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Autore: barboncina85    15/09/2011    4 recensioni
Essere un vampiro...o essere un lupo...cosa preferite?? Ve lo siete mai chiesto? Io si...perché non entrambi?
Trovare un bracciale che di giorno ti trasformi nel potente lupo...di notte in un affascinante vampiro.
DAL CAPITOLO 4
"che potessi scegliere? Che cosa essere e quando esserlo o era il bracciale a decidere? E se lo rimetto torno ad essere un lupo o un vampiro?"
CHI LO SA??
Genere: Dark, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Leah Clearweater, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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FANTASTICA, SPLENDIDA ED ENTUSIASMANTE NOTIZIA!
HO RIAVUTO IL COMPUTER, GIUSTO IN TEMPO PER ESSERE IN ORARIO!
E BENE SI, OGGI È GIOVEDI!
E PER RECUPERARE IL TEMPO PERDUTO, VI CONCEDO DUE CAPITOLI E MEZZO.
ALMENO PASSA LA TORTURA!
ALLA PROSSIMA!

CAPITOLO SETTE

 
Sentivo la pioggia.
Quell’odore di terra bagnata che avvolte ti fa mancare il respiro.
Quella sensazione di pulito sulla pelle, che ti fa capire, di essere viva.
Una volta sentii dire che dio era nella pioggia.
Credo che abbiano ragione.
Sentii dei passi cadenzati che si alternavano con lo scrosciare dell’acqua, uno sportello che si apre, poi si richiude.
Aprii gli occhi.
Ero nella mia stanza, la finestra aperta.
Mi sollevai guardando fuori e vidi la volante di mio padre che andava via, ma che ore erano?
Le sei del pomeriggio, mi devo essere addormentata dopo pranzo.
Mi toccai il petto, avvolte, non mi rendevo conto se battesse o no, dopo gli ultimi avvenimenti, non sapevo più cos’ero, ma batteva ancora, quindi avevo ancora tempo, e fame.
Usci dalla camera per andare in cucina. Prima di aprire il frigorifero lessi il biglietto che mio padre aveva lasciato attaccato allo sportello con una calamita.
 
“Tesoro, sono andato a Seattle, ci sono nuovi sviluppi riguardanti quel caso. Penso di ritornare domani a mezzo giorno, fai la brava, a presto papà!”.
 
Quel caso. Che cosa potevano scoprire? Quel pover’uomo non c’è più per colpa mia, cosa ci sarà mai a Seattle?
Presi il telefono appoggiato alla parete, composi metà del numero.
E che gli chiedo? Quali sono gli sviluppi? Non credo che possa dirmeli, e se non ci fossero sviluppi? E se fosse un altro vampiro quello cui danno la caccia?
Nei film spesso se un uomo muore per la stessa causa di un altro, era confermato un serial killer, e se lo rintracciano?
A me non hanno neanche sospettato, ma se rintracciassero l’altro vampiro?
Finisco di comporre il numero.
Al terzo squillo risponde.
“Bella?” sembra sorpreso.
Parla lentamente o togliti il bracciale. Parlo lentamente. « Ciao papà, quindi vai a Seattle? »
“Sì, tesoro. Torno il prima possibile” che dolce, si è intenerito.
« Che tipo di sviluppi ci sono, se posso saperlo? »
“Niente di preoccupante. A quanto pare ha colpito ancora”
Lo sapevo, c’è un altro vampiro! « Quindi non è passionale come si sospettava? »
“No bambina, è un seriale. Tu stai attenta, non ci sono pericoli, ma non uscire da sola, per favore!”.
« Non preoccuparti papà, avevo intenzione di ordinare una pizza e finirmi di leggere un libro » mentire spudoratamente, era da molto che non mi riusciva.
“Ok, ti richiamo più tardi. A presto tesoro”
« Ciao, papà » e rimetto il ricevitore alla parete.
Rialzo la cornetta e faccio in modo che le chiamate arrivino sul mio telefono.
Non potevo rischiare che a mio padre succedesse qualcosa, non potevo. Qui lui era il capo della polizia, ma li? Sarebbe stato in prima linea con gli altri? Di sicuro, lo conoscevo troppo bene!
Aprii il frigo e cominciai a svuotarlo gli avanzi di mezzo giorno, delle uova, due scatolette di tonno, del formaggio.
Continuavo a mangiare, e non mi sentivo sazia, più mangiavo più avevo fame.
« Maledetto stomaco da lupi » quando fini il formaggio non avevo più fame, ma non perché ero sazia, ma lo stomaco non penso avrebbe accettato nient’altro che sangue.
Ero un vampiro.
Mi andai a cambiare, devo raggiungere mio padre senza destare sospetti a chi mi vedeva, quindi se pioveva, almeno fingiamo di coprirci.
Mi rimisi la tuta prugna di Phil, l’unica cosa scura e lunga, e il soprabito di mia madre, lo comprò quando venne qua in visita, per coprirsi dalla pioggia, nero con il cappuccio ampio che copriva bene la testa. Pronta!
Aprii la porta di casa pronta a uscire, la pioggia comincio a bagnare il soprabito, avevo una voglia matta di togliermi il cappuccio e assaporare l’umido sulla pelle, ma poi sarebbe stato fastidioso correre con gli indumenti bagnati, cosi desistetti.
Il miscuglio di odori che sentivo era una cosa fantastica, la terra, gli alberi, persino l’asfalto avevano un odore diverso. Era una sensazione fantastica.
Ma non potevo indugiare. Prendere il pick-up era fuori discussione, avrei cominciato a correre appena fuori città e non credo che tra la mia e la sua velocità ci siano paragoni.
Cominciai a camminare cercando la segnaletica che mi avrebbe portato nella direzione giusta.
Le strade erano deserte, solo qualche macchina di passaggio con i finestrini chiusi, meglio cosi, nessuna tentazione. Non potevo permettermela, non ora!
Continuai a camminare a passo veloce, forse un po’ troppo veloce, quando vidi il cartello della tangenziale.
“N Forks Ave 101”
Mi avrebbe portata a Port Angeles e poi a Seattle dovevo solo costeggiare la strada, niente di più facile.
Ma se avessi preso la  “Sitkum-Solduc Road”, sarei entrata direttamente nel parco nazionale riprendendo la “101” prima di uscire dal parco.  
Con la foresta a nascondermi sarei andata anche più veloce.
Girai a destra prendendo la Sitkum e cominciai a correre, avrei raggiunto Seattle anche prima di papà, se non fosse…
« Hai impegni? » lo trovai appoggiato con la schiena contro un albero. I capelli completamente zuppi che gli ricadevano disordinati sulla fronte, la camicia bianca che gli aderiva al corpo creando un vedo non vedo fantastico, e i jeans strappati ad arte.
Avrei dovuto rispondergli di “si”, ma la voce si era andata a fare un giro momentaneo, lasciandomi da sola.
Quindi annuii soltanto.
« Posso accompagnarti? » sono convinta che se gli avessi detto di no, mi avrebbe seguito comunque.
Si sollevò dall’albero e mi si avvicinò.
« Ciao Marie… » per un attimo dimenticai di essermi presentata con il mio secondo nome.
Si fermò a pochi centimetri da me e sollevando le mani mi tolse il cappuccio. La pioggia attutita dagli alberi mi bagnò a piccole gocce il viso, e successe una cosa che non credevo, mi scivolarono addosso, come se fossi di marmo e non di carne ed ossa. Le percepivo, sulla pelle, ne percepivo ogni molecola, ma non si fermava sulla pelle continuava il suo tragitto come una lastra di vetro.
Ne rimasi colpita, sollevai le mani facendole cadere dalle dita come una foglia che lascia libere le gocce di rugiada la mattina. Mi toccai il viso, non rendendomi conto della consistenza della mia pelle che sentivo morbida.
« Sembra che sia la prima volta che avverti la pioggia » sussurra, raccogliendomi una goccia ferma sullo zigomo.
Ed era vero, era la prima volta. « Lo è… » confessai.
Sorrise e rimase a guardarmi. Per abbassarsi lentamente e sfiorare le sue labbra con le mie, come le gocce sulla pelle.
Non si allontanò, rimase in quella posizione guardandomi, quando aprii gli occhi, i suoi occhi ambrati sembravano oro liquido, ci navigai per un interminabile istante prima di riappropriarmi delle sue labbra.
Le sue mani si aggrapparono ai miei fianchi, mentre le mie si appropriarono dei suoi capelli, il bacio fu intenso, bagnato dalla pioggia che si mescolava con i nostri sapori.
Eppure io avevo da fare qualcosa. Una parte recondita della mia mente mi diceva di ricordare ciò che dovevo fare, ma l’altra parte di me, non voleva saperne di allontanarsi da quelle labbra.
Fu lui a farlo.
« Avevi degli impegni? » mi soffio sulle labbra.
Papà!
Mi allontanai da lui. « Accidenti! »
Cominciai a correre lasciandolo dietro, dovevo raggiungere papà, e lo dovevo fare il più in fretta possibile.
Lui mi affiancava, ad un albero di distanza, era bello, maledettamente bello, il viso concentrato mentre correva, i capelli bagnati.
Svegliati Bella! Devi pensare a Charlie!
Dopo poco arrivammo ad un lago.
« Questo è il lago Crescent » m’informò affiancandomi dopo pochi secondi.
Accidenti, mi ero persa, la strada aveva un bivio. E nessuna indicazione.
« Se mi dici dove stiamo andando, forse, ti posso aiutare » il forse era ironico o sbaglio? In fin dei conti tra i due, era lui della zona.
« Forse eh? » ironizzai.
« Forse » ripeté lui sorridendo e alzando le mani.
Sorrisi per quella sua finta innocenza. « Devo andare a Seattle » lo informai guardandolo.
Fece un sorriso a mezza bocca che mi sciolse come burro. Ok, saltargli addosso e violentarlo non era possibile vero?
« E hai fretta? » continuò.
« Abbastanza »
« Allora vieni con me » allungò la mano verso la mia, facendo scivolare le sue dita sul mio palmo per poi intrecciarle, mille brividi mi percorsero l’arto, finendo sulla base della nuca.
La cosa non sembrò essere lo stesso per lui, perché mi tirò appena per far si che lo inseguissi.
Corremmo mano nella mano per qualche minuto.
Si fermò di colpo.
« Hai sete? » mi domandò di punto in bianco senza guardarmi.
L’avevo?
« No, credo »
« È quel “credo” che mi preoccupa » si gira a guardarmi, mi prende entrambe le mani. « Se ti chiedessi un favore, lo faresti? »
Tutto quello che vuoi! « Si »
« Non possiamo correre in città, e anche se piove, ci possono essere persone ancora in giro… ».
« Siamo a Seattle? » lo interrompo.
« No, siamo a Port Angeles. Se prendiamo un motoscafo, arriviamo prima a Seattle. Ma se entriamo in città sei capace di fare una strage » il suo sguardo è comprensivo, io però abbasso il mio colpevole.
« Che cosa posso fare? » non volevo ammazzare nessuno.
« Trattieni il respiro. Lo so, è fastidioso ma necessario » aveva ragione, in fin dei conti non ne avevo bisogno, potevo resistere.
Presi un grosso respiro, dopo di che annuii per dargli l’okay.
« Andiamo » cominciammo a camminare per stradine secondarie, per la maggior parte deserte, non so da dove ad un certo punto apri un ombrello un po’ ammaccato e mettendomi la mano sulla spalla continuò a camminare proteggendoci dalla pioggia.
Apparenza, giusto.
Dopo parecchi svincoli, stradine e piazzette arrivammo nei pressi del porto, ma svincolando per la darsena ci aspettava una dura prova, almeno per me.
Una miriade di persone sostavano nei pressi della darsena sotto ombrelloni e capannoni, come se la pioggia gli avesse colti all’improvviso, e restavano coperti mentre chiacchieravano e ridevano e scherzavano.
Mi guardai intorno spaventata, avrei potuto ucciderli tutti.
« Resta accanto a me e non respirare, è il compleanno di una ragazza » mi spiegò stringendomi.
Sollevai lo sguardo, come faceva a saperlo?
Continuò a camminare fino alla guardiola della darsena, all’interno c’era un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e il volto scavato che guardava una piccola televisione sotto il muretto che lo divideva dalle persone.
Edward bussò.
L’uomo si girò un attimo, poi guardò la televisione sorrise e con il telecomando abbasso il volume.
Apri una finestrella. « Prego »
« Volevamo noleggiare un motoscafo » disse Edward tranquillo.
L’uomo rise. « Starà scherzando spero »
« Assolutamente no » con un movimento rapido tirò fuori il portafoglio per poi arrotolare un centone e farlo passare dalla finestrella. « Ed è solo la mancia » gli disse sorridendo.
L’uomo rimase un attimo interdetto prima di muovere la testa vigorosamente afferrare la banconota e controllare sul computer. « Mi serve un documento »
Edward glielo porse.
« Sessanta dollari per dodici ore » disse guardandolo.
Edward gli passò centoventi dollari e rimase con la mano nei pressi della finestrella, una volta che l’uomo a ritirato i soldi gli porse le chiavi.
« Secondo molo, posto sette » disse senza staccare gli occhi dal monitor, era intimorito, la voce gli tremava.
Aprì il cancelletto per farci entrare, scendemmo i gradini per arrivare su molo principale.
I primi cinque erano dalla parte sinistra gli altri alla destra.
« Hai idea di come si guida un motoscafo? » dopo la mia domanda mi ritrovai ad ispirare istintivamente, anche se non avevamo nessuno intorno, l’odore di sangue caldo era nell’aria, la pioggia la faceva addirittura aumentare d’intensità, m’irrigidii sotto il suo braccio.
« Marie? … rie… e… » non riuscivo a distinguere la sua voce, continuavo a sentire odore di sangue e il bisogno divenne necessità.
I muscoli si tesero e la ragione lasciò il posto all’istinto, sollevai lo sguardo, oltre il muro che divideva il molo dalla strada, il mio obiettivo.
Poi accadde in un attimo. Mi piegai sulle ginocchia per saltare, ma prima di compiere il salto qualcuno mi spinse contro il muro, ritrovandomi faccia ad esso, reagii di conseguenza, facendo leva sul muro per liberarmi, con uno slancio feci due passi sul muro e con un salto all’indietro mi ritrovai alle spalle del mio aggressore ringhiandogli contro.
Nessuno poteva impedirmi di avere quel sangue!
Ricalcolai la distanza ma stavolta fui spinta in acqua, dove gli odori non c’erano più e riacquistai lucidità.
Riemersi.
« Sei troppo forte » Edward, era chino sul molo che mi porgeva la mano con un evidente affanno.
« E anche bagnata oramai » dissi ironica.
Sorrise prendendomi la mano e tirandomi sul molo.
« Mi dispiace, ma non riuscivo a fermarti » continuò.
« La prossima volta, non mi attaccare, fallo con garbo » mi ritrovai però nella stessa situazione di prima, a sentire di nuovo odore di sangue, e quando alzai di nuovo lo sguardo e ispirai forte mi ritrovai un altro odore sotto le narici.
Un odore di fiori e di estate, insieme con una sensazione vellutata sulle labbra, e l’odore di sangue svani riportandomi alla realtà, alla realtà dell’uomo mi teneva la nuca con una mano, alla realtà dell’uomo che muoveva delicato ma deciso le sue labbra sulle mie, alla realtà del bisogno di sentirne anche il sapore, che mi fece schiudere le labbra abbandonandomi completamente a quel bacio, che ci fece trovare contro una parete.
E quando ne sentii la consistenza ruvida dietro la schiena che mi svegliai dal sogno, staccandomi dalle sue labbra. « Mi piace il tuo garbo » sussurrai
Sorrise a mezza bocca. « Trattieni il respiro un altro po’ e andiamo ».
Annuii smettendo di respirare.
Arrivammo al motoscafo, lo mise in moto e partimmo, dopo qualche altro minuto fini di piovere.
« Puoi respirare ora » mi disse girandosi, ero seduta sulla poppa del motoscafo, dove dei sedili di pelle plastificata davano da sedere ad altre sei o sette persone, lui era in piedi a qualche metro dalla prua, dove c’era il timone.
« Hai idea di dove stiamo andando vero? » la terra si vedeva solo in lontananza.
« Sì, tranquilla »
Mi alzai raggiungendolo, la camicia gli si gonfiava al vento come i suoi capelli ormai quasi asciutti, io non avevo idea dell’aspetto che potessi avere.
« Ti ringrazio » non sapevo se avesse capito a che mi riferivo, ma probabilmente sì.
« Credimi, è stato più che un piacere » la sua mano si sollevo dall’acceleratore per accarezzarmi la guancia.
« Buttarmi in acqua o baciarmi? » ma perché non ragionavo prima di parlare?
In risposta cominciò a ridere una risata allegra e molto musicale. Dio quanto era bello!
« Entrambe » disse ancora ridendo strizzandomi l’occhio, lo notai solo in quel momento.
« Perché hai gli occhi neri? Gli avevi dorati prima » gli chiesi scrutandolo meglio, e si erano proprio neri.
« È la sete, quando siamo sazi, sono dorati, mentre il sangue nel corpo si consuma, diventano man mano neri. Anche i tuoi lo sono. » mi dice facendo un cenno con il mento.
« Ma i miei sono rossi »
« Perché ti nutri di sangue umano »
« Voi no? » non li aveva solo lui di quel colore.
« No, noi ci nutriamo di animali, hanno un rapporto energetico diverso, ma almeno sopravviviamo senza arrecare danno a nessuno » mi guardò come se mi volesse far capire che ero io sbagliata e seguendo quella strada sarei stata nel giusto.
« Di che colore erano i tuoi occhi da umano? » se i miei erano diversi dal mio solito marrone, anche i suoi lo dovevano essere.
« Verdi, ero il classico pel di carota » sorrise della sua battuta.
« I pel di carota hanno le lentiggini » costatai sorridendo.
« Sì, avevo anche quelle, solo che morendo la melanina nel mio corpo è scomparsa, cosi come le lentiggini ».
« Come sei morto? » e il premio alla delicatezza di quest’anno va a? Isabella Marie Swan! « Scusa, non avrei dovuto, mi dispiace è aff… ».
« Non fa niente » m’interruppe « Purtroppo ci passiamo tutti, chi meglio chi peggio, io ero malato e stavo morendo lentamente, Carlisle, mio padre, mi salvò ».
Non sapevo a che pensare, lui era stato fortunato, gli era stata data un'altra opportunità.
« Tu? »
Sollevai lo sguardo. Merda!
« Io? » che gli racconto, che gli racconto, che gli racconto!
« Sì, tu » sorrise a mezza bocca.
Abbassai lo sguardo, non avevo idea di cosa inventarmi, ora si che ero nei casini, come avrei potuto fare? Maledizione!
« Non lo ricordi? » Mi venne in aiuto senza saperlo.
« No » sussurrai, sii convincente, resta sul vago « No, non ricordo niente ».
« Capisco » disse soltanto.
 Girò il timone, e la barca deviò verso la terra.
« Siamo arrivati » annunciò prima di entrare in quello che sembrava il porto, si guardò un po’ in torno prima di vedere un posto dove poter attraccare.
Scesi dal motoscafo, aspettando che lui facesse altrettanto, mi lanciò una cima, che afferrai prontamente, quando scese, anche lui la prese dalle mie mani legandola su un arpione che era incastrato nella banchina.
« Dove devi andare? » mi chiese prima di cominciare a camminare.
« Alla stazione di polizia » gli risposi.
Scosse la testa convinto « Troppi umani »
« Ma ci devo andare! »
« Perché? »
« Mio… Charlie è in pericolo! »
« Un umano? »
Annuii.
« Ok, ci avvicineremo, non puoi entrare nella centrale, poi sarei costretto a fermarti e ci arresterebbero come minimo. » mi afferrò la mano e cominciammo a dirigerci verso il molo della darsena.
« Perché dovrebbero? » che andava dicendo, arrestarci?
« Per atti osceni in luogo pubblico » si voltò facendomi l’occhiolino.
 
Arrivammo alla centrale dopo qualche minuto.
Molte volanti avevano le sirene accese, mi alzai il cappuccio per evitare di essere riconosciuta, nel caso mi vedessero.
Molte volanti riportavano la scritta Forks, e tra quelle macchine intravidi mio padre che parlava con altri poliziotti dalla divisa diversa alla sua, altri non l’avevano proprio.
« Un vampiro » Sussurrò Edward guardando a stessa scena.
Eravamo in un vicolo poco distante.
« Si » sussurrai.
« Charlie è tuo padre, vero? »
Rimasi di sasso a quell’affermazione, trattenni il respiro girandomi lentamente verso di lui che mi osservava nell’oscurità del vicolo.
« Come… »
« Leggo nel pensiero » mi disse come se nulla fosse.
« Tu cosa? » mi trattenni dal gridare con non poca forza « Quando avevi intenzione di dirmelo? » ok, stavo ringhiando.
« A che serviva dirtelo? » mi disse facendo un passo indietro.
« E certo, vedere nei miei pensieri era più facile » che voglia irrefrenabile di picchiarlo.
« Non è facile, infatti. Con te non ci riesco » aveva sollevato addirittura le mani e ci ritrovavamo a quasi metà del vicolo, gli avevo messo paura?
« Cazzate! » ringhiai.
« Perché credi che ti avrei fatto tutte quelle domande altrimenti, perché ti avrei chiesto dove stessimo andando, perché non averti chiamato subito Isabella allora! »
A quel nome mi bloccai.
Aveva ragione, gli avevo detto di chiamarmi Marie.
Mi girai ritornando all’inizio del vicolo per vedere che avessero intenzione di fare gli agenti, vidi alcuni salire in macchina e andare via, poi altri seguirli.
« Cosi ti chiami Isabella » mi chiese una volta arrivato alle mie spalle.
« Mi chiamo anche Marie » mi difesi.
Quando mio padre salì in macchina, uscii dal vicolo inseguendolo.
Ma fui fermata da Edward, che mi aveva afferrata per un braccio.
« Che c’è? » quasi gli ringhiai contro.
« Vieni, prendiamo una macchina »
Camminammo per un po’ nella direzione che avevano preso i poliziotti, io guardavo dritto verso le loro macchine, Edward si guardava intorno.
« Perfetto! » lo sentii dire, prima che mi lasciasse il braccio e s’incamminasse verso una traversa.
Non feci in tempo a girarmi che un’auto lasciò la traversa fermandosi davanti a me, sembrava una Ferrari, era nera, bassa e perfettamente aerodinamica.
Il finestrino si abbasso mostrandomi il suo guidatore.
« Sali! » mi ordinò
Non me lo feci ripetere due volte ed entrai.
« E questa? » domandai incredula.
« Che fortuna eh! » mi disse con un sorriso da orecchio ad orecchio.
« Come che fortuna? L’hai rubata? » ero sconvolta.
« Dopo mi arresti signorina Swan, ora vediamo che combina tuo padre ».
« Sai tutto? » sapeva persino il mio cognome.
« No » cambiò la marcia accelerando fino ad arrivare dietro all’ultima volante, a quel punto rallentò « Leggo nel pensiero, non conosco ogni tratto della memoria. Il capitano stava parlando di vampirismo e tuo padre si è ricordato quando ti ha spiegato di un caso analogo, e di come hai reagito. Ti ho solo riconosciuta nei suoi ricordi. »
« Capisco » quindi non sapeva tutto, non sapeva il tempo dei ricordi o che quella mattina ero “normale”.
« Perché mi hai mentito? » le chiese a brucia pelo.
« Riguardo cosa? » c’erano molte cose che avevo omesso.
« Perché che altro mi hai detto di non vero? » la sua domanda era di stupore, ma sorrise comunque.
« Volevo solo proteggerlo. Mi avete detto che vivete tra gli umani, non volevo metterlo in mezzo » era vero in fondo, non volevo mettere in mezzo lui e neanche che mi venissero a cercare durante le ore di giorno.
« Questo spiega tutto » concluse.
Le volanti girarono alcune in una direzione, altre in un'altra altre andavano dritto, lui continuò dritto.
« Dov’è? » chiesi agitata guardando le altre macchine che si allontanavano.
« Davanti a noi » rispose tranquillo.
Poi vidi la scritta che riportava dietro “District Forks”.
Lo seguimmo per parecchio, usci dalla città abitata, e ci trovammo in una zona di capannoni. Edward accostò mentre loro continuavano.
« Perché ti sei fermato? » ogni tanto mi faceva diventare isterica.
« Se continuiamo a seguirli, ci noteranno, già e tanto che non si siano accorti di noi. Li seguiamo a piedi » cosi dicendo scende dall’auto.
Lo imito e comincio a seguirlo da prima lentamente poi anche lui comincia a correre.
Lo guardo da dietro mentre corre. Possibile che tutti leggano nel pensiero, e i lupi e i vampiri, e probabilmente lo stesso discorso dell’alfa funziona con i vampiri, che lui faccia parte di un branco?
Ho visto i suoi amici, o fratelli, come gli chiama lui, e forse anche loro fanno parte di un branco.
Eppure, quando qual giorno gli incontrai nella foresta:
 
“« Fermati Jasper! » il ragazzo biondo si fermò non perdendomi di vista.
« Tu la senti? » gli chiese Edward, Jasper continuò a guardarmi con gli occhi spalancati.
« No… »  continuò Edward.”
 
In quel momento non capii cosa stava succedendo, ma adesso sì. Parlavano tramite il pensiero e se lui non mi sentiva, il suo amico Jasper ci riusciva. Maledizione!
Che cosa potevo fare? Se Edward avesse portato l’amico, forse lui poteva confidargli i miei segreti, ma se cosi fosse stato perché non glieli aveva già detti?
Perché quel giorno non gli disse che mi chiamavo Isabella?
Edward si fermò, anche le volanti erano ferme davanti ad un capannone.
Mi affacciai per vedere oltre la sua spalla.
« L’hanno trovato » sussurrò.
« Cosa? » il vampiro? Cercai di superarlo per correre in soccorso di mio padre ma lui mi fermò con il braccio riportandomi dietro di lui.
« Hanno trovato un altro cadavere, è fuori dal capanno » mi spiegò senza girarsi.
« Ah » fu il mio unico commento, menomale, avevo paura che avessero trovato il vampiro.
Sentimmo il brusio di una radio. Uno dei poliziotti aprì lo sportello permettendoci di sentire.
“Avvistato sospettato nelle campagne nella zona nord-est”
« Cazzo! » imprecò Edward prima di prendermi per il polso aggirare un capanno e cominciare a correre come il vento, gli stetti dietro con facilità, se avessi voluto, l’avrei pure superato.
« Che succede? » gridai, ma forse mi avrebbe sentito lo stesso.
« L’hanno trovato »
« L’ho sentito » mi sembrava ovvio, ma perché quest’agitazione? Poi un lampo, avrebbe potuto ammazzare dei poveri poliziotti. Maledizione!
« Non ci trovano, non ci vedono, ci facciamo trovare o vedere. È diverso, lo dovresti spere! »
Già, lo dovrei sapere. Quindi questa è un imboscata in piena regola. Chiunque sia, li vuole morti.
Corremmo oltre i capannoni verso le campagne quando sentii distintamente un odore particolare.
« È lui? » domandai continuando a corrergli dietro.
« Si »
Le volanti erano a pochi metri da noi, su una strada sterrata che costeggiava il campo, farebbero arrivate da lì a poco.
La scia conduceva in un casolare all’apparenza abbandonato.
Se entravano, li erano morti.
Accelerai, lasciandolo dietro. Dovevo arrivare prima di loro, ero forte, avrei dovuto farlo fuori prima che arrivassero, i poliziotti altrimenti sarebbe stato il caos.
« Fermati! » il sibilo di Edward non interruppe la mia corsa.
Saltai in una delle finestre, accovacciandomi al suolo. Lo stabile era impregnato del suo odore, misto a quello del sangue.
Mi sollevai, non c’era nessuno in quella stanza, ma come feci due passi qualcuno atterrò dietro di me trattenendomi per il collo.
« Da che parte stai? » mi sibilò una voce nell’orecchio.
« Non dalla tua! » ringhiai piegandomi in avanti e mettendo pressione nel braccio lo catapultai contro il muro che avevo davanti.
Non lo feci rialzare, lo presi dal collo affondando le mani nella sua carne, i suoi occhi rossi mi guardavano sconvolti mentre stringevo. Non molto più alto di me, non ci volle niente a tirarlo su, sbatteva le gambe in maniera convulsa mentre il suo collo man mano si rompeva tra le mie dita, i sui capelli neri nel movimento mi solleticavano il dorso della mano, poi accaddero tre cose che mi fecero ritrovare nell’essere completamente in svantaggio.
I poliziotti sfondarono la porta, Edward entrò dalla stessa finestra, dove poco prima ero entrata io e il vampiro, che reggevo con una mano, approfittando della mia distrazione si divincolò dalla mia presa e nel farlo mi sfilò il bracciale.
Mi ritrovai sul pavimento ansante, con il cuore il gola e le gambe che non mi reggevano dalla stanchezza, persino le braccia che avevo appoggiate dietro la schiena mi tremavano.
Il vampiro si rese conto della differenza, ringhio nella mia direzione, guardando prima il bracciale e poi me, ma non fece in tempo a dire o fare niente perché Edward gli fu addosso strappandogli la testa con un unico gesto delle mani.
Il suo corpo ricadde sul pavimento con la mano nella quale stringeva il mio bracciale a pochi passi da me.
Non persi tempo nel recuperarlo e rimetterlo, quando Edward si rivoltò nella mia direzione, lo avevo tra i denti per stringerlo.
Il suo viso era contratto mentre mi osservava.
Buttò la testa sul resto del corpo per poi prendere un accendino dalle sue tasche e accenderlo per poi buttarlo sopra il corpo, che prese subito fuoco come un fascio di paglia.
Mi porse la mano nell’esatto momento in cui i poliziotti entrarono nella stanza, noi eravamo già fuori nascosti dal muretto.
 
Restammo a guardare a debita distanza i poliziotti che facevano il loro lavoro.
Finché non vidi mio padre prendere il telefono e me ne preoccupai, cosa avrebbe pensato Edward?
Il telefono squillò nella mia tasca.
Guardai Edward, poi presi il telefono e risposi.
« Pronto? » lo sguardo di Edward andò da me a mio padre, il suo sguardo era impassibile, non sembrava ne sorpreso né altro.
“ Bella, come va? “
« Tutto bene papà, a te? » parlai lentamente.
“ Bene piccola, verrò domani a casa, devo compilare delle scartoffie e penso di fare tardi, fai la brava, ok? “
« Sì, papà, ok! A domani allora »
“ Notte, Bella! “
« Notte, papà! » e chiusi la chiamata.
Edward mi guardava con la fronte aggrottata stavolta.
Sospirai cominciando a camminare verso i capannoni. « Che cosa vuoi sapere? » gli chiesi rassegnata.
Non gli avrei detto tutta la verità, ma solo una parte, o forse neanche quella.
« Come fai? Non resisti agli altri umani e rischi con tuo padre? » mi chiese quasi con rimprovero.
« Mio padre non deve sapere, non deve sospettare, lo voglio allo scuro e fuori da pericoli, chiaro? » mi voltai nella sua direzione fermandomi e puntandogli il dito contro.
Guardò la mia mano, scacciandola via con un movimento circolare del braccio « Non sono io a giocare con la sua vita! »
Mi voltai continuando a camminare « Non preoccupartene »
« Un'altra cosa! » mi disse ricominciando a seguirmi.
« Quel vampiro, ti ha visto umana per un attimo… » lasciò la frase in sospeso guardandomi.
Mi fermai guardandolo negli occhi.
« Ti sembro umana? » lo guardai scettica.
Mi guardò per un interminabile secondo e sinceramente mi stavo preoccupando, sembrava che non ci fosse cascato.
Poi scosse il capo e sorrise. « No, non lo sembri » si strofino gli occhi con il pollice e l’indice della mano sinistra. Aprì gli occhi e con un sospiro continuò « Però io sono molto assetato, tu? »
« Non lo so » anche se la gola mi dava fastidio, probabilmente sì. Ingoiai a vuoto, ma fu peggio.
« Sì, hai sete » sorrise.
« Ok, e dove andiamo? » chiesi sinceramente curiosa mettendo l braccia conserte.
« C’è un ampia scelta: il North Cascades o il Mt Baker nelle vicinanze, se poi ci vogliamo allontanare alla ricerca di orsi, c’è l’Okanogan oppure il Wenatchee. » fini contando il quarto nome sulle dita.
« Scusa l’ignoranza, ma di cosa stai parlando? » chiesi aggrottando la fronte.
« Dei parchi nazionali nelle vicinanze, altrimenti possiamo fare un salto in Canada » contò il quinto dito nella mano.
« E certo, giusto una capatina » ma questo era impazzito, ora ce ne andavamo addirittura in Canada?
Sorrise del mio scetticismo e mi prese per mano cominciando a correre. Corremmo per le campagne, finché le campagne non divennero sconnesse e poi cominciarono gli alberi, non mi lasciava la mano, lo seguivo evitando rami e sassi, poi si fermò e io con lui.
Si voltò e mi appoggiò le mani sulle spalle.
« Hai mai cacciato animali? » la sua domanda era abbastanza inutile, sapeva che non lo facevo, ma del resto non cacciavo neanche umani.
Negai con il capo semplicemente.
« Immaginavo. Chiudi gli occhi » mi incitò.
« Perché? » sì, lo so, sembravo una bambina di cinque anni, ma avvolte mi preoccupava questo ragazzo.
« Fidati » sorrise a mezza bocca, e non potevo fare altro un quel momento.
Mi fidai, chiusi gli occhi e sinceramente sperai di avvertire le sue labbra sulle mie.
« Ispira profondamente » il suo sussurro arrivò dal mio orecchio alla nuca per poi espandersi come un brivido, lungo la spina dorsale.
Ispirai profondamente, tanti odori si propagarono e ne riconoscevo molti, muschio, fiori, il suo odore particolare, l’odore di bagnato amplificava gli odori a dismisura.
« Ora ascolta » mi alitò nell’altro orecchio, stavolta le sue labbra sfiorarono il mio lobo nel parlare, e il brivido si propago anche nel basso ventre oltre che nella spina dorsale.
Sentivo il suo respiro, il frusciare del vento tra i rami e le foglie, poi un ruscello poco lontano, animali del sotto bosco, poi ancora più lontano l’apice del ruscello, i pesci che nuotavano al suo interno guizzando sul pelo dell’acqua, poi uno strano rumore, uno scricchiolio di legno, e il respiro affannoso di un animale che soffiava mentre quell’pezzo di legno veniva masticato.
« Cos’è? » chiesi curiosa non aprendo gli occhi.
« Un cervo, poco dietro ce ne sono altri » mi sussurrò ancora.
Aprii lentamente gli occhi trovandolo a pochi centimetri da me. Spostare lo sguardo sulle sue labbra fu istintivo, per non dire naturale. Mi avvicinai a lui sfiorandogli le labbra con le mie, le sue mani accarezzarono le mie spalle per poi salire sul collo e arrivare al viso, afferrò il mio labbro inferiore tra le sue labbra succhiandolo appena e un sospiro di piacere usci dalla mia bocca incontrollato.
Per lui fu un invito a continuare, e credetemi non gli avrei mai detto di smettere.
Le mie mani finirono tra i suoi capelli e il suo sapore lo sentii sul palato, il mio corpo si modellava perfettamente con il suo, le sue labbra passarono dalle mie al mio collo, poi più giù, le sue mani lentamente fecero scendere la cerniera della felpa per continuare a baciarmi tra i seni.
Mi spostai lentamente all’indietro andando a scontrarmi contro un albero. La sua bocca non si fermò, come non lo fecero le sue mani, che scostarono i lembi della felpa scoprendomi i seni.
Non ricordavo di non aver messo niente sotto la felpa.
« Sei meravigliosa » mi guardo per un lungo istante prima di tornare a baciarmi con più foga e desiderio, con uno slancio sollevai le gambe allacciandole alla sua vita.
Gemette sulle mie labbra prima di muovere il bacino facendomi sentire il livello del suo desiderio, a quel punto gemetti io.
« Chi sei Isabella? » mi soffio sulle labbra ad occhi chiusi.
Riappoggiai i piedi per terra. « Sono un sogno, una magia, che scompare all’alba » era vero, non ero come lui, non ero un vampiro, non ero un licantropo. Ero solo un umana schiava di un incantesimo.
Riapri gli occhi. « Non voglio, ti voglio con me all’alba, con me al tramonto, con me per sempre » i suoi occhi cosi scuri, come la notte senza stelle mi calamitava come la luna alla terra, ed era straziante da mantenere.
Mi scostai da lui. Non potevo, non potevo restare li.
« Devo andare » sussurrai prima di sollevare la zip della felpa e sollevare il cappuccio del soprabito legandolo in vita.
« Dove? » mi domandò. Non mi girai a guardarlo anche se la sua voce era sorpresa.
« A Forks » guardai l’orologio, erano appena l’una, come si usa dire “la notte era ancora giovane” ma avevo bisogno di allontanarmi da lui e dall’attrazione che avevo nei suoi confronti.
Cominciai a correre inseguendo la nostra scia, la sua scia a ritroso.
La gola mi bruciava mentre correvo, come se bruciassi carburante e avessi bisogno del pieno. Non riuscivo a ragionare, persino il pensiero di Edward lasciato dietro non contava niente. Contava solo la sete bruciante che avevo.
Continuai a correre finché non incontrai una scia, e la sete crebbe a dismisura.
La seguii come un affamato segue l’odore di cibo, in pochi minuti mi ritrovai in un campo. L’iscrizione sul cartellone diceva “Ross Lake National Recreation Area”. Era un’area per campeggiatori ed era vasta, con roulotte e tende da campeggio, con tronchi e tavoli di legno, con umani ancora svegli ed altri persi nel sonno.
Mi guardai in torno, avevo sete, tanta sete, ma dovevo anche essere cauta e non destare il panico. Trovai dei ragazzi, tre per la precisione, seduti a delle sedie pieghevoli mentre chiacchieravano e sorseggiavano birra intorno ad un fuocherello.
« Ehi, Luke, guarda » uno dei tre ragazzi diede una gomitata ad un altro indicandomi.
Sorrisi di rimando togliendomi il cappuccio e avvicinandomi, il loro profumo era maledettamente invitante. Calma Bella!
Luke, come l’aveva chiamato il suo amico moro, si alzo. Era poco più alto di me, con i capelli rasati e un tatuaggio che si intravedeva alla base del collo e scompariva sotto la felpa di due taglie più grande, la barbetta incolta e un sorrisino da seduttore. Sì, seducimi ragazzo.
« Ciao, io sono Luke. Ti vuoi unire a noi? » mi chiese offrendomi la birra che aveva tra le mani.
Guardai la birra e poi lui continuando a sorridere. « Veramente mi volevo fare una passeggiata tra i boschi, ti va di accompagnarmi? » chiesi maliziosa, allungando il braccio per sfiorargli la mano che reggeva la bottiglia in una carezza sensuale.
« Certo » rispose subito. Si voltò verso gli amici lasciando a uno di loro la bottiglia, quest’ultimo gli diede una pacca sul braccio con un pugno e un risolino compiaciuto.
« Andiamo? » mi domando appoggiandomi il braccio sulle spalle.
Contrassi la mascella cercando di essere il più naturale possibile, devo allontanarmi non posso qui, mi ripetevo come un mantra.
 
« Come ti chiami? » mi chiese una volta entrati di poco nella foresta, si vedeva ancora il recinto del campo.
« Bella » gli risposi rigida. Vieni bello, più lontano.
 Mi appoggiai ad un albero, da qui il campo non si vedeva. Perfetto!
Lui appoggiò una mano sull’albero, sollevandomi il mento con l’altra. « Hai un bel nome, lo sai? » lentamente si avvicinò a me baciandomi, schiusi la bocca immediatamente, facendo sì che la sua lingua entrasse a contatto con la mia. La sete spense il lato razionale facendomi agire d’istinto.
Allungai le braccia allacciandogliele al collo, baciandolo con una passione che non mi apparteneva. Il suo cuore che batteva furioso aumentava la mia sete, la libidine, l’eccitazione, aumentava tutto, finché dalle labbra scesi al suo collo, lo leccai facendolo gemere forte e un lampo di razionalità si fece largo nell’ istinto, i gemiti si possono confondere con le urla, mentre continuavo a leccargli il collo, con le mani scesi al cavallo dei suoi pantaloni, invertendo le posizioni, ora era lui con le spalle contro l’albero.
« O mio dio! Si! » urlò preso dall’eccitazione.
Infilai la mano nell’elastico dei pantaloni della tuta arrivando al suo membro eretto ed eccitato, nel momento in cui lo strinsi tra le mani, lo morsi, e il suo urlo non riuscii neanche io a capire se era di eccitazione o di dolore.
Mi afferro la testa, ma contro ogni logica invece di tirarmi i capelli per allontanarmi mi avvicinava spasmodicamente, e più succhiavo via la vita da lui più la mia mano andava veloce sul suo membro.
« Sì, più forte » urlava, ma la forza lo stava abbandonando, le sue gambe cedevano e lo dovetti reggere con l’altro braccio, mentre continuavo a dargli piacere, e con un ultimo spasmo venne sulla mia mano appena prima di succhiare via l’ultima goccia del suo sangue.
Si accasciò a terra espellendo l’ultimo fiato dai polmoni come un sacco vuoto.
Mi sentivo meglio, ma lui davanti a me, e la mia mano sporca del suo seme mi fece cosi schifo che mi pulii su di lui e mi allontanai ricominciando a cercare il modo di tornare a casa.
Avevo fatto una cosa orribile, me ne rendevo conto, eppure non mi sentivo in colpa, non in quel momento almeno.
Continuai a camminare, poi a correre, trovai un ruscello, mi ripulii la mano ed il viso, e ricominciai a correre spero nella direzione giusta.
Passo parecchio prima di trovare la prima strada, non c’erano cartelli per indicare dove fossi, decisi di percorrerla a sinistra e dopo qualche chilometro trovai un cartello che indicava delle città “ Everett a dodici miglia, Edmonds a sedici miglia, Seattle a venti miglia “ e tra una citta e l’altra c’erano tante piccole citta come dei paragrafi di capitoli più grandi.
Ricominciai a correre dirigendomi a Seattle, era lì che dovevo ritornare, anche se poi mi ritrovavo a dover prendere un motoscafo, altrimenti sarei dovuta tornare prendendo l’auto strada come avevo previsto prima di incontrare Edward.
Già Edward, chissà dov’era?
Lui di sicuro sapeva destreggiarsi meglio di me in queste zone, sapeva tornare da solo a casa. Forse.
Arrivai in città, dopo parecchio, si misi più di mezz’ora, nonostante la velocità dovetti allungare per evitare di entrare nelle altre cittadine, avevo già avuto il mio sostentamento, me lo dovevo far bastare.
Ritrovare la darsena fu facile, a parte le indicazioni, l’odore salmastro mi condusse direttamente sulla costa, e a quell’ora non c’era più nessuno in giro da incontrare, tranne uno.
« Non credevo ce l’avresti fatta a tornare » sedeva comodamente sul muretto vicino alla guardiola, dove c’era un uomo appoggiato sulla sua mano a sonnecchiare, non somigliava al guardiano di Port Angeles, questo era paffuto e con la barba bianca folta.
« Sorpresa » sollevai le spalle non curante, non so perché non volli guardarlo negli occhi, ma non servì a nascondergli la realtà.
Scese dal muretto e mi si avvicinò sollevandomi il viso con la nocca della mano, mi guardò negli occhi per un lungo istante, anche lui si era nutrito, i suoi occhi erano di un dorato brillante.
« Andiamo? » disse infine, girandosi per scavalcare il cancelletto chiuso, evitando di svegliare la guardia.
Lo inseguii.
Salimmo sul motoscafo e in silenzio uscimmo dalla banchina, e poi dal porto.
La traversata per Port Angeles fu più lunga che all’andata, forse perché non parlammo proprio.
Quando arrivammo al porto, sospirai di sollievo. Scesi dal motoscafo e mi diressi alla darsena, lui rimase in dietro per assicurare il cappio alla banchina.
In guardiano del porto, al contrario dell’altro era sveglio. Ma non era lo stesso che incontrammo all’andata, forse aveva terminato il turno. In fin dei conti erano le tre.
Aspettai Edward, lo feci passare avanti per regolarizzare il pagamento e ritirare i suoi documenti.
Quando fini, inaspettatamente, mi prese per mano. Sollevai lo sguardo incredula, perché?
Non ce l’aveva con me? Non l’avevo ferito andandomene? Non aveva visto i miei occhi rossi di sangue umano?
Lo seguii in silenzio, fu lui a parlare mentre percorrevamo le strade deserte.
« Quando diventai un vampiro, mio padre mi obbligò a seguire la sua “dieta” » mi cominciò a raccontare, ma non mi guardava, continuavo a camminare un passo dietro di lui non lasciando la sua mano. « Ero sempre nervoso, avevo una forza e un carattere determinato, non capivo perché mi tenesse con il guinzaglio, perché non mi lasciasse fare le mie esperienze. Cosi scappai dalla sua casa, e dalla sua dittatura » le stradine finirono e imboccammo la strada principale, per prendere la “101 road” e tornare a Forks, ma continuavamo a camminare, e lui continuò a parlare. « Per dieci anni non tornai a casa. Ero un mostro, un animale che cacciava altri mostri e altri animali. Finii sulle prime pagine. » sorrise quasi compiaciuto.
« In che senso sulle prime pagine? » domandai curiosa, mentre continuavo a camminare, la sua mano che da prima prendeva la mia con prepotenza si spostò intrecciando le dita con le mie.
« Ho liberato il nord America da Serial Killer, diventandolo a mia volta » spiegò semplicemente « Dopo due anni a nutrirmi di animali, non volevo arrecare danno ad innocenti, cosi, grazie al mio potere, mi nutrivo di criminali, assassini, usurai, capi mafia e cosi via »
« Il tuo potere? Solo tu riesci a leggere nel pensiero? »
« Sì, solo io » si fermò girandosi e senza lasciare la mia mano mi sfiorò il viso con l’altra « E solo tu riesci a essere silenziosa, per me »
« Ed è un bene o un male? » probabilmente, per quello che avevo da nascondere era un bene, almeno per me.
« Non saprei dirlo sinceramente » si gira ricominciando a camminare, ma questa volta gli cammino a fianco « per novant’anni mi sono affidato al mio potere, ora… »
« Quanti? » lo interruppi. Come novant’anni? Ma dai era impossibile!
« Novanta, perché? » mi domanda alzando un sopracciglio.
Sorrido, « Mi prendi in giro »
« Perché dovrei? »
« Dai sei un ragazzo di vent’anni massimo » costato indicandolo, non poteva averne novanta!
« Diciassette » mi corresse « avevo diciassette anni quando sono morto e da allora sono passati, esattamente, novantuno anni »
« Immortale… » sussurrai guardando l’asfalto.
« Non lo sapevi? » mi chiese scettico.
Sollevai lo sguardo « Pensavo fosse una leggenda, spesso quello che si racconta non è reale. Quindi siamo immortali, e andiamo a fuoco alla luce del sole? »
Cominciò a ridere, una risata che gli fece buttare la testa all’indietro e prendere aria più volte, finché non si fermò proprio, piegandosi in due dal ridere.
« Ti… ti prego, dimmi… dimmi che non è per questo motivo che… che scappi via prima dell’alba »
No, non era quello il motivo principale, ma il mio silenzio non fece altro che farlo ridere più forte.
« Hai finito? » mi stavo irritando.
Ma non voleva smetterla di ridere. Cosi ringhiando lo lasciai indietro allungando il passo.
« No, no, dai ti prego aspetta » mi raggiunse, tossi un paio di volte, un vampiro ne aveva bisogno?
« Scusami, e che mi sono immaginato la scena, di te che ti andavi a chiudere in una bara per evitare i raggi solari.
Ok, se aveva immaginato una scenetta del genere, era comico, sorrisi anch’io immaginandola.
Poi cominciai a fargli domande a raffica alle quali rispondeva telegraficamente cercando di non ridere, e ad alcune non ci riusciva proprio.
« Dormiamo? »
« No »
« Aglio? »
« Leggenda »
« Croci? »
« Altra leggenda »
« Paletto di legno? »
« Niente, ci sono solo tre cose che ci possono uccidere. Il fuoco, un altro vampiro, l’hai visto, e i Licantropi » terminò guardandomi.
Mi fermai, sapevo che i licantropi e i vampiri erano nemici naturali, però risentirlo, sapendo quello che ero mi mise una strana angoscia. Mi ucciderebbe se mi incontrasse in altre sembianze?
« A che stai pensando? » mi domandò infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
« Ai licantropi » gli risposi senza riflettere, non me ne pentii, in fin dei conti gli aveva tirati in ballo lui.
Pensai al bracciale, al lupo che vi era sopra, ma non lo guardai, non volevo che lui le fosse attratto in qualche maniera o che pensasse che fosse chissà che cosa. Ma lo mossi d’istinto.
« Ne hai mai visto uno dal vivo? » mi domandò curioso.
Non solo uno, gli volevo rispondere, un intero branco. Ma poi non si sarebbe spiegato come, da un intero branco, sia uscita illesa. Preferii una mezza verità.
« Sì uno, il primo giorno che mi ritrovai cosi » feci un gesto con le mani indicandomi il corpo, dal collo al bacino.
« L’hai affrontato? »
« No, sono scappata, e non mi ha inseguita » ci crederà?
« Capisco » ricominciò a camminare e io lo inseguii affiancandolo.
Non parlammo per un po’, poi diedi uno sguardo all’orologio, le quattro.
« Cominciamo a correre? » chiesi leggermente agitata.
« La tua bara ti reclama? » mi prese in giro ricominciando a ridere.
Grugnii in risposta e cominciai a correre.
Lui mi segui, e per parecchio continuammo a correre lungo la strada ai margini della foresta, quando ci inoltrammo in essa, il mio orologio cominciò a suonare. Merda!
 
ANGOLETTO:
*SI RITIRA IN UN ANGOLO*
SIATE CLEMENTI!
  
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