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Autore: Prof    10/09/2011    3 recensioni
Colpì per una seconda volta la spalla del danese, con un’energica pacca, probabilmente con l’intento di riscuoterlo un po’ da quell’umido torpore. “Forza, andiamo.” Biascicò. “Qui si crepa dal freddo.”
“E dove?”
Inghilterra si strinse nelle spalle. “È importante?”

Raccolta di dieci capitoli sul rapporto di Inghilterra con Danimarca.
Dedicata a lady Aethalflaed, zia per adozione e fuco per vocazione, per un giorno di fine estate come un altro.
[01. La mia parte intollerante] [02. Questione di gusti] [03. Illusion] [04. Strange Neighbors] [05. E adesso dove andiamo?] [06. Undisclosed Desires] [07. If I lose myself]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Danimarca, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hetalia - Illusion - danelaw Titolo: Illusion
Genere: introspettivo, malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: hurt/comfort, ma credo che sia meglio definirlo semplicemente “peso”
Note: [canzone] [testo]
Titolo dall’omonima canzone dei VNV Nation. Vagamente legata a Solnedgang
Decisamente delirante, neanche mi fossi ubriacata al posto di Dani. E devo smetterla di mettere in mezzo della birra. Se nella prossima fanfic ce ne metto ancora, vi autorizzo a denunciarmi.   
Per Aethelflaed: ovvio che la Carlsberg “è troppo danelaw”, ma non ho mica voglia di andare a vedere tutti i tipi di birra a questo mondo, quindi mi dovrò accontentare. A me nemmeno piace la birra!



Illusion

I know it's hard to tell how mixed up you feel
Hoping what you need is behind every door



Ogni tanto – non troppo spesso però, Danimarca cadeva in quello stato d’animo, molto poco divertente, che guidava i suoi piedi ubriachi fino al porticciolo più vicino, invitandolo con dolce mestizia a sedersi lì, per terra, su un’umida banchina lercia, lasciando le gambe penzoloni sulla superficie grigia dell’acqua, a guardare l’orizzonte del mare, fino a farsi male gli occhi.

Capitava anche, quando la sbornia allegra gli dava clamorosa buca, che Danimarca, lì, su quella solitaria banchina triste come una bottiglia di birra vuota, cominciasse a… dedicare un pensiero – riflettere no, parola troppo grossa - alle sue conoscenze. Per la precisione, gli capitava di pensare – così, gli veniva alla mente quasi per caso – a cosa mai potesse legarlo a tutto quel mucchio di gente così puntualmente presente nella sua vita.

E allora pensava a Finlandia, pensava al botolo di pelo bianco di Finlandia, pensava a Svezia, al mutismo e alla parole incomprensibili di Svezia, e pensava a Norvegia, oh! a lui pensava tanto, pensava a tutte quelle volte in cui non riusciva a decifrare quel suo sempiterno cipiglio, e pensava che davvero non era giusto che non capisse mai cosa gli passasse per la testa, e dannazione, ogni tanto poteva fargli una telefonata, che pure di secoli ne avevano passati parecchi l’uno di fianco all’altro.

Danimarca pensava… troppo. E, gli occhi fissi su un evanescente orizzonte, pericolosamente scivolava nel turbine di ricordi edulcorati dai fumi dell’alcol, dannosi, letali, perché non aveva senso soffermarsi su quanto di già accaduto, e la storia era già stata scritta, e quanto aveva perduto ormai non sarebbe più tornato, e lui si era rassegnato da decenni, quindi, per piacere, non era affatto giusto che i rimpianti venissero a bussare alla sua porta…

Il tocco gentile di una mano sulla spalla, e Danimarca si ricordò di non essere solo, su quella banchina puzzolente e umida e grigia, in quella serata mesta e noiosa a cui nemmeno l’alcol era riuscito a porre rimedio.

Portò due dita a stropicciarsi gli occhi, prima di voltarsi verso Inghilterra, che stava lì, seduto al suo fianco, una mano a reggere una mezza bottiglia di Carlsberg, l’altra ancora benevolmente sulla sua spalla.

A Danimarca non rimase che regalargli un mezzo sorrisetto, intimamente grato di averlo riportato al presente.
Distrattamente, si chiese se anche il suo compagno di bevute preferito ogni tanto scivolasse anche lui in quel cupo stato d’animo; se, come lui, pensasse a cosa lo legava ai suoi fratelli petulanti, a quell’esaltato di America, a quel borioso di Francia; se, come lui, non avesse sperato, qualche volta, che le cose potessero andare, semplicemente, bene, con tutti loro.
Magari, glielo avrebbe pure chiesto, che, chissà, forse lui una buona soluzione l’aveva. Perché quel testardo dell'inglese aveva sempre buone soluzioni, no?

Poi, Inghilterra starnutì, rompendo definitivamente il sortilegio nostalgico in cui Danimarca era caduto vittima.
Borbottando una buona dose di imprecazioni al proposito della 'geniale idea di prendere freddo su una schifosa banchina dimenticata da dio', si strofinò il naso con il dorso della mano, per poi alzarsi in piedi a fatica – e da come barcollò, c’era da temere che potesse cadere in acqua da un momento all’altro.

Colpì per una seconda volta la spalla del danese, questa volta con un’energica pacca, probabilmente con l’intento di riscuoterlo un po’ da quell’umido torpore.

“Forza, andiamo.” Biascicò. “Qui si crepa dal freddo.”
“E dove?”
Inghilterra si strinse nelle spalle.
“È importante?”
 
   
 
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