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Autore: rainandteardrops    04/09/2011    7 recensioni
Era a pochi centimetri da me. E non ero immobile perché ero troppo impegnata a contarli; ero immobile perché i suoi occhi mi avevano paralizzata.
Avevo i muscoli atrofizzati. L'unico ancora in vita era il mio cuore, ma se si fosse avvicinato ancora non avrei più sentito i suoi battiti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I prefer Lizzie.

“Oddio”, pensai. 
Le gambe continuavano a tremare, quasi non le sentivo, e respiravo a fatica. Cosa c'era di sbagliato in me? Appoggiai i gomiti sul bancone del bar, e mi presi la testa fra le mani. Ero facilmente suggestionabile. 
“Non sono loro, calmati. Non sono loro”. A poco a poco l'agitazione scomparve, ma a quanto pare sul mio viso era ancora evidente la mia reazione, visto che Chelsea mi guardò con fare preoccupato.
«Ehi, che hai?», mi chiese, appena la guardai.
Riuscii a trovare la voce. «C-credevo... », deglutii, e mi voltai per guardare quei cinque ragazzi. Come avevo fatto a confonderli? Il desiderio di vederli era così forte da provocarmi le allucinazioni?
«Ehm..», scossi la testa, e incrociai lo sguardo confuso della ragazza. «Credevo fossero...», continuai, indicando debolmente il tavolo poco distante da me. «...i One Direction», terminai.
Mi avrebbe presa per pazza, sicuro. 
E invece, mi sorrise. «Per caso hai qualche potere soprannaturale?», chiese, sfociando in una risata.
«Come?»
«Come facevi a sapere che i One Direction frequentano questo bar?»
«C-cosa? Non lo sapevo», risposi sincera, ma in quel momento la mia mente faticava a collegare le varie informazioni.
«Oh», disse, quasi a scusarsi. «Beh si, credevo sapessi che sono la sorella di Louis»
Spalancai gli occhi, la mascella quasi mi cascò sul piano in marmo. «Tu?», domandai. «Tu sei la sorella di Louis?»
Lei confermò, e io ancora non ci credevo. Non credevo nella fortuna, eppure in quell'istante mi sentii baciata dalla dea bendata. Ero a Londra, e nell'albergo dove alloggiavo avevo conosciuto una simpatica ragazza di nome Chelsea, meglio conosciuta come la sorella di Louis dei One Direction. Dovetti sbattere le palpebre più volte per ritornare alla realtà, e per qualche istante, riuscii a fare una domanda quantomeno intelligente, forse, credo. «Scommetto che qualcuno si è approfittato di questa cosa, vero?»
Alzò le sopracciglia e fece un'espressione triste. «Già», acconsentì. «Sono troppo ingenua e troppo buona», disse, asciugando dei piattini di ceramica. 
Non sapevo che dirle. Avevo appena digerito il fatto che fosse la sorella di Louis, e che i One Direction frequentassero quel bar. Non riuscivo ad essere triste per lei, non in quel momento, quando tutto sembrava filare per il verso giusto e quando tutto sembrava essere più che vicino. Eppure provai a mettermi nei suoi panni. Non ero molto brava a consolare le persone; trovavo assolutamente ingiusto approfittare di quella simpatica ragazza solo per incontrare i propri idoli, ma in quell'attimo non riuscii a dirle niente. Diciamo che non ero molto d'accordo con la frase 'Il fine giustifica i mezzi'.
Con mia sorpresa, saltò la parte deprimente di quella storia. «Da quanto tempo sei loro fan?», mi chiese, servendomi il caffè che stavo aspettando. Lo accompagnò con un sorriso.
«Da dicembre», risposi. Un bel po' di tempo, considerando che eravamo a fine agosto.
Lei annuì, interessata. «Il tuo preferito chi è?». 
Non mi lasciai fermare dalla sua parentela. «Li amo tutti, ma il mio preferito è assolutamente Harry», le risposi, mentre sorseggiavo il caffè.
«Ti capisco», disse, con fare malizioso. «E' molto carino» , mi sorrise.
Io mi limitai ad abbassare la testa per nascondere il viso, in silenzio.
«Ultimamente non hanno molti impegni, se vuoi posso chiamare Louis per chiedergli di passare di qua con i ragazzi». Quando pronunciò quelle parole, mi sentii a tre metri da terra. 
«Se possono... se vuoi», farfugliai. 
«Mi fa molto piacere», affermò, e mi strizzò l'occhio, poi cercò nella tasca della divisa e ne estrasse il cellulare. 
Mentre aspettavo che Louis le rispondesse, il cuore batteva a ritmo incredibile. Era stato così facile? 
Chelsea cominciò a parlare, salutò il fratello e gli chiese di passare nel pomeriggio perché aveva voglia di vederlo. Non fece nemmeno un riferimento a me, e ne fui contenta. Avrei potuto passare un po' di tempo a fissarli, seduti al loro tavolo, senza fare la fan appiccicosa.
 
Ero assolutamente elettrizzata. Avevo mangiato solo un panino e avevo la nausea; dire che le farfalle si stavano divertendo allegramente nel mio stomaco era un eufemismo. 
Alle quattro del pomeriggio ero già al bar. I clienti venivano e se ne andavano dopo pochi minuti, e tutto quel movimento non faceva altro che mettermi in agitazione.
Facevo respiri profondi, chiudevo gli occhi e svuotavo la mente, ma serviva a poco se quando li riaprivo vedevo davanti a me i loro sorrisi. Chelsea sembrava preoccupata per il mio stato mentale; beh, lo ero anch'io.
Quella mattina avevo sperimentato come sarebbe stato incontrarli, e la reazione aveva sorpreso anche me. Speravo di non svenire, e di non sembrare una cretina o una ritardata, ma era parecchio difficile.
Non sapevo a che ora sarebbero venuti, e l'attesa era ormai diventata snervante.
Ringraziai quell'angelo sceso dal cielo che avevo incontrato per caso nell'albergo, e lei fu talmente gentile da non prendermi per idiota al trentesimo ringraziamento. Sorrideva sempre.
Io in quel momento avevo la fronte aggrottata ed ero sudata fradicia.
Per evitare di fare la figura della puzzola, andai nel bagno del bar, e aprii il rubinetto. Lasciai scorrere l'acqua fredda finché divenne congelata, e mi bagnai il viso e le braccia. Poi estrassi dalla borsetta un campioncino di profumo e ne spruzzai un po' dappertutto. 
Mi guardai nello specchio e... ero un caso perso. 
Avevo il top bianco bagnato in alcuni punti, i capelli scompigliati, un'unica ruga che mi solcava la fronte e gli occhi scuri preoccupati. 
Probabilmente sarebbe stato meglio incontrarli per strada, vivere un'esperienza extracorporea per qualche minuto e poi sclerare dopo che se ne fossero andati, e non accumulare ansia e agitazione in una manciata di ore. Ma mi accontentavo, come avrei potuto fare altrimenti?
Appena uscii dal bagno, Chelsea cercò di intrattenermi con alcune domande su di me. Mi fece parlare della mia famiglia; le dissi che non avevo sorelle o fratelli, che mia madre era pasticciera e mio padre medico, ma era impossibile che mi distraessi. 
In una conversazione lunga circa venti minuti, interruppi il discorso circa sei volte per dire: “Non posso farcela”.
Ormai quella povera ragazza non sapeva più che fare, quando finalmente i One Direction varcarono la soglia del locale. 
Nella mia mente la scena si stava svolgendo a rallentatore. Come in un film, quando il protagonista era appena scampato con successo a una sparatoria, e camminava per le strade deserte della città come un sopravvissuto, come una leggenda, come una star.
In questo caso i protagonisti erano cinque, ed erano entrati in un bar; non c'era stata nessuna sparatoria, e si comportavano come le persone più normali del mondo.
In quel momento mi sfiorò l'idea di consegnarmi a degli psicologi professionisti.
Ero agitatissima. Non seppi descrivere esattamente come mi sentii quando li vidi entrare. So solo che tremavo, il cuore batteva all'impazzata e li guardavo di sottecchi per non attirare l'attenzione. 
Afferrai il braccio di Chelsea che stava per raggiungere suo fratello. La guardai. Ero nel panico. 
«Che faccio?», le chiesi. Non avevo idea in che stato fosse la mia faccia. Probabilmente sembravo una condannata a morte.
Una parte di me voleva nascondersi, l'altra diceva al mio corpo di muoversi, correre verso di loro e abbracciarli tutti.
«Vieni con me», disse, sciogliendo la presa della mia mano intorno al suo polso. Si avviò verso suo fratello, ancora in piedi davanti all'entrata del locale insieme agli altri quattro.
Chelsea abbracciò tutti e li invitò a sedersi. 
Tutti presero posizione, Harry si tolse gli occhiali da sole. Io decidevo se alzarmi o restare seduta su quella sediolina per sempre. Era la mia occasione.
Ad un certo punto, la ragazza si voltò verso di me, e mi indicò. All'improvviso mi ritrovai sei paia di occhi puntati addosso. Per me era la peggiore delle torture.
Il cuore batteva così forte che sembrava volesse uscirmi dal petto, ma mi alzai, e ovviamente inciampai. 
Quando i riflettori erano puntati su di me, succedeva sempre qualcosa di imbarazzante. Fortunatamente non caddi.
Mi avviai verso di loro, con le gambe molli e la bocca secca. Avevo un groppo in gola, stavo per piangere. 
Quello era il giorno più bello della mia vita.
Appena li raggiunsi, le loro teste si inclinarono all'indietro per guardarmi, soprattutto Liam, che mi era proprio affianco. “Non svenire, non svenire”, mi ripetevo come un mantra. Funzionò.
«Ragazzi, lei è Elisabeth», Chelsea mi presentò ai ragazzi. I loro occhi mi scrutavano e l'incendio che stava imperversando sulle mie guance aumentava. «L-Lisa», riuscii a correggerla io, con la voce rotta dall'emozione e dall'agitazione. Ritenevo Elisabeth troppo formale. 
Il mio sguardo si alternava tra pavimento e il volto di Chelsea, anche se avrei voluto solo scappare via, ma riuscii a vedere Harry sorridere, prima che incrociassi i suoi occhi. «Lizzie», propose lui, con un sorrisetto divertito. 
Appena vidi le sue fossette, credetti di poter prendere fuoco da un momento all'altro, sul serio. Quasi fui tentata di controllarmi i vestiti. 
Louis sorrise insieme ad Harry; Niall si voltò a guardarlo.
Io non sapevo che dire. 
«Dobbiamo presentarci anche noi?», sentii Zayn rivolgersi a Liam. Ma non arrivò una risposta.
«Quale soprannome vorresti che scrivessimo sull'autografo?», chiese Louis, ed Harry rise. Mi chiedevo se si fossero messi d'accordo per ridere ad ogni frase dell'altro.
«Quello che preferite», riuscii a dire. Somigliavo ad un peperone, o a un gambero o a un pomodoro, ne ero sicura al cento per cento. 
Non vidi Chelsea allontanarsi per prendere un foglio, ma notai che lo poggiò sul tavolo, tra Harry e Louis. Il primo prese il foglio con foga. «Io preferisco Lizzie», affermò. Prese una penna, e prima di cominciare a scrivere mi guardò e mi sorrise. Ero immobile come una statua, paralizzata.
«Allora ragazzi, avete impegni in questo periodo?», chiese Chelsea. Io guardavo Harry scrivere, i suoi ricci che quasi accarezzavano il foglio. Sentii la domanda un po' in ritardo. 
Rispose Liam. «Direi che abbiamo ben tre settimane libere, poi partiremo con l'annuncio delle date del tour, e poi...»
«... inizieremo il tour», concluse Niall con un sorriso. Aveva un viso dolcissimo. Le foto non gli rendevano giustizia. 
Lo stesso valeva per Liam, e per tutti gli altri. Non riuscivo a credere di aver meritato una fortuna simile.
«Allora che ne dite di passare la serata di domani con noi?», propose. 
E io mi sentii morire. 
«Io sono libero anche di mattina», si intromise Harry, mettendo il tappo sulla penna e consegnandomi l'autografo. Riuscii ad afferrarlo e a ringraziarlo, accompagnando la voce con uno dei miei migliori sorrisi. 
Gli altri membri della band si unirono ad Harry. «Grande, passeremo la giornata insieme», concluse Chelsea, voltandosi verso di me con uno sguardo complice. 
Sì, era un angelo.
 



alloooora, grazie di aver messo la mia storia nei preferiti, di averla visualizzata e commentata (:
spero che questo capitolo non sia risultato noioso! ahahah un bacio!
  
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