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Autore: JulietStarLight96    07/09/2011    4 recensioni
Questa storia è molto autobiografica, c'è molto della mia storia, della mia vita. Parla di me, di un liceo classico, di un ragazzo, di due sorelle, della prima volta per tante cose.
«Vuoi un tiro?»
«Preferisco la cioccolata.»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrivai di corsa nel punto di ritrovo che avevamo deciso essere il nostro, anzi, che aveva deciso, e la salutai con la mano. Un altro giorno di scuola. Lei mi abbracciò e iniziò a raccontarmi cosa aveva fatto nelle ultime ore, da quante volte si era sfregata i denti a che colore erano le sue mutande; avevo già chiuso le mie orecchie per sopravvivere ad un’altra giornata come sua compagna di banco, quando vidi qualcosa che attirò la mia attenzione. Da brava curiosa, non potei fare altro che chiederglielo: «Chi sono quelli?» un gruppetto di ragazzi e ragazze stava ridendo rumorosamente dall’altro lato della scuola, tutti vestiti firmati e quasi tutti sembravano più grandi di me.
Lei si mise a ridere, ma quando si accorse che ero seria mi guardò con una di quelle espressioni “sul serio non sai chi sono?”. Non mi ero mai preoccupata tanto di sapere chi comandava in città. Se si può dire così. «Loro sono quelli del Sant’Antonio.» le mie sopracciglia si alzarono scettiche. «E perché dovrei conoscerli?» di nuovo la sua risata fastidiosa si levò alta nell’aria. Per fortuna la campanella suonò, salvandomi da quel gazzettino della scuola almeno per cinque minuti. Le prime tre ore passavano fin troppo lente, la nostra prof di italiano ci considerava bambini dell’asilo e continuava a farci fare esercizi sull’uso dell’apostrofo, sulle doppie e gli accenti. L’avevo disegnata morta già da un paio di ore, quando finalmente arrivò la ricreazione. Il profumo di cibo che si disperse nell’aria mi ricordò del mio appuntamento alla macchinetta del caffè, così mi infilai le cuffiette bianche, accesi la riproduzione casuale e mi spremetti la memoria per ricordare a che piano era. «Hai bisogno di una mano?» Silvia arrivò fin troppo puntuale alle mie spalle, e io andai avanti fingendo di non averla neanche sentita. Finalmente arrivai al primo piano, e fu come se fossi appena arrivata alla terra promessa.
Lei era lì, nei suoi soliti jeans bianchi, una maglia larga che le scopriva una spalla e delle ballerine nere; mi salutò con la mano, come se mi stesse aspettando, e io ficcai l’iPod nella tasca. «Hei.» la salutai quando le arrivai vicino, ancora non sapevo perché avevo accettato di venire, quella ragazza mi metteva in soggezione. «Ciao. Ti ho vista in giro, quest’estate.» wow, allora se mi hai visto... «Parliamo chiaro, che cosa vuoi da me?» lei si mise a ridere, la stessa risata di Silvia. «Davvero non sai chi sono?» oddio, ricominciavano? Ma cosa pretende la gente, che io stia ventiquattrore al giorno attaccata ad uno schermo di un pc per poter riconoscere quelli che vedo per strada o a scuola? «Dovrei?» mi stavo spazientendo, la mia seconda ricreazione sembrava non finire più. «Sono la migliore amica di Carlotta.» okay, non la sopportavo più. O la strangolavo, oppure le facevo capire chiaro e tondo che non sapevo perché ero lì. «Che è...?» «Oddio, non dirmi che hai scelto questa scuola perché ha una bella fama di studio, vero?» il suo sorriso falso era fin troppo tirato. Il mio silenzio però lo spense.
«Ti parlerò chiaro, okay?» oh, grazie a dio. «Sono stata mandata qui dal mio gruppo, ci piaci, ti vogliamo con noi.» «Cos’è, un gruppo rock o cosa?» lei si mise a ridere, era ufficiale, odiavo la sua risata. «Siamo quelli di Sant’Antonio.» rimasi un attimo scioccata. (*) Questa davvero non me l’aspettavo. Che voleva un gruppo come il loro da me? Non ero mai stata una tipa da feste o grandi compagnie, avevo i miei amici, che si potevano contare sulle dita di una mano. E fu anche per questo che quella proposta mi allettò. Gruppo nuovo, nuove amicizie, grande compagnia, che sarà mai? Ci divertiremo, pensai. E le sorrisi. La peggiore cosa che io abbia mai fatto. «Come mai me?» fu la prima cosa che mi venne in mente. «Perché tu sei diversa, proprio come avevo immaginato.» la campanella la salvò da altre spiegazioni, e io fui costretta a ritornare in classe con le idee più confuse di prima.
Durante l’ora di mate, mentre facevo disegnini sul diario, mi feci raccontare dalla mia compagna di banco com’era quel gruppo, cosa si diceva in giro di loro, ignorando i suoi continui avvertimenti della serie “non si entra senza invito” o cose del genere. Neanche fossero un final club. Scoprii così buona parte dei loro nomi e dei loro caratteri, quella ragazza sapeva davvero tutto, probabilmente aveva provato a entrarci e loro non l’avevano accettata.
Francesca, quella con cui avevo parlato, aveva una storia di anoressia dietro; mi aveva raccontato che lei era molto grassa, e che per dimagrire non aveva trovato niente di meglio che ficcarsi un dito in gola e vomitare quello che aveva mangiato, e adesso le sue forme erano (quasi) normali, visto che era ancora un po’ cicciottella. Lei è la sua migliore amica Carlotta erano quelle che comandavano, per dire. Carli (com’era soprannominata) era sempre stata molto magra, il suo passatempo preferito era quello di collezionare ragazzi. E poi c’era Michele. Lui era un po’ il rubacuori del gruppo, era uno di quelli di quarta con cui le due giravano per sentirsi fighe, e andava in una scuola privata, la Sant’Antonio appunto. Neanche un’ora e già avevo dei ripensamenti sull’aver accettato di unirmi a quel gruppo. Non potevo capitare con della gente migliore.
Fortunatamente avevo solo quattro ore oggi, ma per bilanciare la troppa (s)fortuna di oggi il mio bel motorino era rimasto a casa dopo che mia madre mi aveva ordinato di andare a piedi perche “c’era il sole”. Notai subito che una delle ragazze in classe con me aveva preso la mia stessa strada, camminava parecchio più avanti a me, il caschetto di riccioli nero che le rimbalzava attorno al viso, e le scarpe da ginnastica bianche che saltavano le pozzanghere rimaste dal giorno prima. Sforzai di ricordarmi il suo nome, e quando finalmente si accese una scintilla nella mia testa, la chiamai: «Ginni!» mi ricordavo bene come si chiamava perché aveva un nome strano, Ginevra, e fin da subito aveva chiarito che voleva che la chiamassimo Ginni. Mi piaceva molto come persona, era magrolina e soffriva di una terribile forma di allergia che si presentava come asma; era molto dolce e carina, e scriveva delle storie durante le ore di lezione con la sua calligrafia a ghirigori.Lei si fermò per vedere chi l’aveva chiamata, e quando mi riconobbe il suo viso si illuminò. «Ciao Maggie!» mi urlò da lontano. Affrettai il passo per raggiungerla, e io le chiesi subito: «Che strada devi fare per andare a casa? Possiamo farla assieme.» le sorrisi, lei mi sorrise, e ci incamminammo insieme verso il suo appartamento che non era molto lontano dalla scuola.
Parlammo di tutto e di niente, delle medie, dei nostri amici pressoché inesistenti, del voler ricominciare, di quanto ci piaceva scrivere, delle nostre compagne di banco, dei professori; chiacchierammo dei nostri futuri, dei tagli di capelli e dei piercing e dei tatuaggi che avremmo voluto avere, dei nostri difetti, dei nostri problemi. Quella camminata fu la più lunga e la più corta della mia vita allo stesso tempo. Avrei voluto stare lì a conversare con lei per tutto il pomeriggio, ma il mio microonde mi reclamava, così la salutai con un bacio leggero su una guancia e me ne andai, la scimmietta dentro alla mia testa che saltellava per aver trovato una nuova amica, dimenticandosi completamente del Sant’Antonio.



Okay, questo capitolo non mi piace molto, ma spero che almeno a voi sia piaciuto e.e Mi farebbe molto piacere se lasciaste un segno del vostro passaggio recensendo questo capitolo :3
Grazie a tutti quello che lo leggeranno e in particolare alla mia Pru, a @Black_Bohemian e a @nuage91 per aver recensito il precedente. Un grosso bacio a tutti<3

 
   
 
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