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Autore: Grouper    15/09/2011    8 recensioni
Harry cominciò il suo assolo verso la fine della canzone; già troppi sguardi erano stati scambiati tra i due, ma in quel momento la cosa diventò ovvia: quelle parole erano rivolte a lei, a lei soltanto. La spalla che l'aveva sostenuta durante tutto questo tempo, i riccioli con cui aveva giocato tante sere, gli occhi in cui poteva sempre rifugiarsi e la voce avvolgente che le dava la sicurezza per andare avanti... tutto ciò si tramutò in un incubo: per Harry era tutta una farsa per poter arrivare a qualcosa di più che un'amicizia, amicizia che per Vittoria era la cosa più bella che potesse esserle capitata.
Il suo cuore traboccava d'ansia e panico, e gli occhi ne erano la limpida riflessione.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vittoria cominciava ad essere stanca, i piedi lentamente le si intorpidirono a furia di camminare: riuscì a farci caso dopo due ore in cui non fece altro che girovagare per la città e i suoi dintorni. Era completamente isolata da tutto ciò che la circondasse. Non fiatava: teneva le labbra serrate e il respiro era affannato a causa del tanto camminare. Non singhiozzava, non urlava. Sembrava più che altro che stesse scappando via da un omicidio appena compiuto, come farebbe un assassino: testa bassa, passo veloce. Eppure se qualcuno le si fosse avvicinato avrebbe notato quella cascata salata che le stava bagnando il viso ormai da ore; Vittoria piangeva in silenzio, lasciava che il dolore superfluo scorresse via con le lacrime piuttosto che con i singhiozzi e il respiro affannato. Lasciava il fiato da parte per accellerare il passo qua e là, quando i pensieri si facevano troppo pesanti; allora si sfogava con i piedi e con le gambe. Non riusciva a togliersi di mente il ricordo di poche ore prima. Sentiva la voce di Harry cantare, poi gli sguardi di tutti puntati su di lei, e poi le parole fatidiche che fecero spuntare la prima crepa nella loro amicizia. Ricordava tutto a sprazzi, come se fossero passati anni, quando invece riusciva ancora a sentire le mani stringerle forte le braccia e il suo respiro a pochi centimetri dal suo viso. Un brivido le percorse la schiena. Si sentiva così delusa, così triste: non riusciva a spiegarsi il perchè di quello che era successo. Perchè le aveva fatto tutto ciò? Perchè dichiararsi in quel momento così delicato della sua vita? Lui, che aveva imparato a conoscerla così bene, quel ragazzo riccio che l'aveva sempre ascoltata e soprattutto capita come nessun altro, lo stesso che si era fatto sospendere pur di difenderla. Si lasciava trasportare da un uragano di pensieri per le strade desolate della città; la temperatura era bassa, e si gelava, ma dentro Vittoria stava ancora bruciando dal dolore. Avete presente quando piangete tanto e potete sentire un macigno, qualcosa di pesante, un dolore insistente in mezzo al petto che brucia? Vittoria lo sentiva, e ogni volta era più forte e doloroso; poteva sentire il cuore battere affannato, era stanco pure lui di piangere insieme a lei. Decise di fermarsi, non sapeva dove stesse andando e l'ultima cosa che voleva fare era perdersi. Si era fermata sopra al ponte che collegava le due sponde del fiume che divideva a metà Woods. Il cielo era nero, il vento tirava gelido e l'acqua scura davanti a sé rifletteva le luci fioche dei lampioni che percorrevano tutto il ponte bianco. Dopo essersi seduta su una panchina, tirò su con il naso l'ultima volta strofinando la manica del golf sotto le narici per poi accoccolarsi alle ginocchia. In quel momento, per la prima volta dopo mesi, Vittoria si sentì sola, sola per davvero, sola come un cane randagio; in fondo questo era, un cane randagio: una ragazza che nella sua vita non ha mai fatto altro che vagare da esperienza a esperienza, senza mai trovare una cuccia sicura, fatta d'amore a fiducia. Pensava di aver trovato la sua destinazione nei momenti di follia delle sorella e nello sguardo del suo migliore amico, e invece entrambi l'avevano delusa e ferita, una volta alle spalle e l'altra volta in pubblico. Alzò gli occhi al cielo mentre gli occhi continuavano a bruciarle: cercava una risposta, un consiglio, qualcosa da fare, era stufa di crogiolare nel suo dolore e aspettare che andasse via da solo con il tempo. Per un attimo non pensò a nulla: continuava a tenere la testa all'indietro ma fissava il vuoto, lo stesso vuoto che c'era nella sua mente. Le tornò poi in mente quel pomeriggio maledetto, quelle scale e quella stretta che le portarono via il bambino. Portò istintivamente entrambe le mani sulla pancia, e una piccola lacrima le scese sulla guancia destra. Judith, così si sarebbe chiamata la bambina se fosse stata femmina, come la madre. Al nome da maschio non aveva pensato: non aveva figure maschili a cui far riferimento, essendo stata sempre solo un loto giocattolo, perfino del padre. I suoi pensieri cominciarono a fluttuare tra i ricordi d'infanzia, le domeniche a preparare dolci, il bacio del buongiorno della mamma tutte le mattine, le litigate con Rebecca per i motivi più stupidi, i regali del padre che quando era piccola amava con tutta se stessa...Tirava fuori i ricordi piacevoli della sua vita, quei pochi che risalivano per la maggior parte ai primi otto anni di vita. Un taxi sfrecciò sulla strada alle spalle di Vittoria, e questo la riportò per un attimo con i piedi per terra. Si ricordò improvvisamente di poche ore prima, le tornarono in mente gli occhi di Harry, quello che aveva fatto e soprattutto detto. Continuava a sentirsi delusa, ma in fondo, delusa per cosa? Lui aveva avuto il coraggio di tirare fuori ciò che provava veramente, aveva avuto il coraggio di dire la verità, perchè biasimarlo? A cosa aveva pensato per quelle due ore mentre scappava da quel posto? Sapeva che Harry non voleva darle della puttana, e anche se avesse voluto non avrebbe avuto poi tutti i torti. Sapeva che quel bacio non era voluto in quel modo, sapeva che non voleva farle del male, sapeva che era stato solo istinto, non volontà, e chi meglio di lei conosceva i danni che può fare una reazione istintiva? Dondolava sulla panchina mentre cercava di trovare il vero motivo per cui si sentiva triste, arrabbiata, delusa e quant'altro; cercava la vera ragione per cui si trovava nel mezzo della notte sopra ad un ponte, da sola. La testa le si riempì di domande una diversa dall'altra: era stanca e ormai sarà stata quasi mezzanotte. Guardò il telefono e lo fissò per un momento: “un nuovo messaggio” era la scritta che illuminava lo schermo e la mandava ancora più in confusione. E se fosse stato lui? Avrebbe rischiato di lanciare il telefono nel fiume o ancor peggio gli avrebbe probabilmente risposto. Fece un respiro profondo, e alla fine decise di aprire quel maledetto messaggio: “So che non vuoi parlarmi o vedermi, ma ti prego dimmi dove sei e se stai bene. Sei da Harry? Mi dispiace Vì, spero tu possa capire presto e tornare a casa. Ti voglio bene, sempre.” Rilesse quel messaggio cinque volte: le piangeva il cuore, voleva abbracciare Rebecca più di ogni altra cosa in quel momento. Era davvero tutto ciò che le era rimasto, e per colpa sua, di sua spontanea volontà, voleva tagliare i ponti anche di quel rapporto. No, dopo quella sera non l'avrebbe mai permesso. Restò immobile a guardare la corrente del fiume portare via i rami verso la cascata poco lontana dalla città: il fruscio dell'acqua la tranquillizzò per un attimo e le ridiede la lucidità. Si alzò di scatto e cominciò a correre veloce contro vento: non pensava a niente, correva talmente veloce che le sembrava di quasi di volare. Quella staccionata, quel cancello, quelle mattonelle: ci volò sopra come se stesse scappando da un mostro che le correva dietro. Si fermò davanti alla porta di casa per prendere fiato; bussò alla porta: sperava con tutto il cuore che non le aprisse Alexander, era l'ultima persona che voleva vedere in quel momento. La maniglia girò, e Rebecca fece capolino alla porta avvolta nella sua vestaglia di seta, i capelli sciolti e lo sguardo stanco. Le due sorelle si guardarono per un istante interminabile: Vittoria era impassibile, mentre Rebecca sgranò gli occhi che improvvisamente le si illuminarono dalla felicità. Si aprì in un enorme sorriso e subito dopo Vittoria ruppe il ghiaccio sottile che si era creato in quell'istante: “Chi se ne frega di papà!” disse tutto d'un fiato trascinando le parole per poi soffocare Rebecca in un abbraccio; la stringeva fortissimo, come se per un periodo l'avesse persa e improvvisamente ritrovata: non se la voleva farsela scappare un'altra volta, o meglio, Vittoria non sarebbe scappata più. Rebecca ovviamente si sciolse in un pianto abbondante, carico di felicità e di rimorso: continuava a pensare di aver fatto la cosa giusta aiutando il padre, ma allo stesso tempo si sentiva tremendamente in colpa per tutta la sofferenza che aveva procurato a Vittoria. “Ci eravamo promesse di esserci l'una per l'altra, e in questo momento ho bisogno di sentire il profumo del tuo shampoo.” disse Vittoria affondando il viso nella chioma rossa della sorella. Rebecca rise a singhiozzi tra le lacrime, stringendola ancora più forte a sé. “Scusa, scusa, scusa...” riuscì a sussurrare la rossa mentre cercava di riprendere fiato “No, sono io che ho sbagliato.” sciolse l'abbraccio e la guardò negli occhi gonfi ma felici “Non ti lascio da sola, affronteremo tutto insieme.” disse facendo un sorriso piccolo, ma sincero. Rebecca la guardò per un attimo sorridendo a sua volta; le spostò una ciocca di capelli dal viso e glie la mise dietro all'orecchio delicatamente. “Sei identica alla mamma...” disse piegando leggermente la testa. Vittoria alzò gli occhi al cielo ridendo, poi tornò a guardare la sorella e l'abbracciò un'ultima volta prima di salire le scale e entrare in camera. Si preparò per andare a letto pensierosa: non aveva nemmeno visto suo padre, e non ne aveva la minima voglia in realtà. Ogni volta che la questione Harry sbucava nella sua testa la scansava cercando qualcosa da fare per distrarsi: si infilò sotto le coperte con le cuffie dell'ipod nelle orecchie, il mezzo più veloce per prendere sonno. Chiuse gli occhi con in testa le note di Hate that I love you; si addormentò pensando inevitabilmente ad Harry e ai suoi occhi trasparenti. Non quelli di poche ore prima: quelli che era abituata a vedere ogni giorno, quelli dolci, quelli buoni, quelli che la mettevano di buonumore anche nei momenti difficili. Quelli che lei amava.


Notaaaaaaaare bene:
Allora! In realtà quando mi sono messa a scrivere questo capitolo non avevo idea di dove sarei arrivata e sinceramente mi aspettavo un percorso diverso, ma oh, questo è anche il bello di scrivere! Scusate se vi ho fatto aspettare più del solito, ma la signorina ispirazione non si decideva ad arrivare e quindi finivo sempre per scrivere baggianate senza senso! 
Spero che invece il capitolo vi sia piaciuto, perchè ci ho messo tanto a scriverlo e l'ho scritto con il cuore (come tutti, più  o meno! .__. ). Aspetto le vostre opinioni e i vostri commenti!(:
Ringrazio le dolci anime che continuano a spendere parte del loro tempo per lasciare una recensione, siete fantastiche! E ringrazio anche colori che seguono la mia storia anche se in realtà in termini di "Storie seguite" non ho idea di chi mi abbia messo tra le sue perchè non so come si faccia a controllare, ma sinceramente non mi importa xD
Tiro caramelle e Haribo a volontà <3
Un grande abbraccio virtuale, 
vichi.
  
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