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Autore: shootingstar_    09/09/2011    3 recensioni
Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno cosa fosse quella rompiscatole.
Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno perché le sembrasse il nemico.
Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno che Viola la bionda era il nemico.
Lulu allora la guardò- la guardò per bene.
I suoi occhi saettarono dall'alto a al basso, per poi riscendere, dalla testa ai piedi.
«Quindi tu sei una nuova compagna addetta all'immagine».

Vi presento una nuova commedia scolastica ambientata in un prestigioso Istituto Privato Superiore di Sartoria, dove i numerosi personaggi si scontreranno con divise possedute dal male, amori, tradimenti, complicità, segreti e dove faranno volare aeroplani di carta pieni di sogni dalle finestre sbarrate.
Buona lettura
Grazie in anticipo
shootingstar_
[N.B.: I generi, Het, FemSlash, Slash si riveleranno con l'andare dei capitoli. Se siete portatori di omofobia, meglio che non leggiate in ogni caso]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tre: Dave lo sa


Il malumore non le era ancora passato del tutto.

Sdraiata sul divano, le gambe allungate sul tavolino in vetro del salotto, guardava con sguardo truce la televisione senza, però, seguire minimamente la trasmissione.

Era inevitabile. Per quanto anche gli altri le dicessero di non farne una tragedia- o, perlomeno, di smetterla per un attimo di pensarci, lei proprio non ci riusciva.

Il discorso della Preside le rimbombava nelle orecchie, costante e fastidioso come il ronzio di una mosca nell'orecchio.

Afferrò il telecomando all'improvviso e, con rabbia, spense la televisione- dopodiché lanciò il telecomando sulla poltrona vicina.

L'aggeggio atterrò, rimbalzò sul cuscino color lavanda e si schiantò sul pavimento bianco. Il rumore secco e tintinnante delle pile che rotolavano sulla superficie levigata attirò l'attenzione della madre della ragazza.

«Che cos'è caduto?».

Lulu alzò gli occhi al cielo. Quella donna era un caso perso. Entrava in un evidente stato di ansia per cose del tutto inutili- come la caduta di un pidocchioso telecomando o per una lampadina fulminata. Quando invece c'era davvero da preoccuparsi, chissà per quale motivo, continuava imperterrita a sorridere, sia con le labbra che con gli occhi che diventavano due piccole fessurine nere.

«Il telecomando» borbottò Lulu, raccogliendone da terra i pezzi. «Non l'ho fatto apposta» buttò poi lì, quasi automaticamente, a mo' di scusa.

Alice si porto le mani ai fianchi e si eresse in tutta la sua, seppur scarsa, statura.

«Lucrezia, possibile che tu debba sempre avere i modi di un elefante?» la rimproverò. «Augurati che funzioni, altrimenti ogni volta che dovrò cambiare canale chiamerò te per farlo».

Lulu sbuffò. Guardò sua mamma tornare in cucina, sempre in equilibrio sugli inseparabili tacchi.

Osservò le sue gambette corte, coperte solo da un paio di pantaloncini da ginnastica.

Lei non assomigliava per niente alla madre. Aveva sfavillanti occhi nocciola, il viso a forma di cuore e un'arcata sopraccigliare invidiabile.

Non che fosse esattamente scontenta del suo aspetto- sapeva perfettamente di essere carina, ma ecco, quell'altezza non avrebbe mai smesso di crearle, se non problemi, imbarazzi.

Essere alte un metro e sessanta arrotondato sulla carta d'identità e avere anche una corporatura minuta, che di certo non regala centimetri, presentava degli strani sconvenienti.

Tipo essere scambiata per una bambina, oppure dare l'insensata illusione di essere un tenero zuccherino da coccolare. Era sicura che, un giorno o l'altro, qualcuno le avrebbe infilato a forza un completo da bimbetta solo per poter esclamare “quanto è tenera!”.

L'improvviso rumore del citofono ridestò Lulu dai suoi pensieri, facendola sobbalzare sul posto. Osservò pigramente la madre sgambettare a piccoli passi verso il citofono, alzarlo e schiacciare il bottoncino nero senza nemmeno domandare “chi è?”, per poi tornare in cucina.

Pochi secondi dopo il rumore dei piedi che sfregavano sullo zerbino fuori la porta precedette

l'entrata del padre.

«Ciao» fece, appoggiando la ventiquattrore in pelle marrone al fianco del divano. «Cosa c'è per cena? Sto morendo di fame, oggi è stata una giornata non piena, di più».

Sprofondò nel divano, le braccia allungate sullo schienale; con gli occhi chiusi dietro le lenti degli occhiali, l'espressione era quasi pacifica.

«Ciao papà!» esclamò Lulu nell'orecchio del povero genitore, che spalancò di colpo gli occhi, spaventato e disorientato al contempo. Si voltò verso sinistra, poi a destra.

Il viso di Lulu era a pochi centimetri dalla sua faccia, sorridente e birichino. Era ancora troppo facile, per lui, rivederla come quando aveva quattro anni- quegli stupidi scherzi lo riportavano indietro nel tempo, esattamente come faceva l'espressione che li accompagnava.

Le scompigliò i capelli.

«Ciao, principessa».

Lulu lo guardò male. «Papà, non sono una principessa» si lamentò.

Aldo rise. «No, forse no». Lanciò una breve occhiata alla porta della cucina semichiusa, dalla quale proveniva un gran baccano- un misto di tintinnio di posate, pentole che entravano in collisione e imprecazioni poco chiare. «Cosa sta... ehm... cucinando tua madre?» le chiese, senza preoccuparsi di celare l'apprensione.

Lulu trattenne un risolino. Da quando la cuoca era entrata in maternità, lasciando alla povera Alice tutto il lavoro da fare, la situazione a casa oscillava fra il critico e il comico.

Non più abituata a svolgere i lavori di casa, i primi giorni se l'era dovuta vedere con montagne di piatti da lavare, pavimenti da lucidare e letti da rifare si erano dimostrati dapprima un ostacolo insormontabile, per poi diventare solo una grandissima scocciatura.

Ma ciò che più preoccupava gli altri abitanti di casa Prestichi era, appunto, la cucina di Alice. La buona volontà non mancava, questo è certo. Erano i risultati, a lasciare un po' a desiderare- anche se Lulu sospettava che la rosticceria di fronte casa non fosse poi così dispiaciuta per loro, dato che erano diventati i loro migliori acquirenti.

«E' pronto!».


Gli spaghetti erano arrotolati sulla forchetta, sospesa a mezz'aria, a metà strada tra il piatto ancora pieno e la bocca ancora vuota.

«Allora» esordì Aldo, cercando di trovare un argomento di conversazione che gli facesse dimenticare la cena, o che, allo stesso modo, non gli ricordasse la necessità di assumere una nuova domestica. «Com'è andato il primo giorno di scuola?».

Immediatamente, il viso di Lulu si accese di una forte tonalità di rosso ed iniziò ad emanare calore proprio, gli occhi le si strinsero fino a diventare piccoli come due capocchie di spillo, le labbra si assottigliarono tanto da scomparire e gli spaghetti nel suo piatto vennero infilzati con talmente tanta forza che per un attimo la stessa Lulu temette di rompere il piatto.

Alice alzò gli occhi al cielo, sbuffando spazientita.

Aveva fatto centro, pensò orgoglioso. Quello sì che doveva essere un argomento spiacevole.

«Successo qualcosa?» incalzò, fingendo serietà ed approfittando della situazione per rimettere la forchetta nel piatto.

Con gli occhi ancora bassi sul piatto, Lulu borbottò: «Cambiamenti».

Alice lanciò un'occhiata di rimprovero al marito. Aveva passato tutto il pomeriggio a cercare di distrarla. Quando era tornata a casa dal lavoro e l'aveva trovata a compilare moduli d'iscrizione per istituti professionali, i nervi a fior di pelle e la macchina da cucire infilata nell'immondizia quasi le veniva un colpo.

Si era impegnata a farla ragionare dicendole che non era proprio una pessima notizia- di conseguenza le aveva anche mentito spudoratamente, perché anche lei, esterna in tutto e per tutto alla scuola, capiva quanto fosse idiota quel “progetto”.

Quell'occhiata più che eloquente, tuttavia, non dissuase il marito a porre la domanda successiva, questa volta sinceramente incuriosito: «Che genere di cambiamenti?».

«Nuovi compagni addetti all'immagine» sputò con disprezzo la ragazza. «Un giro di parole del cazzo per dire modelli, papà» aggiunse, spazientita, in risposta all'espressione dubbiosa del padre.

«E' così una disgrazia?».

Il tono di Aldo era ingenuo, candido, sinceramente interessato. Come poteva sapere che quella domanda avrebbe scatenato l'Uragano Lulu per la seconda volta in poche ore?

«Tu mi chiedi se è così una disgrazia?» ripeté lei, scandendo bene ogni parola. «No, ma perché mai dovrebbe essere una disgrazia. Mi sono impegnata Dio solo sa quanto per essere ammessa in quella scuola che dovrebbe essere tanto prestigiosa e proprio all'anno di specializzazione mi viene appioppata una ragazzina pelle e ossa da vestire come se fosse una Barbie! Ma perché mai dovrebbe essere una disgrazia, anzi, che bella notizia!».

Lulu disse tutto senza quasi prendere mai fiato, in un tono isterico, la voce che andava crescendo fino ad arrivare ad un'ottava- o forse anche due sopra la norma.

Aldo la guardò, incapace di dire alcunché per almeno due minuti, durante i quali gli unici rumori della stanza erano i miagolii insistenti del gatto grasso e il respiro affannoso di Lulu.

«E... ehm... tu... hai fatto sapere la tua opinione, immagino» suppose infine, lanciando un'occhiata indagatrice alla moglie, che gli rispose con lo sguardo più rassegnato del suo repertorio.

«Certo che sì!» rispose fiera la ragazza. «La vecchiaccia ha avuto un po' da dire, ma...».

Aldo la interruppe: «Non venirmi a dire che sei finita in presidenza il primo giorno Lucrezia. P

Per favore».

Lulu posò di nuovo lo sguardo sul suo piatto mentre, sotto il tavolo, si strofinava i piedi scalzi.

Se proprio ci teneva, non gliel'avrebbe detto. Iniziava a sentirsi un po' in colpa. A fine anno le avevano fatto promettere, genitori e amici, che non avrebbe più creato troppi guai polemizzando su ogni singola cosa. Nutrivano molta fiducia, soprattutto visto che durante l'estate appena trascorsa sembrava essersi data una regolata.

Invece, ecco che aveva perso la pazienza il primo giorno di scuola.

«E' per una cosa diversa, papà. Non mi ha nemmeno messo una nota, abbiamo solo...» tentò di giustificarsi, prima di venire interrotta una seconda volta dalla voce pacata di suo padre.

«Dimmi una cosa. Questi... modelli, resteranno con voi per tutto l'anno?».

«Soltanto quelli che hanno fatto domanda d'integrazione. Gli altri si faranno vivi esclusivamente per i progetti» spiegò, cercando di non far trasparire troppo il suo fastidio.

Aldo annuì, pensieroso.

«Capisco» disse infine. «E' un'iniziativa un po' idiota, in effetti».

Sorrise complice alla figlia.

Vedendolo sorridere- un sorriso talmente simile al suo che, se non fosse stato per i baffi, le sarebbe sembrato un riflesso, Lulu si rilassò e ingollò la prima forchettata della sua cena.

Sua madre stava davvero migliorando.


Quella mattina Lulu portava i capelli legati in uno chignon disordinato.

«Pensavi di essere in ritardo o era solo pigrizia per non volerli pettinare?».

Dave le arrivò alle spalle, stringendole la testolina spettinata con entrambe le mani.

Lulu sovrappose le sue mani a quelle dell'amico, stupendosi nel trovarle così morbide. Abituata com'era a vederlo lavorare per nove mesi l'anno con stoffe e materiali di tutti i tipi, si era abituata a sentirle secche, a vederle piene di graffietti.

Perciò, ogni settembre, quando ormai sedevano a scuola, si stupiva di quanto in realtà le mani dell'amico fossero ben curate; e se ne dispiaceva, un po', perché sapeva che sarebbe durato ancora per poco.

«Oggi fa tanto caldo» gli spiegò infine. «Sono tanto pesanti».

Dave infilò il dito indice sotto l'elastico azzurro e lo tirò a sé, sciogliendo così i capelli dell'amica. Le ciocche scure le ricaddero sulle spalle, andarono a coprirle la nuca.

«Così stai molto meglio» le fece notare, accompagnando la frase con un'improbabile strizzatina d'occhio. «I capelli raccolti ti fanno il collo lungo».

Con supponenza, Lulu ribatté: «Dovevi andare a fare il parrucchiere, altroché lo stilista».

«Baggianate, baggianate» tagliò corto Dave. «Toccare i capelli unti di tutti quegli estranei. Brr. Mi vengono i brividi solo a pensarci».

Si strinse fra le sue stesse braccia in un gesto teatrale, come a farsi calore in una giornata gelida e ventosa.

Lulu rise. «Come se tutti al mondo avessero i capelli unti».

Dave fece spallucce. «Certo. Non tutti possono vantare una chioma perfetta come la tua. O la mia».

Si lisciò con fare ammiccante il ciuffo biondiccio sulla fronte.

In quel momento, il cellulare di Lulu squillò. La ragazza frugò nell'astuccio blu.

«Un messaggio» borbottò a bassa voce, più a sé stessa che non a Dave.

Premette il tasto centrale. Non appena vide il nome del mittente, Lulu rificcò il cellulare nell'astuccio e, con uno scatto veloce, ne chiuse la zip.

«Di chi era?».

Lulu si girò. Dave aveva una strana espressione di gongolante piacere dipinta in viso. Gli occhi brillavano di una strana luce- una luce molto, troppo, intensa.

Dave sa, non poté fare a meno di pensare la ragazza. Lui lo sa, lo sa.

Tuttavia, decise comunque di salvaguardare la sua posizione mentendo spudoratamente.

«La Vodafone che rinnova la promozione». La sua voce era tranquilla, contenuta. Lulu imprecò mentalmente. Ma per favore. Con quel tono non sarebbe riuscita a prendere in giro neanche Linda, la persona più ingenua che conoscesse, figurarsi Dave, il Re delle Balle.

«Quale promozione?».

«La 1 cent parole e messaggi».

«Quanto ti hanno scalato?».

«Tre euro».

«Sicura?».

«Certo».

«Nessun dubbio?».

«Nessuno».

«Nemmeno se ti dicessi che la promozione ti è stata rinnovata alla festa e che fino a ieri sera non avevi credito nel cellulare?».

Porca merda.

«Ehm... vedi... è che... visto che non avevo soldi alla festa, questa mattina, prima di venire a scuola, mi sono fermata in un'edicola e ho fatto una ricarica» balbettò impacciata. «Così mi hanno detto che è stata rinnovata».

Lulu sorrise fiduciosa sotto i baffi. Anche se lui sapeva, quella era una scusa a dir poco perfetta. Non aveva più prove contro di lei. Niente che la potesse incolpare. Solo effimere- se non troppo supposizioni. L'assenza di prove oggettive la rendeva salva, innocente.

In queste condizioni, pensò, neanche il commissario Poirot potrebbe incastrarmi, e nemmeno quella cornacchia della Flatcher.


Dave osservò l'espressione compiaciuta dipinta sul volto dell'amica. Pensava di averlo fregato. In parte era così, ovviamente- come poteva dimostrarle di sapere quel che sapeva senza ammettere che aveva origliato, o che era complice di qualcosa?

Semplicemente non poteva.

Ma Dave sapeva che Lulu sapeva che lui sapeva.

Questa era già una piccola vittoria.


Lulu stava per dire qualcos'altro, quando una ragazza le si parò davanti, interrompendo la sua discussione con Dave.

Era alta- almeno dieci centimetri più di lei, teneva i capelli biondi tagliati un un carré liscio e ordinato e portava sul naso degli occhiali a farfalla cerchiati di plastica nera.

Lulu non l'aveva mai vista prima, eppure indossava la divisa scolastica. Portava la stessa gonna grigia, una polo uguale alla sua. Doveva essere indubbiamente una della scuola.

E allora perché non l'aveva mai vista?

Dietro di lei, Dave, che era stato più veloce a capire l'entità della studentessa sconosciuta, impallidì; era proprio vero, le bionde erano proprio stupide. Le faceva anche compassione, a dire il vero. Era una bella ragazza e aveva un'aria gentile.

Peccato che avesse disturbato la persona sbagliata.

«Tu sei Lucrezia, giusto?». Senza aspettare risposta, la bionda continuò, con un tono abbastanza cinguettante e, forse, un po' troppo zelante: «Mi avevano detto di cercare una ragazza bassina e con i capelli lunghi, scuri... sicuramente affiancata o da un tipo greco o da uno come lui», indicò Dave con un gesto del capo e un gran sorriso che scopriva tutti i denti canditi stampato in faccia. «Ho indovinato, giusto?».

Lulu iniziava ad irritarsi. Odiava le persone che ponevano tutto sotto forma di domanda.

Giusto? Giusto?

Era una cosa che facevano solo due tipi di persone: o quelle profondamente insicure, o quelle che si fingevano profondamente insicure.

Ad occhio e croce, la bionda non poteva che appartenere alla seconda categoria, con quei capelli corti e quelle lunghe gambe secche.

Inoltre, non tollerava che qualcuno parlasse di Jamie come “un tipo greco”- un po' perché era impensabile che una gallinella così non conoscesse il suo nome, un po' perché non era greco che per metà; allo stesso modo, le dava fastidio che qualcuno sottolineasse con così poco tatto la sua bassa statura- se poi questa cosa proveniva da una stangona alta almeno un metro e settanta, la cosa diventava inaccettabile.

Sgarbata, le chiese: «Chi diamine sei, tu?».

La bionda si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«La Preside mi ha...».

Lulu scosse la testa, contrariata. Le bionde erano proprio stupide.

«Ti ho chiesto per caso chi ti ha mandato ad infastidirmi?». Le lanciò un'occhiata talmente piena di astio che la bionda ne restò spiazzata. «La risposta è no. Ti ho chiesto chi diamine sei».

La bionda sorrise. Un sorriso questa volta tirato, rigido, quasi di superiorità.

«Mi chiamo Viola» si presentò infine, tendendo la mano a Lulu. All'ennesimo rinnego, l'espressione di Viola si indurì maggiormente, ma, volenterosa nel voler essere gentile non si scoraggiò. Porse invece la mano a Dave che, seppur ancora un po' confuso, gliela strinse.

«Davide».

«Viola». Dopodiché si rivolse ancora a Lulu, che, dal canto suo, non smetteva di guardarla in cagnesco. «Sono una delle nuove studentesse, la Preside ti ha indicata come, ehm, punto di riferimento o roba simile».

Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno cosa fosse quella rompiscatole.

Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno perché le sembrasse il nemico.

Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno che Viola la bionda era il nemico.

Lulu allora la guardò- la guardò per bene.

I suoi occhi saettarono dall'alto a al basso, per poi riscendere, dalla testa ai piedi.

«Quindi tu sei una nuova compagna addetta all'immagine».

Lulu non seppe dire se Viola proprio non avesse colto la neanche tanto sottile nota di sarcasmo nella sua voce o se semplicemente decise di non cedere alle preoccupazioni.

«Esatto» fu invece la sua allegra risposta. «Quando mi hanno proposta per questo e allora ho chiesto anche di fare l'esame d'integrazione».

«E tu credi di poter affrontare Costumistica senza una base».

«Ho passato l'esame» rispose Viola sulla difensiva. «Se non fosse stato così mi avrebbero bocciata».

Lulu sventolò la mano in segno di sufficienza.

«Quegli esami sono solo formalità. Vedrai che ti arriverà l'avviso di bocciatura alla fine del primo trimestre».

A quelle parole, l'espressione di Viola s'indurì di colpo. Dietro le lenti i suoi occhi, che fino a quel momento erano riusciti ad essere brillanti nonostante la scortesia, divennero di pietra.

«Ah». Viola osservò il ghigno della nuova compagna di classe con crescente astio. La cosa che più la infastidiva era che lei non aveva fatto niente per guadagnare l'antipatia di quella nana- si era solo impegnata ad essere gentile. «Quindi non mi aiuterai o mi farai da rifermento, immagino».

Lulu annuì: «Precisamente».

«Bene». Adesso la voce della ragazza bionda era dura, priva di una qualsivoglia gentilezza. A che sarebbe servito, cercare di essere simpatica a Lucrezia e al suo patetico gruppo? Si era guadagnata il suo odio dal nulla; non aveva certo intenzione di farsi mettere i piedi in testa. «E' stato un piacere, Davide».

Dave la osservò girar loro le spalle e marciare al suo posto- tre banchi più avanti, fino a farsi cadere sulla sedia e presentarsi alla sua compagna di banco, una certa Angela, se la memoria non lo ingannava.

Dopodiché guardò Lulu. Non si stupì nel trovarla a braccia conserte, il labbro superiore leggermente alzato in un'inconfondibile smorfia di disgusto.

«Lulu» iniziò a dire con voce incerta, «forse hai un tantino esagerato con lei. Sembrava gentile».

«Tutta strategia» disse di rimando la ragazza, per niente pentita del suo comportamento. «Le ho solo detto come stanno le cose, comunque. È da stupidi pensare di poter iscriversi in questa scuola al terzo anno e venire promossi. Proprio una cosa da ingenui, ecco».

«Sarà».

Dave si perse nel rumore che le dita di Lulu facevano tamburellando contro il banco.

Inspiegabilmente, ritornò con il pensiero al messaggio di prima. Forse avrebbe dovuto confessare chiaramente a Lulu quello che sapeva e cosa poteva fare- anche se questo avrebbe comportato il rompere una promessa fatta ad un amico.

Immerso com'era nei suoi pensieri non si rese conto che l'ultima campanella era suonata e che la professoressa di Italiano, ormai entrata in aula da diversi secondi, lo stava guardando corrucciata.

«De Franceschi». Dave sobbalzò. «Sono sicura che per lei le vecchie abitudini siano difficili a morire, ma sarebbe carino se sparisse dalla mia vista almeno per quest'anno».


Mentre camminava a passo di marcia verso la sua classe, Dave si ripromise di non ficcarsi mai più in simili faccende- a volte era meglio non sapere.







shootingstar_ parla a ruota libera.
Ommioddio. Ho scritto questo papiro di capitolo tre volte. La prima volta non mi piaceva, la seconda volta l'ho accidentalmente cancellato (sono un paguro bernardo ç_ç) e la terza è questa. Sono talmente stanca e assonnata che non capisco se ne sia soddisfatta o meno, e il pensiero di appena quattro ore sonno mi fa venire voglia di suicidarmi.
Oh, e dovrei chiudere la bottiglietta di the, prima che il gatto la rovesci.
In ogni caso, parlando di cose un po' più serie (yawn). In questo capitolo non compare Jamie e io ne sono dispiaciuta ç_ç in questo capitolo a dire il vero non compare nessuno, LOL, ma vabbè, il prossimo sarà più collettivo, per così dire.
No beh, sto crollando. Quindi la smetto di cianciare e lascio a voi i commenti u__u
E ricordiamocelo. DAVE SA.
Spero di aggiornare presto!!
Un bacio a tutti *-*
   
 
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