiungere un ulteriore prologo?
Bella
domanda.
Per chi approdasse su Sorella Morte solo adesso: dovete sapere che da
tempo
immemore avevo il fermo proposito di sottoporre la stessa a pesante
revisione.
Così,
ho deciso
di rimetterci le mani, collocando eventi e personaggi in una dimensione
più
seria, dettagliata e strutturata. Più consona, insomma, al mio modo di
scrivere
– non certo “leggero”, come ben sa chi mi seguiva più assiduamente.
Per
ciò che
concerne il prologo sovrastante, lo stesso ha la funzione di presentare
un po'
il rapporto intercorrente fra Maia, Milo ed Aiolia, nonché quella di
introdurre
il lettore alla mia personale concezione del "sistema Santuario".
Andando per punti:
-
come
anticipato nelle Avvertenze, le età sono abbastanza arbitrarie. Nel mio
immaginario, infatti:
a)
Milo,
Aiolia, Camus, Aldebaran, Shaka, Mu (e Maia) al momento della battaglia
delle
Dodici Case hanno circa 21 anni; dunque, nel prologo in questione, Milo,
Aiolia, Maia e Camus hanno 13 anni – età in cui ho immaginato abbia
luogo
l'investitura a Gold saint (che, sempre nel mio immaginario, avviene nel
giorno
del compleanno del singolo soggetto). Shaka, in quanto supposto
"Illuminato", fa eccezione, giacché ho ipotizzato sia diventato
cavaliere due anni prima dei suoi coetanei;
b)
Death Mask
ed Aphoridite sono più grandi e qui hanno 17 anni;
c)
Shura e Saga
sono ancora maggiori, come verrà specificato meglio più avanti.
-
Arbitraria è,
altresì, la scelta di far addestrare Milo all'interno del Santuario, e
non a
Milos: me ne dispiaccio un po', ma un tale cambio risultava fondamentale
alle
esigenze di copione.
-
Come forse
avrete intuito, "Paulo" e "Ariun" altri non sono che
Aldebaran e Mu; tranquilli, la faccenda dei nomi verrà spiegata nel
capitolo I!
-
So che la
Meridiana dello Zodiaco ha ben altra funzione, rispetto a quella di
segnare
l'ora; diciamo che, in questo contesto, le ho assegnato anche dei
compiti un
po' più laici.